Parte “Rockumentario” E Parte Fiction, Ma Nell’Insieme Una Vera Goduria! Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story

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Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story – The Criterion Collection Blu-Ray – DVD

E’ finalmente disponibile da pochi giorni su Blu-Ray o DVD la versione fisica di Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story (peccato che costi un botto), splendido lungometraggio diretto da Martin Scorsese uscito nel 2019 per la piattaforma Netflix, che documenta appunto la prima parte del leggendario tour di Bob Dylan con la Rolling Thunder Revue, un gigantesco carrozzone di musicisti, poeti ed artisti di vario genere che girò l’America nel biennio 1975-1976: in particolare il film si concentra sul ’75, quando la tournée girava perlopiù nei piccoli teatri con concerti che spesso venivano organizzati senza molto preavviso, prendendo spunto un po’ dai “Medicine Show” di fine ottocento ed un po’ dalla Commedia Dell’Arte italiana (mentre nel ’76 Dylan, anche per rientrare dalle perdite dell’anno prima – la troupe la doveva comunque pagare – si esibì in arene più convenzionali per un concerto rock degli anni 70) https://www.youtube.com/watch?v=RulpXOLn6BI .

last waltz

Non è la prima volta che Scorsese si cimenta con film a sfondo musicale: a parte il mitico The Last Waltz vorrei ricordare il film-concerto Shine A Light dei Rolling Stones o la splendida biografia di George Harrison Living In The Material World, e, con Dylan stesso come protagonista, il capolavoro No Direction Home, probabilmente uno dei migliori “rockumentari” di sempre se non il migliore. Rolling Thunder Revue non raggiunge quei livelli ma non ci va neanche troppo lontano, ed in due ore e venti minuti che scorrono in un baleno ci delizia con uno strepitoso mix di scene inedite girate all’epoca, altre prese dal famoso film Renaldo And Clara ed alcune interviste recenti ai protagonisti, oltre ovviamente a diverse performance musicali https://www.youtube.com/watch?v=uDikcwqQDr8 . Tra gli intervistati la parte principale è ovviamente quella dello stesso Dylan (non era scontata la sua presenza visto il personaggio), che come spesso capita tende a commentare con ironia le varie fasi del tour cercando di togliergli quella patina di leggenda, affermando tra il serio ed il faceto di non ricordare quasi nulla di ciò che avvenne, e sentenziando alla fine che a distanza di 40 anni della Rolling Thunder Revue non è rimasto niente, “solo cenere”.

no direction homerenaldo e clara

Altre interviste, a parte alcune “particolari” che vedremo tra poco, riguardano Joan Baez, che si ricongiungeva in tour con Bob a distanza di dieci anni, il giornalista Larry “Ratso” Sloman, incaricato da Rolling Stone di seguire il carrozzone, il poeta Allen Ginsberg (in immagini di repertorio essendo morto nel 1997), anch’egli tra i protagonisti della tournée, alcuni musicisti ed ospiti dei vari concerti (Roger McGuinn, Ramblin’ Jack Elliot, Ronee Blakely, David Mansfield, uno spettacolare Ronnie Hawkins uguale a Babbo Natale), l’attore, scrittore e drammaturgo Sam Shepard, ingaggiato da Dylan per lo script di Renaldo And Clara, ed l’ex pugile Rubin “Hurricane” Carter, protagonista all’epoca di un celebre caso di malagiustizia cantato da Bob nella nota Hurricane. Il film inizia con le immagini dei rehearsals per il tour, in cui un Dylan rilassato e sorridente improvvisa varie canzoni in studio tra le quali Rita May, Love Minus Zero/No Limit ed il classico di Merle Travis Dark As A Dungeon. Poi ci si sposta al Gerde’s Folk City di New York, famoso locale del Village in cui un giovane Dylan mosse i primi passi e nel quale all’inizio del 1975 ci fu una rimpatriata sotto gli occhi estasiati del proprietario Mike Porco: le immagini mostrano Bob che si esibisce con la Baez ed altri musicisti che entreranno a far parte della RTR (si intravedono Bob Neuwirth e David Blue), e poi lo inquadrano tra il pubblico (seduto vicino a Bette Midler) assistere ad una performance di Archer Song da parte di Patti Smith accompagnata alla chitarra da Eric Andersen.

patti smith rtrIl film si dipana poi in veri momenti di vita on the road (con Dylan che spesso è alla guida del tour bus): non vi racconto le varie scene per filo e per segno, ma vorrei segnalare un paio di momenti divertenti che riguardano Ginsberg, che prima legge il suo Kaddish ad una platea di arzille pensionate in una sala bingo e poi, visto che man mano che il tour proseguiva il suo spazio on stage era sempre più ridotto, per rendersi utile dà una mano alla troupe con i bagagli (questa scena era presente sulla versione di Netflix ma sul Blu-Ray viene solo accennata) https://www.youtube.com/watch?v=iUD5snx-XOo . Ci sono anche due momenti notevoli dal punto di vista musicale, il primo toccante con Dylan che suona The Ballad Of Ira Hayes di Peter LaFarge di fronte ad una platea di Indiani d’America, ed il secondo straordinario con una versione superba di Coyote di Joni Mitchell cantata dalla stessa cantautrice canadese accompagnata da Dylan e McGuinn alle chitarre, il tutto a casa di Gordon Lightfoot che, in canottiera, osserva i tre sullo sfondo https://www.youtube.com/watch?v=zeaO5UZ5OcI .

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Ma il film ha fatto parlare di sé anche per quattro interviste a personaggi inventati o che narrano storie non vere, una cosa molto “da Dylan” alla quale lo stesso Bob si è prestato volentieri. La prima riguarda il fantomatico Stefan Van Dorp, che in teoria dovrebbe essere il regista originale delle immagini del 1975 ma in realtà non è mai esistito e nelle interviste viene interpretato dall’attore Martin Von Haselberg, marito tra l’altro della Midler. Poi ci sono le testimonianze di Jim Gianopulos, che è un vero discografico (ed attuale presidente della Paramount) e qui viene presentato come il promoter del tour ma in realtà non ebbe mai nulla a che vedere con esso, e del senatore Jack Tanner che non esiste, essendo l’attore Michael Murphy che riprende un suo personaggio di una serie TV degli anni 80 diretta da Robert Altman. E poi, dulcis in fundo, abbiamo il “fake” più succoso di tutti, in cui una stupenda Sharon Stone (è incredibile come stia invecchiando splendidamente senza l’aiuto apparente della chirurgia estetica) racconta di quando appena diciannovenne andò ad un concerto del tour con sua madre indossando una maglietta dei Kiss e fu notata nel backstage da Dylan che scambiò con lei qualche battuta, ed incontrandola di nuovo qualche settimana dopo la convinse ad unirsi al tour come aiuto-costumista, lasciando intendere che tra i due ci sia stato anche un breve flirt.

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La cosa pare essere totalmente inventata, anche perché la Stone all’epoca di anni ne aveva 17 e quindi una relazione con Dylan avrebbe potuto creare qualche imbarazzo, però è raccontata dai due in maniera decisamente credibile: inoltre qui si apre un altro mini-fake, e cioè che Bob aveva avuto l’idea di dipingersi la faccia prima dei concerti con la RTR dopo aver assistito ad uno show proprio dei Kiss, al quale era stata portato dalla violinista Scarlet Rivera che all’epoca usciva con Gene Simmons (è falso che il trucco facciale dei membri della band sia stato influenzato dalla hard rock band di New York, ma stranamente il fatto che Simmons e la Rivera si vedessero sembra vero). Last but not least, i vari momenti musicali presenti sono davvero di altissimo profilo in quanto Dylan all’epoca era all’apice come performer ed anche disponibile verso i fans (divertente il siparietto quando qualcuno dal pubblico urla “Bob Dylan for President!” ed il nostro risponde ridendo “President of what?”) https://www.youtube.com/watch?v=9wKi3_W6sQo .

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Le canzoni presenti, in parte o complete (e che comunque si trovano tutte sul cofanetto The 1975 Live Recordings del 2019) https://www.youtube.com/watch?v=HCAiAf21K20 sono Mr. Tambourine Man, When I Paint My Masterpiece, una strepitosa A Hard Rain’s A-Gonna Fall in versione rock-blues, I Shall Be Released e Blowin’ In The Wind in duetto con la Baez, Hurricane, The Lonesome Death Of Hattie Carroll (splendida anche questa), Isis, Oh Sister, Simple Twist Of Fate, One More Cup Of Coffee https://www.youtube.com/watch?v=4viQhTmhDX8  ed una Knockin’ On Heaven’s Door in cui Bob divide il microfono con McGuinn https://www.youtube.com/watch?v=4viQhTmhDX8 . Il dischetto, oltre a contenere un bellissimo libretto con foto inedite e scritti di Shepard e Ginsberg, è masterizzato digitalmente con la tecnologia 4K e tra gli extra contiene una esauriente intervista a Scorsese e tre performance aggiuntive (e complete)  https://www.youtube.com/watch?v=SqmTfkf7GRg di Tonight I’ll Be Staying Here With You, Romance In Durango e Tangled Up In Blue; l’unica pecca per chi non fosse troppo padrone della lingua straniera è il fatto che i sottotitoli siano solo in inglese per i non udenti (ma non escludo come già successo per il film su Harrison una versione italiana fra qualche mese. Un film quindi che non esito a definire impedibile: siamo solo a febbraio ma potremmo già avere per le mani il DVD/Blu-Ray dell’anno.

Marco Verdi

Una Pagina Meno Conosciuta Ma Non Per Questo Minore. Joan Baez – Come From The Shadows

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Joan Baez – Come From The Shadows – Music On CD/Universal CD

Ci sono ristampe super deluxe (e super costose) di dischi importanti o addirittura fondamentali che si prendono giustamente le prime pagine delle riviste specializzate, ed altre che passano praticamente sotto silenzio pur trattando di album di ottimo livello. La Music On CD è una sussidiaria della Universal che si occupa di ristampare dischi del passato non molto famosi ma comunque di alto spessore artistico, senza prestare troppa attenzione alla veste grafica ed alla rimasterizzazione (e di bonus tracks manco a parlarne), il tutto però ad un costo decisamente contenuto. Uno degli ultimi prodotti dell’etichetta è Come From The Shadows, album del 1972 di Joan Baez che non è certo tra i più famosi degli anni settanta per quanto riguarda la grande folksinger. Infatti i lavori più noti di Joan pubblicati in quella decade sono i popolari Blessed Are e Diamonds And Rust, ma anche dischi meno venduti come One Day At A Time, Gulf Winds e Gracias A La Vida, LP cantato in lingua spagnola.

