La Fantastica Epopea Di Un Gruppo Fondamentale. Robbie Robertson And The Band – Once Were Brothers

once were brothers dvd

Robbie Robertson And The Band – Once Were Brothers – Magnolia BluRay – DVD

E’ con colpevole ritardo (su sollecitazione del titolare del Blog) che mi occupo di Once Were Brothers, splendido docu-film dedicato a The Band e narrato in prima persona da Robbie Robertson: dopo essere stato per breve tempo nei cinema, lo scorso anno è uscito in DVD e BluRay, ed il sottoscritto aveva aspettato ad accaparrarselo confidando in una edizione che comprendesse anche i sottotitoli in italiano, cosa che però non si è mai verificata. La recente ristampa deluxe di Stage Fright ha però riacceso in me l’interesse nel progetto, e devo dire che, vista la qualità del film, non so che cosa stessi attendendo! Once Were Brothers (prodotto dai registi premi Oscar Martin Scorsese e Ron Howard e diretto da Daniel Roher) è infatti una magnifica testimonianza sull’epopea di uno dei gruppi più fondamentali ed influenti della nostra musica, attraverso le voci dei protagonisti e di musicisti che in un modo o nell’altro devono molto al suono del quintetto canadese, una miscela vincente di rock, soul, errebi, blues, folk e country che oggi chiamiamo Americana ma che nella seconda metà degli anni sessanta in pratica non esisteva https://www.youtube.com/watch?v=bu1ksBNTTdw .

once were brothers dvd 1

Credetemi, l’assenza dei sottotitoli dopo pochi minuti dall’inizio della visione non sarà più un problema, in quanto Robertson parla un inglese comprensibilissimo ed in più porge le frasi con molta lentezza, ed anche gli ospiti, a parte un paio di casi, evitano accuratamente di mangiarsi le parole (le due eccezioni sono Levon Helm e Ronnie Hawkins). Dicevo degli ospiti, una parte importantissima in quanto a parte Robbie che funge da leader (d’altronde è l’ideatore del progetto) troviamo le testimonianze dei suoi ex compagni, ovviamente d’archivio dato che tre quinti del gruppo non è più tra noi (Garth Hudson, l’unico ancora in vita a parte Robertson, non appare in video ma presta la voce per un breve commento), e per lo stesso motivo risalgono agli anni novanta gli interventi di George Harrison.

238 The Band, Robbie and Dominique Robertson, Woodstock, NY, 1968.

238 The Band, Robbie and Dominique Robertson, Woodstock, NY, 1968.

Ma non è finita, in quanto il fiore all’occhiello sono coloro che hanno scelto di apparire nel film con interviste ex novo, gente del calibro di Bruce Springsteen, Eric Clapton, Van Morrison (una rarità), Taj Mahal, Peter Gabriel, David Geffen, i già citati Hawkins e Scorsese, la bellissima moglie di Robbie Dominique Robertson ed il loro primo produttore John Simon, mentre la partecipazione di Bob Dylan strombazzata sulla locandina del film si riduce ad un breve intervento estrapolato dal “suo” docu-film No Direction Home (manca invece stranamente Elton John, un altro i cui primi album risentivano parecchio della lezione dei nostri) https://www.youtube.com/watch?v=gHWha9M1Llo . Il film inizia con Robertson in studio di registrazione a dare gli ultimi ritocchi alla canzone che intitola il film (uscita nel 2019 all’interno del non eccelso Sinematic), e subito parte il racconto della sua infanzia e di come giovanissimo fosse stato fulminato sulla via del rock’n’roll in particolare da Chuck Berry. Poi c’è il ricordo della sua prima chitarra e quello, ben più traumatico, di quando sua madre (nativa americana di origine Mohawk) lo prese da parte per rivelargli che suo marito, James Robertson, non era il suo padre biologico, che in realtà era un ex giocatore d’azzardo ebreo in odor di mafia chiamato Alexander Klegerman, oltretutto ex galeotto ed in seguito rimasto ucciso in uno strano e poco chiaro incidente.

