Non Solo Figli Di Papà, Ma Anche Ottima Musica! Una Piccola Cronistoria Dei Pines.

pines above the prairie

Pines – Above The Prairie – Red House Records 2016

Pines – Dark So Gold – Red House Records 2012

Pines – Tremolo – Red House Records 2009

Pines – Sparrows In The Bell – Red House Records 2007

Pines – The Pines – Trailer Records 2004

Dobbiamo ringraziare Bo Ramsey storico collaboratore, autore, produttore, chitarrista (anche di Joan Baez e Lucinda Williams) ma principalmente amico e sodale di Greg Brown, se abbiamo scoperto i Pines, una indie-band originaria dello stato dello Iowa, ma di stanza nel Minnesota. In pista da più di  una decade, i Pines nascono come un trio, formatosi nel lontano 2002 per merito del cantante-chitarrista David Hulkfelt, e dei multi-strumentisti Benson e Alex Ramsey (entrambi figli di cotanto padre), cresciuti e abbeverati musicalmente alle radici del country, del folk e del blues.

pines the pines

Il loro esordio con l’etichetta Trailer Records, prodotto guarda caso da Bo Ramsey, avviene con l’omonimo The Pines (‘04), un lavoro con brani up-tempo folk rock, che vedeva coinvolti amici e colleghi musicisti, tra i quali il bravo David Zollo (visto recentemente in concerto a Pavia), Dave Moore e Pieta Brown (figlia di Greg Brown) alternando brani strumentali con il bluesy folk di Bound The Fall, la dolce melodia di Pale White Horse, e le svisate blues più accentuate di Stevenson Motel Breakdown.

pines sparrows in the bell

Dopo qualche anno di gavetta si accasano alla Red House Records (l’etichetta fondata da Greg Brown) e incidono Sparrows In The Bell (07) con brani in gran parte acustici e di atmosfera, contando ancora sull’apporto della chitarra di Bo, e avendo come ospiti musicisti di valore tra i quali Chris Morrissey della band di Andrew Bird, J.T.Bates, e il cantautore Mason Jennings, album che ha i suoi momenti memorabili nel decadente blues di Don’t Let Me Go e Careless Love, il lieve country-folk di Midnight Sun e Circle Around The Sun, e il delicato bluegrass dell’iniziale Horse & Buggy.

pines tremolo

Con Tremolo (09) prosegue il percorso indie-rock, ma anche folk dei Pines, disco dove spiccano Heart & Bones https://www.youtube.com/watch?v=lyQ5FZ9y51s , due ballate lente e sussurrate come Meadows Of Dawn e Shiny Shoes, e cover d’autore come Skipper And His Wife di John Koerner e Spike Driver Blues del grande Mississippi John Hurt. Con la produzione sempre di Ramsey babbo, negli anni i Pines diventano una vera e propria band con l’aggiunta di Michael Rossetto al banjo, J.T.Bates alla batteria, James Buckley al basso e il chitarrista Jacob Hanson.

pines dark so gold

E con il quarto lavoro Dark So Gold (12) i ragazzi alzano l’asticella: a partire dall’ottima Cry Cry Crow, un brano che tanti osannati gruppi oggi non sanno più scrivere https://www.youtube.com/watch?v=3ZbcWxWCGqE , i dolci accordi di una strumentale Moonrise, Iowa, le note elettriche di un blues moderno in Rise Up And Be Lonely, una ballata dolceamara come Be There In Bells dove si rincorrono il piano e una slide guitar, fino ad arrivare al vivace folk -rock di una solare Chimes.

Adesso arriva sul nostro lettore questo Above The Prairie, e i Pines sono pronti a fare il botto, e per farlo si sono chiusi in sala d’incisione oltre ai due leader David Hulkfelt chitarra acustica e voce, e Benson Ramsey chitarre, tastiere e voce, il fratello Alex Ramsey al pianoforte e voce, di nuovo J.T.Bates alla batteria, James Buckley al basso, Jacob Hanson alle chitarre elettriche, Michael Rossetto al banjo, e una schiera di ospiti capitanati dal violinista Ray David Young (membro dei Trampled By Turtles), Tim Britton flauto e pipes, il compianto John Trudell (grande musicista nativo americano, poeta e attivista, scomparso da poco), Iris DeMent, e il non trascurabile apporto della famiglia Brown (Greg (padre), Pieta e Constie (figlie e sorelle), e per quanto riguarda la produzione la lascio indovinare a chi legge.

