Il “Difficile” Secondo Disco! Anna Calvi – One Breath

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Anna Calvi – One Breath – Domino Records/Self 2013

Era tanta l’attesa per il secondo album di Anna Calvi (la talentuosa autrice britannica di origine italiane), dopo il sorprendente debutto omonimo di due anni fa (segnalato prontamente su queste pagine virtuali, dal titolare del blog), che si può certo affermare che poteva essere il momento della classica “prova del nove” del secondo disco, test che spesso si è rivelato fatale per molti artisti. Per fortuna della Calvi non è il caso di questo One Breath ( per chi scrive, album abbastanza diverso dal precedente), prodotto da John Congleton (Bill Callahan, Antony & The Johnsons e la bravissima Joanna Newsom) ,concepito nel corso di un anno tra la Francia e Dallas, avvalendosi di musicisti dello spessore di John Baggott già collaboratore dei Portishead alle tastiere, e i suoi compagni abituali Daniel Maiden-Wood alla batteria, Mally Harpaz all’harmonium, percussioni e vibrafono e Fiona Brice agli archi, il tutto registrato presso i Black Box Studios,nell’incantevole Valle della Loira in Francia.

 

One Breath si apre con la fragorosa Suddenly (un brano che sembra una coda del disco precedente) e prosegue con la cavalcata rock di Eliza, la sincopata Piece By Piece, la scheggia impazzita di Cry, la ballata sinfonica Sing To Me (dedicata ad un suo idolo, la grande Maria Callas), la maestosa Tristan, la poetica title track One Breath, la interessante e psichedelica Love Of My Life (sembra uscita dai solchi di PJ Harvey), l’orchestrale Carry Me Over, la solenne e avvolgente Bleed Into Me e a chiudere, i cori della magnifica e delicata The Bridge.

 

Come detto, il suo fulminante omonimo debutto aveva incantato vincendo i British Music Awards del 2012 (non penso che accadrà quest’anno, ma mai dire mai), comunque bisogna riconoscere che prima di decantare le doti vocali, il talento compositivo e la maestria interpretativa, il punto di forza di Anna Calvi è indubbio che sia l’originalità e il temperamento, certificato da queste undici canzoni di One Breath, un lavoro che non delude e merita la giusta attenzione, e per quanto mi riguarda, pescando tra i giovani artisti capaci di inventarsi uno stile, il mio giudizio non può essere che lusinghiero. Alla prossima Annina.

Tino Montanari

I Migliori Dischi Del 2010 – Parte III (Gli Outsiders)

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L’11 dicembre nella mia seconda lista, quella dei ripensamenti e delle aggiunte dei migliori dell’anno vi avevo promesso (o minacciato) una ulteriore terza e ultima lista con i cosiddetti outsiders dell’anno. Quelli di una persona a me cara che vedo tutte le mattine nello specchio del bagno e a cui non posso dire no, ammetto questo favoritismo. In questa lista che doveva essere di una decina di titoli e che si è notevolmente espansa, mi permetto di ricordarvi alcuni dischi cosiddetti “minori” ma che secondo il sottoscritto meritano al pari ( e forse più) di altri titoli usciti questo anno. Di quasi tutti vi ho parlato nel Blog, meno un paio che cito all’inizio e su cui ho intenzione di ritornare con maggiore dovizia di particolari.

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Hothouse Flowers – Midnight Sun (uno strepitoso doppio CD registrato dal vivo a Kansas City nel 2009, di difficile reperibilità ma assolutamente imperdibile, tra i migliori 10 dell’anno in assoluto e al quale dedicherò al più presto un post ad hoc!)

