Nuovo Anno, Nuovi Cofanetti. 1. True To The Blues: The Johnny Winter Story

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Johnny Winter – True To The Blues: The Johnny Winter Story – 4 CD Columbia/ Legacy – 25-02-2014

Riprendiamo il giro delle Anticipazioni sulle uscite in Box Set del 2014. Quando non ho pronti altri Post o ci sono problemi di connessione con il Blog (tipo oggi), vado a recuperare le notizie che preparo e poi archivio per essere utilizzate, di volta in volta.

Come per Michael  Bloomfield, la Sony, nella sue serie Legacy, pubblicherà un cofanetto quadruplo dedicato al grande chitarrista albino Texano. L’uscita è prevista per il 25 febbraio p.v. (il giorno prima del mio compleanno, mi è venuta così) e conterrà 57 tracce estratte da 27 differenti album che coprono tutto l’arco della carriera di Johnny Winter, con 2 inediti assoluti e parecchi brani “rari”, comprese collaborazioni con altri artisti. Questa è la lista completa dei contenuti:

CD 1

  1. Bad Luck and Trouble
  2. Mean Town Blues
  3. Mike Bloomfield’s Introduction Of Johnny Winter (Live)
  4. It’s My Own Fault (Live)
  5. I’m Yours And I’m Hers
  6. Mean Mistreater (with Willie Dixon and Walter “Shakey” Horton)
  7. Dallas
  8. Be Careful With A Fool
  9. Leland Mississippi Blues (Live)
  10. Memory Pain
  11. Highway 61 Revisited
  12. Miss Ann
  13. Hustled Down In Texas
  14. Black Cat Bone (Live)
  15. Johnny B. Goode (Live)

CD 2

  1. Eyesight to the Blind (previously unreleased, live at Atlanta Pop Festival, 1970)
  2. Johnny Winter’s Intro (live at Atlanta Pop Festival, 1970)
  3. Prodigal Son (previously unreleased, live at Atlanta Pop Festival, 1970)
  4. Mean Mistreater (Live)
  5. Rock And Roll Hoochie Koo
  6. Guess I’ll Go Away
  7. On The Limb
  8. It’s My Own Fault (Live)
  9. Jumpin’ Jack Flash (Live)
  10. Good Morning Little School Girl (Live)
  11. Mean Town Blues (Live)

CD 3

  1. Still Alive and Well
  2. Rock Me Baby
  3. Rock & Roll
  4. Rollin’ ’Cross The Country
  5. Hurtin’ So Bad
  6. Bad Luck Situation
  7. Self Destructive Blues
  8. Sweet Papa John
  9. Rock & Roll People
  10. Harlem Shuffle (Live with Edgar Winter)
  11. Bony Moronie (Live)
  12. Roll With Me (Live)
  13. Tired Of Tryin’
  14. TV Mama
  15. Walkin’ Thru The Park (with Muddy Waters and James Cotton)
  16. I Done Got Over It (live, with Muddy Waters and James Cotton)

CD 4

  1. One Step at a Time
  2. Honest I Do
  3. Nickel Blues
  4. Talk Is Cheap
  5. Wolf in Sheep’s Clothing
  6. Bon Ton Roulet
  7. Don’t Take Advantage of Me
  8. Master Mechanic
  9. Mojo Boogie
  10. Stranger Blues (Live)
  11. Illustrated Man (with Dr. John)
  12. Hard Way
  13. Highway 61 Revisited (Live)
  14. Maybelline (featuring Vince Gill)
  15. Dust My Broom (featuring Derek Trucks)

CD 1, Tracks 1-2 from The Progressive Blues Experiment (Liberty LP-12431, recorded 1968, released 1969)
CD 1, Tracks 3-4 from Fillmore East: The Lost Concert Tapes 12/13/68 (Columbia/Legacy 85278, recorded 1968, released 2003)
CD 1, Tracks 5-8 from Johnny Winter (Columbia 9826, recorded and released 1969)
CD 1, Track 9 from The Woodstock Experience (Columbia/Legacy 88697 48244 2, recorded 1969, released 2009)
CD 1, Tracks 10-13 from Second Winter (Columbia 9947, recorded and released 1969)
CD 1, Tracks 14-15 from Second Winter: Legacy Edition (Columbia/Legacy 85735, recorded 1970 at The Royal Albert Hall, London, released 2004)
CD 2, Tracks 1 & 3 previously unreleased, recorded July 5, 1970 at Atlanta Pop Festival, outtakes from The First Great Rock Festivals of the Seventies – Isle of Wight/Atlanta Pop
CD 2, Tracks 2 & 4 from The First Great Rock Festivals Of The Seventies – Isle of Wight/Atlanta Pop (Columbia 30805, recorded July 5, 1970, at Middle Georgia Raceway, Byron, GA, released 1971)
CD 2, Tracks 5-7 from Johnny Winter And (Columbia 30221, recorded and released 1970)
CD 2, Tracks 8-9 from Johnny Winter And/Live (Columbia 30475, recorded 1970 at Pirate’s World, Dania, FL, released 1971)
CD 2, Tracks 10-11 from Live At The Fillmore East 10/3/70 (Collectors’ Choice 60002, recorded 1970, released 2010)
CD 3, Tracks 1-3 from Still Alive And Well (Columbia 32188, recorded and released 1973)
CD 3, Tracks 4-6 from Saints & Sinners (Columbia 32715, recorded 1974, released 1975)
CD 3, Tracks 7-9 from John Dawson Winter III (Blue Sky 33292, recorded and released 1974)
CD 3, Track 10 from Together (Blue Sky 34033, recorded 1975 at Swing Auditorium, San Bernardino, CA, released 1976)
CD 3, Tracks 11-12 from Captured Live! (Blue Sky 33944, recorded 1976 at San Diego Sports Arena and Oakland Coliseum, released 1976)
CD 3, Tracks 13-15 from Nothin’ But The Blues (Blue Sky 34813, recorded and released 1977)
CD 3, Track 16 from Breakin’ It Up, Breakin’ It Down (Columbia/Legacy 88697 07283 2, recorded 1977 at Masonic Temple Theatre, Detroit, released 2007)
CD 4, Tracks 1-3 from White, Hot & Blue (Blue Sky 35475, recorded and released 1978)
CD 4, Tracks 4-6 from Raisin’ Cain (Blue Sky 36343, recorded 1979, released 1980)
CD 4, Track 7 from Guitar Slinger (Alligator 4735, recorded and released 1984)
CD 4, Track 8 from Serious Business (Alligator 4742, recorded and released 1985)
CD 4, Track 9 from 3rd Degree (Alligator 4748, recorded and released 1986)
CD 4, Track 10 from Live Bootleg Series Vol. 3 (Friday Music 1085, recorded late 1980s, released 2008)
CD 4, Track 11 from Let Me In (Pointblank 91744-2, recorded and released 1991)
CD 4, Track 12 from Hey, Where’s Your Brother? (Pointblank 0777 7 86512 2 2, rec. and rel. 1992)
CD 4, Track 13 from Bob Dylan – The 30th Anniversary Concert Celebration (Columbia 53230, recorded 1992 at Madison Square Garden, released 1993)
CD 4, Tracks 14-15 from Roots (Megaforce 1603, recorded and released 2011)

