Replay! Una Anteprima A Lunga Gittata: 19 Febbraio 2013 Il Nuovo Album Di Robben Ford – Bringing It Back Home

Come promesso ripubblico la recensione, visto che era stata postata quasi due mesi fa, il disco esce martedì prossimo, ed eccola di nuovo, con video, come promesso nel Post scriptum.

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Robben Ford – Bringing It Back Home – Provogue/Mascot  19-02-2013

Un “ritorno alle origini” di Robben Ford? Il titolo lo potrebbe fare supporre, ma in effetti direi che se di ritorno si tratta è quello alle radici del suo suono, dopo gli “esperimenti” più rock nei due CD dei Renegade Creation. Quindi una forte componente di Blues, primo amore, il jazz raffinato immancabile, un pizzico (abbondante) di funky e rock. Quando Robben iniziava la sua carriera nella Charles Ford Blues Band uno dei primi punti di riferimento fu sicuramente il sound della Butterfield Blues Band e il chitarrista di quel gruppo (va bene, uno dei due, l’altro era Elvin Bishop) era un certo Mike Bloomfield, che trasformò un modesto futuro sassofonista in uno dei più grandi stilisti della chitarra elettrica del 20° secolo (non per nulla la compianta rivista Musician lo inserì tra i 100 più grandi del secolo). Robben Ford è passato con assoluta nonchalance dal blues puro che suonava con Musselwhite e Witherspoon alla fusion degli L.A. Express, poi raffinata nell’eccelsa arte di Joni Mitchell, per approdare infine al jazz “elettrico” di Miles Davis.

Tutti gli elementi che hanno da sempre contrassegnato la sua carriera e che ora ritornano in questo Bringing It Back Home, quindi non solo Blues come si può leggere in rete dai “soliti informati” che non hanno ancora sentito il disco e quindi riciclano più o meno le notizie rilasciate dalla casa discografica o qualche dichiarazione parziale dello stesso Ford. Chi vi scrive l’album lo sta ascoltando in questo momento, e posso assicurarvi che non è proprio così, anche se per verificare dovrete aspettare fino al 19 febbraio del 2013 quando uscirà il disco. Siamo un po’ in anticipo. La prima novità saliente è che i musicisti del CD suonano per la prima volta con Robben Ford, anzi quando il disco è stato inciso in una session di tre giorni ai Village Studios di Los Angeles, sotto la supervisione di Ed Cherney (Stones, Bonnie Raitt, Ry Cooder) era addirittura la prima volta che si trovavano tutti insieme; anche se mi sembra, a memoria, che almeno con il batterista Harvey Mason (quello dei mitici Headhunters di Herbie Hancock e poi anche nei Fourplay) abbia già suonato in passato e con la sua presenza aumenta la quota “funky” del disco. Ottimi anche gli altri: Larry Goldings alle tastiere ( da James Taylor a Jim Hall), David Piltch al basso (tra gli altri con Kd Lang e Solomon Burke), oltre a una new entry come strumento nei dischi di Ford, il trombone, affidato a Steve Baxter (che ha suonato con Macy Gray ma anche con Johnny Guitar Watson, tra i tanti). Non proprio una formazione di bluesmen, anche se almeno idealmente, si potrebbe dire, come spesso nei suoi dischi, che è il Blues “according to Robben Ford”!

Quello che è certo è che gli amanti della chitarra avranno di che deliziare i padiglioni auricolari, con quel suo stile unico, che riunisce le influenze di Bloomfield, Jim Hall, Miles Davis, tanto Blues e ancor di più Robben Ford, che questa volta si cimenta in tutto il disco con una sola chitarra,  Epiphone Riviera del 1963 che permette di cogliere il suo suono cristallino e scandito, raramente sopra le righe, forse troppo turgido per quelli che non lo amano, ma è sempre un bel sentire.

Dall’iniziale Everything I Do Gonna Be Funky (il titolo dice tutto) dal repertorio di Allen Toussaint, passando per Bird’s Nest Bound, un brano di Charley Patton conosciuto da Ford nella versione di Bukka White, dove il country blues dell’originale usufruisce della “fordizzazione” del chitarrista, con la solista a duettare con l’organo insinuante di Goldings. Fair Child è un oscuro brano di tale Willie West, un cantante soul/R&B che pure io che sono un cultore del genere, non ricordavo assolutamente, anche questa molto funky con batteria e trombone in evidenza. Oh Virginia è una bellissima soul ballad suonata (che bell’assolo) e cantata in modo incantevole. Anche Slick Capers Blues, se è quella (ho poche informazioni al momento), è un oscuro brano di tale Little Buddy Doyle, un bel blues dal suono old fashioned con trombone e organo di supporto, non dissimile dal suono dell’ultimo Clapton omonimo del 2010.

On That Morning è l’unico brano strumentale del disco, ispirato da Kind Of Blue di Davis, nelle parole di Ford vorrebbe essere un omaggio a quel suono dagli spazi aperti, ma ricorda anche i duetti organo-chitarra di Smith & Montgomery. Traveler’s Waltz non so che origini abbia ma sembra una di quelle ballate raffinate alla James Taylor, godibilissima. Most Likely You Go Your Way(And I’ll Go Mine) invece la conosciamo tutti, è proprio il brano di Bob Dylan, che potrebbe uscire dalla vecchia Supersession di Bloomfield e Kooper (senza Stills) e Trick Bag sarà mica quella dei Meters (che però era di Earl King)? Mi sa di sì, con il contrabbasso di Piltch e la batteria di Mason a scandire il ritmo e la solista di Ford a ricamare assoli come lui sa fare. Per finire Fool’s Paradise che è un vecchio classico che faceva anche Sam Cooke, un bel Blues sapido che conclude in gloria uno dei migliori dischi della discografia del grande musicista californiano, poco pirotecnico ma molto solido per l’occasione.

Bruno Conti

P.s Ogni tanto mi “scappano” queste anteprime, ma eventualmente in avvicinamento all’uscita dell’album pubblicherò di nuovo questo Post, magari con qualche video aggiunto, visto che per ora del nuovo CD non c’è ancora nulla.