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Poi si passa al racconto delle sue prime band giovanili, fino a quando non fu notato da Hawkins che lo prese come chitarrista nei suoi Hawks, dove legò subito con Levon Helm (a cui per tutta la sua carriera, e nonostante i problemi che sorgeranno dopo tra i due, Robbie guarderà con profonda venerazione) e si rivelò anche un precoce songwriter, scrivendo due brani per Ronnie all’età di 15 anni. Poi si arriva agli anni sessanta ed al rapporto che gli cambierà la vita: quello con Dylan, conosciuto tramite la comune amicizia con John Hammond Jr. (quindi il bluesman, non il padre talent-scout che tra l’altro di Bob fu lo scopritore). Dylan in quel periodo aveva deciso per la famosa svolta elettrica e stava cercando una band che partisse in tour con lui, e gli Hawks erano la scelta perfetta; ma non fu tutto rose e fiori, in quanto come è ben noto la nuova veste sonora di Bob non fu molto apprezzata dai fans della prima ora, e molti concerti finivano con il pubblico che contestava pesantemente la band sul palco. Questo fatto esasperò Helm al punto da costringerlo a lasciare i compagni nel bel mezzo del tour (fu rimpiazzato in fretta e furia da Mickey Jones), ma durante la parte europea della tournée, per la precisione a Parigi, Robbie conobbe anche la sua futura (e in seguito divorziata, ma sono rimasti vicini) moglie, che nel film ricorda come all’epoca non parlasse una sola parola d’inglese.

Garth Hudson (left), Robbie Robertson, Levon Helm, Richard Manuel and Rick Danko of The Band pose for a group portrait in London in June 1971.

Garth Hudson (left), Robbie Robertson, Levon Helm, Richard Manuel and Rick Danko of The Band pose for a group portrait in London in June 1971.

Il fulcro del film è però naturalmente la trasformazione del gruppo da The Hawks a The Band, con i nostri che andarono a vivere a Woodstock nella famosa casa rosa che comparirà sulla copertina del loro primo album. Da qui ebbe inizio una serie di sessions tenute insieme a Dylan, loro vicino di casa (i famosi Basement Tapes), con Robertson che prese sempre di più confidenza con il songwriting al punto da arrivare a pubblicare un album fantastico e che introdurrà un sound totalmente nuovo (Music From Big Pink appunto), tra l’altro con Helm che era tornato con grande felicità di tutti a far parte del gruppo. Bella in particolare la rievocazione di Robertson su come gli fossero venuti in mente i primi versi di The Weight, che diventerà il loro brano più famoso, mentre Clapton ribadisce un concetto da lui espresso già altre volte, e cioè che Big Pink gli ha cambiato la vita, convincendolo che al mondo non c’era solo il blues. Il racconto prosegue poi con il successo di critica e pubblico del secondo fantastico album The Band, la nascita della primogenita di Robbie, e le prime crepe che arriveranno durante la lavorazione di Stage Fright, con Helm, Rick Danko e Richard Manuel dediti all’uso di droghe che spesso inibivano la loro efficacia in studio e la loro concentrazione (oltre a far loro rischiare la vita in molteplici incidenti d’auto).

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Da qui in poi il film subisce una decisa accelerazione, come se si fosse scelto di finire a cento minuti totali mentre si poteva benissimo arrivare alle due ore (ed è il difetto principale della pellicola, che gli costa almeno mezza stelletta in meno): da qui in poi gli album rimanenti del gruppo non vengono neppure nominati, ma ci si limita a raccontare come, su sollecitazione di Geffen, Roberston e famiglia lasciarono Woodstock (che il noto discografico ed allora presidente della Asylum definisce uno “shithole”, e direi che non serve la traduzione) per trasferirsi a Malibu dove presero una casa sulla spiaggia, cercando di coinvolgere anche gli altri quattro membri della band che però reagirono con meno entusiasmo (ed infatti Hudson vive a Woodstock ancora oggi). Poi c’è un brevissimo accenno al fortunato tour americano del 1974 ancora con Dylan e subito si passa allo show d’addio del novembre 1976 al Winterland di San Francisco immortalato nel mitico film The Last Waltz.