Come nei lavori precedenti le dieci tracce di Above The Prairie si suddividono in canzoni e brani strumentali, entrambi di notevole fattura. Il brano d’apertura Aerial Ocean si differenzia subito dalle altre canzoni, con una melodia che dà supporto alla voce del cantante su tematiche care a Mark Knopfler, a cui fanno seguito la bella There In Spirit dall’incedere “folkeggiante”, il primo brano strumentale del lavoro Lost Nation, con delle note che disegnano una musica da “paesaggi lunari”, e la ritmata Hanging From The Earth, dove il pianoforte di Alex si mescola con i battiti della batteria. Con Here arriva la perla del disco, con un intro lento del pianoforte, che poi nello sviluppo si tramuta quasi in un inno di stampo “celtico”, pezzo che vede il violino di Young svolazzare sulle armonie vocali della brava Iris DeMent e il resto della famiglia canterina di Greg Brown, mentre un bel vortice di suoni accompagna in tutto il suo percorso Where Something Wild Still Grows, passando poi ad una tenue e sussurrata Sleepy Hollow, che introduce il secondo brano strumentale Villisca, dove emerge la bravura di Britton alle cornamuse, e una “dylaniana” Come What Is dal suono indie-folk. L’album si chiude con un’epica ballata Time Dreams, che vede la partecipazione di John Trudell e dei suoi Quitman (probabilmente si tratta del suo testamento musicale, è morto il giorno 8 Dicembre dello scorso anno), con la splendida voce narrante di John che recita pensieri spirituali e profondi, “sopra la prateria”.

I Pines (il nome è inspirato a In The Pines , una canzone della tradizione folk degli Appalachi) con questo Above The Prairie, chiudono idealmente un percorso iniziato con Sparrows In The Bell e soprattutto Tremolo e Dark So Gold (quelli che li hanno fatti conoscere non solo al pubblico del Midwest). Il passaggio fondamentale è stato l’inserimento di altri strumenti, tra cui chitarra elettrica, basso e batteria, oltre all’uso determinante del pianoforte e violino, a completamento di testi fortemente introspettivi, che tendono a creare composizioni sicuramente eterogenee, magistralmente giocate sulle voci particolari di Ramsey e Huckfelt. In conclusione Above The Prairie è un ottimo disco, suonato e arrangiato benissimo, con una band assolutamente da scoprire e amare, e per chi scrive si tratta della seconda “rivelazione” di inizio anno, dopo l’album di Marlon Williams http://discoclub.myblog.it/2016/02/11/vecchio-nuovo-debutto-bollino-blu-marlon-williams-marlon-williams/ .

NDT: Ascoltando questi dischi ho mi è parso di cogliere anche qualche similitudine con gli ultimi lavori dei Lowlands dell’amico Ed Abbiati, e questo deve certamente suonare a favore di Ed e del suo gruppo, in quanto forse non è da tutti avere alle spalle la distribuzione di una etichetta piccola ma gloriosa come la Red House, e la produzione di “babbo” Bo.!

Tino Montanari

Il Ritorno dell’”Indiano Parlante”! John Trudell & Kwest – Through The Dust

john trudell through the dust

John Trudell & Kwest – Through The Dust – MA Records

Per chi non lo sapesse, il nome di John Trudell, una delle personalità più scomode (agitatore sociale, attivista politico, poeta, attore e musicista), apparse sulla scena statunitense da quarant’anni a questa parte, risuona nei corridoi del potere americano. Nato in Nebraska da padre di origine “Santee Sioux” e madre messicana, Trudell inizia a far parlare di sé sul finire degli anni ’60 quando prende parte  alla occupazione della prigione di Alcatraz, che poi porterà alla chiusura del famoso penitenziario. Nel ’73 diviene il portavoce ufficiale del Movimento Indiano Americano, affrontando diverse cause per i diritti civili del suo popolo. L’11 Febbraio 1979 accade il fatto che cambia la sua vita: John brucia la bandiera americana sui gradini del J.Edgar Hoover Building di Washington, in segno di protesta per il caso Leonard Peltier(ritenuto colpevole di aver ucciso due agenti federali nella riserva di Pine Ridge).