Ma Come From The Shadows non è di certo inferiore a quelli citati poc’anzi, e sinceramente non so perché oggi sia uno dei lavori più dimenticati di Joan dato che, dopo un attento ascolto di questa apprezzata ristampa in CD, lo considero uno dei suoi migliori per quanto riguarda i seventies. Un disco piacevole e ben fatto tra folk, country e pop, prodotto dal grande Norbert Putnam (musicista e produttore dal pedigree lunghissimo, tra l’altro ex bassista di Elvis), dominato dalla straordinaria voce di Joan che all’epoca era al massimo del suo splendore e suonato da un manipolo di “Nashville Cats” di gran nome tra i quali David Briggs, Charlie McCoy, Kenneth Buttrey Grady Martin. Le dodici canzoni del disco si dividono tra brani a sfondo politico e non, e soprattutto vedono ben sei composizioni autografe di Joan, cosa non comunissima visto che la cantante di origini messicane non è mai stata un’autrice prolifica (oltre ad avere sempre avuto una scarsa autostima come songwriter, e pare che fu proprio Bob Dylan nei sixties ad incoraggiarla a comporre di più). Il pezzo più famoso del disco è senza dubbio l’iniziale Prison Trilogy (Billy Rose), un racconto scritto da Joan sottto forma di deliziosa country song dalla melodia cristallina e cantata magnificamente.

Tra i brani scritti dalla Baez la più bella (oltre appunto a Prison Trilogy) è To Bobby, sincero e toccante omaggio a Dylan, in tono affettuoso e molto meno caustico (e deluso) di quello che verrà utilizzato in Diamonds And Rust. Gli altri pezzi autografi sono Love Song To A Stranger, limpida e struggente ballata dal motivo splendido che contraddice il credo che Joan non fosse una brava autrice, la rilassata e godibile Myths, l’intensa e pura All The Weary Mothers Of The Earth, che richiama le atmosfere folk dei suoi primi dischi (canzone davvero bellissima), e l’evocativa Song Of Bangladesh, cantata in maniera celestiale. Le cover iniziano con una maestosa resa di Rainbow Road (scritta da Donnie Fritts e Dan Penn), versione pianistica dall’orchestrazione suggestiva e ricca di pathos, per proseguire con lo squisito country-folk In The Quiet Morning, brano scritto dalla sorella di Joan Mimi Farina e dedicato a Janis Joplin, il puro country della bella A Stranger In My Place (Kenny Rogers), la discreta Tumbleweed (di Douglas Van Arsdale), nobilitata dalla solita prestazione vocale eccellente della Baez, ed una strepitosa e drammatica rilettura di The Partisan, canto della resistenza francese reso popolare pochi anni prima da Leonard Cohen. L’unico brano che non mi convince del tutto è una versione un po’ troppo pop e leccata del classico di John Lennon Imagine.

Ma è un peccato veniale: Come From The Shadows è un ottimo album che merita di essere riscoperto nonostante la consueta abbuffata discografica natalizia.

Marco Verdi

Cofanetti Autunno-Inverno 2. L’Usignolo Dagli Occhi Azzurri: Prima Parte. Judy Collins – The Elektra Albums, Volume One (1961-1968)

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Judy Collins – The Elektra Albums, Volume One (1961-1968) – Edsel/Demon 8CD Box Set

A Maggio di quest’anno Judith Marjorie Collins, detta Judy, ha compiuto 80 anni, e per celebrare l’evento la Edsel ha pubblicato ben due cofanetti con la sua discografia completa fino al 1984, cioè fino a quando la folksinger di Seattle ha inciso per la Elektra, leggendaria etichetta fondata negli anni cinquanta da Jac Holzman. La Collins è considerata giustamente una delle più grandi cantanti folk di tutti i tempi, e nonostante non abbia mai raggiunto la popolarità di Joan Baez, dal punto di vista vocale le due non erano molto distanti, anche se come statura artistica Joan è sempre stata uno o due passi avanti (ci sarebbe poi anche Carolyn Hester, che però ha avuto una carriera decisamente più di basso profilo). Nel corso degli anni Judy ha comunque pubblicato più di un disco di valore, scegliendo con grande perizia le canzoni (è sempre stata principalmente un’interprete, anche se con gli anni ha maturato una buona capacità di scrittura) ed eseguendole con estrema raffinatezza e con la sua splendida voce da soprano a dominare il tutto. *NDB Gli ultimi due, quello in coppia con Stills https://discoclub.myblog.it/2017/09/24/alla-fine-insieme-stephen-e-judy-blue-eyes-e-forse-valeva-la-pena-di-aspettare-stills-collins-everybody-knows/  e in precedenza il disco di duetti di cui mi sono occupato sul Blog https://discoclub.myblog.it/2015/09/23/76-anni-il-primo-album-duetti-judy-collins-strangers-again/ La Collins iniziò da ragazza gli studi musicali a Denver, in Colorado, dove si era spostata con la famiglia, ed inizialmente la sua formazione era quella di una pianista classica: in breve tempo, complice l’innamoramento per il cosiddetto “folk revival” (unito ad una propensione all’attivismo sociale), imbracciò la chitarra acustica e si spostò a New York, dove nel 1960 iniziò ad esibirsi nei locali del Greenwich Village, finché non fu notata appunto da uomini della Elektra e messa subito sotto contratto.

Oggi mi occupo del primo dei due cofanetti The Elektra Albums, che come recita il sottotitolo copre in otto CD il periodo degli anni sessanta nella quasi totalità: stiamo parlando dei dischi migliori di Judy (senza bonus tracks ma con un bel libretto ricco di foto e note ed una rimasterizzazione sonora adeguata), in cui vediamo album dopo album la sua crescita artistica da giovane e un po’ ingenua cantante ad artista completa che “invaderà” anche territori country e rock, spesso incidendo canzoni di altri autori in anticipo sulle versioni originali.

CD1: A Maid Of Constant Sorrow (1961). Un discreto esordio, in cui Judy si esibisce in trio con un’altra chitarra (Fred Hellerman) ed un banjo (Erik Darling). Il tono è perlopiù drammatico e certe interpretazioni sono leggermente enfatiche e declamatorie, e perciò forse si tratta del suo lavoro più datato. Tutti i brani tranne uno (la poco nota Tim Evans di Ewan MacColl) sono tradizionali, e Judy fornisce comunque limpide versioni della title track, The Prickilie Bush (quasi un bluegrass), Wild Mountain Thyme, Oh Daddy Be Gay e Pretty Saro.

CD2: Golden Apples Of The Sun (1962). Stessa struttura in trio del primo disco (ma stavolta due chitarre più basso, ed i compagni sono Walter Reim e Bill Lee), ma un’interpretazione più riuscita e meno sopra le righe, con ottime riletture di Bonnie Ship The Diamond, Little Brown Dog, Tell Me Who I’ll Marry, Fannerio (conosciuta anche come Pretty Peggy-O), oltre ad una trascinante versione folk-gospel del classico di Reverend Gary Davis Twelve Gates To The City.

CD3: Judy Collins # 3 (1963). Splendido album questo, ancora con la Collins accompagnata da due altri musicisti (a volte tre) e dove il chitarrista ed autore degli arrangiamenti è un giovane ed ancora sconosciuto Jim McGuinn, non ancora diventato Roger. I pezzi tradizionali sono presenti in misura molto minore, e cominciano ad esserci canzoni di autori contemporanei a partire da Bob Dylan, in quel tempo già punto di riferimento per ogni folksinger che si rispettasse (Farewell e la classica Masters Of War, pubblicata quasi in contemporanea con Bob). Ci sono anche due tra i primi brani scritti da Shel Silverstein (Hey, Nelly Nelly e In The Hills Of Shiloh), il noto canto pacifista Come Away Melinda (reso popolare prima da Harry Belafonte e poi dai Weavers), oltre alla splendida Deportee di Woody Guthrie. Ma la palma della migliore se la prende l’iniziale Anathea, una stupenda western ballad gratificata da un’interpretazione da pelle d’oca. E dulcis in fundo, due canzoni appartenenti al repertorio di Pete Seeger, The Bells Of Rhymney e Turn! Turn! Turn!, che McGuinn terrà a mente e riproporrà da lì a due anni con i Byrds.

CD4: The Judy Collins Concert (1964). Primo album dal vivo di Judy (sempre in trio), registrato alla Town Hall di New York. La particolarità è che, delle 14 canzoni incluse, solo Hey, Nelly Nelly è tratta dai dischi precedenti, mentre il resto è inedito, e si divide tra brani del cantautore di culto Billy Edd Wheeler (ben tre: Winter Sky, Red-Winged Blackbird e Coal Tattoo), altrettanti di Tom Paxton (My Ramblin’ Boy, Bottle Of Wine e la meravigliosa The Last Thing On My Mind), Fred Neil (Tear Down The Walls), l’allora sconosciuto John Phillps (una deliziosa Me And My Uncle), ed ancora Dylan con una struggente The Lonesome Death Of Hattie Carroll.

CD5: Judy Collins’ Fifth Album (1965). In questo lavoro Judy si affida a qualche musicista in più del solito, introducendo strumenti come dulcimer, piano, armonica e flauto, e con la partecipazione di John Sebastian, Eric Weissberg e del cognato della Baez Richard Farina. Dylan è ancora presente come autore, e con tre pezzi da novanta (Tomorrow Is A Long Time, Daddy, You’ve Been On My Mind e la mitica Mr. Tambourine Man, brano che quell’anno ebbe quindi diverse versioni), ma c’è anche il “rivale” di Bob Phil Ochs (In The Heat Of The Summer, molto bella), e tre classici assoluti del calibro di Pack Up Your Sorrows (proprio Farina), Early Morning Rain di Gordon Lightfoot e Thirsty Boots di Eric Andersen, in anticipo di un anno sul cantautore di Pittsburgh.