robbie robertson levon helm

Nella parte finale Robertson si limita a rievocare i problemi che avrà dopo lo scioglimento del gruppo con Helm, il quale gli imputerà il mancato riconoscimento della co-scrittura di alcune canzoni ed il pagamento delle relative royalties: i due non si rivolgeranno più la parola fino alla morte di Levon, e Robertson esprime il suo rammarico per non aver potuto far pace con l’amico dal momento che quando lo andò a trovare sul letto di morte non era già più capace di intendere. E qui troviamo un altro piccolo difettuccio del film (inferiore però come importanza a quello della durata), e cioè il fatto che durante la narrazione sentiamo solo la campana di Robbie, cosa in fondo comprensibile dato che il progetto è il suo e chi avrebbe potuto smentirlo non è più comunque tra noi, ma che lascia comunque un sapore latente di agiografia. Ma sono comunque quisquilie: Once Were Brothers è un signor “rockumentario”, che racconta in maniera coinvolgente ed anche toccante la storia di uno dei gruppi più importanti si sempre. Da non perdere.

Marco Verdi

Cofanetti Autunno-Inverno 12. Quando Robbie Robertson Scriveva Grandi Canzoni…E Le Faceva Cantare Agli Altri! The Band – The Band 50th Anniversary

The Band The Band 50th anniversary edition

The Band – The Band 50th Anniversary – Capitol/Universal Deluxe 2CD – Super Deluxe 2CD/2LP/BluRay/45rpm Box Set

Il titolo del post odierno è volutamente riferito alla carriera solista di Robbie Robertson ed in particolare al suo recente album Sinematic, nel quale il songwriter canadese ha dimostrato di avere praticamente esaurito la sua vena artistica ed anche la poca voce che aveva https://discoclub.myblog.it/2019/10/01/non-e-un-brutto-disco-ma-nemmeno-bello-robbie-robertson-sinematic/ . Ma c’è stato un tempo, tra il 1968 ed il 1970, in cui Robbie era probabilmente il miglior autore di canzoni al mondo e non aveva bisogno di usare la sua non imperdibile voce per farle ascoltare in quanto era a capo di quel meraviglioso gruppo denominato The Band. Già noti nell’ambiente per aver suonato prima con Ronnie Hawkins e soprattutto con Bob Dylan nel famoso tour del 1966 quando ancora si chiamavano The Hawks, i nostri avevano esordito nel 1968 con il celeberrimo Music From Big Pink, un capolavoro in tutto e per tutto ed uno degli album più influenti negli anni a venire https://discoclub.myblog.it/2018/07/04/grandissimo-disco-ma-questa-edizione-super-deluxe-piu-che-essere-inutile-sfiora-la-truffa-the-band-music-from-big-pink-in-uscita-il-31-agosto/ , capace di colpire a tal punto un giovane Eric Clapton da convincerlo a mettere da parte il tanto amato rock-blues, lasciare i Cream ed iniziare la carriera solista. Dare seguito ad un capolavoro non è mai semplice, ma la Band con l’omonimo The Band del 1969 (detto anche The Brown Album per il colore della copertina) riuscì a fare addirittura meglio, mettendo a punto un lavoro che oggi è giustamente considerato come una pietra miliare del rock mondiale ed uno dei classici dischi da isola deserta.