john trudell wife children

Dodici ore più tardi un incendio doloso distrugge la casa di Trudell, nella riserva di Duck Valley, in Nevada, dove perdono la vita sua moglie Tina Manning (che era incinta), i tre figli e la suocera. Nonostante il clamore che la vicenda suscita, l’FBI si rifiuta di aprire un’inchiesta sui fatti; pochi mesi più tardi è coinvolto nel famoso progetto antinucleare No Nukes (da cui è stato tratto uno splendido concerto), che vede impegnate varie star del pop e del rock, ed è li che stringe i contatti con il mondo musicale e in particolar modo con Jackson Browne, che circa dieci anni dopo assumerà il ruolo di produttore in alcune opere pubblicate da Trudell.

john trudell jackson brownejohn trudell aka graffiti

Il primo passo discografico è il buon debutto con Aka Graffitti Man (86), pubblicato inizialmente in cassetta, come il precedente esordio di Tribal Voice, dove Trudell riesce a unire la tradizione parlata degli Indiani D’America con una base sonora che ricorda Lou Reed e i Rolling Stones (il disco fu anche indicato da Bob Dylan come il migliore di quell’anno). Sempre negli anni ’80 e primi ‘90 pubblicò altri album, due ancora in collaborazione con Jesse Ed Davis,  grande chitarrista e pure lui indiano nativo, della tribù Kiowa. Nel 1992 AKA Graffiti Man uscì in CD, in versione espansa e rivisitata per la Rykodisc https://www.youtube.com/watch?v=JCs5wNM3-k4 . Non molto differente il seguente Johnny Damas And Me (94) https://www.youtube.com/watch?v=Uz7zgeOThYM , mentre il successivo Blue Indians (99) nuovamente prodotto da Jackson Browne, fa registrare una mutazione musicale più vicina al blues, con le percussioni in evidenza, tematiche che si ripetono in Bone Days (01) con la produzione esecutiva di Angelina Jolie, un lavoro ispirato, dai toni notturni e sofferti. Dopo una breve pausa arriva un disco dal vivo edito dalla Fargo Records Live At Fip (05) registrato negli studi di Radio France a Parigi qualche anno prima (più precisamente nel 2002), dove Trudell sfodera tutta la sua capacità di unire musica e poesia, fino ad arrivare al doppio album Madness & The Moremes (07) e Crazier Than Hell (10), passati quasi inosservati.

Through The Dust è il risultato affascinante di una collaborazione fra il nativo americano e il produttore svizzero Jonas “Kwest” Leuenberger, con l’apporto di musicisti di qualità, anche se poco conosciuti, che rispondono al nome di Jean Jacques all’ukelele, Dimitri Hefermehl alle tastiere, Marie Jeger alla viola, Jeb Bows al violino, per otto tracce (e venti minuti scarsi di musica) che caratterizzano la poesia di Trudell e la musica di Kwest, colmando il divario tra continenti, generazioni e stili: il disco è uscito questa primavera, ma essendo di non facile reperibilità è giunto sulle nostre scrivanie solo in questi giorni, e si vocifera di una edizione italiana con bonus tracks e traduzioni dei testi anche in virtù della partecipazione al Premio Tenco https://www.youtube.com/watch?v=pLm4BemQTjA, vi terreno informati.

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John alza il tiro fin dall’inizio con Becomes Apparent, suggestiva e ipnotica, con la voce recitante e le tastiere in sottofondo https://www.youtube.com/watch?v=lqx-58HXD7o , seguita dai rintocchi di un piano in Tears For Rain, con il violino di Bows ad accompagnare la melodia, come nell’altrettanto dura e simbolica Wilseed, ma Trudell può anche essere dolcissimo nei suoni, come nella grande ballata Rubbing Rough, passando anche attraverso suoni rarefatti e raffinati come Waiting Collapse e Keeping Dry Tomorrow https://www.youtube.com/watch?v=dUDf-vAJZlY , andando a chiudere con le note oscure e ossessive della title track Through The Dust, e l’elegia notturna di So So Sweet https://www.youtube.com/watch?v=27sW7IOaueA .

john trudell 2014 john trudell nuovo album

E’ un dato di fatto che la grandezza di John Trudell non è ancora stata riconosciuta, non tanto in termini di una consolidata notorietà, quanto di apprezzamento da parte di quella minoranza costituita da appassionati e addetti ai lavori, che vive la musica quotidianamente, e infatti questo Through The Dust ha in comune con l’attuale industria discografica, soltanto il compact disc su cui è inciso. Alla fine, la poesia di queste canzoni, comunica una serenità e una forza d’animo che fanno parte della storia e della cultura dei Nativi Americani, per la sorte di un popolo che attraverso la musica e le liriche di John Trudell, rimane sempre una spina nel fianco nelle stanze e nei corridoi del potere Americano. Un disco di grande valore, in tutti i sensi.