Il prezzo, indicativamente, dovrebbe essere inferiore a i 50 euro.

Visti i problemi con il collegamento, vi lascio, ci sentiamo nei prossimi giorni.

Bruno Conti

Un Altro!?! Johnny Winter – Live Bootleg Series Vol.10

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Johnny Winter – Live Bootleg Series Vol.10 – Friday Night

Ebbene sì, un altro, è il secondo del 2013 e il decimo pubblicato dalla Friday Music dal 2007 ad oggi (qui trovate quello che ho scritto sull’argomento nel Blog e altro http://discoclub.myblog.it/?s=johnny+winter+bootleg+series+9&submit=Cerca). Non male come media, considerando che la serie dedicata a Dylan, che pubblica anche materiale di studio, per amor di Dio, e pure confezioni multiple, però è arrivata a 10 volumi in 22 anni dall’uscita del primo, nel lontano 1991, che raccoglieva pure i primi tre capitoli in unica confezione. Il materiale è sempre interessante, Johnny Winter dal vivo non tradisce mai, si ripete pochissimo nella scelta dei pezzi, ma viceversa non sempre la qualità sonora è eccelsa, ok di Live Bootleg Series si tratta, ma ci sono Bootleg e bootleg, alcuni sono registrati dal mixer, quindi soundboard quality, ma non è matematico, questa volta i 6 brani sono tutti piuttosto buoni, ma non sempre nei precedenti volumi è stato così. Poi il fatto di non sapere di che anno sono le registrazioni, chi ci suona, in che località si è tenuto il concerto, non è molto professionale.

Si presume che il materiale provenga, più o meno, dal lasso di tempo che va dal periodo fine anni ’70 agli inizi anni ’90, ogni tanto era riportato che il bassista fosse Jon Paris, che ha suonato spesso con lui in quella decade, ma per deduzione non come fatto certo. Bontà loro, almeno vengono indicati i titoli dei brani contenuti nei CD, in qualche volume c’è anche una breve presentazione che rimane abbastanza sul vago, nel caso del volume 10 porta la firma di Tom Guerra, musicista di Vintage Guitar Magazine, due o tre numeri fa c’era una breve prefazione di Warren Haynes. Tutti giustamente a cantare le lodi di uno dei più grandi chitarristi blues (e non solo) bianchi degli ultimi 50 anni. Però le cose migliori d’archivio dal vivo non sono uscite in questa serie: penso al fantastico Live At Fillmore East 10/3/70 o all’ottimo Woodstock Experience con la registrazione completa della sua partecipazione al celebre Festival, ma anche l’eccellente Rockpalast del 1979, uscito sia in CD che DVD, che coincide in molti casi con quello del presente CD.

Comunque “accontentiamoci”, perché ci va comunque di lusso: questa volta troviamo, forse per il periodo in cui viene pubblicato il dischetto, una inconsueta Please Come Home For Christmas che predispone al periodo festivo http://www.youtube.com/watch?v=N1pkLRRZGTE, ancorché non sia una versione straordinaria, senza brillare è comunque una piacevole canzone. Gagliarda è la versione di Suzie Q, il celeberrimo brano di Dale Hawkins, che tutti ricordano nella versione dei Creedence e che Winter interpreta in quello spirito bayou-rock, con voce sicura e chitarra tagliante. Notevole è la versione di un piccolo classico del blues, Diving Duck Blues, un brano di Sleepy John Estes fatto alla Johnny Winter, con la sezione ritmica libera di improvvisare e la chitarra dell’albino texano in vena di torrernziali equilibrismi sonori di alta scuola, con qualche deriva hendrixiana, un brano che vale il prezzo d’ammissione quasi di solo. Love her with a feeling è il classico slow blues che non può mancare in un concerto del nostro http://www.youtube.com/watch?v=PPCOc0k3Obc, un brano di Lowell Fulsom che trasuda feeling ad ogni nota e che illustra ancora una volta quella scuola texana che negli anni a seguire avrebbe prodotto anche il grande Stevie Ray Vaughan, fa capolino anche una armonica che non è dato di sapere da chi sia suonata.

One Step At A Time è l’unico brano a firma di Winter e proviene dall’album del 1978, White, Hot & Blue, lo stesso che conteneva anche Divin’ Duck e quindi ci fa ritenere che il concerto venga proprio da quella epoca, un brano nel classico Chicago Blues Style di Winter di quegli anni, gli stessi in cui produceva il grande Muddy Waters per la sua etichetta Blue Sky. A questo punto potrei azzardare che l’armonicista presente in modo più che evidente anche in questa canzone sia Pat Ramsey, che appariva nel disco in studio. E per creare un ulteriore collegamento con l’opera del grande Muddy l’ultimo brano presente in questo CD (canzone natalizia già citata a parte) è una versione ricca di elettricità di Catfish Blues, pezzo che si ricorda anche nelle esperte mani dell’altrettanto grande Jimi Hendrix, al quale la versione di Johnny si può tranquillamente accostare. E se non ho ascoltato male mi pare che la proverbiale slide di Winter non faccia mai la sua apparizione in questo capitolo 10, che rimane comunque un signor disco per gli appassionati di blues e di Winter in particolare.