CD6: In My Life (1966). In questo album Judy fa una giravolta a 360 gradi: niente atmosfere folk ma un accompagnamento orchestrale a cura di Joshua Rifkin, che però tende a mio giudizio ad appesantire troppo le canzoni, che avrebbero beneficiato maggiormente di arrangiamenti basati su voce e chitarra. Il disco presenta le prime due canzoni mai apparse su album di un giovane poeta e scrittore canadese che farà “abbastanza” strada, tale Leonard Cohen, cioè Dress Rehersal Rag e Suzanne (che è anche l’unico pezzo dall’arrangiamento folk classico); c’è poi il solito Dylan (Just Like Tom Thumb’s Blues), ancora Farina (Hard Lovin’ Loser, un po’ pasticciata), gli “esordienti” su un disco della Collins Randy Newman e Donovan (rispettivamente con I Think It’s Going To Rain Today e Sunny Goodge Street), ed anche i Beatles con la classica title track. Ma, ripeto, la veste sonora delle canzoni non mi convince (il medley tratto dall’opera teatrale Marat/Sade di Peter Weiss è quasi cabarettistico), anche se le vendite daranno ragione a Judy.

CD7: Wildflowers (1967). Questo album prosegue il discorso sonoro del precedente, anzi aumentando l’incidenza delle parti orchestrali, e diventa il disco più venduto nella carriera della cantante (arrivando al numero 5 in classifica), grazie soprattutto al suo unico singolo da Top Ten, cioè una bellissima versione del futuro classico di Joni Mitchell Both Sides Now, che però è anche l’unico pezzo ad avere un arrangiamento pop, con chitarra, basso, batteria e clavicembalo. La Mitchell come autrice è presente anche con l’iniziale Michael From Mountains, ma chi prende davvero piede è Cohen, che dona a Judy ben tre brani: Sisters Of Mercy (splendida nonostante l’orchestra), Priests e Hey, That’s No Way To Say Goodbye; troviamo addirittura una ballata del poeta del quattordicesimo secolo Francesco Landini intitolata Lasso! Di Donna, cantata in un improbabile italiano arcaico (Judy se la cava molto meglio col francese nella Chanson Des Vieux Amants di Jacques Brel). Il disco è comunque importante anche perché contiene le prime tre canzoni scritte dalla Collins (Since You Asked, Sky Fell e Albatross), anche se nessuna di esse si può definire indimenticabile.

CD8: Who Knows Where The Time Goes (1968). Judy lascia da parte le orchestrazioni e ci consegna un bellissimo disco che si divide tra folk, rock e country, con le prime chitarre elettriche ed una serie di sessionmen da urlo, come l’allora fidanzato Stephen Stills (che scriverà Suite: Judy Blue Eyes per lei), il mitico chitarrista di Elvis James Burton, Buddy Emmons alla steel, Chris Ethridge (di lì a breve nei Flying Burrito Brothers) al basso, Van Dyke Parks alle tastiere e Jim Gordon, futuro Delaney & Bonnie e Derek And The Dominos (e molti altri), alla batteria. Judy apre il disco con la rockeggiante Hello, Hooray di Rolf Kempf (che nel 1973 diventerà un classico nel repertorio di Alice Cooper), e poi si destreggia alla grande ancora con un doppio Cohen (una Story Of Isaac per sola voce, organo e clavicembalo, drammatica ed inquietante, ed una countreggiante e più leggera Bird On A Wire), una limpida rilettura del traditional Pretty Polly, un brano “minore” di Dylan (I Pity The Poor Immigrant), la splendida Someday Soon di Ian Tyson, puro country, e l’autografa My Father. Ma i due highlights sono la stupenda ballata di Sandy Denny che intitola il disco (tanto per cambiare di un anno in anticipo sui Fairport Convention), e la lunga (sette minuti e mezzo) First Boy I Loved, brano solido e complesso scritto da Robin Williamson, all’epoca membro di punta dell’Incredible String Band.

Prossimamente mi occuperò del secondo cofanetto, che raccoglierà gli album Elektra dal 1970 al 1984.

Marco Verdi

Una Splendida Full Immersion Nella Leggenda, 3 Giorni Di Pace E Musica! Woodstock – Back To The Garden: The Definitive 50th Anniversary Archive. Giorno 1

woodstock_deluxebox_productshot_1VV.AA: Woodstock – Back To The Garden: The Definitive 50th Anniversary Archive – Rhino/Warner 38CD/BluRay Box Set

*NDB  Dal nostro inviato a Woodstock, resoconto completo del Festival durato tre giorni che quindi sarà diviso in tre parti, la parola a Marco.

Prima Parte

E’ fuori di dubbio che il Festival di Woodstock, che si tenne in realtà nella vicina Bethel, stato di New York (nel gigantesco campo di proprietà dell’agricoltore ed allevatore Max Yasgur) il 15, 16 e 17 Agosto del 1969, fu il più famoso fenomeno musical-cultural-popolare di massa di tutti i tempi, nonché massima espressione del movimento hippy e della Summer Of Love. E’ però altrettanto vero che negli ultimi cinquant’anni si è parlato in lungo e in largo di questo irripetibile evento senza conoscerlo a fondo, dato che per decenni l’unica testimonianza ufficiale di ciò che accadde fu lo striminzito triplo LP che uscì come colonna sonora del film documentario (al quale si aggiunse un altro doppio album nel 1971), ed anche il box di 6 CD uscito nel 2009 per il quarantesimo anniversario gettò una luce solo parziale su ciò che avvenne su quel palco: in pratica gli unici ad aver avuto un quadro completo furono i quasi 500.000 che parteciparono di persona, anche se molti di loro erano fatti come cavalli e non so quanto ricordino di quei tre giorni (quasi quattro, dato che a causa dei vari ritardi accumulatisi si arrivò fino all’alba del 18 Agosto).

Oggi però per mano della Rhino anche Woodstock non ha più segreti, grazie alla pubblicazione di un mastodontico cofanetto che in ben 38 CD (più un BluRay con il Director’s Cut del film originale) riepiloga (quasi) tutto quello che è successo in quei tre mitici giorni d’estate in rigoroso ordine cronologico, un’opera monumentale che ha l’unico difetto di costare parecchio (non affrettatevi però a cercarlo, sono andate già esaurite tutte le 1969 copie, e lo potete trovare a prezzi ancora più alti solo su siti come Ebay o simili), anche se per chi volesse spendere meno esistono una versione in 3 CD (o 5 LP) ed un altro considerevole box di 10 CD. Ma oggi e nei prossimi giorni vi voglio parlare del mega-cofanetto (sì, sono uno dei 1969 pazzi), un manufatto incredibile, di grande pregio, interamente in legno intagliato con attorno un’autentica tracolla per chitarra: all’interno, i 38 CD divisi in tre raccoglitori separati (uno per giorno), uno splendido libro fotografico rilegato a cura di Michael Lang (uno degli organizzatori), un altro libro con la cronaca di ciò che accadde, brevi biografie di tutti gli artisti coinvolti e le tracklist disco per disco, più altre chicche come poster, riproduzione del programma originale, ecc.

Ma quello che più ci interessa è il contenuto musicale, riportato con grande perizia nei vari CD, con ogni artista o gruppo che ha a disposizione un intero dischetto (alcuni anche due), e sono presenti anche i vari interventi parlati e gli “stage announcements” (perlopiù da parte di Chip Monck, tecnico delle luci, e di John Morris, coordinatore di produzione) in modo da fornire un’esperienza il più possibile vicina alla realtà. (NDM: a dire il vero le canzoni non sono tutte presenti neppure stavolta, in quanto mancano una canzone e mezza dal set degli Sha Na Na per problemi al nastro originale e due brani dal concerto di Jimi Hendrix, Mastermind e Gypsy Woman, che erano però cantati dal chitarrista ritmico Larry Lee e per i quali gli eredi di Jimi non hanno dato l’autorizzazione. Diciamo che comunque possiamo fare a meno di queste “mancanze”). Alcune performance sono già note in quanto sono già state pubblicate separatamente in passato (proprio quella di Hendrix, ma anche Jefferson Airplane, Johnny Winter, Janis Joplin, Santana e Sly & The Family Stone, oltre a quella dei Creedence Clearwater Revival che è uscita quasi in contemporanea con questo box), ma qui sono inserite nel loro contesto originale e hanno quindi più senso; e poi finalmente abbiamo la possibilità di ascoltare cose che pensavamo di non sentire mai, come lo show di The Band e quello completo dei Grateful Dead (dei quali fino a quest’anno era uscita solo Dark Star nel box del 2009) e dei soliti devastanti Who, o ancora l’esibizione intera di CSN(&Y), nonché di vivere minuto per minuto l’evento come si fossimo tornati indietro nel tempo, inclusi i momenti di tensione dovuti alle persone che si arrampicavano sulle torri o il disappunto degli organizzatori per la pioggia battente che rischiò di rovinare più di un concerto (tipo quelli degli stessi Dead e dei Ten Years After).

Il box, registrato ottimamente (in mono) è quindi un’esperienza totale, e mi ha fatto anche cambiare l’opinione generale che avevo sul Festival: avevo infatti sempre pensato che, aldilà dell’importanza culturale, le performance non fossero state sempre all’altezza (per esempio giudicavo il Festival di Monterey del 1967 superiore), mentre ora che ho avuto la possibilità di ascoltare tutto quanto ho dovuto rivedere alcune opinioni. (NDM 2: se la lista di partecipanti era impressionante ed impensabile al giorno d’oggi, altrettanto importante è quella di chi per vari motivi era assente, a partire da Bob Dylan che a Woodstock all’epoca ci viveva, ma che snobbò l’evento – salvo poi esibirsi pochi giorni dopo come headliner all’isola di Wight –  come fecero i Byrds, i Doors ed i Led Zeppelin. Poi ci fu il caso dei Jethro Tull che non andarono perché Ian Anderson non sopportava gli hippies, e quelli che dovevano esserci ma che per vari motivi dovettero rinunciare, come il Jeff Beck Group, che si sciolse pochi giorni prima del Festival, i Moody Blues che cambiarono idea o gli Iron Butterfly che rimasero bloccati in aeroporto). Ma occupiamoci di chi a Woodstock c’era, con una disamina disco per disco di quei magnifici tre giorni.

Day 1/CD 1-8.