Tino Montanari

Un Altro Outsider di Lusso. Tom Pacheco – Luminol The Houston Sessions

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Tom Pacheco – Luminol The Houston Sessions – Tom Pacheco 2012

E’ piuttosto difficile pensare a Tom Pacheco come a qualcosa di diverso da una sorta di “icona” della canzone di autore americana. Figlio di un noto chitarrista jazz, il “nostro” ha iniziato la sua carriera nel periodo del folk revival statunitense, debuttando nell’ormai lontano 1965, quando aveva soltanto diciannove anni. Da allora, oltre ad aver suonato in gruppi dalla vita piuttosto breve, ha sfornato una ventina di lavori personali e prestato un  buon numero delle sue canzoni a nomi di prestigio come The Band, Jefferson Starship, Rick Danko, Richie Havens, al punto da venire considerato di grandezza pari a Butch Hancock, John Prine, Tom Russell, Ray Wylie Hubbard, anche se di fama minore.

Tom, grande narratore dall’animo sincero, instancabile girovago, portavoce autentico dei “losers” e del loro mondo, ha cantato di tutto e di tutti ( motociclisti, blues singers di strada, prigionieri, predicatori, pellirossa, veterani del Vietnam e femmine fatali), in un lungo e solitario viaggio musicale. Il CD in questione prodotto da Patty Sanders, è stato registrato come si desume dal titolo a Houston, e si avvale da una “squadra” di musicisti locali come Brian Kalenec alle chitarre, Mike Owen, Tony Sanders, Vern Miller al basso, Tim Sollok e Eric Parker alla batteria, Bill Ward e Karl Berger al pianoforte, Darrell Lacy al mandolino, Jeff Duncan al violino, e le sorelle Patty e Holly Sanders, Danette McMahon, e Tara Leigh a fare da supporto ai cori. Se non li conoscete non vi preoccupate perché neppure io li ho mai sentiti nominare, ma sono bravi!

Un’armonica introduce While We Looked The Other Way, una ballata in forma acustica cantata con voce narrante, mentre The Cumberland Robbery e Big Jim’s Honey sono prettamente in stile country. Segue una notevole ballata pianistica Late Night in a Strange Town, impostata in forma “dylaniana”, mentre You Tube è una canzoncina divertente e nulla più. Si ritorna alla ballata intimistica dal titolo lunghissimo in Are the Best Years Of Our Country Still Ahead Or Have They Gone?, cui fa seguito uno dei brani migliori del lavoro Blues in The Key of Mississippi, suonato appunto in stile “bluesy”. Texecution è un’altro brano country, mentre Solidarity ha una intro che mi ricorda lo stile della Band. On the Run è un’altra notevole ballata di grande atmosfera, sottolineata da cori e assoli di chitarra elettrica, mentre la seguente The girl with the Blue Guitar and the Black Beret (altro titolo chilometrico), è dignitosa. Suggestivo il declamato alla John Trudell  (che ha pubblicato un annetto fa un nuovo album ma non se ne è accorto nessuno, purtroppo) di The Plastic Bag from Wal-Mart, mentre la conclusiva A World Without America con il suono di un incantevole mandolino, è leggerissima e delicata.

Non è facile dire se questo sia uno dei migliori album di Tom Pacheco, la sua  discografia è troppo vasta per poterla conoscere interamente, ma sicuramente si tratta di un lavoro onesto, più che positivo, un musicista da conoscere da parte di chi sente per la prima volta il suo nome, da continuare a seguire da parte di chi gli è amico da tempo. Oggi Tom vive in Irlanda, dove pare aver trovato una quiete, una pace, un punto di riferimento dal quale è difficile prevedere un ulteriore distacco. Consigliato vivamente a tutti gli amanti dei cantautori di vaglia, più che sufficiente per dargli un meritevole ascolto

Tino Montanari.

