Proseguono I Festeggiamenti! Better World Coming – Lowlands & Friends Play Woody

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Better World Coming – Lowlands & Friends Play Woody

Una decina di giorni fa ricevo una mail da Edward Abbiati che mi annuncia che l’album dedicato a Woody Guthrie per festeggiare l’anniversario del centenario della nascita (il prossimo 14 luglio) è pronto. “Però aspetta a parlarne così creiamo un po’ di rumore a ridosso dell’uscita” (si svelano gli altarini di “massicce” manovre di marketing): non c’è problema aspettiamo, questo è un Blog, un diario, come dice la parola, con cadenza giornaliera (come dovrebbe essere per tutti, se no che “Diario” è). Poi arriva il contrordine, guarda che il disco è pronto, ma attenzione, aggiungo io, non è facile da trovare, se siete nella zona di Pavia (patria di Ed e dei Lowlands) dovreste trovarlo da questa settimana, se vi trovate nel resto d’Italia, a parte qualche negozio specializzato, lo troverete ai loro concerti (ma purtroppo ultimamente non ne fanno molti) oppure, per tagliare la testa al topo, lo prenotate sul loro sito e vi arriva comodamente a casa  http://www.lowlandsband.com/.

Finite le “incombenze promozionali” passiamo al dischetto. I “festeggiamenti”, come dico nel titolo, sono iniziati ormai dallo scorso novembre, prima con l’uscita di Note Of Hope, poi il disco New Multitudes di Farrar, Yames, Johnson & Parker, ad aprile la ri-pubblicazione ampliata di Mermaid Avenue di Billy Bragg & Wilco, l’EP dei Lowlands per il Record Store Day, ne ha parlato (e suonato) Bruce al South By Southwest di Austin: se volete approfondire anch’io ne ho parlato più volte, usate la funzione “cerca” nel Blog e scrivete Woody Guthrie e qualcosa troverete.

Nel CD c’è un track by track, brano per brano, scritto da Ed, mi sono detto, “perché non fare un track-by-track del track by track?” Perché no! L’album inizia con un Intro, un breve brano strumentale per piano solo che al primo ascolto (prima di leggere le note) suonava familiare: in effetti si tratta di This Land Is Your Land ,che i più attenti, scorrendo la lista dei brani, noteranno non c’è tra le canzoni riprese, anche se…

Quindi l’album si apre con This Train, un brano sui treni, quasi inevitabile se si vuole parlare della musica e della vita di Guthrie. Ed dice di essersi ispirato alla versione di Johnny Cash e alla famosa biografia Bound For Glory, il cui titolo è citato nel testo del brano. Nel disco i “Friends” sono tanti, cominciamo ad introdurli: Roberto Diana alla chitarra e Francesco Bonfiglio al piano sono i due Lowlands superstiti, Maurizio Gnola Glielmo alla national guitar e Francesco Limido all’armonica sono i due “macchinisti” per il ritmo del treno, il mandolino di Alex Cambise e il banjo di Nicola Crivelli (che si dedica anche alle armonie vocali) provvedono ad aumentare la quota – com’è quella parola di quattro lettere che piace molto? – ah sì, Folk! Il ritmo, quello vero, è dato dagli shakers di Fabrizio Cassani e dai “sacchetti di plastica” di Furio Sollazzi. Heaven My Home, oltre a molti dei musicisti già citati, introduce anche il dobro di Marco Rovino e la voce di Lisa Liz Petty che aggiunge una quota femminile più gentile alle procedure oltre a quella più ruvida di Ivano Grasselli. Inutile dire che i vari musicisti si adoperano anche ad altri strumenti nel corso del disco, aggiungerei che questa versione, sempre nelle parole di Edward, è modellata su quella di Joel Rafael.

I Ain’t Got No Home è una delle più celebri e belle canzoni di Guthrie, anzi di Springsteen, infatti se fate una ricerca su Google vi viene come risultato (in moltissimi casi), testo di I Ain’t Got No Home Bruce Springsteen, Lyrics (in effetti era in quel disco e VHS, altri tempi, uscito negli anni ’90, chiamato Folkways A Vision Shared)…La versione Lowlands è molto raccolta, solo i tre del gruppo più l’armonica che aggiunge profondità al suono. All’attacco della successiva More Pretty Girls, dopo una fascinosa introduzione per piano e trombone (Daniele Zanenga) mi sono chiesto come aveva fatto Ed a coinvolgere Tom Waits, invece è il vocione di Sergio “Tamboo” Tamburelli. Better World Coming, la title-track, voce e chitarra, è affidata in questo caso al solo Edward Abbiati, niente Roberto Diana, questa è la “prova”, no è la versione definitiva, vai tu! Two Good Meen racconta la famosa storia di Sacco e Vanzettti vista da Woody Guthrie, rivista dai Lowlands unisce Italia e Irlanda, mandolini e bodhran, chitarre e fisarmoniche, e per gradire, qualche “schiaffeggiamento di cosce”.

