Dopo Willie Nelson, Ecco Una “Giovane Promessa” Al Femminile! Loretta Lynn – Still Woman Enough

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Loretta Lynn – Still Woman Enough – Legacy/Sony CD

Se Willie Nelson a quasi 88 anni pubblica ancora grande musica con sorprendente regolarità, lo stesso si può dire di quella che può essere definita la sua controparte femminile, cioè la leggendaria Loretta Lynn, che di anni ne sta per compiere 89 (sia lei che Willie sono nati ad aprile). Tornata ad ottimi livelli, anche di vendite, nel 2004 con Van Lear Rose (prodotto da Jack White), la Lynn si è poi presa una lunga vacanza per ritornare più agguerrita che mai nel 2016 con l’altrettanto riuscito Full Circle, il primo di cinque album pianificati con la produzione di John Carter Cash, figlio del grande Johnny Cash. Dopo il natalizio White Christmas Blue ed il sempre valido Wouldn’t It Be Great del 2018 https://discoclub.myblog.it/2018/10/07/appendere-la-chitarra-al-chiodo-magari-tra-dieci-anni-loretta-lynn-wouldnt-it-be-great/ , ora Loretta torna tra noi con un altro bellissimo lavoro intitolato Still Woman Enough (stesso titolo della sua autobiografia pubblicata nel 2002), sotto la supervisione della figlia Patsy Lynn Russell e del solito Cash Jr. Still Woman Enough non sposta di una virgola il suono e lo stile della Lynn (ma a quasi novant’anni mi stupirei del contrario), country che più classico non si può, cantato alla grande con un timbro vocale decisamente giovanile (anche Nelson, tanto per continuare col parallelo, ha ancora una grande voce, ma dimostra tutti i suoi 87 anni) e suonato con classe immensa da un manipolo di luminari di Nashville.

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Un gruppo folto di musicisti con al loro interno nomi notissimi come Paul Franklin alla steel, Ronnie McCoury al mandolino, Shawn Camp e Randy Scruggs alle chitarre, Dennis Croutch e Dave Roe al basso, Matt Combs al violino e, come vedremo tra poco, una manciata di famose colleghe di Loretta a duettare con lei. Puro country, di piacevolissimo ascolto e che una volta di più ci mostra un’artista che, nonostante l’età e la splendida carriera ricca di successi, non ha ancora perso la voglia di fare musica. L’album, tredici canzoni, è diviso a metà tra rifacimenti di brani già interpretati in passato ed altri affrontati per la prima volta: l’unico pezzo veramente nuovo è la title track che apre il CD (scritta da Loretta insieme alla figlia), un country-rock elettrico e sorprendentemente grintoso specie per un’ottuagenaria: gran voce, ritmo cadenzato, un bel mix di chitarre acustiche, elettriche e dobro con la ciliegina della presenza di Reba McEntire e Carrie Underwood ad alternare e sovrapporre le loro ugole a quella di Loretta https://www.youtube.com/watch?v=BB5FHS3eJ_c . I brani “nuovi” proseguono con due omaggi alla Carter Family, una deliziosa e cristallina ripresa della popolare Keep On The Sunny Side in puro stile bluegrass (grande canzone e grandissima voce, una cover da brividi) ed una limpida I’ll Be All Smiles Tonight, dal motivo ammaliante e gustoso accompagnamento per sole chitarre, mandolino ed autoharp.

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Chiudono il lotto dei pezzi mai incisi prima dalla Lynn due riprese di altrettanti traditionals: la solare I Don’t Feel At Home Anymore, ancora dal sapore bluegrass tra dobro, chitarra e mandolino, e la nota Old Kentucky Home (di Stephen Foster, quello di Oh, Susanna! e Hard Times Come Again No More), con quattro strumenti in croce e la voce inimitabile di Loretta per un altro esempio di eccellente country d’altri tempi, oltre ad una trascinante e ritmata rilettura dell’evergreen di Hank Williams I Saw The Light, tra country e gospel, suonata in modo eccelso. E veniamo alle riproposizioni di brani già pubblicati in passato, a partire dall’incantevole Honky Tonk Girl, luccicante esempio, indovinate, di honky-tonk classico suonato in maniera sopraffina (splendidi il pianoforte e la steel), seguita da una versione particolare di Coal Miner’s Daughter, la signature song di Loretta, che non canta ma si limita a recitare il testo in maniera indubbiamente suggestiva, accompagnata solo da un banjo. One’s On The Way è uno splendido honky-tonk elettrico (l’autore è il grande Shel Silverstein) con ben cinque chitarre più la steel e la seconda voce di Margo Price, due ugole strepitose al servizio di una melodia di prim’ordine https://www.youtube.com/watch?v=tmH95_a2Vtk .