Ai giorni nostri è quasi un’abitudine avere a che fare con album del genere cosiddetto Americana con all’interno brani che mescolano stili diversi, ma dobbiamo pensare che a fine anni sessanta un certo tipo di sonorità in pratica non esisteva, e la Band fu tra le prime e più importanti realtà a fondere con la massima naturalezza rock, country, folk, blues, errebi, soul, ragtime, bluegrass, gospel e chi più ne ha più ne metta, creando un suono “ibrido” che ancora oggi viene citato come ispirazione fondamentale da intere generazioni di musicisti. Anche i testi delle canzoni erano in aperto contrasto con quanto andava di moda allora (non dimentichiamo che eravamo nel pieno della Summer Of Love), trattando di argomenti poco “cool” come storie di frontiera, la guerra di secessione, i grandi luoghi geografici degli Stati Uniti, o anche della vita rurale di tutti i giorni nelle piccole realtà di provincia da parte di comunità con forti valori religiosi: lo stesso look del gruppo ricordava una piccola congrega di Amish dei primi del novecento. E poi ovviamente c’erano i membri del quintetto, tutti quanti musicisti di primissimo piano: Robertson oltre ad un grande autore era (è) anche un chitarrista coi fiocchi, i tre cantanti Levon Helm, Richard Manuel e Rick Danko, oltre ad essere capaci di splendide armonie erano anche validissimi polistrumentisti, mentre Garth Hudson è sempre stato una sorta di direttore musicale e leader silenzioso, abile com’era nel suonare qualsiasi cosa gli passasse davanti.

The Band (registrato a Los Angeles e co-prodotto da John Simon, quasi un sesto membro del gruppo) è quindi un album in cui si sfiora la perfezione come raramente è successo altrove, ed è anche il primo lavoro dei nostri con solo materiale originale: se Music From Big Pink aveva come brano portante un capolavoro come The Weight, qui troviamo altri due classici che non sono certo da meno, ovvero le straordinarie The Night They Drove Old Dixie Down e Up On Cripple Creek (entrambe cantate da Helm), due canzoni che la maggior parte degli artisti non scrive in un’intera carriera. Ma il disco è anche (molto) altro, come la saltellante apertura con il notevole errebi Across The Great Divide, il trascinante cajun-rock Rag Mama Rag, la ballata rurale in odore di ragtime When You Awake, la toccante soul ballad Whispering Pines, caratterizzata dalla voce vellutata di Manuel, il rock’n’roll da festa campestre Jemima Surrender. E ancora la folk song modello Grande Depressione Rockin’ Chair, il boogie alla Professor Longhair Look Out Cleveland, il rock-got-country-got soul Jawbone, la lenta e pianistica The Unfaithful Servant, un piccolo capolavoro di equilibrio tra roots e dixieland, e l’elettrica e funkeggiante King Harvest (Has Surely Come). Per il cinquantesimo anniversario di questo album fondamentale la Capitol lo ha ripubblicato con un nuovo mix di Bob Clearmountain ed il remastering a cura di Bob Ludwig, arricchendo il tutto con diverse bonus tracks interessanti.

Il cofanetto comprende due CD, due LP, un 45 giri con Rag Mama Rag e The Unfaithful Servant, un BluRay audio con le configurazioni in surround 5.1 ed in alta risoluzione del disco originale oltre al solito bel libro con un saggio del noto giornalista rock Anthony DeCurtis (niente parentela con il nostro Totò) e varie foto rare. Un’edizione molto migliore di quella dello scorso anno riferita a Music From Big Pink, che offriva ancora meno a livello di bonus della ristampa del 2000: mi sento però di affermare che è sufficiente la versione in doppio CD, dato che per un costo decisamente inferiore (è anche a prezzo speciale) avete esattamente gli stessi contenuti musicali del box. Nel primo dischetto oltre ovviamente alle dodici canzoni originali abbiamo sei bonus tracks inedite: si inizia con una prima versione di Up On Cripple Creek non molto diversa da quella pubblicata, due takes alternate di Rag Mama Rag, più lenta e countreggiante e col piano grande protagonista, e di The Unfaithful Servant, meno rifinita ma già bellissima. Seguono due interessanti mix strumentali di Look Out Cleveland ed ancora Up On Cripple Creek ed una eccellente Rockin’ Chair acustica con le voci all’unisono. Il secondo CD ripropone le sette tracce aggiunte nell’edizione del 2000, cioè l’ottima rock song Get Up Jake, una outtake che aveva tutti i requisiti per finire sull’album, due mix alternativi di Rag Mama Rag e The Night They Drove Old Dixie Down (il primo dei quali con una traccia vocale diversa), e quattro versioni differenti di Up On Cripple Creek, Whispering Pines, Jemima Surrender (questa anche più coinvolgente di quella pubblicata nel 1969) e King Harvest (Has Surely Come).