Bellowhead – Hedonism (il secondo miglior disco di folk anglo-scoto-irlandese dell’anno dopo quello di Eliza Carthy & Norma Waterson)

David Ford – Let The Hard Times Roll

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Merry Clayton – Gimme Shelter

Villagers – Becoming A Jackal

Tom Jones – Praise And Blame

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Joanna Newsom – Have One On Me

Rumer – Seasons Of My Soul

Michelle Malone Banned – Moanin’ In The Attic (Live)

Tre meravigliose donzelle che hanno allietato (insieme ad altre) i miei ascolti del 2010

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Dan Michaelson And The Coastguards – Shakes

Doug Paisley – Constant Companion

Nathaniel Rateliff – In Memory Of Loss

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Chris Pureka – How I Learned To See In The Dark

Darden Smith – Marathon

Gov’t Mule – Mulennium

Ce ne sarebbero molti altri ma mi fermo qua. Se vogliamo, sommando le mie tre liste non si arriva neppure ai canonici top 50 di molte classifiche di fine anno che spesso vanno anche oltre come numero. Un’ultima cosa, il DVD di Bruce Springsteen – London Calling Live In Hyde Park non lo vogliamo citare? Certo che sì!

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That’s All Folks.

Non appena usciranno i primi poll delle riviste italiane sarà mia premura informarvi (così risparmiate)!

Bruno Conti

Last But Not Least – I Migliori Dischi Del 2010 – Stampa Estera: Uncut

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Questo è l’ultimo post dedicato alle riviste musicali internazionali (in attesa delle classifiche italiane) poi magari un’appendice dedicata alle cllassifiche dei migliori di chi vende in rete e la promessa (o minacciata) ulteriore lista del sottoscritto con outsiders e “nomi dimenticati” nelle precedenti, tra cui un paio di cui non vi ho mai parlato nel Blog (per problemi di tempo) ma è un delitto non inserire nelle liste di fine anno. D’altronde visto che il Blog lo faccio io mi pare giusto, o no?

Uncut Best Albums of 2010

Album Of The Year

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Joanna Newsom – Have One On Me (una sorpresa, ma non troppo, è anche nella mia lista dei migliori outsiders, giuro, fidatevi!)

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2) Neil Young – Le Noise

3) Paul Weller – Wake Up The Nation

4) Arcade Fire – The Suburbs

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5) Robert Plant – Band Of Joy

6) Ariel Pink’s Haunted Graffiti – Before Today

7) John Grant – Queen of Denmark

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8) Ali Farka Touré & Toumani Diabaté – Ali & Toumani

9) LCD Soundsystem – This Is Happening

10) Grinderman – Grinderman 2

Un paio di categorie ulteriori inserite da Uncut:

Best Americana Album: Robert Plant – Band Of Joy

Best Reissue Of The Year: David Bowie – Station To Station (Springsteen 19° e Jimi Hendrix 24°, mah!).

Nel 2009, il disco dell’anno di Uncut era stato Merryweathe Post Pavillion degli Animal Collective!

Non ho ancora tirato le fila, ma a occhio mi sembra che il disco che appare in tutte le liste, quello più trasversale che piace un po’ a tutti sia The Suburbs degli Arcade Fire.

Bruno Conti

Un Nuovo Disco Degli Stones? Non “Quelli”… Angus And Julia Stone – Down The Way

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Angus And Julia Stone – Down The Way – Flock/Pias/Self

In Australia il disco è già uscito da alcuni mesi, andando direttamente al numero 1 delle classifiche, guadagnando il disco di platino e continua a resistere nella classifiche di Down Under. Da noi ha visto la luce ai primi di giugno molto in sordina e senza particolari battages pubblicitari.

Disco straordinario? Non direi, ma si fa ascoltare, il filone è quello del neo-folk meglio se di coppia, à la Swell Season ma con meno sentimenti coinvolti (sono fratelli, veri, non di quelle coppie più o meno fasulle che circolano al momento).

I tipi li vedete nella foto, lei sembra la tipica “fatina” ma con un “certononsoche” nello sguardo e con una voce dolce e sottile, lui è un po’ più “stropicciato” voce non memorabile con una leggera zeppola ma efficace, quando cantano in armonia di tanto in tanto la chimica di famiglia a qualcosa porta.