Per me il “centrepiece” del disco (se guardate la traduzione di centrepiece potreste trovare centrotavola o trionfo, propenderei per la seconda) è Plane Wreck At Los Gatos (Deportees), uno dei primi brani che ho sentito di Guthrie, al di fuori dell’inevitabile Dylan, qualche annetto fa, in una magnifica versione dei Byrds contenuta in The ballad of Easy Rider, e che per me rimane insuperabile, con la voce di Roger McGuinn e la string bender di Clarence White  che convogliano tutta la desolante malinconia e tristezza contenuta in questo brano. Ma Ed e amici hanno tentato la strada della versione corale, cantata a più voci, verso dopo verso, un po’ alla This Land Is Your Land, che non c’è (o sì?): e allora si susseguono le voci di Edward Abbiati, Franco Limido, Paolo Terlingo, Jimmy Regazzon, Maurizio Gnola Glielmo e le armonie di Nicola Crivelli, Betty Verri e Claudio Raschini, con l’assolo di armonica di Ragazzon, il mandolino di Cambise e la fisarmonica di Bonfiglio ad aggiungere emozioni a questa canzone ispano-americana che già di suo è bellissima, se la fai bene diventa devastante e qui ci siamo!

Stepstone è l’altro brano di Guthrie, rifatto nella “versione” di Joel Rafael, con un bel organo, sia Vox che Hammond ad aggiungersi all’ottimo dobro di Rovino, la batteria dal battito “militare” di Sollazzi e la voce di supporto della Verri aggiungono fascino ad una eccellente versione dove svetta anche la solista acustica di Roberto Diana, fedele compagno di molte avventure musicali. Going Down The Road è un altro bellissimo brano del songbook di Guthrie e Ed racconta di averla vista suonare nel 1996 a Dublino da Joe Ely e Bruce Springsteen. La versione qui presente si appoggia ancora una volta sui tre Lowlands, acustica, fisarmonica e dobro, che rimangono anche per la successiva Lonesome Valley, molto evocativa. Ci avviamo alla conclusione e quindi un altro brano di quelli corali è ideale per concludere il disco, Hard Travelin’ è un altro dei brani classici “di viaggio” di Woody Guthrie e se alla fine non resisti e ci attacchi una coda con This Land Is Your Land dove tutti cantano e suonano fino a che… “Til We Outnumber Them”. Un po’ di sana “retorica” non guasta mai. L’Outro è sempre la versione strumentale del celeberrimo brano.

Bruno Conti

P.S. Per chi fosse interessato ho visto che il 9 luglio la Smithsonian Folkways pubblicherà questo triplo CD con allegato libro di 150 pagine dal titolo di Woody At 100 -The Woody Guthrie Centennial Collection che è quello che vedete qui sotto in versione gigante.

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Toh, Ancora Un Texano! Cory Morrow – Live At Billy Bob’s Texas

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Cory Morrow – Live At Billy Bob’s Texas – Smith Music Group 2012 (CD + DVD)

Esponente di punta di quell’ondata infinita di cantautori usciti nell’ultima decade dal Texas, Cory Morrow è tra i più accreditati talenti del gruppo, insieme a Pat Green, Jack Ingram, Kevin Deal, Roger Creager, Dub Miller, Bleu Edmondson e chissà quanti altri dietro di loro. Se Bruce Springsteen, prima di decidersi ad incidere un “live” ha fatto uscire sette lavori in studio, Tom Petty cinque, e John Mellencamp non si è ancora deciso, il buon Cory invece, la cui carriera è iniziata nel lontano 1997 con l’omonimo The Cory Morrow Band, (e altri sette album in studio), giunge con questo lavoro al quarto live, dopo Double Exposure: Live (2001), Full Exposure: Live (2003), e l’ottimo Live from Austin, Tx (2007), ed è un operazione ambiziosa in quanto al normale CD è anche accoppiato un DVD, una moda che sta prendendo sempre più piede sul suolo Americano.

Registrato al “mitico” Billy Bob’s Texas – Fort Worth il 17 Giugno 2011, settanta minuti intensi in cui Morrow ripassa le miglior pagine del suo “songbook”, infilando alla fine anche un paio di azzeccate “covers”, superando a pieni voti la prova con una band tosta che sa stare sul palco con disinvoltura, composta da John Carroll alle chitarre, Jon Cearley al basso, il pluristrumentista Kim Deschamps pedal steel, lap steel, dobro, mandolino, Clint Litton alla batteria e Brendon Anthony al violino, per un repertorio tutto sudore, grinta e ritmo.

Si parte subito con le “rockeggianti” Ramblin’ Man e Nothing Better, gran ritmo e chitarre in tiro, mentre Lonesome è un country piuttosto sostenuto ed efficace, che può contare su un invitante assolo di pedal steel e fiddle. Good Intentions è un brano che sembra uscito dalla penna del grande Billy Joe Shaver (una delle maggiori influenze di Cory , insieme a Steve Earle), cui segue una Lead Me On più country, che mantiene la sua anima texana. Spinning Around the Moon Fly è una palpitante ballad dalla bella melodia chitarristica, mentre Brand New Me è un country sostenuto ed efficace. Hold Us Together è strepitosa, parte come una folk song tradizionale solo voce e chitarra, poi entra la band ed il brano si trasforma in una ballata elettrica di turgida bellezza. Splendida. Il concerto prosegue disinvolto e ruspante più che mai, con tracce intense ed irrequiete come All Said and Done un country-boogie molto trascinante, che il pubblico mostra di gradire, mentre Drink One More Round è spensierata con continui cambi di tempo.