Jackie Leven Words And Music, Fine Della “Strada Gotica”. Wayside Shrines And The Code Of The Travelling Man

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Jackie Leven and Michael Cosgrave – Wayside Shrines and The Code of Travelling Man
Cooking Vinyl  Records 2011

Purtroppo quello che mi accingo a recensire è il testamento musicale del “Grande Scozzese” Jackie Leven, scomparso Lunedì 14 Novembre per un male incurabile. Due brevi note sul personaggio serviranno a delineare meglio la personalità: nato a Fife in Scozia nel 1950 da una famiglia rom, Jackie fin da ragazzo fu attratto dalla musica e dopo aver militato in band locali, raggiunse il successo verso la fine degli anni Settanta con i Doll By Doll.

Dopo lo scioglimento del gruppo di cui era il “leader” indiscusso, segue un lungo e travagliato percorso, costeggiato da tragedie sentimentali e fisiche (grossi problemi con le droghe) che lo hanno allontanato dal mondo musicale e da quello reale. Il “nostro” abbandonando la tentacolare Londra, si è ritirato nel Nord dell’Inghilterra in un piccolo paese di pescatori Argyll e aiutato dalla saggezza della comunità locale nell’affrontare la vita, con la calda umanità che vi gravitava attorno, Jackie ha ripreso il suo percorso umano.

In una carriera che si estende oltre i quarant’anni, partendo dall’esordio Control del 1971 (ma pubblicato nel 1975 con lo preudonimo di John St. Field),disseminando capolavori assoluti quali Mystery of Love Is Greater than the Mystery of Death(classificato dalla rivista “Q” come uno dei 100 migliori album di tutti i tempi), Leven sforna una immensa discografia, registrando sempre sotto il marchio della storica e fidata Cooking Vinyl inglese, ma indulge anche in autoproduzioni messe in vendita ai concerti o via Internet.

Se le vendite non sempre hanno rispecchiato l’accoglienza positiva della critica, Jackie è comunque stato un autore superbo dalla vena epica e romantica, nei suoi brani ci sono echi del folklore “anglosassone”, l’uso delle campane in sottofondo, i recitativi dosati con cura su un tappeto sonoro ricco e artigianale che accomuna musica e poesia, e il suo ultimo lavoro fatto con il multi-strumentista Michael Cosgrave, è l’ennesima prova del talento di Leven e della  sua inesauribile creatività.

L’apertura del disco Swine Flu Fever Blues h462yQ8oCBw mette subito in risalto  uno dei suoi punti di forza, la voce dalla timbrica particolare, ammaliante come nella seguente To Live and Die in Levenland, una filastrocca dai sapori antichi, con un organo da chiesa a chiudere il brano. Deep Purple Cloak e Beware Soul Brother sono magnifiche ballate cantate con la voce calda e intensa del protagonista. Un arpeggio delicato di chitarra introduce Spooky Berlin Hotel Song,  cui fa seguito una Townes at The Borderline dove la bravura di Cosgrave dà alla canzone una meritata annotazione intimistica. The Kirkcaldy Book of the Dead tipica ballata “leveniana”,  dove la voce accompagna delicatamente un armonia che rende piacevole e coinvolgente l’ascolto. Con la breve ma splendida Dagenham Dream in cui Jackie con la sola chitarra fa vibrare i cuori si raggiunge il livello “poetico” più alto del lavoro, seguito da un brano “recitato” (non poteva mancare) A Kiss on The Cheek in perfetto stile John Trudell. Un rumore di onde introduce una Backstage, Chelsea Club, Vienna, ballata pianistica, che chiude un CD toccante e di rara bellezza.

Tra i fattori positivi per i quali vi consiglio l’acquisto di questo “compact”, segnalerei senza  dubbio la grande tonalità vocale di Leven che i suoi “fans” conoscono perfettamente, unita certamente ai testi, un altro fattore fondamentale della bellezza delle sue composizioni. Artista di culto che avrebbe meritato maggior fortuna, che lascia una sterminata produzione discografica con più di 400 canzoni, e il rimpianto di chi lo ha veramente amato. Due birre Jackie, offro io. Riposa in pace.!

Tino Montanari

P.S.

Una piccola aggiunta. Il “nostro” Andrea Parodi aveva cantato la sua versione di Single Father, questo è il brano:

E qui trovate il suo ultimo “bootleg” gEd-t7jrJJU.

Bruno Conti