CD1 – Richie Havens. Il folksinger di colore inaugura il Festival accompagnato da un altro chitarrista ed un percussionista: la sua esibizione si ricorderà per la celeberrima Freedom (ricalcata sul tema del traditional Motherless Child), ma tutta la performance è contraddistinta da riletture personali di brani autografi come la grintosa Stranger e varie cover (With A Little Help From My Friends e Strawberry Fields Forever dei Beatles, I Can’t Make It Anymore di Gordon Lightfoot), il tutto con il suo modo unico di suonare la chitarra, anche se in qualche momento affiora una certa noia.

CD2 – Sweetwater. Band di Los Angeles che inizia più o meno come ha finito Havens, cioè con Motherless Child, qui riletta in stile folk-psichedelico tipico dell’epoca, tipo Jefferson Airplane ma con l’aggiunta del flauto. A seguire una selezione di brani dal songbook del gruppo guidato da Alex Del Zoppo (tastiere) e Nansi Nevins (voce solista), con menzioni particolari per lo strumentale For Pete’s Sake, la limpida e folkie Day Song e la jammata What’s Wrong (15 minuti), con Del Zoppo strepitoso al piano elettrico. Il finale è appannaggio dell’inno hippy Let The Sunshine In e del classico Oh Happy Day.

CD3 – Bert Sommer. Sfortunato cantautore di New York che ebbe il suo unico momento di gloria grazie alla sua partecipazione al musical Hair, ma incise soltanto quattro album e morì nel 1990 a soli 41 anni. Sommer si presenta a Woodstock in trio elettroacustico con una serie di composizioni di matrice folk (lo stile è simile a quello di Donovan), tra cui ottime cose come la melodica Jennifer (ottima voce), l’emozionante The Road To Travel, la splendida ed intensa And When It’s Over ed una riuscita cover di America di Paul Simon.

CD4 – Tim Hardin. Altro musicista che ebbe un tragico destino, anche se a differenza di Sommer era piuttosto famoso: Tim si presenta accompagnato da una band di sei elementi dal suono di matrice folk-jazz. Performance scintillante, con bellissime rese dei suoi due pezzi più noti (If I Were A Carpenter e Reason To Believe), e notevoli brani come la pianistica e struggente How Can We Hang On To A Dream, la fluida e raffinata Speak Like A Child e la bluesata Snow White Lady, grandissima versione di un quarto d’ora. Senza dimenticare la trascinante Simple Song Of Freedom, cover di Bobby Darin ed unico successo a 45 giri del nostro.

CD5 – Ravi Shankhar. In quegli anni, grazie a George Harrison ma non solo, la musica indiana era molto popolare anche in Occidente, e Shankhar ne era indubbiamente il rappresentante più autorevole. A Woodstock Ravi si presenta con il suo sitar a capo di un trio ed intrattiene il pubblico con tre luighe suite strumentali: so che la musica indiana ha diversi estimatori, ma io non sono tra quelli.

CD6 – Melanie. Sette canzoni per voce e chitarra, gradevoli ma non indispensabili: Melanie era una folksinger di terza fascia, nonostante abbia conntinuato ad incidere sino ai giorni nostri ed abbia avuto qualche singolo di successo negli anni settanta. Non male comunque Beautiful People, uno dei suoi brani più noti, ed una discreta cover di Mr. Tambourine Man di Dylan.

CD7 – Arlo Guthrie. Il figlio di Woody si presenta alla testa di un quartetto classico (due chitarre, basso e batteria) per un set decisamente piacevole tra folk e country, con punte come la bella Coming Into Los Angeles, due ottime riletture di traditionals del calibro di Oh Mary, Don’t You Weep e Amazing Grace, l’orecchiabile Every Hand In The Land ed il monologo umoristico The Story Of Moses, più cabaret che musica. E, in mancanza di Bob, una Walking Down The Line più dylaniana che mai.

CD8 – Joan Baez. La più grande folksinger di tutti i tempi si presenta in trio (ed incinta di sei mesi) e fornisce una prestazione solida e ricca di feeling. Grande voce, cristallina e potente al tempo stesso, al servizio di una serie di ballate del calibro di The Last Thing On My Mind (Tom Paxton), I Shall Be Released (Dylan), Joe Hill, Sweet Sir Galahad (uno dei primi brani autografi di Joan), e di traditionals come Take Me Back To The Sweet Sunny South ed una Swing Low, Sweet Chariot cantata a cappella. C’è spazio anche per cover contemporanee come Hickory Wind e Drug Store Truck Drivin’ Man, entrambe dei Byrds, e One Day At A Time di Willie Nelson, e chiusura con l’inno pacifista We Shall Overcome.

Fine della prima parte, segue…

Marco Verdi

Un Sensazionale Cofanetto Per Uno Dei Tour Più Famosi (e Belli) Di Sempre. Bob Dylan – Rolling Thunder Revue: The 1975 Live Recordings

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Bob Dylan – Rolling Thunder Revue: The 1975 Live Recordings – Columbia/Sony 14CD Box Set

In questi giorni, per l’esattezza dal 12 Giugno in poi (e solo l’11 in poche sale cinematografiche mondiali, in Italia la città scelta è Bologna) uscirà sulla piattaforma Netflix l’attesissimo documentario curato da Martin Scorsese Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story, che come suggerisce il titolo narra le vicende del famoso tour del 1975 di Bob Dylan con la Rolling Thunder Revue, con immagini di repertorio, sia inedite che riprese dal noto film Renaldo And Clara, diverse performances dal vivo e le testimonianze odierne dei protagonisti di allora, Dylan incluso (spero in una prossima pubblicazione su DVD e BluRay, dato che non ho intenzione di abbonarmi a Netflix solo per vedere un singolo evento). La storia della RTR è abbastanza nota: nel 1975 Dylan era a livelli di popolarità simili a quelli del biennio 1965-66, dopo la trionfale tournée dell’anno prima con The Band, lo splendido album Blood on The Tracks e la pubblicazione del doppio LP The Basement Tapes. Bob non aveva dato seguito a Blood On The Tracks con un tour, ma verso fine anno gli venne appunto l’idea della Rolling Thunder Revue, che si rivelò essere un magnifico carrozzone di musicisti di varia estrazione che girò l’America esibendosi sia in arene già usate per concerti rock che in posti meno canonici, a volte perfino senza alcun battage pubblicitario.

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Una sorta di “anti-tour” quindi, ma che vide il nostro autore di alcune tra le migliori performance della sua carriera, coadiuvato da una super band che vedeva al suo interno chitarristi come T-Bone Burnett, Mick Ronson e Steven Soles, il polistrumentista David Mansfield, la bravissima violinista Scarlet Rivera (scoperta da Dylan stesso mentre suonava per strada) e la sezione ritmica di Rob Stoner al basso e Howie Wyeth alla batteria. Come ciliegina, giravano con Bob artisti del calibro di Joan Baez (che tornava quindi on stage con Dylan dopo dieci anni), Roger McGuinn, Ramblin’ Jack Elliott, Joni Mitchell, Bob Neuwirth, Allen Ginsberg e Ronee Blakley, che avevano tutti, chi più chi meno, dei momenti da solista durante gli spettacoli (Bob aveva invitato ad unirsi al tour anche Patti Smith e Bruce Springsteen, che però declinarono cordialmente in quanto avevano tutti e due una carriera in rampa di lancio).

Il tour ebbe due fasi, intramezzate dalla pubblicazione nel Gennaio del 1976 dell’album Desire (registrato con il nucleo della RTR, senza gli ospiti ma con Emmylou Harris alla seconda voce): l’autunno del 1975 e la primavera del 1976, che vedeva una versione più canonica e meno pittoresca del gruppo, e con meno super ospiti (questa seconda incarnazione è quella immortalata nel live album Hard Rain). Il tour divenne leggendario quindi per le serate del 1975, grazie anche alla forte campagna per la liberazione del pugile Rubin “Hurricane” Carter (incarcerato per triplice omicidio, ma innocente per gran parte dell’opinione pubblica), campagna della quale Dylan fu uno dei principali promotori, e non solo per il popolare singolo Hurricane. Finora questa prima parte del tour, a parte il già citato film Renaldo And Clara (comunque fallimentare) era stata documentata soltanto dal quinto episodio delle Bootleg Series dylaniane (che ora viene ristampato per la prima volta su triplo vinile), un doppio CD bellissimo che però adesso viene reso completamente inutile da questo monumentale cofanetto intitolato Rolling Thunder Revue: The 1975 Live Recordings, un’opera di immenso valore artistico che è anche in un certo senso il compendio audio del film di Scorsese.

Il box, 14 CD più un libretto di 56 pagine, non ha la pretesa di documentare l’intera tournée (com’era successo per l’altro box dylaniano “a cubo” con i concerti del 1966), ma inserisce “solo” le cinque serate migliori e meglio registrate (solo la parte di Bob, non quella in cui si esibiscono gli ospiti), ma con l’aggiunta di ben tre dischetti di prove di studio mai sentite prima neanche nei bootleg, ed un CD di rarità assortite. Il Bootleg Series del 2002 è presente nella sua interezza, e così anche le quattro canzoni del raro EP 4 Songs From Renaldo And Clara, uscito nel 1978, ma il resto è inedito, ed è di qualità manco a dirlo eccezionale. Certo, non mancano le ripetizioni (le scalette dei concerti erano piuttosto rigide), non è stata inclusa la famosa “Night Of The Hurricane” al Madison Square Garden, ma direi che non ci possiamo lamentare ed anzi dobbiamo godere di queste performances, che scivolano via talmente bene che il box si ascolta relativamente in poco tempo. Last but not least, nei dischetti delle prove sono presenti alcuni inediti dylaniani assoluti (anche se alcuni appena accennati), che non verranno mai più ripresi da Bob in seguito. Ma vediamo in dettaglio il contenuto dei 14 CD.