Bruno Conti

Manca Una Gamba, Ma Il “Cuore” C’è Sempre! Leslie West – Still Climbing

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Leslie West – Still Climbing – Mascot/Provogue/Edel 29-10-2013

Come sosteneva il noto medico chirurgo e “canzonettista” milanese Enzo Jannacci –  La televisiun la g’ha na forsa de leun – anche se  poi, ironicamente, faceva rima con cuiun: anche la musica ha una forza da leone, e Leslie West, dopo l’amputazione sostenuta nel 2011, a seguito delle complicazioni di un diabete mal curato, torna, più forte che mai, con questo nuovo album, Still Climbing, il secondo del nuovo ciclo, dopo Unusual Suspects, e che cita, fin dal titolo, il primo album del gruppo che ha fatto la fortuna del newyorkese Leslie Weinstein, i Mountain. E il buon vecchio Leslie, 68 anni quest’anno, quella montagna non ha mai cessato di scalarla. La sua carriera era iniziata con il garage psichedelico dei Vagrants, celebrato anche da Lenny Kaye nel primo Nuggets, dove era contenuta una versione gagliarda di Respect del grande Otis.

I Mountain di West e del grande Felix Pappalardi  sono state una delle migliori band rock-blues, sin dal loro esordio a Woodstock nel 1969 e poi con una serie di album notevoli nella prima metà degli anni ’70, tuttora in attività sino ai giorni nostri, anche se Pappalardi non c’è più, ucciso a colpi di rivoltella, per gelosia, dalla moglie Gail. Sull’argomento, ricordando con affetto il vecchio pard, West ha detto scherzando, che, nel 2009, in occasione dei 40 anni da Woodstock, ha preferito sposare sul palco, quella era che la sua compagna, per evitare future sorprese. Tornando all’album, anche questo disco, come il precedente, si avvale della presenza di vari ospiti. In Unusual Suspects c’erano Billy Gibbons, Zakk Wylde, Slash, Steve Lukather e Joe Bonamassa, per questo Still Climbing il parterre è meno ricco ma qualche nome di prestigio c’è, li vediamo mano a mano.

Come nel precedente, molti dei testi dei brani sono firmati dalla moglie Jennifer, con l’aggiunta di una buona scelta di cover e riprese di vecchi classici: l’apertura, uno dei brani più duri della raccolta, è Dyin’ Since The Day I Was Born, che lo vede affiancato da Mark Tremonti, l’attuale chitarrista degli Alter Bridge e prima dei Creed, per una cavalcata tra hard e light metal, dove West sfoggia una voce che è di nuovo simile al ruggito (parlando di leoni) che aveva ai tempi d’oro, dopo che negli ultimi anni, per i noti problemi di salute, dovuti ad anni di bagordi, ha smesso di fumare. Il secondo brano è una delle piacevoli sorprese di questo CD, che non è sicuramente un capolavoro ma si lascia ascoltare piacevolmente senza inutili lungaggini ed eccessi chitarristici come ai tempi di Nantucket Sleighride, il brano si chiama Busted, Disgusted Or Dead, ed è una poderosa cavalcata nel blues, con un duello a colpi di slide con il vecchio compagno di avventura, Johnny Winter, poco più di 3 minuti, il minimo sindacale, ma che grinta, ragazzi. Fade Into You addirittura si apre su una serie di arpeggi di Leslie all’acustica, ma non temete è questioni di attimi, si riprende subito a picchiare a tempo di rock, in questa hard ballad dove anche le tastiere, oltre all’immancabile solista del titolare hanno il giusto spazio, insieme ad una vena melodica che è sempre stata presente nel DNA del musicista americana sin dai tempi della sublime Theme From An Imaginary Western, non siamo a quei livelli, e ci mancherebbe, ma ci si difende.

Not Over You At All è ancora classico Power trio rock, anche se bisognerebbe dire quartet, visto che c’è l’inconsueta presenza di un sax a duettare con la chitarra di West. Anche Tales Of Woe vede la presenza di una chitarra acustica che si riverbera sull’elettrica in questo brano dall’atmosfera più raccolta e ricercata, comunque nelle corde del gigante americano, mentre il rock ritorna cattivo in una cadenzata Feeling Good introdotta da piano e organo e che poi si trasforma in un duetto (non malvagio) con Dee Snider, il frontman dei Twisted Sister, che non sarebbe proprio una mia prima scelta, potendo, ma forse sono rapporti di buon vicinato tra vecchi newyorkesi. Hatfield & McCoy è un altro dei brani migliori del CD, un brano a guida slide che ricorda molto il classico southern anni ’70, un genere poco frequentato nel passato ma che in questo caso rende bene. Ancora più indietro risale la passionaccia per il classic soul, con una cover dell’immortale When A man Loves A Woman (Percy Sledge & Otis Redding), un bel duetto con un ruspante Johnny Lang, di nuovo in forma, dopo le titubanze dell’ultimo album. Anche meglio la ripresa di Long Red, un brano che si trovava nel primissimo Leslie West Mountain, e che se è stata ripresa anche da uno come Christy Moore, un fascino deve averlo avuto e risentita oggi, in un bell’arrangiamento che dà ampio spazio all’organo Hammond (come in molti brani del disco peraltro), conferma il valore del disco. Manca una gamba, ma non la classe.                     

Bruno Conti  

Ma Allora E’ Un Vizio! Johnny Winter – Live Bootleg Series Volume 9

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Johnny Winter – Live Bootleg Series Vol.9 –Friday Music

Ormai le uscite discografiche relative a Johnny Winter sono inarrestabili, praticamente non passa mese che non esca qualcosa di nuovo. In particolare le Bootleg Series di Winter hanno raggiunto, con questo titolo, il nono volume, pareggiando il numero di quelle di Bob Dylan (di cui è peraltro atteso, a breve, il decimo titolo), ma in un arco di tempo molto più ristretto. Il grande Bob ha ottenuto questo risultato in 22 anni, considerando che i primi tre dischi erano raccolti in unico cofanetto, mentre quelli di Johnny sono usciti in soli 6 anni, dal 2007 al 2013, attingendo unicamente da materiale dal vivo, da qui il titolo Live Bootleg Series.