Relativamente ai brani elettrici si fa notare Restless Girl con cadenze honky tonky, mentre 21 Days uno dei suoi cavalli di battaglia è una perfetta road song dal ritornello epico che richiama certe cose di Joe Ely. Ci si avvia alla fine con la poderosa A Love Like This, mentre nella seguente Gettin’ Ready to Rain la band è precisa e puntuale come un orologio svizzero, e riveste la canzone di un sound compatto e senza fronzoli. Tra le covers una edizione tutta grinta della bella ballata di Darrell Scott It’s A Great Day to be Alive, che è da considerarsi un omaggio al suo bravissimo autore, e una convintissima revisione di Let My Love Open the Door di Pete Townshend, resa velocissima e con uno smagliante arrangiamento elettrico. La conclusione viene affidata a Beer, suonata a tutto ritmo sudore e divertimento.

Cory Morrow è maturato, canta bene, le sue canzoni sono strutturate su temi classici, con una ritmica sempre sul pezzo, arrangiamenti poderosi ed un bel gioco chitarristico dietro alla voce. Se amate il genere, soprattutto quello più vicino al rock, nelle cui storie i fuorilegge sono sempre più simpatici degli sceriffi e il bourbon scorre a fiumi, è inevitabile innamorasi prima o poi di Cory, un artista di vaglia, di quelli di cui il Texas va fiero. Provare per credere.

Tino Montanari

Uno Dei Più Bei Tributi Di Sempre – This One’s For Him A Tribute To Guy Clark

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This One’s For Him – A Tribute To Guy Clark” – Icehouse Music 2CD

Di solito non includo i tributi nelle mie classifiche di fine anno, in quanto molto spesso, per quanto riuscito sia il disco in questione, c’è sempre qualche versione palesemente inferiore al brano originale, o qualche artista che c’entra come i cavoli a merenda con il cantante o gruppo oggetto del tributo.

Negli anni ne sono usciti tantissimi, anche più di uno dedicato allo stesso artista, alcuni poco riusciti, altri molto belli, altri imperdibili (cito a memoria Deadicated, in omaggio ai Grateful Dead, Not Fade Away dedicato a Buddy Holly – altro che i due usciti quest’anno! – Beat The Retreat con le canzoni di Richard Thompson, oltre al live tratto dal famoso concerto per Bob Dylan svoltosi a New York nel 1992), e non c’è dubbio che questo This One’s For Him, che ha per oggetto le canzoni del grande Guy Clark rientri nella categoria imperdibili.

Se leggete questo Blog saprete certo chi è Clark: texano, uno dei maggiori songwriters d’America (in Texas è considerato al pari di Townes Van Zandt, ed un gradino più su anche di una leggenda vivente come Willie Nelson), è uno che non ha mai sbagliato un colpo. Schivo, riservato, quasi ombroso, è una vera fonte di ispirazione continua per i nostri cantautori preferiti, e non solo texani; in quasi quarant’anni di carriera ha pubblicato solo una quindicina di album, ma tutti di assoluto livello (Old No. 1, il suo esordio del 1975, è uno dei massimi capolavori del cantautorato mondiale, ma tra i suo dischi più validi citerei anche The South Coast Of Texas, Better Days, Boats To Build, Dublin Blues, Workbench Songs e lo stupendo live di pochi mesi fa, Songs & Stories,ma consiglio caldamente anche tutti gli altri che non ho nominato).

Oggi, direi finalmente, viene pubblicato questo sontuoso tributo, curato dal bravo Shawn Camp, in collaborazione con Verlon Thompson (chitarrista, è il leader della touring band di Guy, oltre che suo abituale collaboratore): due CD, trenta canzoni, con una serie incredibile, e credo irripetibile, di musicisti coinvolti, la crema del Texas (e non solo). Joe Ely, Steve Earle, Willie Nelson, Lyle Lovett, Terry Allen, Kris Kristofferson, Rodney Crowell, John Prine e molti altri (li scoprirete man mano che parlerò del disco), il tutto con una house band alle spalle (che rende il lavoro ancora più unitario) guidata da Camp e Thompson, con calibri come Lloyd Maines, Glenn Fukunaga e Glenn Worf in session, gente che suosuonerebbe bene anche con una coperta sulla testa. Non manca nessuno, forse solo Michelle Shocked (per dire una che ha sempre dichiarato il suo amore per Clark), ma non è che negli ultimi anni Michelle abbia fatto molto per far sì che qualcuno si ricordasse di lei… In breve, una goduria: purtroppo il disco non è di reperibilità facilissima (e la versione con la prima copertina credo sia già esaurita, ora circola la seconda versione con sulla cover una foto anni settanta di Guy e della moglie Susannah), ma con un po’ di tenacia lo trovate, e ne vale la pena. 