Ma la chicca del secondo CD è l’esibizione completa del quintetto durante il terzo giorno del Festival di Woodstock nell’Agosto dello stesso anno, uno show che non presentava alcun riferimento al loro secondo album che sarebbe uscito poco più di un mese dopo. Un vero must, anche perché in tutti questi anni non era mai trapelato nulla di ufficiale da questa performance, a meno che come il sottoscritto non possediate una delle 1969 copie del cofanetto di 38 CD Back To The Garden. A tal proposito, invece di ri-recensire il concerto della Band, ripropongo qui di seguito quanto scritto lo scorso Settembre nel mio post a puntate sul megabox: The Band. A mio parere la chicca assoluta del box, dato che per 50 anni non era mai uscita neppure una canzone dal set del gruppo canadese. Ed il quintetto di Robbie Robertson non delude le aspettative, producendo un concerto in cui fa uscire al meglio il suo tipico sound da rock band pastorale del profondo Sud; solo tre brani originali (l’iniziale Chest Fever, la meno nota We Can Talk ed il capolavoro The Weight), un paio di pezzi di derivazione soul (Don’t Do It e Loving You Is Sweeter Than Ever), altrettanti standard (Long Black Veil e Ain’t No More Cane, entrambe splendide) e ben quattro canzoni di Dylan (Tears Of Rage, emozionante, This Wheel’s On Fire, Don’t Ya Tell Henry e I Shall Be Released, che diventa quindi l’unico brano ripreso nei tre giorni da tre acts diversi). Gran concerto, e d’altronde i nostri, oltre ad essere di casa a Woodstock, erano nel loro miglior periodo di sempre.

Una ristampa quindi imperdibile di un album già leggendario di suo (e, come ho già scritto, potete accontentarvi del doppio CD): se dovessi stilare una Top 10 dei migliori dischi di tutti i tempi, i prescelti per tale classifica potrebbero variare nel tempo a seconda del mio stato d’animo o di altri fattori, ma credo che uno spazio per The Band lo troverei sempre.

Marco Verdi

Correva L’Anno 1968 7. Una Rara Occasione In Cui La “Ristampa” Forse Supera L’Originale. Big Brother & The Holding Co. – Sex Dope & Cheap Thrills

Big Brother And The Holding Company Sex Dope And Cheap Thrills

Big Brother & The Holding Co. – Sex, Dope & Cheap Thrills – 2 CD Columbia Legacy

Dei tanti dischi che hanno festeggiato il 50° Anniversario dalla loro uscita nel 1968, forse Cheap Thrills, almeno sulla carta, era uno dei meno attesi. Ma il disco all’epoca, oltre a confermare l’inarrestabile ascesa di Janis Joplin con i suoi Big Brother, che era iniziata l’anno prima con la splendida esibizione al Monterey Pop Festival, fu anche uno dei dischi di maggior successo di quell’anno: otto settimane consecutive al numero 1 delle classifiche di Billboard ed oltre due milioni di copie vendute. Non male per un album che allora fu accolto in maniera controversa, con parecchi critici che lo recensirono tiepidamente, e anche nel 2003 nella lista dei 500 Più Grandi Album di Tutti I Tempi della rivista Rolling Stone, il disco fu inserito solo al 338° posto! Ma devo dire che mi sembra uno di quelli che sono invecchiati meglio: forse è molto legato al periodo e alla scena musicale che rappresenta, la controcultura hippy, pacifica e psichedelica (sia per l’uso delle sostanze che per la musica) della California  di Haight-Ashbury, San Francisco, ma il fascino della voce di Janis Joplin e anche la bravura degli altri quattro musicisti, sono assolutamente da rivalutare.