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Ormai è difficile dire qualcosa di nuovo su Johnny Winter, potrei dirvi alcune cose “vecchie”: l’ultima volta che ho controllato stazionava al numero 63 nella classifica di Rolling Stone dei 100 Più Grandi Chitarristi Di Tutti I Tempi, posizione più che meritata, magari anche qualche posizione più in alto e potrei aggiungere che oltre alla miriade di uscite più o meno ufficiali, ristampe delle ristampe e quant’altro, di recente la Sony nella sua benemerita serie The Essential, gli ha dedicato il solito doppio CD che raccoglie il meglio della sua produzione nel periodo 1969-1980, imperdibile per chi non ha nulla e che va ad aggiungersi all’altra raccolta Setlist: The Very Best Of Johnny Winter Live, uscita lo scorso anno e ai vari boxettini della serie Original Album Classics, per chi vuole esplorare il suo repertorio su Columbia/Blue Sky/Epic. Non sono mancate ristampe, più o meno potenziate, dei suoi album classici, ma manca un cofanetto “definitivo” dedicato all’albino di Beaumont, Texas. Speriamo che si possa rimediare al più presto e non ridurci all’omaggio postumo, viste le condizioni diciamo non floride della sua salute.

Ma veniamo a questo nuovo capitolo estratto dai suoi archivi personali: Paul Nelson è come al solito il produttore esecutivo, mentre nei credits, come d’uso ricchissimi (c’è dell’ironia!), del CD, è riportato Johnny Winter, Vocals, Guitars, e arrivederci e grazie. Niente nomi degli altri musicisti utilizzati, date di registrazione, è già tanto se appaiono i titoli dei brani, va bene che si parla di Bootleg, ma non prendiamo il termine troppo alla lettera. Anche se nel libretto le note sono curate da un altro che se ne intende di chitarre, slide in particolare, l’ottimo Sonny Landreth.

Rimane la musica, e non è poco. Sono sette brani, compresa una breve introduzione: si parte con una lunga, una decina di minuti, versione alternativa di Hideaway, il classico di Freddie King, torrenziale e di grande impatto, anche se la qualità, uhm, è da bootleg discreto. Segue un altro classico, suo, Mean Town Blues, a velocità da boogie supersonico e con una qualità sonora decisamente superiore, anche se la voce è un po’ in cantina, però l’esecuzione, specie nell’assolo centrale, è di quelle da manuale. 44 Blues, di Roosevelt Sykes, è di uno dei suoi preferiti, sia l’autore che il brano, breve e raccolta nell’esecuzione ma assai sentita, con un sound quasi alla Canned Heat, altri bianchi che hanno saputo sviscerare il blues come pochi, sembrerebbe essere una registrazione più vecchia ma è difficile capire.

You Done Lost Your Good Thing Now è di un altro dei suoi autori preferiti, B.B King, e si tratta di un classico slow blues che Johnny Winter eseguiva sin dai tempi di Woodstock, ottima versione, anche la voce è in grande spolvero. It’s My Life Now, inconsueta nel repertorio di Winter, viene dal sodale di BB King, Bobby “Blue” Bland, peccato per la qualità, nuovamente da bootleg, e neanche di quelli eccelsi. La conclusione è dedicata all’amatissimo Jimi Hendrix di cui Johnny riprende una tiratissima Manic Depression, versione lunga e ricca di fuochi di artificio chitarristico, audio accettabile.

Quindi le solite luci e ombre di questa “serie”, qualità ballerina dell’audio, con alti e bassi, ma ottima consistenza della musica, speriamo non diventi un vizio. Come al solito, “trippa per gatti” per gli appassionati!

Bruno Conti

Italiani D’America E Di Quelli Bravi! Jimmy Vivino & The Black Italians – 13 Live

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Jimmy Vivino & The Black Italians – 13 Live – Blind Pig Records

Questo disco di Jimmy Vivino si potrebbe definire un album del filone rock & soul revue, se esistesse, nel caso lo inventiamo: sapete, quei gruppi misti, di neri e bianchi, che girano per l’America portando il loro carico di canzoni più o meno celebri, originali e cover, eseguite da ensemble di musicisti piuttosto numerosi, nove complessivamente nel caso dei Black Italians, ma ce ne sono o ce ne sono stati di più numerosi, per esempio la Rock and Soul Revue di Donald Fagen (e Vivino c’era) che aveva un gruppo di musicisti fissi e guests che ruotavano a seconda delle occasioni (Libby Titus, Phoebe Snow, Eddie Brigati, Charles Brown, Michael McDonald e Boz Scaggs), questi due ultimi presenti anche nella nuova avventura  dei Dukes Of September.

Ma la formula si può applicare anche ai classici Blues Brothers o ad Al Kooper con i Rekooperators (sempre con Vivino che ha anche “ereditato” il gruppo), in Europa mi vengono in mente i Commitments, ma ce ne sono a iosa, persino le compagnie che portano in giro certi tipi di musical potrebbero rientrare nel genere, Sister Act in un ambito gospel per esempio, indovinate chi era il direttore musicale per i due film? Esatto! Sempre Vivino. Al Kooper (tra gli “inventori” della formula, rock, jazz e soul in un tutt’uno, con i suoi Blood, Sweat & Tears) è stato il suo mentore, ma Jimmy era presente anche nel live dell’89 di Laura Nyro At The Bottom Line o nel disco come Killer Joe di Max Weinberg, in cui era chitarrista e produttore.

Il sodalizio tra i due poi è proseguito negli anni, perché la vera mente musicale nella house band del Late Night With Conan O’Brien è sempre stata il buon Jimmy, che anche in questo caso ha poi ereditato il posto. Il musicista del New Jersey ha suonato tutti i generi, blues con Odetta, Louisiana Red, Shemekia Copeland,  rock con Willie Nile (in Live From The Streets Of New York) ma anche con i Gov’t Mule, con grandi cantanti come Phoebe Snow, Bette Midler, Cissy Houston, John Sebastian (non sapevo fosse italiano pure lui, John Sebastian penso Pugliese, anche se Vivino nelle note, lo storpia senza la i, ma quando racconta con orgoglio del figlio che ordina, e qui scrivo come è riportato nel libretto “ oreganatta, strachetella e veal scalloppini” ?!?, non si può dai!).