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I Wanna Be Free è un country-rock mosso ed orecchiabile, cantato come al solito in modo scintillante, mentre Where No One Stands Alone è un antico gospel di Lister Mosie che Loretta trasforma in una superba country ballad pianistica decisamente toccante al tempo di valzer lento (ma sentite come canta!). Chiudono il CD, forse il migliore tra quelli registrati negli studi del figlio di Cash, la dolce ed emozionante My Love e la guizzante You Ain’t Woman Enough, altra strepitosa honky-tonk song in cui la Loretta divide il microfono con un’altra “ragazzina”, Tanya Tucker https://www.youtube.com/watch?v=8LKJRJYPTZc . Non posso che augurare a Loretta Lynn una vita ancora lunga e piena di salute, in modo da poter godere nell’immediato futuro di altri dischi del livello di Still Woman Enough. 

Marco Verdi

Vero Country D’Autore…Da Parte Di Un Autore Non Country! Tim Bluhm – Sorta Surviving

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Tim Bluhm – Sorta Surviving – Blue Rose Music CD

Il fatto che Tim Bluhm, leader della nota rock band di San Francisco The Mother Hips, abbia pubblicato un album da solista non è di per sé quella gran notizia, dal momento che ne ha già una manciata all’attivo: la cosa però che colpisce è che Sorta Surviving è un disco di vero country di stampo classico, e pure molto bello. Il country è un genere che Tim ha sempre amato, ed anche in passato aveva mostrato influenze in questo senso, ma un lavoro tutto country non lo aveva mai fatto, e di sicuro non mi sarei aspettato che il risultato fosse di questo livello qualitativo. Sarà stato anche ispirato dai muri del Cash Cabin Studio, di proprietà del grande Johnny Cash (luogo nel quale Tim ha inciso l’album sotto la produzione di Dave Schools e la supervisione del figlio dell’Uomo in Nero, John Carter Cash), sarà il gruppo di musicisti che l’hanno accompagnato, con vere e proprie leggende come Dave Roe (a lungo bassista proprio di Cash) e Gene Chrisman (batterista per Elvis Presley, Aretha Franklin e molti altri) e nomi di primo piano come i chitarristi Jack Pearson e Jesse Aycock ed i backing vocalists Elizabeth Cook e Harry Stinson, ma Sorta Surviving è un country record perfettamente credibile, con un suono splendido ed una serie di canzoni di prima qualità, che mettono Bluhm come ultimo in ordine di tempo in un ipotetico gruppo di artisti capaci di passare da un genere all’altro con estrema disinvoltura.

Che il disco è di quelli giusti lo si capisce già dall’iniziale Jesus Save A Singer, un delizioso honky-tonk dal suono molto classico, guidato da un ottimo pianoforte (Jason Crosby) e con un motivo di grande piacevolezza. E Tim mostra anche di avere la voce adeguata, morbida, carezzevole ed espressiva. No Way To Steer è anche meglio, una splendida country song dal refrain scintillante e contraddistinta da un languido accompagnamento in cui dominano la steel ed ancora il piano; decisamente riuscita anche Jimmy West, un racconto di stampo western che ricorda molto lo stile di Tom Russell, una ballatona profonda cantata e suonata benissimo. Ancora honky-tonk che più classico non si può con Where I Parked My Mind, anche questa bella e cristallina, con un tocco di Texas: dischi country così non ne escono molti in un anno, sembra davvero di sentire un veterano del genere. Raining Gravel è un brano lento ed intenso, con un feeling da cantautorato anni settanta, la title track ha il sapore del country-rock californiano d’altri tempi ed è guidata da una delle migliori melodie del CD, mentre l’affilata Del Rio Dan è più rock, e spuntano anche un organo e un piano elettrico che spostano il disco su coordinate quasi sudiste. La vorticosa Squeaky Wheel, un bluegrass dal ritmo decisamente sostenuto, chiude il gruppo dei pezzi originali, ma come ciliegina abbiamo anche due cover: la splendida I Still Miss Someone proprio di Johnny Cash (in omaggio al luogo che ha ospitato Tim), che rimane un capolavoro in qualunque modo la si faccia, ed una lenta ed appassionata rilettura di Kern River, un classico minore di Merle Haggard.

