Rock E Blues In “Bianco E Nero”! John The Conqueror – The Good Life

john the conqueror the good life

John The Conqueror – The Good Life – Alive Natural Sound Records

Un poderoso terzetto (con tastiere aggiunte, all’occorrenza) di stanza a Philadelphia, sulla East Coast, ma originari della zona del Mississippi, Jackson, dove il blues trae le sue radici, i John The Conqueror, nome preso in prestito dal famoso principe/schiavo della tradizione popolare nero-americana, con questo The Good Life sono già al secondo album per la Alive Natural Sound Records, etichetta che vede nel suo roster di artisti anche nomi come Lee Bains III & The Glory Fire, Left Lane Cruiser, Buffalo Killers, Hollis Brown, Beachwood Sparks e la recente aggiunta Mount Carmel (già attivi presso altre etichette), oltre ai Black Keys che per la Alive pubblicano vinili ed EP, tutta gente buona, come vedete.

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Forse proprio ai primi Black Keys si può far risalire il sound di questi John The Conqueror, un rock-blues denso e scarno, che però aggiunge elementi soul e funky, vista la presenza di due artisti di colore nei ruoli chiave della band, chitarra solista e voce Pierre Moore, batteria Michael Gardner, che dovrebbe essere il cugino, mentre al basso l’unico bianco Ryan Lynn che si porta al seguito Steve Lynn alle tastiere, che però non fa parte ufficialmente del gruppo https://www.youtube.com/watch?v=mF0CUs4u1Fk . A tutti gli effetti una sorta di power trio rock-blues, anche se non di quelli che fanno dell’arte della jam e delle lunghe improvvisazioni chitarristiche il loro credo, optando per un suono chiaramente rock ma dove non si prevede la presenza di un guitar hero a tutti i costi, anche se Moore se la cava egregiamente alla sua Gibson, ma senza esagerare mai, preferendo i riff densi e cattivi dell’iniziale Get’Em dove la band costruisce un groove funky con rimandi a vecchi gruppi “neri” che facevano rock come i Chambers Brothers (senza la componente gospel), ma anche e molto ai citati Black Keys, con soli brevi e vagamente simili pure al miglior Kravitz (non è una eresia) o a Jimi quando concedeva qualcosa alle sue radici nere https://www.youtube.com/watch?v=EwVtJQ3-o1I , anche Mississippi Drinkin’ viene da quella scuola, chitarre riverberate e “primali”, intrecci vocali di stampo vagamente R&B su una base decisamente rock.

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Ritmi tribali e reiterati, come nelle derive leggermente psych di Waking Up To You, dove riff e grinta vanno di pari passo, soli brevissimi e ficcanti, pochissime concessioni al virtuosismo, forse una eccessiva ripetitività, anche se l’aggiunta delle tastiere conferisce a What Am I Gonna Do una sorta di patente soul-rock molto incisiva, dove la bella voce di Moore ha ragione di farsi apprezzare. Però i brani viaggiano quasi tutta in quella sorta di mid-tempo funky, dove il groove è più importante della melodia e le capacità compositive di Pierre Moore non sono eccelse, i brani si assomigliano un po’ tutti. Non è un caso se il brano che forse si nota di più è una cover di Let’s Burn Down The Cornfleld di Randy Newman, musicista notoriamente non dedito abitualmente al blues-rock di matrice sudista, ma che le note sa metterle in fila per benino, anche se l’esecuzione della band non è poi molto differente da quella delle altre canzoni https://www.youtube.com/watch?v=GK2Ye1ym6kM . Potrebbero essere  avvicinati pure ad una sorta di Roots, meno vari e “moderni”, più rockisti e meno hip-hop, ma abili in questa fusione di elementi rock con varie forme di musica nera, blues grezzo e ritmato in primis. John Doe, rallenta i ritmi e si avvale con buoni risultati dell’organo di Steve Lynn mentre Daddy’s Little Girl, dall’inizio soffuso, sembra tentare altre strade sonore ma poi ritorna in fretta al “solito” suono denso e cattivo, ma quantomeno Moore prova a diversificare lo stile compositivo e la solista si lascia andare per una volta tanto. Interessanti ma non fondamentali, li attendiamo a prove più decisive, se ci saranno!

Bruno Conti