CD 1: S.I.R. Rehersals, New York Ottobre 1975. Registrato in mono come i CD numero 2, 3 e 14 (mentre i concerti sono in stereo) questo dischetto comprende diverse takes incomplete, tra cui una versione improvvisata del traditional Rake And Ramblin’ Boy, una rara I Want You (nel senso che non appariva nelle scalette dei concerti, ed è un peccato perché prometteva bene), una countryeggiante She Belongs To Me cantata con un’insolita voce carezzevole e l’inedita Hollywood Angel, un discreto pezzo di matrice blues. Tra i brani completi abbiamo la gioiosa Rita May, un breve accenno al gospel What Will You Do When Jesus Comes? (altro inedito dylaniano), una struggente Spanish Is The Loving Tongue (doveva proprio piacere a Bob, in quegli anni la ficcava ovunque) ed una ripresa del classico di Peter LaFarge The Ballad Of Ira HayesCD 2. Come il primo, anche questo CD si occupa delle prove ai S.I.R. Studios della Big Apple: come chicche abbiamo due strepitose She Belongs To Me e A Hard Rain’s A-Gonna Fall entrambe in versione blues, un medley fantastico tra This Wheel’s On Fire, Hurricane e All Along The Watchtower e due rarità come Lily, Rosemary And The Jack Of Hearts (eseguita una sola volta durante il tour) e It’s Alright, Ma (I’m Only Bleeding). Ci sono altre due canzoni inedite scritte da Bob, la discreta ballata pianistica Gwenevere e la toccante Patty’s Gone To Laredo (molto bella, peccato sia poi sparita dai radar), senza dimenticare una splendida If You See Her, Say Hello in perfetto stile DesireCD 3: Seacrest Motel Rehersals, Falmouth, MA. Uno dei dischetti più belli del box, solo otto canzoni ma suonate con una professionalità tale che sembrano tratte da un concerto, con gemme come la stupenda Tears Of Rage (con Joan Baez), il traditional Easy And Slow, deliziosa e commovente, tra gli highlights assoluti del cofanetto, e la rara (in questo tour) Ballad Of A Thin Man.

CD 4-5: Worcester 19/11/75. Bellissimo concerto, che inizia con una bella versione, piena e rotonda, di When I Paint My Masterpiece, per poi proseguire con una scattante It Ain’t Me, Babe  ed una ispiratissima The Lonesome Death Of Hattie Carroll, davvero magnifica. Detto di sei lucide e vibranti proposte dall’imminente Desire (Romance In Durango, Isis, Hurricane, Oh Sister, One More Cup Of Coffee e Sara) e di un’eccellente Tangled Up In Blue con Bob da solo sul palco, troviamo anche un delizioso intermezzo elettroacustico con Dylan e la Baez che armonizzano come ai bei tempi con Blowin’ In The Wind, Mama, You Been On My Mind (in puro stile country-rock) ed il traditional Wild Mountain Thyme, e Joan che resta sul palco anche per una bella cover del classico di Merle Travis Dark As A Dungeon ed una fluida I Shall Be Released. Gran finale con Just Like A Woman, Knockin’ On Heaven’s Door (in cui Bob duetta con McGuinn) ed una rilettura quasi bluegrass dell’evergreen di Woody Guthrie This Land Is Your Land, dove anche la Baez, McGuinn, Elliott, Neuwirth e la Mitchell cantano una strofa. CD 6-7: Cambridge 20/11/75. Scaletta pressoché identica a quella dei due dischetti precedenti, con la sola eccezione di Tangled Up In Blue sostituita da una toccante Simple Twist Of Fate, cantata con passione e sentimento. Dylan è in formissima e molti brani sono anche meglio che a Worcester, come per esempio When I Paint My Masterpiece, Romance In Durango, Blowin’ In The Wind e Hurricane.

CD 8-9: Boston 21/11/75, Afternoon Show. Qualche cambiamento in scaletta, come una trascinante A Hard Rain’s A-Gonna Fall dal ritmo sostenuto ed arrangiamento rock-blues, una strepitosa Mr. Tambourine Man acustica (una delle più belle mai sentite) e, nella parte con la Baez, Blowin’ In The Wind e Wild Mountain Thyme sostituite rispettivamente da una splendida The Times They Are A-Changin’ e dalla squisita I Dreamed I Saw St. Augustine, mentre Dark As A Dungeon cede il posto ad una rilettura di Never Let Me Go di Johnny AceCD 10-11: Boston 21/11/75, Evening Show. Una delle migliori serate di tutto il tour, con il ritorno della scaletta “istituzionale”, compresa anche la vivace It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train To Cry al posto di Hard Rain. Non mancano comunque un paio di chicche, cioè un’intensa interpretazione del brano tradizionale The Water Is Wide (con Joan) ed una rara riproposizione di I Don’t Believe You (She Acts Like We Never Have Met) per voce, chitarra e armonica. CD 12-13: Montreal 04/12/75. Altro concerto strepitoso e scaletta più ricca del solito, 23 canzoni contro le consuete 19/20: abbiamo in aggiunta una fluida Tonight I’ll Be Staying Here With You ed un uno-due acustico da favola con le stupende It’s All Over Now, Baby Blue e Love Minus Zero/No Limit. In più, la migliore It Ain’t Me, Babe di tutte ed altrettante grandissime versioni di Hattie Carroll, Hard Rain, Just Like A Woman, una Sara di rara intensità ed una Blowin’ In The Wind con il ritornello cantato in francese.

CD14: Rarities. L’ultimo dischetto contiene una serie di brani suonati una sola volta durante il tour, o performances comunque particolari, ed inizia con una vera gemma, una toccante One Too Many Mornings a due voci (Bob e Joan), e con Eric Andersen alla chitarra, registrata al Gerde’s Folk City di New York, locale storico del Village in cui si esibì anche un giovane Dylan nel 1961. Si prosegue con una strana Simple Twist Of Fate per sola voce, piano ed una batteria insistita (versione bizzarra, ho sentito di meglio) e con una bella Isis che il violino della Rivera rende più simile a quella finita poi su Desire. Ed ecco un po’ di rarità assortite, una serie di canzoni che vedono Bob esibirsi in acustico e registrate amatorialmente, con una qualità da discreto bootleg anche se le performance sono comunque di grande valore artistico ed i titoli parlano da soli: With God On Our Side, It’s Alright Ma, The Ballad Of Ira Hayes, Your Cheatin’ Heart di Hank Williams (questa registrata un po’ meglio, ma sembra più un rehearsal che un brano live), The Tracks Of My Tears di Smokey Robinson ed una bella rilettura del traditional Jesse James. Chiusura con una tostissima It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train To Cry, incisa a New York durante il concerto “Night Of The Hurricane” e con Robbie Robertson alla chitarra solista. Un cofanetto imperdibile quindi, con un prezzo tutto sommato giusto per il contenuto (circa 70 Euro): alla fine dell’ascolto sarete talmente soddisfatti che 14 CD vi potranno sembrare anche pochi.

Marco Verdi

E’ Ufficiale, Il 7 Giugno Esce Il Box Di 14 CD Bob Dylan The Rolling Thunder Revue: The 1975 Live Recordings

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Bob Dylan – The Rolling Thunder Revue The 1975 Live Recordings – 14 CD Columbia/Legacy – 07-06-2019

Se ne parlava da qualche tempo, ma alla fine è stata ufficializzata l’uscita del cofanetto di Bob Dylan dedicato alla Rolling Thunder Revue del 1975, con le registrazioni di 5 concerti completi di quel tour che attraverso 57 date tenute tra il 30 Ottobre 1975 e il 25 Maggio 1976 portò Dylan e la sua troupe di musicisti, amici e ospiti vari in giro per tutti gli Stati Uniti. Nel cofanetto da 14 CD saranno inclusi anche 3 dischetti con le prove di ottobre 1975 prima del partenza della tournée, e un ulteriore dischetto di rarità registrate durante i vari concerti.

Sempre in quei giorni  (il 12 giugno, e l’11 l’anteprima nei cinema, per poter poi essere candidato agli Oscar occorre anche questa procedura) verrà presentato in alcune sale in giro per il mondo e poi sulla piattaforma di Netflix anche il film di Martin Scorsese Rolling Thunder Revue: a Bob Dylan Story by Martin Scorsese, nella parole di presentazione. in parte un documentario, in parte un film concerto e in parte sogno febbrile, il film cattura lo spirito inquieto dell’America nel 1975 e la musica gioiosa che Dylan ha suonato durante l’autunno di quell’anno. Parte di questo materiale era giù uscita su No Direction Home il documentario sempre di Scorsese su Dylan e soprattutto nel film di His Bobness Renaldo e Clara, per la parte video, e nel volume 5 delle Bootleg Series per la parte audio. Rimangono comunque più di 100 brani mai pubblicati prima.

Il box avrà il seguente contenuto:

DISC 1: S.I.R. Rehearsals, New York, NY – October 19, 1975
DISC 2: S.I.R. Rehearsals, New York, NY – October 21, 1975
DISC 3: Seacrest Motel Rehearsals, Falmouth, MA – October 29, 1975
DISC 4-5: Memorial Auditorium, Worcester, MA – November 19, 1975
DISC 6-7: Harvard Square Theater, Cambridge, MA – November 20, 1975
DISC 8-9: Boston Music Hall, Boston, MA – November 21, 1975 (afternoon)
DISC 10-11: Boston Music Hall, Boston, MA – November 21, 1975 (evening)
DISC 12-13: Forum de Montreal, Quebec, Canada – December 4, 1975
DISC 14: Rare Performances

E andando ancora più nel dettaglio con la lista completa dei brani disco per disco:

[CD1]
1. Rake And Ramblin’ Boy
2. Romance In Durango
3. Rita May
4. I Want You
5. Love Minus Zero/No Limit
6. She Belongs To Me
7. Joey
8. Isis
9. Hollywood Angel
10. People Get Ready
11. What Will You Do When Jesus Comes?
12. Spanish Is The Loving Tongue
13. The Ballad Of Ira Hayes
14. One More Cup Of Coffee (Valley Below)
15. Tonight I’ll Be Staying Here With You
16. This Land Is Your Land
17. Dark As A Dungeon

[CD2]
1. She Belongs To Me
2. A Hard Rain’s A-Gonna Fall
3. Isis
4. This Wheel’s On Fire/Hurricane/All Along The Watchtower
5. One More Cup Of Coffee (Valley Below)
6. If You See Her, Say Hello
7. One Too Many Mornings
8. Gwenevere
9. Lily, Rosemary And The Jack Of Hearts
10. Patty’s Gone To Laredo
11. It’s Alright, Ma (I’m Only Bleeding)

[CD3]
1. Tears Of Rage
2. I Shall Be Released
3. Easy And Slow
4. Ballad Of A Thin Man
5. Hurricane
6. One More Cup Of Coffee (Valley Below)
7. Just Like A Woman
8. Knockin’ On Heaven’s Door