Sorta Surviving è uno dei migliori album country di questa prima metà dell’anno, ed in assoluto una delle cose più riuscite della carriera di Tim Bluhm.

 Marco Verdi

Appendere La Chitarra Al Chiodo? Magari Tra Dieci Anni! Loretta Lynn – Wouldn’t It Be Great

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Loretta Lynn – Wouldn’t It Be Great – Legacy/Sony CD

Loretta Lynn, regina incontrastata della musica country, ha ripreso ad incidere con regolarità nel nuovo millennio, dopo che negli anni novanta aveva fatto sentire raramente la sua voce, e tutti pensavamo si stesse godendo una meritata pensione. La vera svolta è avvenuta con l’album Van Lear Rose del 2004, prodotto da Jack White, che aveva fornito un approccio più moderno allo stile della cantautrice del Kentucky, riportando il suo nome agli onori della cronaca. Da allora Loretta ha iniziato una collaborazione con John Carter Cash, figlio del grande Johnny, che le ha prodotto lo splendido Full Circle del 2016 https://discoclub.myblog.it/2016/03/11/nuova-promettente-artista-talento-loretta-lynn-full-circle/  e l’ottimo album natalizio White Christmas Blue dello stesso anno. Ora la Lynn (nata Webb) torna di nuovo fra noi con questo Wouldn’t It Be Great, un disco avrebbe dovuto uscire lo scorso anno ma è stato rimandato a causa di una caduta della country singer con conseguente rottura dell’anca. E Wouldn’t It Be Great prosegue sulla stessa falsariga dei dischi precedenti, un lavoro davvero molto bello in cui Loretta non solo dimostra che, alla tenera età di 86 anni, ha ancora una gran voglia di fare musica, ma è tuttora in possesso di una voce straordinaria, pura e cristallina come se a cantare fosse una quarantenne.

E non solo: c’è anche il fatto non trascurabile che Loretta è ancora in grado di scrivere nuove canzoni, e non si affida unicamente a classici del passato: in questo nuovo lavoro su tredici brani totali, solo sei facevano già parte del suo repertorio, mentre i restanti sette sono stati composti ex novo insieme, a turno, alla figlia Patsy Lynn Russell (che produce anche il disco, insieme a Cash Jr.) ed al noto songwriter Shawn Camp. Un altro bellissimo disco dunque, country classico suonato alla grande da un manipolo di sessionmen di ottimo lignaggio (tra i quali troviamo Paul Franklin alla steel, lo stesso Camp alla chitarra acustica, Pat McLaughlin al mandolino e chitarra, Bryan Sutton al banjo, Dennis Crouch al basso, Tony Harrell al piano, Ronnie McCoury al mandolino), una produzione scintillante e, ripeto, una voce ancora formidabile. Non possiamo certo pensare che a quasi novant’anni Loretta possa cambiare stile (aveva già osato abbastanza nel disco con White), e d’altronde se è diventata la regina assoluta di questo genere un motivo ci sarà. La title track è una canzone tenue e struggente, con una chitarra arpeggiata, sezione ritmica discreta ed un bel dobro, ma soprattutto la grande voce di Loretta al centro, ancora forte ed espressiva. Ruby’s Stool è una vivace country song dal ritmo irresistibile ed ottimi interventi di piano, steel e violino, con la Lynn che mostra di divertirsi ancora, e noi con lei; I’m Dying For Someone To Live For è un valzer lento dalla squisita melodia, specie nel ritornello, ed il gruppo ricama con indubbia classe, mentre Another Bridge To Burn vede Loretta alle prese con il più classico degli honky-tonk: ne avrà cantati a centinaia di pezzi così, ma ogni volta è una goduria, anche perché un carisma come il suo lo hanno in poche.