Apre Rodney Crowell con That Old Time Feeling, che inizia per voce e chitarra, poi entra di soppiatto il resto della band: un’ottima resa di una canzone molto bella, ma Crowell (quotatissimo songwriter a sua volta) non lo scopriamo certo oggi. Lyle Lovett si cimenta con Anyhow, I Love You, una slow country song con il pianoforte in evidenza (l’ottimo Matt Rollings, Lyle è l’unico ad usare membri della sua band, ed il risultato gli dà ragione): Lovett canta con la sua solita voce quasi indolente e riesce a farla sua con la consueta classe. Ho sempre reputato Shawn Colvin una brava artista che raramente è riuscita ad esprimere il suo potenziale, ma con All He Want Is You posso dire che riesce a centrare il bersaglio: atmosfera leggermente western, interpretazione intensa e sentita. Shawn Camp (ma allora Shawn è un nome da donna o da uomo?) si prende i riflettori per una splendida Homeless, una delle canzoni più toccanti di Clark, resa in maniera magistrale: una delle gemme più preziose del doppio dischetto. Reputo Ron Sexsmith abbastanza lontano dal mondo di Guy Clark, ma qui non sfigura affatto con la sua versione di Broken Hearted People (se l’è scelta bella il buon Ron…ma ha mai scritto canzoni brutte Clark?). Rosanne Cash è brava e lo sappiamo, e Better Days è perfetta per le sue corde vocali; Desperados Waiting For A Train non ha bisogno di presentazioni, è a mio parere la canzone più bella mai scritta da Clark, ed una delle più belle in assoluto degli anni settanta: vi dico solo che la fa Willie Nelson e non aggiungo altro. Pelle d’oca, e d’altronde il buon WIllie saprebbe rivitalizzare anche il songbook di Britney Spears.

Rosie Flores ci regala un’interpretazione bluesata e discretamente elettrica di Baby Took A  Limo To Memphis, piena di grinta e texana nel profondo; Kevin Welch è uno dei miei texani preferiti, lo seguo fin dal suo esordio omonimo ancora country-oriented di una ventina di anni fa e non mi ha mai tradito (ed il mio Fattore C mi ha anche portato una volta ad averlo come vicino di posto su di un volo Milano-Atlanta, e ho scoperto una persona semplice, gentile e squisita – impagabile la sua espressione facciale quando ho mostrato di conoscerlo a menadito!): Magdalene è eseguita con il suo solito feeling, e con la sua tipica voce espressiva, che migliora con l’età. Non male Suzy Bogguss con Instant Coffee Blues, grande Ray Wylie Hubbard con la divertente Homegrown Tomatoes, brano che rivela anche una vena umoristica in Clark (come se da noi DeGregori cantasse i pregi del basilico fresco coltivato sul balcone di casa).; Bravino John Townes Van Zandt II (rifà Let Him Roll), ma non è facile essere il figlio di Townes, bravissimo il grande Ramblin’ Jack Elliott, uno che emette carisma solo quando apre bocca, con il western tune The Guitar: classe pura. James McMurtry non cambia stile neanche se gli spari, e quindi anche Cold Dog Soup è trattata alla maniera di un Lou Reed made in Texas, mentre Hayes Carll si dimostra uno dei giovani più interessanti in circolazione,con un’ottima versione di Worry B Gone.

E questo è solo il primo CD: tirate il fiato che comincio con il secondo. Joe Ely è un altro che comprerei anche se facesse un disco intitolato Joe Ely sings the yellow pages shaving himself under the shower: Dublin Blues sembra una canzone sua, passo lento ed epico, solita grande voce e feeling a grappoli. Magnolia Wind è un duetto tra John Prine ed Emmylou Harris (per la serie: due grandi al prezzo di uno), un brano toccante ed intenso, reso ancora più bello dalla voce espressiva (e un po’ invecchiata) di John e da quella sempre cristallina di Emmylou. Il tris d’assi con cui si apre il secondo CD si completa con Steve Earle, che ci regala un’ottima The Last Gunfighter Ballad, scarna e spoglia ma ricca di pathos, con una melodia di fondo quasi dylaniana (se è vero che His Bobness ha influenzato tutti i cantautori venuti dopo di lui, allora vale anche un po’ per Clark). Verlon Thompson sceglie All Through Throwin’ Good Love After Bad (titoli facili mai), e così come Shawn Camp sul primo CD, piazza una delle zampate migliori (giocano in casa…): un delizioso brano country & western, che Verlon rilascia in perfetta linea con lo stile del suo autore.