[CD4]
1. When I Paint My Masterpiece
2. It Ain’t Me, Babe
3. The Lonesome Death Of Hattie Carroll
4. It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train To Cry
5. Romance In Durango
6. Isis
7. Blowin’ In The Wind
8. Wild Mountain Thyme
9. Mama, You Been On My Mind
10. Dark As A Dungeon
11. I Shall Be Released

[CD5]
1. Tangled Up In Blue
2. Oh, Sister
3. Hurricane
4. One More Cup Of Coffee (Valley Below)
5. Sara
6. Just Like A Woman
7. Knockin’ On Heaven’s Door
8. This Land Is Your Land

[CD6]
1. When I Paint My Masterpiece
2. It Ain’t Me, Babe
3. The Lonesome Death Of Hattie Carroll
4. It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train To Cry
5. Romance In Durango
6. Isis
7. Blowin’ In The Wind
8. Wild Mountain Thyme
9. Mama, You Been On My Mind
10. Dark As A Dungeon
11. I Shall Be Released

[CD7]
1. Simple Twist Of Fate
2. Oh, Sister
3. Hurricane
4. One More Cup Of Coffee (Valley Below)
5. Sara
6. Just Like A Woman
7. Knockin’ On Heaven’s Door
8. This Land Is Your Land

[CD8]
1. When I Paint My Masterpiece
2. It Ain’t Me, Babe
3. The Lonesome Death Of Hattie Carroll
4. A Hard Rain’s A-Gonna Fall
5. Romance In Durango
6. Isis
7. The Times They Are A-Changin’
8. I Dreamed I Saw St. Augustine
9. Mama, You Been On My Mind
10. Never Let Me Go
11. I Shall Be Released

[CD9]
1. Mr. Tambourine Man
2. Oh, Sister
3. Hurricane
4. One More Cup Of Coffee (Valley Below)
5. Sara
6. Just Like A Woman
7. Knockin’ On Heaven’s Door
8. This Land Is Your Land

[CD10]
1. When I Paint My Masterpiece
2. It Ain’t Me, Babe
3. The Lonesome Death Of Hattie Carroll
4. It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train To Cry
5. Romance In Durango
6. Isis
7. Blowin’ In The Wind
8. The Water Is Wide
9. Mama, You Been On My Mind
10. Dark As A Dungeon
11. I Shall Be Released

[CD11]
1. I Don’t Believe You (She Acts Like We Never Have Met)
2. Tangled Up In Blue
3. Oh, Sister
4. Hurricane
5. One More Cup Of Coffee (Valley Below)
6. Sara
7. Just Like A Woman
8. Knockin’ On Heaven’s Door
9. This Land Is Your Land

[CD12]
1. When I Paint My Masterpiece
2. It Ain’t Me, Babe
3. The Lonesome Death Of Hattie Carroll
4. Tonight I’ll Be Staying Here With You
5. A Hard Rain’s A-Gonna Fall
6. Romance In Durango
7. Isis
8. Blowin’ In The Wind
9. Dark As A Dungeon
10. Mama, You Been On My Mind
11. Never Let Me Go
12. I Dreamed I Saw St. Augustine
13. I Shall Be Released

[CD13]
1. It’s All Over Now, Baby Blue^
2. Love Minus Zero/No Limit^
3. Tangled Up In Blue
4. Oh, Sister
5. Hurricane
6. One More Cup Of Coffee (Valley Below)
7. Sara
8. Just Like A Woman
9. Knockin’ On Heaven’s Door
10. This Land Is Your Land

[CD14]
Per il disco 14 la lista dei contenuti non era completa, ecco la versione esatta
BONUS DISC – RARE PERFORMANCES

1. One Too Many Mornings*
October 24 – Gerdes Folk City, New York City, New York
2. Simple Twist of Fate*
October 28 – Mahjong Parlor, Falmouth, MA
3. Isis
November 2 – Technical University, Lowell, MA
4. With God on Our Side
November 4 – Afternoon – Civic Center, Providence, RI
5. It’s Alright, Ma (I’m Only Bleeding)
November 4 – Evening – Civic Center, Providence, RI
6. Radio advertisement for Niagara Falls shows
Niagara Falls, NY
7. The Ballad of Ira Hayes*
November 16 – Tuscarora Reservation, NY
8. Your Cheatin’ Heart*
November 23
9. Fourth Time Around
November 26 – Civic Center, Augusta, Maine
10. The Tracks of My Tears
December 3 – Chateau Champlain, Montreal Canada
11. Jesse James
December 5 – Montreal Stables, Montreal, Canada
12. It Takes a Lot to Laugh, It Takes a Train to Cry
December 8 – “Night of the Hurricane,” Madison Square Garden, New York, NY

# included in the film Renaldo and Clara (1978 film)
~ released on 4 Songs From “Renaldo And Clara” E.P. (1978 album)
^ released on The Bootleg Series, Vol. 5: Bob Dylan Live 1975 (2002 album)
* included in Rolling Thunder Revue (2019 film)

La band che accompagnava Dylan era formata da Mick Ronson, T-Bone Burnett, Scarlet Rivera, David Mansfield, Steven Soles, Rob Stoner e Howie Wyeth, mentre tra gli ospiti che si avvicendarono nelle varie date ci furono Joan Baez, Roger McGuinn, Joni Mitchell, Ronee Blakely, Ramblin’ Jack Elliott, Bob Neuwirth, Allen Ginsberg e altri. Leggendo i contenuti del cofanetto i concerti riguardano nella loro totalità le date della prima parte del tour, quindi rimangono esclusi quelli che si tennero tra il 18 aprile e il 25 maggio del 1976, dopo l’uscita dell’album Desire avvenuta il 5 gennaio di quell’anno, mentre su Hard Rain il live pubblicato sempre nel 1976 il 13 settembre, finirono gli estratti dai due concerti della Rolling Thunder Revue del 16 e 23 maggio.

Ed ecco anche la lista completa dei musicisti e degli ospiti presenti nel cofanetto

On DISCS 1-13:
Bob Dylan – vocals, guitar, piano, harmonica
Joan Baez – vocals and guitar on “Tears of Rage,” “I Shall Be Released,” “Blowin’ in the Wind,” “Wild Mountain Thyme,” “Mama, You Been on My Mind,” “Dark as a Dungeon,” “The Times They Are a-Changin’,” “I Dreamed I Saw St. Augustine,” “Never Let Me Go,” “The Water Is Wide,” and “This Land Is Your Land”
Roger McGuinn – guitar and vocals on “Knockin’ on Heaven’s Door” and
“This Land Is Your Land”
Guam:
Bobby Neuwirth – guitar, vocals
Scarlet Rivera – violin
T Bone J. Henry Burnett – guitar, vocals
Steven Soles – guitar, vocals
Mick Ronson – guitar
David Mansfield – steel guitar, mandolin, violin, dobro
Rob Stoner – bass, vocals
Howie Wyeth – drums, piano
Luther Rix – drums, percussion, congas
Ronee Blakley – vocals
and
Ramblin’ Jack Elliott – vocals, guitar
Allen Ginsberg – vocals, finger cymbals
Joni Mitchell – vocals

On DISC 14:
Bob Dylan – vocals, guitar, piano, harmonica with
Joan Baez – vocals (2)
Rob Stoner – bass (2)
Eric Andersen, Arlen Roth – guitars (2) Guam (3, 10, 12)
Larry Keegan – vocals (8)
Robbie Robertson – guitar (12)

https://www.youtube.com/watch?v=q0o_0b5abwA

Quindi una occasione più che ghiotta per gustarsi uno degli eventi storici della musica degli anni ’70, pare anche ad un prezzo interessante.

Naturalmente dopo l’uscita del 7 giugno ci sarà la recensione completa del box dell’amico Marco Verdi, che credo venga a saperlo al momento, ma non penso sia colto particolarmente a sorpresa dalla cosa.

Bruno Conti

Tra Canada E Messico, Un Gran Bel Disco! Lindi Ortega – Liberty

lindi ortega liberty

Lindi Ortega – Liberty – Shadowbox CD

Lindi Ortega è una brava cantautrice canadese di origine messicana, autrice da inizio millennio di una mezza dozzina di pregevoli album di musica country, ma con all’interno diverse contaminazioni, cosa che avviene anche con la sua nuova fatica, intitolata Liberty. Con questo disco la Ortega ha voluto creare un cocktail di tutte le influenze avute nella sua vita musicale, passando con disinvoltura dal country al Messico, al rock, alla musica western di stampo cinematografico, fino alla ballata, e regalandoci probabilmente il suo lavoro più maturo e riuscito. L’album, prodotto da Skylar Wilson, vede dunque Lindi spaziare con bravura in diversi generi condendo il tutto con la sua voce particolare (che in certi momenti ricorda molto quella di Dolly Parton), per un lavoro di ottimo livello, che cresce brano dopo brano, e che non annoia neppure per un attimo, anzi durante l’ascolto si è incuriositi da come potrebbe essere il pezzo seguente. I musicisti presenti sono scelti con cura, ed una menzione d’onore se la meritano il bravissimo steel guitarist Spencer Collum Jr., il chitarrista Jeremy Fetzer ed il leggendario armonicista Charlie McCoy, uno che fa parte dei cosiddetti Nashville Cats e che in carriera ha suonato praticamente con chiunque.

Through The Dust dà inizio al disco in maniera decisamente stimolante, uno strumentale in puro stile western morriconiano, breve ma di sicuro impatto (ci saranno anche la seconda e terza parte nel corso dell’album, con qualche differenza nel suono), seguita da Afraid Of The Dark, in cui entra in gioco la voce della protagonista, una ballata sognante ed eterea, con un’atmosfera quasi onirica ma molto interessante. You Ain’t Foolin’ Me ha una ritmica più accentuata ma il solito modo rilassato di porgere il brano, un arrangiamento particolare (molto più rock che country, con un tocco di pop) ed un notevole assolo finale di slide; ‘Til My Dyin’ Day è una ballata decisamente languida, di stampo quasi hawaiano ed un mood d’altri tempi, mentre Nothing’s Impossible (scritta come Afraid Of The Dark insieme a John Paul White, ex Civil Wars) rimane in territori sixties, un valzerone intenso come lo farebbe Chris Isaak, diretto e godibile. The Comeback Kid è pop-rock ancora dall’alone vintage, diretta, per nulla scontata e di sicuro effetto.