Dopo un intro quasi a cappella parte Ain’t No Time To Go, un delizioso bluegrass dal sapore tradizionale con accompagnamento a base di chitarra, violino, banjo e contrabbasso, God Makes No Mistakes è splendida, una country ballad pura e distesa, con un cantato da pelle d’oca ed il solito accompagnamento sopraffino (bellissimo l’assolo di pianoforte, e spunta anche una chitarra elettrica), These Ole Blues è una sorta di cowboy (anzi, cowgirl) tune dal sapore anni cinquanta, ma con la pulizia dei suoni odierna. My Angel Mother vede solo la voce di Loretta e la chitarra di Sutton, ma i brividi non si contano, Don’t Come Home A-Drinkin’ è un pimpante brano di puro country, molto bello sia nella melodia che nella struttura musicale (uno dei più riusciti del disco), mentre The Big Man è un altro scintillante honky-tonk con tutti gli strumenti a posto, con steel e violino che la fanno da padroni. Il CD si chiude con un’intensa rilettura del traditional Lulie Vars, voce, due chitarre e basso, la mossa ed orecchiabile Darkest Day (sentite che voce) e la classica Coal Miner’s Daughter, il più noto tra i pezzi del passato, che oltre ad essere una bellissima canzone è anche uno dei soprannomi della cantante. Loretta Lynn è per il country al femminile l’equivalente di Willie Nelson per quello maschile: ha superato già da tempo gli ottanta ma è ancora la numero uno.

Marco Verdi

Parole Parole Parole, Sono Solo Parole, Ma Anche Buona Musica! Various Artists – Johnny Cash: Forever Words

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VV.AA. – Johnny Cash: Forever Words – Legacy/Sony CD

C’è una nuova tendenza nell’ambito dei tributi musicali, e cioè quella di mettere in musica poesie e scritti inediti di grandi del passato (e presente): a memoria ricordo i due episodi di Mermaid Avenue, a cura di Wilco e Billy Bragg e riguardanti canzoni senza musica di Woody Guthrie (e Woody è stato omaggiato in maniera analoga da Jay Farrar e Jim James ed altri artisti nell’album New Multitudes), oltre a The Lost Notebook, nel quale vari artisti si cimentavano con inediti di Hank Williams, e Lost On The River, stessa cosa ma inerente poesie e canzoni mai musicate da Bob Dylan e scritte nel periodo dei Basement Tapes. Uno che durante la sua vita aveva scritto molto, e non necessariamente solo canzoni, è di sicuro Johnny Cash, ed ora alcune sue poesie sono state raccolte dal figlio John Carter Cash e pubblicate in un libro con il titolo di Forever Words: oggi mi occupo del CD uscito a completamento dell’operazione (da qui il sottotitolo “The Music” in copertina), nel quale una bella serie di artisti ha omaggiato il grande Cash scrivendo la musica da abbinare ad alcune di queste poesie. E’ un tributo non canonico, nel senso che è difficile ritrovare lo spirito dell’Uomo In Nero in queste canzoni: ognuno infatti ha portato il proprio stile all’interno dei brani, ed il contributo di Johnny è rimasto a livello puramente testuale.

Nonostante questo, a parte un episodio sottotono ed uno di cui avrei fatto volentieri a meno, il disco è bello e ben fatto, e gli artisti coinvolti (molti dei quali di gran nome) hanno dato il meglio di loro stessi, con diverse performance di livello eccelso. L’album, prodotto da John Carter e Steve Berkowitz, inizia subito con due colossi, Willie Nelson e Kris Kristofferson: Forever non è musicata, ma viene recitata da Kris con il suo vocione da pelle d’oca, mentre Willie ricama sullo sfondo con la sua inconfondibile chitarra la melodia di I Still Miss Someone, peccato solo che il tutto duri pochissimo. Molto intensa To June This Morning, che vede duettare Ruston Kelly e Kacey Musgraves, un brano folk delicato, due voci, una chitarra ed un banjo; il popolarissimo Brad Paisley ci propone Gold All Over The Ground, uno slow un po’ sui generis, non male ma che somiglia a tanti altri brani che escono mensilmente da Nashville, anche se le parti di chitarra sono di ottimo livello (Paisley è un chitarrista coi fiocchi). You Never Knew My Mind vede alla voce Chris Cornell, probabilmente nella sua ultima incisione prima della tragica scomparsa (la sua presenza non è più di tanto strana, se ricordate Cash aveva inciso Rusty Cage dei Soundgarden): voce sofferta ma piena di feeling, un brano di stampo elettroacustico di sicuro impatto, con accompagnamento in crescendo: emozionante e sorprendente. Brava come sempre Alison Krauss con i suoi Union Station, The Captain’s Daughter è una deliziosa ballata acustica, pura e cristallina come la voce di Alison.

