Il Modo Migliore E Più Economico Per Riscoprire Una Grande Band. Dire Straits – The Studio Albums 1978 – 1991

dire straits box set

Dire Straits – The Studio Albums 1978 – 1991 – Mercury/Universal 6CD Box Set

Nel 2013 era uscito un costosissimo cofanetto in vinile con i sei LP della discografia di studio dei Dire Straits, intitolato appunto The Studio Albums 1978-1991: ora quel box è stato ristampato, ma questa volta è stata pubblicata anche una versione in CD, che a differenza della controparte a 33 giri è veramente a buon mercato (sei CD a poco più del prezzo di uno), e presenta i sei album del gruppo britannico in confezioni vinyl replica con la veste grafica originale in una pratica confezione “clamshell”, senza bonus tracks e con la rimasterizzazione del 1996 (ma i dischi della band hanno sempre suonato benissimo), anche se io avrei aggiunto l’EP del 1982 ExtendeDancEPlay, che tra parentesi non è mai stato pubblicato in CD (*NDB Solo in un videoCD Laserdisc). L’occasione è quindi ghiotta per riascoltare l’opera omnia del gruppo fondato nel 1977 da Mark Knopfler, ex insegnante di inglese con un talento smisurato per la chitarra che negli anni si è creato uno stile personale, riconoscibilissimo e super imitato, grazie ad un fraseggio sublime e particolare dovuto all’uso della tecnica del fingerpicking invece del plettro (e al fatto che era un mancino che suonava come un destrorso).

Ma i Dire Straits erano comunque una grande band a prescindere dal loro leader, una delle migliori degli ultimi 45 anni, con un suono che coniugava uno stile laidback alla J.J. Cale ad un songwriting figlio di Bob Dylan, senza dimenticare la lezione dei pub rockers degli anni 70, il tutto riassunto in qualcosa di personale e identificativo. Un gruppo formidabile quindi, il cui primo nucleo era formato da Knopfler, suo fratello David alla chitarra ritmica, John Illsley (l’unico presente in tutte le configurazioni della band) al basso e Pick Withers alla batteria (vecchio batterista dei Primitives di Mal), e che ebbe grande successo fin dall’album d’esordio Dire Straits del 1978 ****1/2 (prodotto da Muff Winwood, fratello di Steve), nonostante fosse uscito in piena rivoluzione punk. Un disco magnifico ancora oggi, dal sound elegante e coinvolgente al tempo stesso, che deve gran parte della sua fortuna alla splendida Sultans Of Swing, una canzone rock trascinante che sarà sempre considerata la signature song di Knopfler, ricca dei fills di chitarra che diventeranno il marchio di fabbrica del nostro e con un assolo finale incredibile.

Down To The Waterline è nello stesso stile e solo di poco inferiore, mentre sia la countreggiante Setting Me Up che la sensuale ed insinuante Six Blade Knife sono brani di qualità eccelsa, come anche Water Of Love e le conclusive Wild West End e Lions. L’inatteso successo del disco (quinto posto in patria e addirittura secondo in USA) convince i nostri a rimettersi subito al lavoro per produrre un seguito, ma l’errore di base di Communiqué ***1/2 (1979) è di ricalcare troppo gli stilemi del suo predecessore, come se Mark e compagni non avessero voluto rischiare più di tanto, nonostante la produzione del leggendario binomio sudista Jerry WexlerBarry Beckett ed i famosi Compass Studios di Nassau, Bahamas, come luogo delle registrazioni.

Il problema è che i brani qui contenuti sono di qualità inferiore a quelli di Dire Straits (con la possibile eccezione dell’opening track, la raffinata Once Upon A Time In The West, che infatti diventerà un classico), e questo porterà l’album ad avere vendite discrete ma non eccelse. Comunque un buon disco, di piacevole ascolto, con diversi pezzi degni di nota come l’accattivante singolo Lady Writer (forse un po’ troppo simile a Sultans Of Swing), l’affascinante Where Do You Think You’re Going?, dotata di un ottimo crescendo finale, e le piacevoli Angel Of Mercy, Portobello Belle e Follow Me Home, quest’ultima decisamente influenzata da Cale.