Molti hanno spesso negato che esistesse un filone musicale univoco di gruppi musicali californiani dell’epoca, dai Grateful Dead ai Jefferson Airplane, dai Quicksilver appunto a  Big Brother & The Holding Co. (per ricordarne solo alcuni) erano effettivamente molto diversi tra loro, comunque legati dalle esibizioni comuni dal vivo in quelli che erano i “templi” della musica di San Francisco come Avalon Ballroom, Winterland e Carousel Ballroom (il futuro Fillmore West). In effetti i Big Brother furono gli unici ad avere successo (insieme ai Jefferson Airplane, già prima di loro) con un disco per certi versi “strano”: solo sette canzoni, di cui una lunghissima, Ball And Chain, l’unica registrata veramente dal vivo, mentre alle altre il produttore John Simon (con cui Janis non si prese molto bene), d’accordo con la casa discografica, aggiunse degli applausi posticci per dare l’idea di un concerto, mentre le canzoni furono tutte registrate in studio, tra marzo ed aprile del 1968 ai Columbia Recording Studios di New York, dove la band era giunta a febbraio per dei concerti all’Anderson Theatre e poi per l’inaugurazione del Fillmore East di Bill Graham. Il gruppo, reduce dal parziale insuccesso dell’omonimo e deludente album dell’anno precedente, pubblicato dalla piccola etichetta Mainstream, ora aveva come manager Albert Grossman, lo stesso di Dylan, e un contratto con la potente Columbia.

Big Brother And The Holding Company Sex Dope And Cheap Thrills cover

Dell’album “vero” non ne parliamo, perché la Columbia Legacy, per una volta ha avuto una brillante idea per festeggiare quel disco: un doppio CD che raccoglie il work in progress che portò a quell’album, attraverso trenta registrazioni, di cui 25 inedite, almeno come versioni se non come brani in sé, la ripresa del titolo originale Sex, Dope & Cheap Thrills che all’epoca fu censurato e qui viene restaurato (ma non la foto originale, per quella forse dovremo aspettare qualche altra ristampa futura). Ok, sono sempre le solite canzoni, le abbiamo sentite mille volte, anche in pubblicazioni illegali, ma pure in cofanetti, ristampe varie, antologie, però raccolte insieme hanno un loro fascino innegabile, non solo legato all’interesse dei fans, ma anche per i contenuti, spesso di assoluto interesse. L’apertura è affidata alla take 3 di Combination Of The Two, un pezzo di Sam Andrew, questo registrato in California, un arrangiamento vagamente latineggiante a livello percussivo, ma con la chitarra distorta e free form di Andrew in evidenza, e la Joplin in grande forma vocale, ben sostenuta dallo stesso Sam in un call and response vigoroso, anche I Need A Man To Love, un classico blues accorato di Janis, viene proposto in una versione decisamente più lunga ed improvvisata, sempre con la voce roca e potente a librarsi sull’accompagnamento del brano, dove spicca anche un piano e le due chitarre in libertà, il tutto con un suono perfetto e limpido grazie alla nuova masterizzazione effettuata per questo doppio.

La take 2 di Summertime è strepitosa, il famoso giro di chitarra mutuato da Bach introduce il classico brano di Gershwin, intenso e sofferto come sempre, uno dei capolavori assoluti dell’opera della cantante texana, con tutta la band che smentisce qualsiasi dubbio sia stato sollevato sulla loro capacità strumentale, con un arrangiamento raffinato dove le due chitarre e la sezione ritmica si intrecciano con una prestazione vocale fantastica: e pure la take 4 di Piece Of My Heart (scritta in origine da Bert Berns e Jerry Ragovoy per Erma, la sorella di Aretha Franklin) se la batte con l’originale conosciuto, in una versione superba, con il gruppo e soprattutto la sua cantante concentrati e precisi, a confermare l’impegno assoluto in studio che la band ebbe nell’approccio verso questo album epocale. Harry è uno strano pezzo e si capisce, pur nella sua brevità, perché non venne usato nel LP originale,Turtle Blues, dopo varie false partenze, si rivela per un blues duro e puro, in cui la Joplin rende omaggio alle voci del passato che l’hanno influenzata nei suoi anni formativi, la voce, in grande spolvero, non  ancora rovinata dagli stravizi imminenti, imperfetta ma unica, nobilita un brano che di per sé non è straordinario. Sul versante psichedelico Oh, Sweet Mary, cantata a più voci, è uno dei brani più vicini al sound dei Jefferson Airplane (la cui cantante Grace Slick firma, insieme al batterista Dave Getz, le interessanti ed esaustive note del libretto allegato al CD); a concludere la sequenza dell’album originale(con l’aggiunta di Harry), manca giusto una strepitosa e differente rilettura, sempre dal vivo, del brano “rubato” a Big Mama Thornton, ovvero Ball And Chain, dove la Joplin urla, strepita, si emoziona, come se la vita dipendesse dalla sua prestazione, e i Big Brother la sostengono egregiamente in una versione dove ancora una volta non si può non rimanere a bocca aperta per la carica emotiva dirompente che questo scricciolo sapeva infondere nelle sue esibizioni straordinarie.