La cupa Darkness Be Gone mi ricorda certe ballate scarne del primo Leonard Cohen, specie nell’arpeggio chitarristico (e se scrivi canzoni e sei canadese non puoi prescindere dal grande Lenny). Forever Blue è un affascinante slow crepuscolare, ancora con elementi western, tra le più piacevoli. In The Clear è ancora lenta e languida, quasi angelica (e melodicamente impeccabile), Pablo una deliziosa western song dal pathos notevole, con spunti degni della migliore Jessi Colter e la classe di Emmylou Harris, Lovers In Love una cristallina ballad elettroacustica che sembra invece presa dal repertorio classico della Parton (ed anche con la voce siamo lì), altra ottima canzone, forse la più bella di tutte https://www.youtube.com/watch?v=fO87T44tAY4 . Il CD si chiude con Liberty, un mix gustoso e vincente tra western, Messico e musica surf anni cinquanta, e con una versione spoglia ma intensissima (voce, chitarra flamenco e tromba mariachi) di Gracias A La Vida, il classico di Violeta Parra reso celebre da Joan Baez, che la nostra canta in uno spagnolo impeccabile. Gran bel dischetto questo Liberty: è ora che il mondo si accorga finalmente di Lindi Ortega.

Marco Verdi

Uno Splendido Commiato Per Una Grandissima Artista! Joan Baez – Whistle Down The Wind

joan baez whistle down the wind

Joan Baez – Whistle Down The Wind – Proper CD

Alla veneranda età di 77 anni, anche Joan Baez, dopo decenni di battaglie, ha deciso di appendere la chitarra al chiodo in grande stile, e cioè con un ultimo disco ed un ultimo tour. La storia della nostra musica è piena di finti addii, ma ultimamente certi annunci sono (purtroppo) diventati credibili, un po’ per problemi di salute (vedi il caso recente di Neil Diamond, affetto dal Parkinson), un po’ a causa della carta d’identità, come nel caso proprio della Baez. C’è da dire che Joan negli ultimi anni non è stata particolarmente attiva discograficamente: il suo ultimo album di studio, Day After Tomorrow, risale a ben un decennio fa, mentre due anni orsono venivamo deliziati dal bellissimo live autocelebrativo 75th Birthday Celebration. Per il suo ultimo disco, Joan ha fatto le cose in grande, prendendosi tutto il tempo necessario ma consegnandoci uno dei suoi lavori più belli in assoluto: Whistle Down The Wire è infatti un album splendido, con dieci canzoni scelte personalmente dalla Baez nel repertorio di altri artisti contemporanei (Joan è sempre stata principalmente un’interprete, anche se la sua Diamonds And Rust è una delle canzoni più belle degli anni settanta), eseguite con una classe che con l’età è ulteriormente aumentata. La voce non è più potente come negli anni sessanta (quando si diceva che potesse rompere un bicchiere di cristallo con un acuto), ma la limpidezza è rimasta inalterata, ed il tempo le ha conferito una profondità ed una serie di sfumature che prima erano meno evidenti.

Come produttore, Joan ha scelto uno dei migliori sulla piazza: Joe Henry, supremo architetto di suoni e grande musicista a sua volta, che ha portato in session un manipolo di strumentisti formidabili, tra cui il fido batterista Jay Bellerose, il bassista David Piltch e, soprattutto, il bravissimo Tyler Chester al piano (strumento chiave nel suono del disco) e gli altrettanto validi Greg Leisz e Mark Goldenberg alle chitarre. Il resto lo fa Joan, ancora perfettamente in grado di regalare emozioni nonostante l’età, a partire dalla title track, un brano di Tom Waits arrangiato in modo splendido, una folk ballad straordinaria, toccante, profonda, con la nostra che emana classe e carisma ogni volta che apre bocca. Con un inizio così il resto del CD è in discesa: Be Of Good Heart è un brano di Josh Ritter, e la Baez lo ripropone con una veste sonora molto classica: voce, una chitarra, mandolino, ottimi rintocchi di piano a riempire gli spazi (qui c’è lo zampino di Henry) ed una percussione leggera, e la bellezza della melodia fa il resto. Another World è una scelta sorprendente, in quanto è un pezzo di Anohni (cioè Anthony Hegarty, uno che personalmente non ho mai sopportato, fin dai tempi in cui faceva il controcanto a Lou Reed): Joan spoglia il brano da ogni orpello e lo riduce all’essenziale, voce, chitarra e percussione, riuscendo a farla sua senza problemi (non dimentichiamo che la Baez è anche una brava chitarrista), anche se come songwriting non è tra le mie preferite. Splendida per contro Civil War, una canzone portata in dote proprio da Joe Henry, una struggente ballata pianistica, suonata alla grande e cantata da Joan al meglio delle sue possibilità (che sono ancora altissime).

Mary Chapin Carpenter è una delle cantautrici più apprezzate dalla Baez, e la sua The Things We Are Made Of riceve dalla nostra un trattamento regale: la canzone, già bella di suo, viene impreziosita da un’interpretazione di grande intensità, con i soliti noti che ricamano di fino sullo sfondo (domina Leisz, un fenomeno). Zoe Mulford è un’autrice non molto conosciuta, in cui Joan si è imbattuta per caso sentendo un giorno alla radio (mentre era in macchina) la sua The President Sang Amazing Grace, restandone folgorata a tal punto che ha deciso di farla sua: canzone splendida, dal sapore leggermente gospel, lenta, pianistica e con una performance da pelle d’oca da parte della Baez, probabilmente il brano migliore del disco, sentire per credere. Dopo un pezzo del genere era dura mantenersi sullo stesso livello, ma Joan ci riesce con una versione sentita e molto folkeggiante di Last Leaf, secondo brano di Tom Waits. Anche Ritter fa il bis come autore, e Silver Blade è, manco a dirlo, interpretata da Joan in maniera scintillante, e resa quasi drammatica dall’accompagnamento forte e quasi marziale da parte della band. Per gli ultimi due brani la nostra musicista dai capelli d’argento si rivolge a due autori meno noti, Elisa Gilkyson e Tim Eriksen: The Great Correction è tra le più dirette ed orecchiabili, un pezzo dal sapore quasi country che si ascolta tutto d’un fiato, mentre I Wish The Wars Were All Over (un titolo emblematico per chiudere l’ultimo album di una che ha fatto del pacifismo una ragione di vita) è puro folk d’altri tempi, con un marcato feeling irlandese.

Un disco straordinario questo Whistle Down The Wind, che chiude alla grande una delle carriere più luminose della storia della nostra musica, e proprio per questo ancora più prezioso.

Marco Verdi

Torna Finalmente Il Padre Di Tutti I Tributi! VV.AA. – Woody Guthrie: The Tribute Concerts

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Woody Guthrie: The Tribute Concerts – Bear Family 3CD Box Set

Non ho controllato con precisione, ma credo proprio che il concerto del Gennaio 1968 tenutosi alla Carnegie Hall di New York in memoria di Woody Guthrie sia stato il primo omaggio “all-stars” ad un singolo artista, evento tra l’altro replicato due anni dopo stavolta sulla costa Ovest, alla Hollywood Bowl di Los Angeles, con successo molto minore (anche perché nel frattempo, musicalmente parlando, era cambiato il mondo). E’ comprovato comunque che se in quel periodo c’era una figura meritevole di un tale trattamento, questa era certamente Guthrie (passato a miglior vita nell’Ottobre 1967 dopo una lunga malattia), grandissimo folksinger, attivista convinto e padre putativo musicale del cosiddetto “folk revival” in voga nei primi anni sessanta, oltre che titolare di un songbook talmente importante che negli anni è entrato a far parte della Biblioteca del Congresso (la sua This Land Is Your Land è considerata una sorta di inno americano non ufficiale). I due concerti in questione, organizzati entrambi dal figlio di Woody, Arlo Guthrie (singer-songwriter a sua volta, anche se di statura artistica decisamente inferiore rispetto al padre), portarono sul palco la crema della musica folk (e non) dell’epoca, due serate magiche che vennero pubblicate prima su LP ed in seguito anche su CD, anche se il tutto era ormai fuori catalogo da anni.

Ora la benemerita Bear Family, etichetta tedesca specializzata quasi esclusivamente in ristampe (e quasi mai a buon mercato), immette sul mercato questo Woody Guthrie: The Tribute Concerts, uno splendido cofanetto triplo che presenta per la prima volta i due concerti nella loro interezza, comprendendo anche le parti narrate tra un brano e l’altro (da Robert Ryan, Will Geer e Peter Fonda), ed aggiungendo anche diverse performances mai sentite prima. In più, il box si presenta con due bellissimi libri a copertina dura pieni zeppi di note dettagliate, rare foto dei due eventi, testimonianze dei partecipanti, oltre ad una esauriente retrospettiva sulla figura di Guthrie e sulla sua importanza, includendo anche una discografia essenziale e le copertine di tutti gli album tributo usciti negli anni. Un’operazione importante quindi anche dal punto di vista culturale, che per una volta vale fino all’ultimo centesimo l’alto costo richiesto (circa cento euro). Dal punto di vista della musica, il meglio si trova nel primo CD, che riporta integralmente la serata del 1968 a New York, soprattutto grazie alla presenza di Bob Dylan, un evento nell’evento in quanto si trattava della prima volta on stage dopo i famosi concerti europei del ’66 (e dopo l’altrettanto noto incidente motociclistico). Bob si presenta sul palco insieme a The Band (unico artista della serata a beneficiare di un accompagnamento elettrico, ma stavolta, a differenza di Newport 1965, sono solo applausi), dimostrandosi in ottima forma e proponendo ben tre brani uno in fila all’altro, “rubando” lo show come si dice in gergo: una coinvolgente Grand Coulee Dam, dal ritmo saltellante (e Bob che urla nel microfono come nei concerti del 1966), seguita da una lunga e godibile Dear Mrs. Roosevelt di stampo quasi country e da I Ain’t Got No Home, splendido esempio di folk-rock di classe.