All’inizio del 1980 David Knopfler, nel bel mezzo delle registrazioni del terzo album, abbandona il gruppo (che rimane momentaneamente un trio, con Mark che reincide anche le parti ritmiche del fratello): i nostri erano in studio con Jimmy Iovine, che all’epoca era il produttore “da avere”, e con il tastierista della E Street Band Roy Bittan, due scelte azzeccatissime in quanto Making Movies **** si rivela il disco più venduto del gruppo fino a quel momento, ma anche un lavoro eccellente in cui il suono della band assume toni più radio friendly ed anche più profondità grazie allo splendido lavoro di Bittan.

Grande merito va comunque alla strepitosa Tunnel Of Love, un tour de force di otto minuti che per chi scrive è il miglior brano di sempre del gruppo (il finale, con l’assolo di Mark doppiato dal pianismo liquido di Roy, è da antologia), ed alla popolarissima e toccante ballata Romeo And Juliet. Di notevole impatto anche Expresso Love, Skateaway, l’adrenalinica Solid Rock e la scanzonata e divertente Les Boys.

Ormai i Dire Straits sono una realtà mondiale, nonché tra i pochi gruppi dell’epoca che riescono a coniugare vendite copiose e musica di qualità: ancora meglio in classifica andrà Love Over Gold ***del 1982, che toccherà la prima posizione in tutte le principali nazioni nonostante una veste più sperimentale del solito (e con il gruppo che aggiunge ai tre membri fondatori il tastierista Alan Clark ed il chitarrista Hal Lindes).

Sì, perché il disco contiene solo cinque canzoni, tutte discretamente lunghe ed apparentemente senza singoli da classifica, ma all’interno si trovano due capolavori assoluti come Telegraph Road, un brano di quasi 15 minuti con una parte strumentale sublime ed una grande prestazione di Knopfler, e la geniale Private Investigations, un pezzo raffinatissimo con delle soluzioni musicali pazzesche ed un crescendo emozionante, che negli anni rimarrà uno dei brani più amati dai fans.

Chiudono Industrial Disease, la traccia più movimentata dell’album, la lenta e soffusa title track e It Never Rains, altro lungo pezzo sullo stile di Telegraph Road. Dopo un disco dal vivo deludente e poco rappresentativo degli show dei nostri (Alchemy ***, 1984), Knopfler e soci nel 1985 fanno il botto: Brothers In Arms ***1/2 è infatti un successo al di fuori di ogni previsione, un lavoro che va al primo posto letteralmente ovunque e che nel tempo arriverà a vendere ben trenta milioni di copie (ricordo quell’estate, era impossibile accendere la radio senza imbattersi prima o poi in un brano tratto dall’album).

Escono Withers (che non viene rimpiazzato con un batterista fisso) e Lindes ed entra Guy Fletcher come secondo tastierista, mentre alla produzione a fianco di Knopfler troviamo Neil Dorfsman. Come tutti i dischi di smisurato successo anche Brothers In Arms ha i suoi alti e bassi: se la trascinante Money For Nothing (composta e cantata con Sting) ha un intro emozionante ed uno dei più bei riff chitarristici di sempre e Walk Of Life è un rock’n’roll parecchio divertente, l’iniziale So Far Away è gradevole ma un filo troppo pop, e la sdolcinata Your Latest Trick non l’ho mai digerita molto.