Tuttavia quando si arriva alla musica questo signore ci sa fare come pochi: la sua discografia riporta solo un altro album a suo nome, Do What Now? del 1997, proprio con i citati Rekooperators, ma questo 13 Live, registrato dal vivo nei famosi Levon Helm Studios di Woodstock, davanti ad un pubblico ad inviti, è un gioiellino! Si parte con la travolgente Fat Man, un brano di Derrick Morgan (un giamaicano che era l’anello mancante tra il soul e il reggae) che qui sembra una canzone dei Little Feat registrata in quel di New Orleans, con la slide di Vivino, l’armonica di Felix Cabrera e le tastiere di Danny Louis subito a dettare i tempi, mentre tutta la band, con il batterista James Wormworth e un terzetto di percussionisti fantastici che dà una scansione ritmica latina formidabile al sound. Poi il blues eccellente di Soulful Dress con la voce nerissima di Catherine Russell a guidare le danze e la chitarra del leader sempre tagliente (ricorda in tutto il disco il “sound” di Robbie Robertson)  a farsi largo nel denso magma sonoro dei Black Italians, con Cabrera che alterna il suo lavoro all’armonica a quello come voce solista, che divide con la Russel e Vivino.

La prima cover di Dylan è una tiratissima From A Buick 6, che in quegli studi in passato deve essere risuonata spesso! Fast Life Rider è un brano di Johnny Winter che sembra una outtake da Live At Fillmore East degli Allman, con tutti i percussionisti in overdrive e la slide che viaggia che è un piacere. Fool’s Gold porta la firma di Vivino ma potrebbe essere uno slow blues di quelli che Al Kooper scriveva ai tempi della Super Session o prima e Catherine Russell la canta con una voce che è una via di mezzo tra Etta James e Randy Crawford e anche Heaven In A Pontiac se non riportasse come autore James Vivino potrebbe essere un pezzo R&R di Chuck Berry mentre Animalism di Cabrera potrebbe essere un omaggio ai War di Eric Burdon, Light Up Or Leave Me Alone era un brano di Jim Capaldi per i Traffic e questa formazione a forte trazione ritmica gli rende piena giustizia. Ottimo anche lo scatenato funky What I Have To Do di James Brown per Marva Whitney, con la Russell e il trombone di Danny Louis sugli scudi. Il ritmo indolente di Miss Mona, di nuovo i Feat nella Crescent City e poi il trittico finale di Maggie’s Farm, ancora un Dylan assai ritmato, una Song For Levon molto sentita e la cover di Shape I’m In della Band. Un disco inaspettato ma che regala buone vibrazioni!                 

Bruno Conti   

L’Arte Della Slide Guitar! Ron Hacker – Live In San Francisco

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Ron Hacker – Live In San Francisco – Ronhacker.com

Quando, circa un anno e mezzo, parlavo del precedente disco di Ron Hacker, (bravi-ma-sconosciuti-ron-hacker-and-the-hacksaws-filthy-anim.html), in termini più che lusinghieri, tra le cose dette, una, scontata, ma non per questo meno vera, era che sarebbe stato bello se il nostro amico avesse registrato un bel album dal vivo (si dice sempre, sarà scontato, ma per certi tipi di performers, è la pura verità), magari al Saloon, che era il locale dove Hacker era solito esibirsi, Non è passato neppure un anno, e tac, registrato il 30 novembre del 2011, ma pubblicato oggi, esce questo Live In San Francisco, non al Saloon ma al Biscuits And Blues, che a giudicare dal rumore di ambiente e da quello del pubblico, che si percepisce dal CD, a occhio (e a orecchio), deve essere una venue dove possono entrare poche decine di persone, ma non è il numero che fa la qualità.

Non posso che confermare quanto di buono detto su Ron Hacker, che è sicuramente uno dei migliori nell’arte della slide e che dal suo strumento estrae ogni stilla possibile di blues, potente e ad alta densità, degno dei migliori Johnny Winter, John Campbell, o Ry Cooder annate con Taj Mahal , già citati in passato e qui ribaditi, con il più lo spirito dei grandi bluesmen, da John Lee Hooker e Elmore James passando per Willie Dixon, Sleepy John Estes (pard del suo “maestro” Yank Rachell), Son House e in generale di tutti i grandi che vengono rivisitati nel vorticoso stile di Hacker.

Quello che si ascolta in questo album è del Blues di grande energia, nulla di nuovo ma eseguito con una forza, una grinta e una maestria che dividono il grande disco dal compitino eseguito con poca voglia. Siamo quindi di fronte ad un album di blues elettrico, molto “carico”, ma sempre all’interno dei parametri delle classiche 12 battute e che sfiora il rock-blues senza mai varcarne completamente i confini labili. E comunque è un bel sentire. Dai primi secondi di Ax Sweet Mama, un brano appunto di Estes, che apre il concerto con un bottleneck solitario e la voce di Ron Hacker, capisci subito di trovarti di fronte a qualcuno che conosce a fondo la materia, la vive fin nelle pieghe più recondite e la riversa sul pubblico in un torrente di note (il brano, se la memoria non mi difetta è conosciuto anche come Sloppy Drunk). Il basso pulsante di Steve Ehrmann e la batteria di Ronnie Smith innestano i ritmi classici che stimolano la creatività di Hacker, che prende subito di petto una versione cattiva di Meet Me In The Bottom, un brano di Willie Dixon per Howlin’ Wolf, che però come in molte storie del blues, potrebbe essere anche Down In The Bottom, che facevano anche gli Stones, che a sua volta era una bastardizzazione di Lawdy Mama, con testo e musica riveduti e corretti, ma nel blues funziona così e nessuno si offende (per la verità il buon Willie un poco si era incazzato con Page e Plant, ai tempi), per non sbagliare Ron ci dà dentro alla grande. Poi si accelera a tempo di boogie, per uno sfolgorante medley tra Baby Please Don’t Go e Statesboro Blues, suonati come Dio comanda e che si innestano uno dentro all’altro come un coltello nel burro. Welfare Store è un vecchio classico di Sonny Boy Williamson, lento e cadenzato con chitarra e voce che scandiscono le note come se ne andasse della vita dell’interprete, che aggiorna il testo del brano al presidente Obama (che è perfetto perché fa rima con mama) e ai giorni nostri.