Era da tempo che non sentivo T-Bone Burnett come solo artist, e la sua Jellico Coal Man è l’unica ad avvicinarsi anche musicalmente allo stile di Cash, specie per l’uso della chitarra elettrica (anche se la voce di T-Bone è del tutto diversa), niente male davvero. Rosanne Cash non può fallire l’omaggio al padre, ed infatti usa tutta la classe e bravura di cui è dotata per regalarci una stupenda The Walking Wounded, scintillante ballata nel suo tipico stile, grande canzone; John Mellencamp è un grandissimo, e la sua Them Double Blues è decisamente irresistibile, un vivace folk-rock che sa di tradizione, puro e splendido, tra le sue cose più belle degli ultimi anni. Molto brava e raffinata anche Jewel (con Colin Linden alla chitarra), Body On Body è una squisita ballata dominata da piano e chitarre, molto classica e con un motivo decisamente bello, anzi tra i più intensi del CD. Elvis Costello a mio parere negli ultimi anni ha un po’ perso il tocco, ed anche la sua I’ll Still Love You, con tanto di orchestrina alle spalle, è un po’ pesantuccia e non molto riuscita (e poi il suo modo di cantare con il vibrato mi ha un po’ stufato). Carlene Carter è un’altra di famiglia, ha una gran voce e June’s Sundown (il tramonto di June, ovvero sua madre) è uno slow drammatico e denso di pathos:

Dailey & Vincent sono un gruppo bluegrass molto valido, con tanto di sezione ritmica, e la loro He Bore It All è semplicemente travolgente, con un ottimo uso delle voci, mentre il trio femminile delle I’m With Her si immerge completamente in suoni tradizionali con la notevole Chinky Pin Hill, tre voci, violino, chitarra e banjo, puro folk. Sinceramente non so cosa c’entri il trio formato da Robert Glasper, Ro James ed Anu Sun, Goin’ Goin’ Gone è una canzonaccia tra hip-hop e nu soul, un roba brutta brutta che non doveva finire sul disco, e John Carter avrebbe dovuto buttare il trio fuori dallo studio a calci invece di permettergli di incidere. Meno male che ci sono i Jayhawks con la languida What Would I Dreamer Do, una country song distesa e tersa, che ci fa dimenticare in parte lo scivolone precedente. Chiude il CD il bravissimo Jamey Johnson con Spirit Rider, una ballatona fiera dal passo lento e dominata dal vocione del nostro. Un bel disco quindi, nel quale l’amore ed il rispetto per il grande Johnny Cash viene fuori in maniera netta, pur mancando il suo imprimatur musicale.

Marco Verdi

Tra Caraibi E Tradizione, Due Modi Diversi Di Celebrare Il Natale! Jimmy Buffett – ‘Tis The SeaSon/Loretta Lynn – White Christmas Blue

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Jimmy Buffett – ‘Tis The SeaSon – Mailboat CD

Loretta Lynn – White Christmas Blue – Legacy/Sony CD

Da sempre, soprattutto in America, con l’avvicinarsi delle feste natalizie è prassi diffusa pubblicare dischi a carattere stagionale: ormai quasi tutti i big, ed anche i meno big, hanno nella loro discografia almeno un album od un singolo che celebra la festività più importante dell’anno. Anche in questo 2016 non mancano certo le uscite a tema, ed io ho scelto due lavori molto diversi tra di loro, ma con il comune denominatore della qualità.