Li hanno paragonati a Joanna Newson (ma lei non è così avventurosa nella ricerca sonora) e Josh Rouse (senza la fissa per gli anni ’70 e la musica ispano-brasiliana) ma hanno delle frecce al loro arco.

Il disco è lunghetto, quasi 70 minuti per 13 brani, ma ha i suoi momenti: Yellow Brick Road, e già il titolo aiuta, è una ballata country-rock dal crescendo notevole cantata da Angus, più di sette minuti sulle strade della California, con una solitaria chitarra acustica che introduce il tema, man mano entrano il piano, una pedal steel, una sezione ritmica younghiana (nel senso di Neil) che prepara la strada per una piacevole cavalcata chitarristica nella seconda parte del brano, belle anche le armonie vocali dei fratelli che danno profondità al brano, davvero niente male.

Quando nelle ballate elettroacustiche (che sono preponderanti) sale al proscenio la voce dolce e infantile di Julia, come nell’iniziale Hold on, potrebbe prevalere una certa “zuccherosità” che si cerca di evitare, non sempre riuscendoci, con arrangiamenti più complessi di archi, scansioni ritmiche più movimentate e atmosfere sognanti e romantiche.

Black Crow cantata da Angus, con le consuete e piacevoli armonie della sorella, ha vaghi ma non troppo agganci con il sound degli ottimi Mumford And Sons (non dimentichiamo la “sorellina minore” Laura Marling che veleggia lungo le stesse coste), mentre l’otttima For you rivela un lato più passionale e movimentato di Julia Stone, con quella voce particolare che potrebbe ricordare anche una Bjork meno inquietante o la Jesca Hoop di cui vi ho riferito mesi orsono, la voce “profonda” del fratello dona maggiore spessore al sound del brano.

Big Jet Plane ha un’aria quasi solare, vagamente orecchiabile (per questo e per il precedente album A Book Like This sono stati scomodati paragoni con i Fleetwood Mac degli anni ’70, quelli californiani, ma con una certa aria sprezzante, come se fosse un demerito, dimenticando che in quel particolare filone musicale Buckingham, Nicks e McVie erano quasi intoccabili, averne di così bravi e infatti qui non ci siamo).

Santa Monica Dream è un acquarello acustico che vorrebbe avere velleità alla Nick Drake, ma rimane impalpabile e sospiroso.

Di Yellow Brick Road abbiamo detto, And The Boys è il singolino ed è il brano che più evidenzia le qualità (e i difetti) dei brani dei fratelli Stone: una innata abilità nel costruire dei piccoli crescendo pop, vagamente cameristici negli arrangiamenti anche complessi, non sempre memorabili sul lato della orecchiabilità ma evidentemente ci stanno lavorando e agli australiani sono piaciuti comunque watch?v=RUDc1frz22E

On the Road a guida Angus, con il suo banjo pizzicato, le chitarre country-rock e quell’armonizzare innato nelle voci dei fratelli ci riporta su territori weastcostiani e non è un delitto. Walk It Off con le sue chitarre pizzicate e gli archi di supporto ritorna su territori vicini al folk ma con i suoi piacevoli saliscendi sonori e la voce di Julia Stone tiene lontana la noia e rievoca quelle atmosfere neo-folk(rock).

Hush, con il suo sottile soffio di armonica cita di nuovo il Neil Young più morbido e, mi ripeto, non è un delitto di lesa maestà, lo fanno in tanti, niente di nuovo sotto il sole ma quella sottile aria di malinconia dona al fascino del brano.

Draw Your Swords, dove nella parte iniziale sussurra anche fratello Angus (ma appare nel testo anche la famosa parolina di 4 lettere), si risolleva nella seconda parte dove la canzone si movimenta maggiormente dopo un inizio francamente soporifero e diventa perfino coinvolgente e vibrante, dalla polvere agli altari, son strani questi fratelli Stone, ma bravi.