My Bad Boy è un brano originale scritto dallo stesso Hacker e dedicato al figlio quando questi aveva 18 anni (ora ne ha 40 e Ron ne compirà 68 quest’anno), e il risultato non sfigura con i classici fin qui sfornati, ma Death Letter di Son House è sempre un gran brano e questa versione è veramente gagliarda, con la slide che viaggia rapida e tagliente. Uno dei maestri dello stile, forse l’inventore, è stato il grandissimo Elmore James, di cui viene riproposta It Hurts Me Too, una delle più belle canzoni mai scritte (e suonate) nell’ambito Blues. Two Timin’ Woman, strepitosa, a livello di boogie, potrebbe dare dei punti a Winter, Thorogood e forse anche a Hound Dog Taylor e anche il match con Johnny Winter nella “sua” Leavin’ Blues, potrebbe finire in un bel pareggio. Per concludere la serata (e il disco) in bellezza, un bel brano di John Lee Hooker come House Rent Blues ci sta proprio a pennello. Tra l’altro Hacker racconta che in una serata con Roy Rogers gli capitò di suonare il brano proprio di fronte al suo autore, ottenendo da quel vocione inconfondibile un responso positivo, che è come avere la laurea honoris causa e anche noi gliene conferiamo con piacere una, in Blues, che non rimanga un segreto!

Bruno Conti

Ho Come L’Impressione Che Mitt Romney Non Gli Piaccia (E Neanche Al Suo Cane)! Ry Cooder – Election Special

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Ry Cooder – Election Special – Nonesuch/Warner 21-08-2012

Questo Election Special è solo il suo 16° disco da solista, in una carriera iniziata nel lontano 1970, senza contare le innumerevoli collaborazioni e le colonne sonore, ma dal 2005, prima con Chavez Ravine e poi con la trilogia My Name Is Buddy, I, Flathead e Pull Up Some Dust And Sit Down, per non dire della notevole collaborazione con i Chieftains in San Patricio, la sua discografia ha ripreso vigore e qualità, oltre a un ritorno ai primi amori del blues e del folk, dopo gli anni della musica etnica e cubana e delle colonne sonore.

Cooder è sempre stato un grande musicista, riconosciuto come il più grande chitarrista slide bianco (anche se forse, per la potenza, Johnny Winter gli si avvicinava, con uno stile diverso, e negli anni a seguire ha(nno) creato molti discepoli) e uno dei più grandi ricercatori della musica popolare (e rock) americana. Ma nella sua scrittura è sempre stata presente anche una vena sarcastica, alla Randy Newman per intenderci, che negli ultimi anni si è trasformata in impegno politico, senza mai perdere di vista la forza della musica che in Cooder, come già ricordato, prende linfa soprattutto dal Blues in tutte le sue forme e generi. 

Un paio di settimane fa ha dato una bella intervista al quotidiano inglese The Guardian, che se volete potete leggere qui ry-cooder-mitt-romney-dangerous-cruel?newsfeed=true , (sempre citare la fonte), dove definisce il candidato presidenziale americano, il rivale di Obama, Mitt Romney “un uomo pericoloso, un uomo crudele”! E sarà anche per questo, visto attraverso gli occhi del suo setter e delle sue disavventure, raccontate dalla stampa americana e reiterate più volte da Letterman nel suo show, che gli ha dedicato un Mutt Romney Blues. Lui e il figlio Joachim alle percussioni, costruiscono un quadretto blues acustico degno delle migliori canzoni di Boomer’s Story o di Paradise And Lunch. Non entro nel merito del Cooder “politico” perché non sono in grado di giudicare (anche se Romney, oltre che al suo cane e al buon Ryland non ispira molta fiducia neppure al sottoscritto), se volete approfondire, l’intervista citata è molto esplicita.

Brother Is Gone, un delicato brano di impostazione folk guidato dal mandolino ma arricchito da una strumentazione avvolgente curata anche dalle percussioni del figlio, racconta la storia dei fratelli miliardari David e Charles Koch. Mentre in The Wall Street Part Of Town dedicata agli occupanti di Zuccotti Park comincia ad affilare la sua slide con un riff stonesiano, “tanto di cappello dinnanzi a Ry Cooder”, come ebbe a dire Keith Richards nella sua autobiografia Life. (pag.229)

Anche Guantamano ha quel drive tra soul, blues e rock che fa parte del Cooder che più amo, etnomusicologo e polemista, ma caspita se suona, il riff non è uno sconosciuto nel suo DNA, se Richards è il numero due tra i “riffmeisters” (naturalmente Chuck Berry è il capostipite), Ry è lì nella Top Ten. Un nervoso e inquieto Obama che si aggira nottetempo per la Casa Bianca è il soggetto di un fantastico slow blues cadenzato come Cold Cold Feeling, degno delle sue pagine migliori. Prego notare che in questo disco Ry Cooder sembra avere ritrovato anche una grinta e una capacità vocale che si credeva perduta dopo anni di musica strumentale. Il country-folk campagnolo da string band di Going To Tampa è un’altra delle molte sfaccettature della musica presente in questo album.

Se la rivista Uncut ha eletto questo Election Special “Disco del mese” una ragione ci sarà, oltre al fatto che il recensore Bud Scoppa è un compatriota di Cooder ed ha sempre amato l’opera del musicista californiano. Kool-Aid è un blues elettrico futuristico che per certi versi mi ha ricordato alcune cose dei sottovalutati Little Village, il gruppo dove Cooder militava con John Hiatt e Nick Lowe, e la slide qui viaggia alla grande! Nel centenario di Woody Guthrie, Cooder ha composto anche un brano antimilitarista come The 90 and The 9, degno erede delle parabole guthriane, coro singalong compreso. Anche la conclusiva Take Your Hands Off It difende la Costituzione e la carta dei diritti, ma lo fa al tempo di un rock-blues che rispolvera i ritmi e la “cattiveria” di Bop Til You Drop o di Slide Area.

Qualcuno ha detto che questo Election Special è meno vario musicalmente del precedente Pull Up Some Dust…, troppo “blues monocorde” ma per me è, ancora una volta, un esempio del miglior Ry Cooder. Sarà pure un “instant record” per i contenuti ma averne di dischi così!