Jimmy Buffett, cantautore molto popolare negli USA (un po’ meno da noi), già nel 1996 aveva pubblicato un disco natalizio, il riuscito Christmas Island, che mescolava classici e brani nuovi con il suo tipico stile solare e festoso, con versioni personali di celeberrimi standard, come una Jingle Bells decisamente caraibica ed una Run, Rudolph, Run di chiaro stampo rock’n’roll: a distanza di vent’anni Jimmy dà un seguito a quel disco, con questo ottimo ‘Tis The SeaSon (un gioco di parole tra il significato normale della frase, “questa è la stagione”, e “questo è il figlio del mare”), un lavoro assolutamente riuscito e che riesce ad intrattenere in maniera piacevole per quaranta minuti, nel più tipico stile del nostro: l’unica cosa brutta, anzi kitsch, è la copertina (non è la prima volta per lui, ma quei due poveri cagnolini con le corna di renna finte non si possono proprio vedere). Nelle dodici canzoni dell’album Jimmy è come al solito accompagnato dalla fedele Coral Reefer Band, un ensemble di musicisti strepitosi che ormai formano un tutt’uno con il musicista dell’Alabama (ma “adottato” dalla Florida), tra i quali spiccano il tastierista e direttore musicale Michael Utley, il chitarrista e cantautore a sua volta Mac McAnally e lo steel drummer Robert Greenidge, l’elemento che maggiormente caratterizza il suono del gruppo in chiave esotica. ‘Tis The SeaSon, che ha dalla sua anche un suono eccellente, è strutturato nello stesso modo di Christmas Island, cioè con classici assodati del periodo festivo, sia contemporanei che del passato, e brani scritti per l’occasione: il risultato è molto (ma molto) piacevole, direi anche in maniera maggiore rispetto al suo predecessore di vent’anni fa. Jimmy alterna sonorità caraibiche ad altre più vintage, ma mantenendo il livello alto e riuscendo a fare di questo album un qualcosa che va aldilà della pura celebrazione del Natale.

Tra gli evergreen troviamo una splendida Jingle Bell Rock, dalla deliziosa atmosfera tra il country e l’hawaiano, con il nostro decisamente rilassato e perfettamente a suo agio, così come bellissima è Rudolph The Red-Nosed Reindeer, rivisitazione che parte come un country tune degli anni trenta e termina come una irresistibile jam acustica da veri pickers. Tra i brani più o meno contemporanei abbiamo la scherzosa All I Want For Christmas Is My Two Front Teeth, portata al successo nel 1948 da quel pazzo scatenato di Spike Jones, con un arrangiamento d’altri tempi molto raffinato ma nel contempo scanzonato (e d’altronde Jimmy è un maestro nel coniugare ottima musica e divertimento), mentre Rockin’ Around The Christmas Tree (Brenda Lee) è ritmata, swingata e decisamente coinvolgente, una goduria per le orecchie; ho lasciato per ultimo tra i brani “attuali” la canzone che in realtà apre il CD, Wonderful Christmastime di Paul McCartney, in quanto è quella che mi convince meno, non per colpa di Buffett che anzi fa di tutto per darle un sapore solare ed “isolano”, ma perché il brano in sé non è certo tra i migliori del buon Macca. Poi ci sono quattro pezzi originali, a partire da Drivin’ The Pig, tipico Buffett-sound al 100%, ritmata, solare, fluida ed orecchiabile, ma nello stesso tempo suonata alla grande da una band formidabile; The Twelve Days Of Christmas (Parrothead Verison) è l’adattamento con parole attinenti al “mondo Buffett” di una nota filastrocca natalizia, forse più idonea per il pubblico americano, mentre What I Didn’t Get For Christmas (scritta da McAnally) è un rockin’ country/caraibico molto godibile e diretto, ancora una volta suonato splendidamente, e Santa Stole Thanksgiving è uno squisito swing “made in Buffett”, quindi solare, limpido e di grande piacevolezza. Il disco termina con quattro classici: Mele Kalikimaka (Merry Christmas in hawaiano, gli deve piacere proprio, era anche su Christmas Island, anche se qui è presente il virtuoso dell’ukulele Jake Shimabukuro), altro pezzo dall’arrangiamento delizioso, una Winter Wonderland fin troppo soave e leggera, il noto standard Baby, It’s Cold Outside, un duetto con Nadirah Shakoor in una versione country-pop molto gradevole, per finire con la famosissima White Christmas, soffusa e raffinata come da prassi ma con un tocco caraibico che le innumerevoli versioni precedenti non avevano mai avuto.