Pensavo che The Dark fosse più adatta ad un’interpretazione maschile, ma Terri Hendrix mi smentisce e piazza una performance da brividi, del tutto inattesa; la splendida L.A. Freeway è una delle più note di Guy, ed a Radney Foster basta riprenderla con assoluta fedeltà per fare un figurone. Brava Patty Griffin con The Cape, bravissimo come sempre il grande Kris Kristofferson con l’intensa Hemingway’s Whiskey, un’altra song che sembra uscita più dalla penna di Kris che da quella di Clark. Gary Nicholson, Darrell Scott e Tim O’Brien ci regalano una mossa e swingata Texas Cookin’, mentre Jack Ingram si prende una delle più belle, cioè Stuff That Works, e fornisce una prova da manuale, con un’interpretazione decisamente dylaniana (sentire per credere). Randall Knife è una delle canzoni più personali e toccanti di Clark (è dedicata a suo padre), e Vince Gill non sfarfalleggia come gli capita di fare ogni tanto, ma mostra grande rispetto per la versione originale: ottima prova. Ho sempre pensato che il bravo Robert Earl Keen fosse una sorta di “figlio illegittimo” di Guy Clark, e Texas 1947 ne è la riprova: fluida, discorsiva e coinvolgente, si trasforma nella seconda parte in un bluegrass texano, polveroso ed arso dal sole. Perfino Terry Allen esce dal suo prolungato ritiro per farci sentire ancora la sua voce, e dimostra di non aver perso lo smalto: Old Friends è un’autentica perla, con la voce stagionata di Terry che dispensa emozioni a piene mani. A quando un disco nuovo, Terry?; Il doppio album si chiude con The Trishas (una discreta She Ain’t Goin’ Nowhere) e con l’ultima sorpresa, cioè il grande Jerry Jeff Walker che walkereggia con My Favorite Picture Of You, facendola sua al 100%.

So di essermi dilungato un pochino, ma penso che uno come Guy Clark si meriti qualche parola in più: se vi ho convinto…buona ricerca! Personalmente, parlandone mi è venuta voglia di riascoltarlo…

Marco Verdi

Ma Allora Escono Ancora Dischi Belli! Tom Russell – Mesabi

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Tom Russell – Mesabi – Proper/Shout Factory/Ird

Non solo escono “dischi” belli ma in questo anno ne sono usciti parecchi, questo Mesabi di Tom Russell è uno dei migliori del 2011. So che per molti la parola disco è un termine desueto ma chiamarlo “raccolta di MP3 per l’Ipod” sinceramente non mi entusiasma.

Il penultimo disco di Russell era quel Blood And Candle Smoke del 2009 fatto in compagnia dei Calexico ed era un album notevole e nello stesso anno era uscito anche il disco in compagnia di Gretchen Peters One To The Heart One To The Head e non era male neppure quello. Ma il nostro amico Tom nella sua lunga carriera iniziata 35 anni fa di dischi belli ne ha fatti tanti, quasi tutti. Eppure questo nuovo mi sembra uno dei suoi migliori in assoluto.

Intanto i Calexico ci sono ancora (non in tutti i brani) ma questa volta il cantautore californiano ha scelto di optare per varie scelte sonore e ha registrato questo album tra Nashville, Los Angeles, Tucson Arizona negli studi dei Calexico con una capatina anche in Texas. Un altra cosa che balza all’occhio sono i testi (contenuti in un succoso libretto all’interno della bella confezione digipack apribile in cartoncino del CD): testi ricchi e variegati che girano intorno alla memoria e a personaggi memorabili, veri o verosimili, ricchi di umanità, inseriti all’interno di canzoni che raccontano delle storie, belle storie, epiche o semplici ma sempre piene di umanità.

Il suo punto di riferimento in questo senso (anche se il suo genere, forse, è diverso, ma il mestiere, per entrambi è scrivere belle canzoni) è sicuramente Bob Dylan e in questo album gli rende omaggio con una straordinaria versione di A Hard Rain’s A-Gonna Fall, in occasione del 70° compleanno del cantatutore di Duluth, Minnesota. Ed indovinate cosa, o dove sono, i Mesabi Range? Ad uno sputo da Duluth e Hibbing, le località storiche delle gioventù di Dylan, a due passi dal Lago Superiore e a nord di Minneapolis e Saint Paul,  poco lontano dai confini canadesi.

Ma torniamo a questo brano che si snoda in quasi nove magici minuti a partire dal celebre incipit “Oh Where Have You Been My Blue Eyed Son…” accompagnato solo da una chitarra pizzicata e poi si trasforma in una versione epica con gli altri musicisti che entrano di volta in volta. Prima la classica voce “dolente” di Lucinda Williams, poi la tromba di Jacob Valenzuela, il basso e la batteria di Burns e Convertino‘, ovvero i Calexico e poi la solista di Will Kimbrough, in un crescendo trascinante che ti avvince e ti affascina, con le due voci, quella maschia e profonda di Tom Russell e quella tipica di Lucinda, che si avvicendano alla guida del brano. Questa è musica per le mie orecchie ed è solo il 14° brano, prima c’è tutto un universo sonoro. Questa arte è nota anche come storytelling e Russell ne è uno dei massimi esponenti ma il signore con gli occhi blu è il numero uno!