I’m Not Yours e The Devil’s Tears sono altre variazioni sul tema e continuano questo alternarsi di voci, una la canto io poi tocca a te, qui cantiamo insieme, in questa democrazia famigliare che ti fa sentire (ma guarda!) in famiglia. Siccome il disco era “cortino” c’è anche una “traccia nascosta”, Old Friend, la numero 14 del disco.

Che dire, per gli amanti della musica morbida ma di buona fattura. Presa a piccole dosi, dà le sue soddisfazioni.

Bruno Conti

Una Risposta Ad Un Quesito. Joanna Newsom – Have One On Me

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Tanto lo sapete che ogni tanto baro sulla lunghezza in questa rubrica “un disco in 10 parole”, quindi, abbiate pazienza, ma avendo applicato l’assioma marzulliano si faccia una domanda e si dia una risposta: alla mia domanda del 15 marzo “E’ quello di Joanna Newsom Have One On Me il disco più bello del mondo?” Rispondo con un sonoro Non Lo so!

Elaboro: il disco, anzi i tre dischi, me li sono sentiti bene e mi lo sono gustati e pur non condividendo appieno l’entusiasmo totale della stampa britannica, e relative cinque stellette a go-go,  devo dire che ci si avvicina molto. Ovviamente, visto che tutto è relativo, vale solo per questi ultimi quindici giorni. E così ho barato due volte!

Mi sbilancio, nell’ambito dei dischi multipli è sicuramente tra i migliori dell’ultimo quinquennio; richiede tutta la vostra attenzione per più di due ore, ha dei momenti di stanca, ma globalmente riserva molti piaceri. Questa volta per saperne di più dovete acquistarlo e sentirlo. Un piccolo appetizer… in attesa di Joni Mitchell e Kate Bush, e sentendo la mancanza di Kate McGarrigle, consolatevi con Joanna Newsom.

Bruno Conti

Una Pigra Giornata Di Marzo – E’ Quello di Joanna Newsom Il Disco Più Bello Del Mondo?

In una oziosa domenica di marzo mi sono sfogliato alcune riviste specializzate di musica, italiane ed estere e i risultati sono stati sorprendenti.

5 stellette dovrebbero essere riservate ai capolavori assoluti della storia della musica rock, ma assoluti che più assoluti non si può!

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Il nuovo disco di Joanna Newsom Have One On Me nientepopodimenoche un disco triplo ha conseguito 5 stellette su Mojo, 5 su Uncut, 4 su Jam e 3 e mezzo sul Buscadero, praticamente un plebiscito, recensione in un prossimo blog e tutti a comprarlo.

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Uncut regala 5 stellette anche al nuovo dei Drive-by Truckers The Big To-Do ma anche alla ristampa Jerry Lee Lewis Live At The Star Club Hamburg della Bear Family (un album del 1964), come pure a Listen To The Voices: Sly Stone In The Studio 1965-1970 della inglese Ace.

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Mojo oltre alla citata Newsom si sbilancia per la ristampa di Bullitt di Lalo Schifrin (proprio la colonna sonora del film con Steve McQueen) ma anche per The Best Of The Black President di Fela Kuti e non una ma due ristampe dei Galaxie 500 !!! – On Fire e This Is Our Music.

 

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Il Buscadero, più modestamente, attribuisce le fatidiche 5 stellette (ma in due recensioni diverse, quindi vale il doppio?) al disco di Ry Cooder con i Chieftains San Patricio.

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Jam non le assegna a nessuno, ma il disco migliore con 4 stellette e mezzo risulterebbe Comfort in The Static di Kenny White !?!? Senza voler fare polemiche un annetto fa il disco di Carla Bruni con 4 stellette era risultato il disco migliore del mese (sia pure a pari merito!).

Per chi non lo conosce (come me, confesso).

Bruno Conti