Il resto della serata include la crema del circuito folk dell’epoca, pur con qualche grave assenza (soprattutto Phil Ochs e Dave Van Ronk, oltre a Jack Elliott che però ci sarà nel 1970). Le performances migliori sono date da Arlo Guthrie, con una Oklahoma Hills pura e rigorosa, la splendida Judy Collins con una cristallina So Long, It’s Been Good To Know Yuh (Dusty Old Dust) e la meravigliosa Plane Wreck At Los Gatos (Deportee), una delle più belle folk songs di sempre, Roll On Columbia, la bellissima Union Maid in duetto con Pete Seeger ed una in trio con Pete ed Arlo per una fluida Goin’ Down The Road. Seeger è stranamente poco presente (ma si rifarà due anni dopo), in quanto esegue soltanto la poco nota Curly Headed Baby da solo al banjo e Jackhammer John insieme a Richie Havens, il quale ha poi spazio con la sua Blues For Woody (unico brano della serata non scritto da Guthrie) e con una lunga ed a suo modo coinvolgente Vigilante Man, caratterizzata dal tipico modo di suonare la chitarra del folksinger di colore. Tom Paxton è un altro bravo, e si prende due classici assoluti (Pretty Boy Floyd e Pastures Of Plenty) e la meno nota Biggest Thing That Man Has Ever Done, mentre l’immensa (non solo in senso fisico) Odetta presta la sua grandissima voce ad una Ramblin’ Round da brividi. Gran finale con tutti sul palco (Dylan compreso) per la prevedibile celebrazione di This Land Is Your Land.

La serata del 1970 occupa invece tutto il secondo dischetto e metà del terzo e, nonostante l’assenza di Dylan, risulta in certi momenti ancora più piacevole, grazie soprattutto alla presenza in diversi pezzi di una band elettrica, guidata nientemeno che da Ry Cooder (e la sua slide è riconoscibilissima) e con gente del calibro di Chris Etheridge al basso, John Beland al dobro, Gib Guilbeau al violino, Thad Maxwell e John Pilla alle chitarre e Stan Pratt alla batteria. Rispetto a New York sono “confermati” Guthrie Jr., Seeger, Havens ed Odetta, mentre le new entries sono Jack Elliott, Earl Robinson, Country Joe McDonald e soprattutto una ispiratissima Joan Baez a prendere idealmente il posto della Collins. L’inizio è simile, con Arlo ad intonare Oklahoma Hills (ma con la slide di Cooder in più), mentre gli highlights sono rappresentati da un intenso duetto tra la Baez e Seeger (So Long, It’s Been Good To Know Yuh), le stupende Hobo’s Lullaby e Plane Wreck At Los Gatos (Deportee) sempre con Joan protagonista, una I Ain’t Got No Home con Pete ed Arlo (ed il figlio di Woody ci regala anche una trascinante Do Re Mi, quasi rock), la solita potentissima Odetta (Ramblin’ Round e John Hardy – che è di Leadbelly – entrambe elettriche e da brividi lungo la schiena), mentre Elliott e Country Joe il meglio lo danno rispettivamente con la drammatica 1913 Massacre (dalla quale Dylan rubò la melodia per scrivere la sua Song To Woody) e con la countreggiante Pretty Boy Floyd, con Cooder in grande evidenza. Senza dimenticare una strepitosa Hard Travelin’ dall’arrangiamento bluegrass ad opera di un inedito sestetto formato da McDonald, Eliott, Robinson, Baez, Arlo e Seeger, ed il maestoso finale con This Land Is Your Land ed ancora So Long, It’s Been Good To Know Yuh unite in medley per la durata di dieci minuti (e con la voce di Odetta che si staglia su tutte).

Come ulteriore bonus abbiamo una serie di brevi ed interessanti interviste di quest’anno in cui vari protagonisti (Arlo, la Collins, Paxton, Seeger in una testimonianza del 2012, McDonald ed Elliott) ricordano le due serate fornendo anche qualche aneddoto, oltre ad un Phil Ochs del 1976 (quindi a poco tempo dalla sua morte) ancora risentito del mancato invito. Per chiudere con Dylan che recita la sua poesia Last Thoughts On Woody Guthrie, performance già edita sul primo Bootleg Series. Splendido box quindi, che ci presenta per la prima volta due serate nelle quali i migliori folksingers del mondo hanno fatto squadra per omaggiare il loro ideale padre artistico. In una parola: imperdibile.

Marco Verdi

Ci Mancava Giusto Un Altro Bel Tributo. Joan Osborne – Songs Of Bob Dylan

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Joan Osborne – Songs Of Bob Dylan – Womanly Hip Records/Thirty Tigers

Terzo album pubblicato in questo ultimo breve periodo, tre o quattro mesi, dedicato alle canzoni di Bob Dylan, eseguite da un singolo artista o gruppo: diciamo che se non è un record, è comunque una buona media. E non c’è neppure la scusa dei 50 anni di carriera o del 75° compleanno: nel caso specifico di Joan Osborne, perché di lei stiamo parlando, questo album prende lo spunto da due diverse serie di concerti, entrambe della durata di una settimana, tenute al Café Carlyle di New York  nel marzo 2016 e 2017, accompagnata dal chitarrista Jack Petruzzelli e dal tastierista Keith Cotton,  con Petruzzelli, collaboratore, co-autore e produttore dei dischi della Osborne fin dall’inizio della carriera della cantante del Kentucky. Quindi radici nel centro-sud degli States, un amore particolare per New York, la città dove vive, ma anche per la musica gospel, soul e country, da sempre presenti nel suo carnet musicale. Dopo la visione country-bluegrass-roots di un gruppo, gli Old Crow Medicine Show, alle prese con un album specifico, Blonde On Blonde http://discoclub.myblog.it/2017/05/09/come-rinfrescare-degnamente-un-capolavoro-assoluto-old-crow-medicine-show-50-years-of-blonde-on-blonde/ , e quella decisamente più rock, ma anche da cantautore classico, di uno dei “nuovi Dylan”, ovvero Willie Nile http://discoclub.myblog.it/2017/06/30/e-dopo-bob-sinatra-ecco-a-voi-willie-dylan-comunque-un-grande-disco-willie-nile-positively-bob/ , ecco ora quella di una interprete femminile, Joan Osborne, nota soprattutto per la sua voce calda e suadente, ma anche potente, oltre che per un brano, One Of Us, che conoscono anche i muri (anche nella versione italiana di Eugenio Finardi).

Devo confessare che ad un primo ascolto del promo CD, senza leggere i titoli, alcune delle canzoni non le avevo riconosciute che al ritornello o comunque non subito: e questo succede anche con il “vecchio Bob”, spesso ai suoi concerti non si riesce a capire cosa diavolo stia cantando, se non alla fine del brano, e alcune volte neppure lì; ma questa è una caratteristica del premio Nobel, che dell’arte di rivoltare i propri brani come un calzino ne ha fatto quasi una esigenza artistica, se però ci si mettono pure gli altri dobbiamo decidere se è un pregio o un difetto. D’accordo, l’interpretazione è decisiva in questo tipo di album, o anche nelle singole canzoni, ma, soprattutto nel songbook di Dylan, ogni tanto si è esagerato fin troppo nello stravolgere il tessuto musicale dei suoi brani. Tornando al disco, l’approccio sonoro è molto diversificato, ci sono brani più riusciti e altri meno, Joan Osborne ha affrontato, a mio parere, l’argomento come se si trattasse di registrare un suo nuovo disco, e quindi alla fine questo Songs Of Bob Dylan suona come un disco della Osborne, che però si è scelta un “buon” autore”! Per l’occasione la brava Joan ha anche ripristinato la sua vecchia etichetta Womanly Hip Records, con cui aveva inciso i primi dischi. Entrando nello specifico dei contenuti, ci sono brani che vengono da tutte le decadi della carriera di Dylan, con l’eccezione dei ’10 del nuovo secolo: l’apertura è affidata a una bella rilettura, quasi Muscle Shoals, molto sudista, di Tangled Up In Blue, il brano si avvale di un arrangiamento che privilegia un piano elettrico e la voce calda e partecipe della Osborne, ma anche le chitarre svolgono un lavoro non marginale.

Anche per Rainy Day Women #12 & #35, si è scelto un approccio quasi gospel blues, il tempo viene rallentato, una slide guida il suono sempre full band, ma i coretti mi sembrano turgidi ed artefatti, buona idea ma l’esecuzione forse meno. Buckets Of Rain, sempre da Blood On Tracks, predilige un suono più intimo, solo voce, piano e chitarra, e sembra decisamente una delle più riuscite; Highway 61 Revisited è ovviamente vicina al blues, ma è una di quelle che ho faticato a riconoscere, tempo cambiato, e anche se l’intensità non manca, non mi convince appieno, ma magari richiede più ascolti.. Quinn The Eskimo (The Mighty Quinn) trasformata in un country got gospel soul è una di quelle che meglio si adattano a questo stile, con organo e chitarre a sottolineare la bellissima voce della Osborne, e anche i cori, in questo caso, sono pertinenti, Tryin’ To Get To Heaven, in forma nuovamente di ballata voce e piano, con la chitarra elettrica a ricamare sullo sfondo è una delle versioni migliori, mentre Spanish Harlem Incident, una delle più vecchie, è un’altra delle canzoni in forma gospel-soul, con qualche tocco alla Blonde On Blonde, e fiati aggiunti. Dark Eyes, una delle scelte meno comuni, viene da Empire Burlesque, sembra quasi un brano dal repertorio di Judy Collins o Joan Baez, acustica e molto folk, ma con il tocco dell’organo a darle profondità.

High Water (For Charley Patton), il brano più recente, era su Love And Theft del 2001, dall’arrangiamento incalzante ed elettrico, quasi blues-rock, è una delle più gagliarde del disco, mentre You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go, il terzo brano scelto da Blood On The Tracks (evidentemente un album che ben si adatta ad un punto di vista femminile), ha nuovamente quella allure alla Collins o alla Baez, delicata e folkie, con un bel violino a delineare il sound.  Seguono la sempre attuale Masters Of War, solo una voce, una chitarra acustica urgente e tanta rabbia, al limite un piano per sottolinearne il ritmo, e You Ain’t Goin’ Nowhere, ormai diventata quasi un classico della country music, un valzerone  accogliente e delizioso, con violino, mandolino, piano e chitarre a dettare il tema musicale, sottolineato dalla bella voce della Osborne. Che ci lascia sulle note di uno dei brani più belli del Dylan “maturo”, la stupenda ballata pianistica Ring Them Bells. Sapete che vi dico, alla fine, dopo qualche ascolto, questo Songs Of Bob Dylan mi ha convinto, se insiste (e la pianta di cantare le canzoni di Sinatra) questo autore potrebbe darci ancora delle belle soddisfazioni, e pure la cantante è brava.

Bruno Conti