L’apertura è affidata a Mesabi, un brano tipico della sua discografia, dall’andatura galoppante e con un testo che rievoca alcuni dei primi “miti” della sua giovinezza, da Howlin’ Wolf a Buddy Holly passando per La Bamba di Richie Valens. Sembra quasi un brano di Joe Ely con le trombe di Valenzuela e Schumacher che si alternano con la ficcante chitarra di Will Kimbrough che fa l’Andrew Hardin della situazione (o il Grissom se preferite) con degli assoli perfetti. E Ely quelle “due o tre canzoni” di Russell le ha cantate in passato a partire da una meravigliosa Gallo del Cielo che rimane negli annali del rock texano. Il brano ha una andatura country-rock, quasi radiofonica (con qualche accenno di All Along The Watchtower), con il basso di Viktor Krauss e la batteria di John Gardner a dettare i ritmi e il piano di Barry Walsh a colorare il sound insieme alle citate trombe.

When The Legends Die è una clamorosa e dolcissima ballatona registrata nei Brushfire Studios di Los Angeles, con Bob Glaub e Don Heffington ai ritmi, Van Dyke Parks a magheggiare al piano e alla fisarmonica e la chitarra di Thad Beckman a cesellare note. Tom Russell la canta con voce struggente e partecipe. Non accreditata, anche una tromba accentua il tono malinconico del brano.

In Farewell Never Never Land la voce di supporto, carezzevole, in sottofondo, di Gretchen Peters si amalgama alla perfezione con quella di Russell per raccontare la storia di Bobby Driscoll, lo sfortunato giovane attore, collaboratore di Walt Disney creatore del mito a cartoni di Peter Pan, di cui fu la voce nel film e il modello per il personaggio, una storia triste resa vibrante da una grande interpretazione di tutto il gruppo di musicisti che ruota attorno alla voce sempre all’altezza di Tom Russell, a partire dalla slide di Kimbrough e dalle tastiere di Walsh che si occupa anche dell’arrangiamento dei fiati. Ci sono anche storie divertenti, con ukulele e pianino, come quella di Cliff Edwards (l’autore di Singin’ In The Rain),  in The Lonesome Death Of Ukulele Ike che ci trasporta indietro nel tempo, anche musicalmente.

Sterling Hayden è stato uno dei grandi caratteristi del cinema americano (Giungla d’asfalto, Johnny Guitar, Il Dottor Stranamore, Il padrino) e Russell gli cuce addosso questa stupenda canzone che ne racconta la storia, con Fats Kaplin che si destreggia tra oud, viola e accordion e Will Kimbrough alla resonator per creare un tappeto sonoro degno del testo del brano, e direi che ci riescono, alla grande. Furious Love (for Liz) è una breve struggente ninna nanna con uso di cello dedicata con amore a Liz Taylor. Altra grandissima ballata corale con i Calexico al completo che tornano per questa memorabile canzone, A land called way out there, dedicata a James Dean. Anche Roll the Credits Johnny prende la forma della ballata e si trova nella colonna sonora del film di Monte Hellman Road To Nowhere, inutile dire che anche questa è molto bella, con Gretchen Peters di nuovo alla seconda voce e la ricorrente tromba di Valenzuela con la chitarra di Kimbrough vere protagoniste di questo album.

In Heart Within A Heart ritorna Van Dyke Parks e le voci femminili di supporto conferiscono tratti tra gospel e soul a questa altra piccola perla con il dobro di Kimbough che cura i piccoli particolari sonori con grande perizia. Con And God Created Border Towns ci trasferiamo ai confini tra Texas e Messico, anche musicalmente, con la fisarmonica di Joel Guzman che interagisce con il piano di Augie Meyers e le immancabili trombe di Valenzuela, per ascoltare la storia dei migranti messicani sulle rive del Rio Grande. Anche Goodnight Juarez tra chitarre spagnole, Calexico e Gretchen Peters in ordine sparso, più la fisarmonica di Guzman è un’altra canzone di frontera di quelle memorabili che ogni tanto Russell ci regala, la vedo bene in futuro per Ely anche se sarà difficile superare l’originale.

Quel diavolo di un Russell riesce a costruire una canzone anche intorno al vecchio gioco del Jai Alai, che sarebbe la vecchia pelota basca, con il personaggio principale in trasferta da San Sebastian in quel di Tijuana per un incontro tra flamenco e musica messicana che aggiunge ulteriore varietà ad un menu già ricchissimo. E già che c’è rivisita anche la vecchia Love Abides, solo voce e chitarra, in una versione che supera anche quella che chiudeva The Man From God Knows Where. Detto del brano di Dylan a chiudere un altro brano tratto dalla colonna sonora di Road To Nowhere, proprio quello che dà il titolo al film e con i Calexico più Will Kimbrough il nostro amico Tom ci regala un’altra canzone intensa e trascinante, cinematografica e ci mancherebbe altro, comunque molto bella, per finire in gloria un album che si merita le classiche quattro stellette di giudizio critico. Quasi sessantacinque minuti e neanche un secondo inutile!