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Loretta Lynn è indiscutibilmente la regina assoluta della musica country, forse più ancora di Patsy Cline (della quale è tra l’altro coetanea), in quanto la povera Patsy ci ha lasciato ormai da decenni, mentre Loretta, a 84 anni suonati, è ancora viva, vegeta e particolarmente attiva. E’ infatti suo uno dei migliori album country del 2016, quel Full Circle che l’ha vista ancora in grandissima forma nonostante l’età http://discoclub.myblog.it/2016/03/11/nuova-promettente-artista-talento-loretta-lynn-full-circle/ , una splendida cantante in possesso di una voce ancora formidabile e per nulla segnata dagli anni, un disco dalle sonorità classiche ma asciutte, con un gruppo di musicisti non numeroso e che ha rivestito le canzoni del disco con pochi orpelli, facendo risaltare al meglio la grande voce della Lynn, con la produzione attenta ed essenziale di John Carter Cash, figlio di Johnny e June. White Christmas Blue proviene dalle stesse sessions che hanno originato Full Circle e. come nel caso di Buffett, anche questo è il secondo album natalizio per Loretta, anche se il precedente, Country Christmas, risale al lontano 1966. E White Christmas Blue è un altro scintillante dischetto di pura country music come si usava fare una volta, cantata in maniera splendida (e qui non c’erano dubbi), ma suonata ancora in modo pulito e diretto, senza sovrincisioni e pesanti orchestrazioni, solo Loretta, qualche chitarra (tra cui i veterani Shawn Camp e Randy Scruggs), una steel (Paul Franklin), un paio di violini, basso e batteria. Musica pura, honky-tonk che più classico non si può e, ripeto, la voce ancora cristallina della “Coal Miner’s Daughter”.

White Christmas Blue comprende dodici brani, di cui nove sono standard e tre scritti da Loretta, il primo dei quali è la title track, che dà splendidamente avvio al CD, una country song limpida e purissima, suono spettacolare e melodia di grande impatto, subito seguita da un rifacimento della mossa e swingata Country Christmas, ancora bellissima e con Loretta che canta come se avesse ancora trent’anni; il trittico di brani originali si chiude con la saltellante To Heck With Ole Santa Claus (anche questa era sul disco di cinquant’anni fa), un pezzo di country come oggi non se ne fanno più (e che voce). Ma il disco è una goduria anche nei brani più famosi, tutti suonati, ripeto, in maniera fantastica: Winter Wonderland è riproposta con classe sopraffina (anche meglio di quella di Buffett), così come l’intensa Away In A Manger, suonata in punta di dita e cantata, tanto per cambiare, stupendamente; Blue Christmas è un honky-tonk scintillante, con ottimi interventi di piano e steel, Frosty The Snowman è un vivace swing d’altri tempi, mentre Oh Come, All Ye Faithful (che sarebbe il nostro Adeste Fideles), da sempre una delle più belle canzoni natalizie, brilla in uno strepitoso arrangiamento ancora honky-tonk, con un’interpretazione da pelle d’oca, Lascio a voi il piacere di scoprire le tre canzoni che seguono, un trittico che mette in fila i tre pezzi stagionali forse più conosciuti in assoluto (Jingle Bells, White Christmas e Silent Night), tutte rilette con classe e bravura immense, ma anche con una freschezza incredibile, per chiudere con ‘Twas The Night Before Christmas, un toccante talkin’ solo per voce e chitarra.

Non vi dico ancora Buon Natale dato che siamo ancora a Novembre, ma buon divertimento con la coppia Buffett/Lynn, questo sì.