In definitiva il brano migliore è l’epica ballad che intitola l’album, ma da non sottovalutare sono anche la deliziosa Why Worry e la bluesata The Man’s Too Strong. La lunga tournée seguita alla pubblicazione del disco lascia Knopfler, che già di suo è una persona timida e che non ama troppo la ribalta, stanco e forse spaventato dal troppo successo, e quindi per un intero lustro il gruppo viene messo in soffitta a favore di altri progetti come colonne sonore, l’eccellente disco del supergruppo The Notting Hillbillies e lo splendido album Neck And Neck, registrato con l’idolo di gioventù Chet Atkins 

Anzi, se fosse per Knopfler l’avventura dei Dire Straits sarebbe anche finita, ma la pressione dell’opinione pubblica e della casa discografica lo convincono a richiamare Illsley, Fletcher e Clark per un ultimo disco e tour. Ma On Every Street ***(1991), nonostante venda tantissimo più che altro sulla fiducia ed a causa dell’astinenza dei fans, è un lavoro tutto sommato deludente, l’anello debole della discografia dei nostri.

Non è un brutto disco (e risentito oggi forse guadagna mezzo punto), ma con un Knopfler svogliato che alterna buone canzoni a riempitivi di classe che sembrano però esercizi di stile fini a loro stessi. Se The Bug è un buon rock’n’roll che però sembra la fotocopia sbiadita di Walk Of Life, Calling Elvis (*NDB Zucchero ringrazia, e copia) e Heavy Fuel sono due rock songs qualunque, Iron Hand dice poco, Fade To Black è elegante e basta e Planet Of New Orleans è tirata troppo per le lunghe.

I pezzi migliori sono quelli in cui Knopfler introduce un certo suono country-rock (When It Comes To You, Ticket To Heaven, How Long) e soprattutto la bellissima title track, una ballata degna del passato del gruppo con una coda strumentale splendida. Dopo il tour (ed un altro live album poco riuscito, On The Night *** ), Knopfler manda definitivamente in pensione i Dire Straits per dedicarsi ad una carriera da solista che sarà ricca di soddisfazioni e tanta grande musica,

guardate il video sopra, una curiosità poco nota, lasciandoci però questi sei album che testimoniano un’epopea irripetibile e che oggi possiamo riascoltare con immutato piacere ad un prezzo davvero abbordabile.

Marco Verdi

Nonostante I Continui Riferimenti Al Suono Di “Quella Band”, Un Bel Disco! John Illsley – Long Shadows

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John Illsley – Long Shadows – Creek Records CD

Confesso che per me John Illsley è stato per anni “solo” il bassista dei Dire Straits (hai detto niente, uno degli acts più popolari di sempre), tra l’altro l’unico membro del gruppo, a parte il leader Mark Knopfler, ad essere presente su ogni disco ed in ogni tour della celebrata band inglese. Un paio di dischi solisti negli anni ottanta, passati perlopiù inosservati, e due album agli inizi del nuovo secolo insieme al cantautore irlandese Greg Pearle. Poi nel 2010 mi sono imbattuto quasi per caso in Streets Of Heaven (forse incuriosito da una recensione positiva letta da qualche parte), primo vero lavoro da solista di John dai tempi di Glass (1988), e ne sono rimasto talmente folgorato da metterlo addirittura nella mia top ten dell’anno. Un disco bellissimo, suonato alla grande e con una serie di canzoni superlative, che avevano un unico difetto (ma che per me difetto non era): suonavano in tutto e per tutto come brani inediti del gruppo grazie al quale Illsley era diventato famoso, le stesse atmosfere laidback, una chitarra dal timbro decisamente “knopfleriano”, ed anche la voce sussurrata di John che ricordava molto quella del suo ex boss; per dirne una,  l’opening track Toe The Line da sola era meglio di tutto il materiale incluso in On Every Street, l’ultimo deludente album di studio dei Dire Straits. Nel 2014 Illsley ha pubblicato il discreto Testing The Water, nettamente inferiore al precedente, nonostante la presenza di Knopfler in qualche brano, e lo scorso anno è uscito il godibile Live In London, un album dal vivo ben fatto che però scontava l’effetto cover band quando John intonava i pezzi degli Straits, canzoni che non gli appartengono se non perché ci ha suonato.