Bruno Conti

P.S. Complimenti a tale Biamaku, che ha realizzato i tre video non ufficiali postati su YouTube, notevoli!

La Salute Non E’ Fantastica Ma Gli Archivi Stanno Benone! Johnny Winter – Live Bootleg Series Volume 8

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Johnny Winter – Live Bootleg Series Vol. 8 –  Friday Music

Continua la pubblicazione del materiale dal vivo inedito d’archivio (o comunque uscito in precedenza solo su bootleg) di Johnny Winter: siamo arrivati all’ottavo capitolo e il materiale è sempre più criptico, assemblato dall’amico di Winter, tale Paul Nelson, anche lui chitarrista, i brani, sette, sono stati registrati da qualche parte, in qualche tempo (presumibilmente in un arco temporale che va da agli anni ’70 agli anni ’90), con un gruppo di musicisti ignoti e per un totale di circa 53 minuti. Questo, l’unico dato certo, si desume inserendo il dischetto nel lettore, anche i titoli si leggono sulla copertina: per fortuna la musica è buona!

Ero un po’ preoccupato (pregasi cogliere l’ironia), dopo un 2011 con tre pubblicazioni discografiche, tra cui l’eccellente album nuovo Roots, uno dei suoi migliori da sempre, tutto taceva, ma l’ineffabile Friday Music ci regala un nuovo capitolo della saga concertistica di Johnny Winter. L’inizio è folgorante, con una ottima Give It Back, che ci regala tutto il campionario dell’albino texano, voce stentorea, chitarra in grande spolvero, la sezione ritmica poderosa e qualità sonora molto buona. Per essere sinceri questo è il brano migliore del CD, a mio modesto parere e vale quasi da solo il prezzo di acquisto per l’equilibrio tra suono e contenuti, ma i due brani finali sono micidiali. L’ennesima versione di Tore Down è sempre buona, seppur non memorabile, ma la qualità audio scende di parecchio e quindi si gusta meno il lavoro di fino della solista. Stranger Blues è l’ennesimo tributo di Winter all’arte di Elmore James e il lavoro alla slide è come di consueto di grande consistenza, ottima anche la performance vocale e non male la qualità sonora che permette di apprezzare pure la sezione ritmica che ci dà dentro alla grande.

Done Somebody Wrong la facevano gli Allman Brothers ai tempi di Duane e la slide di Winter si ascolta sempre con piacere, ma la qualità sonora molto ondivaga ha un brusco calo. Dopo gli omaggi a due grandi come Freddie King e Elmore James si ritorna al materiale del primo (dopo Tore Down) con una versione monstre dello slow blues, Have You Ever Loved A Woman, uno dei cavalli di battaglia del repertorio di Clapton e qui Johnny Winter ci fa capire perché è sempre stato considerato uno dei più grandi interpreti bianchi del blues con un assolo fantastico, tra i migliori mai sentiti nella sua discografia, se fosse anche inciso bene meriterebbe una stelletta in più, tredici minuti di pura magia. E anche la versione di Roll Over Beethoven, oltre dieci minuti, è notevole, in puro stile Winter tra rock-blues e R’n’R, grinta e cattiveria da paura e una tecnica chitarristica e una voce da manuale.

Trattandosi di dischi che si autoproclamano “Bootleg” sappiamo già cosa aspettarci e quindi accontentiamoci, ma per usare un eufemismo, cazzo se suona. Considerando il grande numero di “pippe” che ci sono in circolazione, spacciate per grandi chitarristi, lunga vita a Johnny Winter!

Bruno Conti   

Archivi Che Passione! Johnny Winter E Hot Tuna – Setlist The Very Best of…Live

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Johnny Winter –  Setlist The Very Best Of Johnny Winter Live– Sony Legacy
Hot Tuna – Setlist The Very Best of Hot Tuna Live – Sony Legacy

Che passione per gli archivi, quella sviluppata negli ultimi anni dalle case discografiche, ma un po’ anche “che palle”! Da quando si sono accorte che il settore delle ristampe è uno dei pochi che tira nel mercato attuale, anche le majors (oltre alle benemerite etichette specializzate) si sono lanciate con box set, versioni Deluxe e antologie come piovesse. E tu, compra che ti ricompra, ti ritrovi ad acquistare sempre lo stesso materiale per gli inediti, le outtakes o le confezioni a seconda del tuo grado di feticismo. E non ci sarebbe nulla di male, in fondo gli appassionati è quello che hanno sempre fatto ma bisogna stare attenti a non tirare troppo la corda perché poi finiscono i soldi e anche la pazienza dei diretti interessati.

Per esempio, la Sony Legacy ha iniziato a pubblicare una nuova serie che si chiama Setlist The Very Best Of e nella prima, numerosa, emissione ci sono parecchi titoli che sarebbero potenzialmente interessanti: prendiamo questi due, Johnny Winter e gli Hot Tuna, l’idea di base è molto buona, scegliere il meglio dalle esibizioni dal vivo tratte dai cataloghi Sony, Columbia, Epic ed altre etichette del gruppo e creare una sorta di compilation indirizzata ai neofiti ed in questo senso le raccolte funzionano ma poi qualcuno si è detto, “perché non inserire qualche inedito o rarità?”  Ma non sempre!

Per esempio il volume dedicato a Winter, al di là della eccellente qualità sonora e dei contenuti non ha inediti, ci sono tre brani tratti da Second Winter, due da Captured Live e tre da Johnny Winter And Live. Oltre ad alcune, chiamiamole, rarità: un brano tratto da The Woodstock Experience e tre dal fantastico Live At The Fillmore East 10/3/1970 edito lo scorso anno dalla Collector’s Choice su licenza della Sony che sarebbe il caso di avere nella sua totalità. Se vi “accontentate” di questo CD avrete comunque un concerto dal vivo “virtuale” magnifico con versioni da sballo, tra le altre, di Good Mornin’ Little School Girl, Johnny B Goode, It’s My Own Fault, Jumpin’ Jack Flash e Mean Town Blues, con e senza Rick Derringer e comunque tutte e dodici registrate tra il 1969 e il 1975 quando Johnny Winter era una vera forza della natura. L’unica cosa inedita sono le note del libretto firmate dal “collega” Bob Margolin.