Marco Verdi

Una Nuova” Promettente” Artista Di Talento! Loretta Lynn – Full Circle

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Loretta Lynn – Full Circle – Sony Legacy CD

Il titolo del post è volutamente ironico, in quanto ci troviamo di fronte ad una vera e propria leggenda vivente della country music (e non solo): Loretta Lynn (nata Webb), 84 anni il mese prossimo, è sulla breccia da più di cinquant’anni, e la sua serie di successi e di premi meriterebbe un post a parte (basti sapere che è, dati alla mano, l’artista donna più di successo in ambito country di tutti i tempi). Sono già passati dodici anni da quel Van Lear Rose, che ci aveva mostrato un po’ a sorpresa un’artista ancora in grandissima forma, perfettamente a suo agio anche con una produzione non proprio tradizionale, come quella dell’eclettico Jack White: ma la strana coppia aveva funzionato, e l’album era stato uno dei migliori del 2004 in ambito country. Ora Loretta ci riprova, e con Full Circle centra nuovamente il bersaglio: ben bilanciato tra brani originali (alcuni rivisitati), cover e pezzi tratti dalla tradizione, il disco ci mostra una cantante che non ha la minima intenzione di appendere il microfono al chiodo, ed anzi è ancora in possesso di una voce formidabile, pura, limpida e cristallina, di certo non tipica di un’ottuagenaria.

La produzione è più canonica rispetto a Van Lear Rose, ed è nelle mani comunque esperte di John Carter Cash (figlio di Johnny e June), che ha cucito attorno all’ugola di Loretta un suono molto classico, con piano, steel, violini e chitarre acustiche sempre in primo piano: la lunga lista di musicisti presenti comprende alcuni veri e propri luminari come Sam Bush (mandolino), Shawn Camp (chitarra, di recente stretto collaboratore di Guy Clark), Paul Franklin (steel), Ronny McCoury (figlio di Del, al mandolino), Randy Scruggs (chitarra), oltre allo splendido pianoforte di Tony Harrell (già con Don Henley, Johnny Cash, Vince Gill, Sheryl Crow e nel bellissimo Django And Jimmie di Willie Nelson e Merle Haggard). Tredici canzoni, non una nota da buttare, con alcune vere e proprie perle ed un paio di sorprese finali che vedremo.

Con i primi due brani, due lentoni intitolati rispettivamente Whispering Sea e Secret Love, Loretta sembra quasi scaldare la sua ugola ed il gruppo i muscoli, ma già con la seconda delle due la nostra dimostra di essere nel suo elemento naturale, e la voce sembra di una con trent’anni di meno. Who’s Gonna Miss Me? ha una melodia diretta ed il gruppo offre una performance cristallina, grande classe e grande canzone, ma le cose vanno ancora meglio con la splendida Blackjack David, un famoso traditional attribuito alla Carter Family, rilasciato con un arrangiamento da pura mountain music, una versione imperdibile; e che dire di Everybody Wants To Go To Heaven, ritmo spedito, grande assolo di piano, chitarrina elettrica, melodia dalla struttura gospel e Loretta che canta con la grinta di una ventenne.

Always On My Mind è una delle grandi canzoni del songbook americano (ricordo le versioni più famose, ad opera di Elvis Presley e Willie Nelson) e l’arrangiamento pianistico è più vicino a quello di Willie che a quello un po’ pomposo del King: comunque sempre un grande brano, con la Lynn che canta con un’intensità da pelle d’oca. Anche Wine Into Water è una gradevolissima country ballad, suonata alla grande (ma tutto il disco è a questi livelli: è forse brutta la rilettura del traditional In The Pines?); Band Of Gold è un honky-tonk perfetto, che sembra provenire direttamente dalla golden age di questo tipo di musica, così come la mossa Fist City (un vecchio successo rifatto), fulgido esempio di come si possa fare del vero country tradizionale nel 2016.

I Never Will Marry (ancora Carter Family, qui John Carter deve aver detto la sua) precede Everything It Takes, uno scintillante honky-tonk che Loretta ha scritto con Todd Snider, suonato e cantato con la consueta classe, con la partecipazione straordinaria (e riconoscibilissima) di Elvis Costello alle armonie vocali. Chiude il CD la tenue Lay Me Down, un vero e proprio duetto vocale con Willie Nelson (poteva mancare?), due voci superbe, una chitarra, un mandolino, un violino e feeling a palate.

Full Circle è il titolo più appropriato per questo album, in quanto ci riporta una Loretta Lynn in forma Champions (per dirla in termini calcistici), e su territori che conosce a menadito e che ormai le appartengono di diritto.

Ed è ancora la numero uno.

Marco Verdi