E’ quindi con interesse che mi sono avvicinato al nuovo Long Shadows, e devo dire che ne sono rimasto soddisfatto: il CD, otto canzoni per 35 minuti di musica, è molto meglio di Testing The Water ed appena un gradino sotto a Streets Of Heaven, e presenta una serie di ottime canzoni (tutte di John) al solito ottimamente suonate e cantate con buon piglio dal nostro, che come voce non è eccezionale ma molto meglio di tanti altri sidemen che si mettono a fare i solisti (chi ha detto Bill Wyman?), con un timbro che ricorda abbastanza quello di Knopfler ma ha anche dei punti in comune con Leonard Cohen, anche se il canadese ha una tonalità più profonda. Certo, il disco presenta sempre il solito “difetto”, cioè di suonare più Dire Straits di quanto non facciano gli album solisti di Knopfler, ma, ripeto, se le canzoni ci sono per me non è assolutamente un problema. Gran parte del merito (o della responsabilità, a seconda dei punti di vista) del suono va al polistrumentista nonché produttore Guy Fletcher, membro degli Straits dal 1984 e compagno di lungo corso del Knopfler solista, uno quindi che in questi suoni ci sguazza; nel disco troviamo anche fior di musicisti (oltre a John che suona la chitarra acustica oltre naturalmente al basso e Fletcher alle tastiere), come l’ex Pretenders e Paul McCartney band Robbie McIntosh alla solista, Phil Palmer ancora alla sei corde (uno che ha suonato davvero con tutti, da Bob Dylan, Eric Clapton, Roger Daltrey, fino ai nostri Lucio Battisti, Pino Daniele e…Paola E Chiara!), Steve Smith al piano e Paul Beavis alla batteria, ed una serie di backing vocalists utili a sostenere la voce non certo potente del leader.

Il CD a dire il vero comincia in maniera particolare, con uno strumentale intitolato Morning, per piano, chitarra acustica arpeggiata e quartetto d’archi, un inizio imprevisto ma poi se vogliamo neanche tanto strano se pensiamo a brani come Private Investigations (l’uso della chitarra lo ricorda vagamente); con In The Darkness si entra nel vivo, un suggestivo uptempo molto raffinato anche se derivativo (indovinate da che cosa), la voce knopfleriana di John intona una melodia decisamente orecchiabile, sostenuta a dovere dal big sound creato dal gruppo, compreso un assolo chitarristico denso di riverberi. L’inizio di Comes Around Again è puro Straits sound, dall’accompagnamento vellutato alla chitarrina evocativa, ma poi la canzone prende una direzione quasi da western song, ancora caratterizzata da una melodia fluida ed un ottimo ritornello corale, mentre There’s Something About You è una ballata soffusa e di gran classe, con una strumentazione rarefatta che ha quasi dei punti in comune con il suono di Daniel Lanois, mentre la melodia è più dalle parti di Cohen: decisamente il brano meno dipendente dall’ex gruppo di Illsley. Ship Of Fools (i Grateful Dead non c’entrano, la canzone è originale come tutte le altre) è ancora una raffinatissima ballad (la classe non manca al nostro) che sconfina addirittura nello stile del Knopfler solista, soprattutto per il sapore leggermente folk (e qui vedo lo zampino di Fletcher), ma il motivo ed il refrain sono di primissima qualità, come anche la coda strumentale; Lay Me Down sembra quasi una outtake da Brothers In Arms, un delizioso e vivace motivo con un tocco country, di quelli che fanno muovere da subito il piedino. L’album si chiude in crescendo con la splendida Long Shadow, una rock song trascinante e dal ritmo acceso, bella slide ed altro chorus diretto e fruibile, e con Close To The Edge, brano d’atmosfera suonato alla perfezione e con la chitarra che ricorda indovinate chi, ma il brano sta in piedi sulle sue gambe, ed anzi si propone come uno dei più riusciti.

Se, come me, avete sempre considerato John Illsley soltanto un ottimo bassista, accaparratevi Long Shadows (ma anche Streets Of Heaven) e forse comincerete a cambiare opinione. E poco importa se penserete di avere fra le mani un disco dei Dire Straits cantato da un altro.

Marco Verdi