Il caso degli Hot Tuna è diverso, qui, per fortuna o purtroppo, perché toccherebbe comprare, ci sono quattro brani inediti e pure interessanti. In questo caso si segue l’ordine cronologico e a fianco di ben cinque brani tratti dal “mitico”  Hot Tuna (ma per il sottoscritto il migliore rimane di gran lunga Burgers, il classico disco perfetto), il primo album acustico registrato nel settembre del 1969 alla New Orleans House di Berkeley, California ne troviamo tre provenienti da Double Dose ristampato un paio di anni fa nella versione completa in doppio CD dalla Wounded Bird. Dal famoso album prodotto da Felix Pappalardi abbiamo l’occasione di ascoltare, tra gli altri, una bellissima versione di Watch The North Wind Rise, forse l’unico brano sopra la media tratto da Hoppkorv. E comunque Jorma Kaukonen, sempre parere personale, il meglio lo raggiunge quando si esibisce alla chitarra elettrica memore dei suoi trascorsi nei Jefferson Airplane e assistito dal pulsare irrefrenabile del basso di Jack Casady, uno dei migliori di sempre allo strumento. Tra i quattro inediti una notevole I See The Light, solo Kaukonen e Casady (ma bastano e avanzano) dal vivo al Winterland nel 1973 per un brano che ricorda molto il gruppo madre, Keep Your Lamps Trimmed and Burning, Fillmore West 1971 presenta la formazione con Papa John Creach al violino e Sammy Piazza alla batteria, divertente e scanzonata rilettura del classico del Rev. Gary Davis. Non male anche Been So Long e Hit Single #9, entrambe registrate a New York nel 1974 dalla formazione in trio con Bob Steeler alla batteria, la classica formula tra rock, blues e un tocco di psichedelia, la versione elettrica degli Hot Tuna, niente folk ma chitarra solista a manetta anche con wah-wah nel secondo brano.

Quindi due ristampe, per diversi motivi, entrambe meritevoli di un ottimo voto.

Bruno Conti

Di Padre In Figlio, Sempre Blues Ma…Bernard Allison – Live At The Jazzhaus

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Bernard Allison Group – Live At The Jazzhaus – 2CD o DVD Jazzhaus Records

Torna Bernard Allison, a distanza di pochi mesi dal precedente The Otherside bernard%20allison  e lo fa con un bel doppio CD dal vivo (o DVD) che risolleva le sue quotazioni un po’ appannate da un paio di dischi non all’altezza della sua fama. Per chiarirlo subito, Bernard non è ai livelli del babbo Luther Allison, uno dei migliori musicisti della seconda generazione del Blues elettrico, ma è comunque un musicista di notevole spessore, buon cantante, ottimo chitarrista, influenzato tanto dal blues classico dei vari King e di Muddy Waters quanto da Johnny Winter e Stevie Ray Vaughan oltre che dal padre. Non manca anche una notevole passione per il funky e la soul music più ritmata tra le influenze del nono figlio della famiglia Allison, che si è fatto la sua bella gavetta nella band di Koko Taylor e poi nel gruppo del babbo e dal 1990, anno dell’esordio con The Next Generation, ha già pubblicato una quindicina di album per diverse etichette.

Questo Live At The Jazzhouse si inserisce sicuramente tra i migliori della sua produzione: accompagnato da un solido quintetto dove spicca il sax di Jose James che è un po’ il secondo solista della band in alternativa al tastierista Toby Lee Marshall il concerto, nella classica guisa delle soul and blues revue parte con uno strumentale, Send It In che è il classico brano per rompere il ghiaccio con tutti i musicisti che scaldano il pubblico per la stella della show con assoli di sax, organo e chitarra.Stella, Bernard Allison che arriva e parte con una versione ricca di funky soul di I Wouldn’t Treat A Dog dal repertorio di Bobby “Blue” Bland che forse in omaggio al nome del suo interprete originale è un po’ “blanda” (lo so, battuta scarsa)! L’altra cover del CD è una versione decisamente più vigorosa di quello che viene considerato il primo brano della storia del R&R, Rocket 88 attribuita a Jackie Brenston ma che proviene dalla fertile inventiva del primo Ike Turner. Quando con Tired Of Tryin’ i ritmi si fanno più funky-rock sembra di ascoltare una versione dei Band Of Gypsys con sax e tastiere aggiunti anche se più all’acqua di rose ma la chitarra con e senza wah-wah viaggia che è un piacere.

So Devine è una sorta di slow soul alla Robert Cray con la bella voce di Allison in evidenza mentre Black and White alza ritmi ed intensità mantenendo quel filone funky con basso slappato che appartiene allo stile del nostro amico. Life Goes On è uno di quei bei pezzi blues che avrebbero fatto la gioia di babbo Luther, Allison Way addirittura batte territori reggae-blues che è un filone non molto frequentato, peculiare ma non malvagio. Il secondo CD parte con una Groove me sempre funky ma con quei richiami alla SRV mentre The Otherside conferma la non eccessiva validità della versione di studio tratta dall’ultimo album, non memorabile per usare un eufemismo. Decisamente meglio la lunga Just My Guitar and me dove il contemporaneo uso di slide e wah-wah conferisce sonorità particolari alla chitarra di Bernard Allison che finalmente dà sfogo alle sue notevoli doti di solista e non per nulla il brano era firmato anche da Luther Allison.

Tobys B3 come da titolo è una improvvisazione di organo di Marshall mentre Serious era uno dei cavalli di battaglia di Allison Sr. e Bernard Allison e la sua band gli rendono giustizia con una versione monstre di oltre 15 minuti con tutti i solisti di volta in volta al proscenio e il leader del gruppo che ci regala un assolo di quelli magistrali per questo slow blues in crescendo. Si poteva anche finire qui ma Chills and Thrills tra Hendrix e Stevie Ray non è male pure nella sua eccessiva funkytudine, anche se l’assolo di chitarra è micidiale come di consueto e anche il sax si difende.

Bravo anche se non fondamentale, sempre Blues ma…il babbo Luther era molto più bravo.

Bruno Conti