A seguire sui 2 CD poi troviamo, oltre a differenti takes dei brani appena citati, diverse canzoni apparse, sotto altra forma, in vari album pubblicati nel corso degli anni: Roadblock, scritta con il bassista Peter Albin, uno dei pezzi già editi, sulla ristampa di Cheap Thrills, è una vivace psych-rock song di quelle corali e gagliarde, tipiche del gruppo, mentre Catch Me Daddy, che nella ristampa potenziata appariva dal vivo al Grand Ballroom, qui viene presentata in tre diverse takes, la n°1 soprattutto particolarmente tesa e vibrante, con Janis superba nella sua migliore versione da shouter rock’n’soul appassionata di scuola Stax, quella che più amiamo, una canzone che avrebbe fatto un figurone sul disco originale. It’s A Deal, era già uscita nel box Pearls, è un compatto garage-psych chitarristico cantato a più voci, in uno stile nuovamente vicino a quello dei Jefferson; dopo un breve conciliabolo per decidere il da farsi arriva anche la take 1 di Easy Once You Know How, un’altra “sassata” garage con qualche elemento pop à la Piece of My Heart, seguita da una How Many Times Blues Jam, che già dal titolo dice tutto, una jam spontanea improvvisata in studio dove i cinque + Simon al piano, si divertono su un tema blues-rock comunque vigoroso anche se incompiuto, e alla fine del 1° CD, le take n°7 di Farewell Song, una canzone di Andrew che dava il titolo ad una raccolta di inediti uscita nel 1982, dove appariva in formato live, un bel slow blues intenso dove la Joplin è ancora una volta risoluta e sicura di sé in una ennesima interpretazione da incorniciare.

Il 2° CD si apre con Flower In The Sun, altro brano presente come bonus sulla ristampa di Cheap Thrills, ulteriore pezzo di sapore rock, molto piacevole, ed è l’ultimo “sconosciuto”, a parte tre takes di Mysery’n, due insieme, la prima interrotta e ripresa, un ennesimo blues-rock elettrico di quelli torridi, cantata con il solito impegno da Janis, che in quei due mesi in studio a New York diede forse il meglio di sé. Comunque da non trascurare anche il trittico di Summertime, prima take splendida, peccato che nel finale si incartino, una superba Piece Of My Heart, incendiaria nella sua  energia quasi primeva, e una versione più lunga ed eccitante di Oh Sweet Mary, esuberante e tiratissima. E pure la versione n°7 di I Need A Man To Love è quasi struggente e dolorosa nel suo totale immedesimarsi nella protagonista della canzone, e con una parte strumentale da sballo. Per la verità oltre ad altre takes interessanti delle canzoni già apparse nei due CD, ci sarebbe ancora la cover di Magic Of Love del cantautore folk Mark Spoelstra, altro esempio della potenza devastante di Janis Joplin e dei suoi Big Brother. Una rara, ma non unica, occasione in cui la “ristampa” supera l’originale. Nei prossimi giorni troverete sul Blog anche un lungo Post in due parti dedicato agli anni del “Grande Fratello”.

Bruno Conti