Bruno Conti

Alla Fine Soddisfatti! Joe Ely – Satisfied At Last

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Joe Ely – Satisfied At Last – Rack’em Records

Ovviamente quelli soddisfatti sono gli ascoltatori, ma anche Joe Ely deve esserlo. Ha realizzato uno dei migliori album della sua carriera (il 24° se non ho fatto male i conti, antologie e dischi con i Flatlanders eclusi) e anche uno dei migliori album dell’anno. Non male per un signore di 64 anni che in una quarantina di anni di onorata di carriera è entrato solo tre volte nelle classifiche americane (ai tempi della sua liaison con i Clash), e oltre il 150° posto o giù di lì. Quindi se dovessimo giudicare la sua carriera secondo questi parametri dovremmo parlare di un disastro. E invece siamo di fronte a uno dei migliori cantautori attualmente in attività: io lo inserirei nella Top Ten dei migliori (magari considerando fuori classifica i “Grandi Vecchi”). Il genere è quello solito, ovvero non c’è genere: un misto di rock, country, roots music, folk, Americana ma tutti rigorosamente del ramo Texano, anche se poi il risultato finale è universale, vale a dire belle canzoni, scritte (o scelte quando non sono sue) con grande cura, cantate benissimo, suonate alla grande da fior di musicisti (quando può e vuole).

 

Questa volta ha voluto e il risultato è eccellente: 10 brani per una quarantina di musica, secondo alcuni la durata e il numero di brani perfetto per un disco, Satisfied At Last si avvale di dell’operato di alcuni musicisti “storici” nella musica di Joe Ely. C’è l’amico Butch Hancock che gli ha scritto due brani anche se non appare nel CD, Joel Guzman alle tastiere principalmente ma alla fisarmonica nel brano che conta, Teye alla chitarra flamenco anche lui solo in un brano così come David Grissom (che ha condiviso con Ely e Mellencamp alcuni dei loro dischi migliori) alla solista, Lloyd Maines alla steel guitar e poi il suo gruppo in cui spiccano il bassista Glen Fukunaga (o Fukanaga a seconda di come girava a chi ha digitato il suo nome nelle note) e una schiera di chitarristi, elettricisti e acustici, tutti bravissimi, Mitch Watkins, Rob Gjersoe, Fred Stitz, David Holt, Keith Davis, Joel Plankenhorn e alla batteria, principalmente, Pat Manske.

I nomi non sono solo uno sfoggio di nozionismo ma contano nell’economia di un disco (non sempre ma contano) e quindi saperlo aiuta a capire a cosa ci troveremo di fronte. E qui ci troviamo di fronte a un signor disco che si apre sulle note rock dell’iniziale The Highway Is My Home (perchè Ely è uno che dà del tu anche alla musica rock) con percussioni, organo e tastiere che danno un bel drive al brano, al resto pensano la voce e la chitarra di Joe, oltre alle sue storie, bell’inizio. Not That Much Has Changed è anche meglio, uno di quelle sue classiche hard ballads texane, con la steel di Maynes e la chitarra di Teye che gli danno quello spirito di “frontera”, quel tocco esotico e inconfondibile dei brani migliori di Joe Ely.

 

Satisfied At Last è l’altro rocker intemerato di questo CD, con tre chitarre soliste all’opera oltre alla slide di Ely, con quella di Grissom che guida le operazioni, grinta e melodia, come ai tempi migliori, a conferma che questo è il suo disco migliore da un secolo a questo parte, dai tempi di Letter to Laredo del 1995 anche se Twistin’ In The Wind e Streets Of Sin erano fior di dischi. Mockingbird Hill è un’altra bella ballata, che è il tempo musicale prediletto da Ely, che qui si cimenta alla Spanish Guitar che conferisce ancora quelle sonorità inconfondibili alla canzone, abbellita da florilegi vari delle tastiere di Guzman e della chitarra di Gjersoe, veramente bella.

 

You Can Bet I’m Gone è un bel country-honky-tonk dall’andatura saltellante, mid-tempo con l’ottimo lavoro della chitarra twangy di David Holt, altro centro. Leo And Leona è il primo dei due brani a firma Butch Hancock, e il Bob Dylan texano tiene fede alla sua fama di “raccontatore” di grande storie con una canzone epica ed evocativa che calza a pennello alla voce di Joe Ely che le rende onore con una interpretazione da manuale, con la chitarra classica, questa volta di Plankenhorn, in evidenza, e fanno sei!

 

Difficile fare meglio direte voi. E invece Joe Ely cava il coniglio dal cilindro, in questo caso una versione stupenda del classico di Billy Joe Shaver Live Forever con la fisarmonica (accordian, pardon, c’è scritto così nel libretto ma presumo si intenda accordion) di Joel Guzman sugli scudi. Molto, molto bella. Roll Again è uno strano brano country a tempo di reggae con la slide di Ely che gli conferisce sapore, buona ma non eccelsa, forse la canzone meno significativa anche se tutt’altro che brutta. I’m A Man Now è una sorta di country-blues elettrico molto ritmato con chitarre e tastiere che contendono a Ely la guida del brano. La conclusione è affidata all’altra composizione di Butch Hancock, Circumstance altra country ballad dall’andatura ondeggiante che conclude in gloria e soddisfazione per tutti questo eccellente disco che si candida autorevolmente alla lista dei migliori dell’anno. Per chi ama il genere, ovviamente e siete in tanti (sempre relativamente parlando, non per nulla “siamo” nella Categoria Carbonari)!

Bruno Conti

Novità Di Giugno Parte I. Joe Ely, Tedeschi-Trucks Band, Arctic Monkeys, White Denim, Bruce Hornsby, Strawbs, Dawes Eccetera

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Il mese di giugno parte con una raffica di uscite interessanti tra cui si nascondono un paio di “dischi dell’anno”. Per cominciare il ritorno di Joe Ely con Satisfied At Last che il texano pubblica per la sua etichetta Rack ‘em Records. Pare che si tratti di uno dei suoi migliori album in assoluto dopo un periodo di leggero appannamento e i nomi sembrano confermarlo, sono con lui: David Grissom, Teje, Lloyd Maynes, Butch Hancock, Joel Guzman e il disco contiene una rilettura sontuosa di Live Forever di Billy Joe Shaver. Tutti nomi che suonano come “manna” a queste orecchie.

Finalmente Susan Tedeschi e Derek Trucks sono una coppia anche discograficamente parlando, questo Revelator che esce sempre il 7 giugno per la Sony è il loro primo disco in coppia. Arrivano i nuovi Delaney and Bonnie! (anche se lui non canta neanche a sparargli, ma suona ah se suona).

Nuovo disco, Suck it and see!, il quarto per i popsters inglesi. Il primo registrato in America, con un sound estivo e piacevole. Etichetta Domino.

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Disco numero otto per i Tea Leaf Green (se non ho sbagliato i conti, e bisogna sommare anche parecchi CD dal vivo). Si chiama Radio Tragedy! esce per la loro etichetta, Greenhouse Records e se non avete ancora “assaggiato” il loro sound si tratta di una delle migliori jam bands in circolazione. Ma in studio sono capaci di costruire anche ottime canzoni.

I Dawes sono stati una delle più gradevoli sorprese tra i nuovi gruppi tanto che Robbie Robertson li ha utilizzati come propria “band” per l’ultimo tour. Non solo: il cantante Taylor Goldsmith era anche uno dei tre Middle Brothers. E tra gli ospiti del disco ci sono Benmont Tench e Jackson Browne. Torna il suono della West Coast aggiornato ai giorni nostri con questo Nothing Is Wrong che è il loro secondo album per la ATO records.

Michael Dean Damron è uno di quei “Beautiful Losers” che tanto mi piace. Influenzato da Steve Earle e con una voce molto simile a Ryan Bingham (e quindi anche a Earle) questo Plea From A Ghost dovrebbe essere il suo quarto album e fa il paio con l’ottimo Father’s Day pubblicato un paio di anni fa. Etichetta Suburban Home, è già uscito negli States da un paio di mesi ma approda (si spera) solo ora in Europa.

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Gli Strawbs di Dave Cousins sono, da sempre, uno dei miei gruppi preferiti, quindi vi annuncio con piacere l’uscita di un “nuovo” album Hero And Heroine In Ascentia per la loro etichetta Witchwood Media. In effetti si tratta della ripresa di uno dei loro album classici, inciso in origine nel 1974 e reinciso per l’occasione nel Novembre del 2010. Soprattutto per fans, ma la voce di Cousins è sempre magica e se il suono vi ricorda qualcosa sappiate che Rick Wakeman ha suonato negli Strawbs prima che negli Yes!

Credo che questa sia una delle più brutte copertine che abbia mai visto, ma il contenuto di questo doppio CD dal vivo di Bruce Hornsby Bride Of The Noisemakers è invece ottimo, alla pari con il precedente live del 2000 con cui non duplica molti titoli. Quindi purtroppo niente The Way It Is e Mandolin Rain, però c’è un medley tra Fortunate Son (quella di Hornsby) e Comfortably Numb veramente bello e poi lui suona il piano come pochi (non per niente spesso suonava con i Grateful Dead).

Lui è proprio quello dei Brooks and Dunn, ma il suono di questo disco d’esordio come solista che esce per la Sony/Bmg Nashville è molto meno commerciale di quanto faceva come componente del duo. Sempre country ma di ottima qualità potrebbe essere una bella sorpresa (oppure no, per i fans)!

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Esce anche (è uscito) il nuovo album degli ottimi White Denim D, con la formula del gruppo ampliata a quartetto che dovrebbe confermare le ottime critiche avute con il precedente Fits (vai con la psichedelia). Etichetta Downtown/Coop/Universal in Italia.

Le ultime due uscite sono una conferma e una sorpresa. Partiamo con la sopresa: il box quadruplo di Mickey Newbury An American Trilogy, esaurita la prima tiratura limitata di 1000 copie con libro viene ristampato in una seconda versione sempre lussuosa, con digipack apribile in 5 parti e ad un prezzo più contenuto. Per Notes From San Francisco è solo un remainder per dirvi che dal 7 giugno sarà disponibile anche la versione europea di questo strepitoso disco inedito in studio del ’78 di Rory Gallagher con Live annesso, imperdibile.

Per oggi è tutto, alla prossima.

Bruno Conti