Canzoni Dal Salotto Di Casa. Jude Johnstone – Living Room

jude johnstone living room

Jude Johnstone – Living Room – Bojak Records

Come gli attenti lettori di questo blog sanno, Jude Johnstone non la scopriamo certo adesso, ma già in passato abbiamo avuto modo di parlare di alcuni suoi dischi, tra cui gli eccellenti Shatter e A Woman’s Work https://discoclub.myblog.it/2017/02/17/un-altro-grande-disco-per-la-randy-newman-al-femminile-jude-johnstone-a-womans-work/ , lavori di un’artista molto conosciuta e apprezzata a livello internazionale, ma purtroppo ancora poco conosciuta dalle nostre parti, e temo che rimarrà tale vista la non facile reperibilità dei suoi album, e il fatto non depone certo a nostro favore per una artista che ha iniziato la sua carriera nel lontano 2002. Questo Living Room è il suo ottavo album, sempre distribuito dalla sua etichetta indipendente Bojak Records (per l’occasione, come da titolo; registrato nel salotto di casa di Nashville della cantautrice), con solo l’apporto del pianoforte, e il contributo di alcuni eccellenti musicisti, tra i quali il violoncellista Bob Liebman, la brava violinista Olivia Korkola (lo zoccolo duro del lavoro), David Pomeroy al basso, Mike Meadows alle percussioni, con il non trascurabile apporto in qualità di “vocalist aggiunti” di colleghi come Ben Glover, Neilson Hubbard (Orphan Brigade), Brandon Jesse, il tutto sotto la produzione del fonico Michael Hanson, con il risultato finale di un set di dieci brani dolorosi e profondi.

Pura poesia sonora emana dalla dolcissima iniziale Is There Nothing solo pianoforte e voce, seguita dalla bellissima My Heart Belongs To You cantata in coppia con Neilson Hubbard, passando poi ad una delicata That’s What You Don’t Know interpretata con il socio di Hubbard negli Orphan Brigade, Ben Glover. All I Ever Do costituisce uno dei punti di forza del disco, soprattutto per il canto vibrante di Jude che emana una profonda commozione, brano subito seguioa da una raffinata One Good Reason, arricchita dal suono di un quartetto d’archi che rivaleggia con il pianoforte della Johnstone, che ci porta poi all’ascolto di un vero capolavoro con una ballata come Serenita, una sorta di delicata “romanza” per piano, voce e la tromba di Tim Hockenberry, ad accompagnare la voce calda di Brandon Jesse supportata dal canto di Jude. Ci si avvia verso la conclusione con la magia di una “poesia” declamata come I Guess It’s Gonna Be That Way, una sorta di dolcissimo valzer-celtico Season Of Time, interpretato ancora insieme al bravo Glover, per poi commuoversi sulle le note della pianistica So Easy To Forget, sussurrata ancora in coppia con Brandon e il supporto della tromba di Tim, andando a chiudere con un piccolo raffinato gioiello musicale solo piano e voce, che non poteva che chiamarsi Paradise.

Devo ammettere che quando ascolto i nuovi lavori di questa signora, mi sorprendono ogni volta per la sensibilità squisitamente femminile dei testi dei suoi brani, cosa che puntualmente accade anche in questo Living Room, dove le dieci canzoni che lo compongono non possono non ricordare nella stesura e approccio compositivo un’altra grande artista che risponde al nome di Mary Gauthier. Durante la sua lunga carriera Jude Johnstone, ha avuto il riconoscimento che le sue canzoni sono state interpretate da artisti del calibro per esmpio di Johnny Cash, ma anche di diverse cantautrici (per il discorso fatto poc’anzi), interpreti come le americane Bette Midler, Stevie Nicks, Emmylou Harris, Trisha Yearwood, Jennifer Warnes, Bonnie Raitt, e la grande vocalist irlandese Mary Black, guadagnandosi il nostro rispetto anche per questo Living Room, un disco dal fascino incredibile e senza tempo, che pur non aggiungendo nulla alla lunga storia musicale americana, evoca un tempo che (purtroppo) non esiste più, ma per tenerlo in vita potrebbe essere sufficiente un costante e meritevole “passaparola”, per far conoscere questo piccolo gioiello musicale.

*NDT: Per chiudere il cerchio vi ricordo che la Johnstone era stata scoperta ai tempi, dal suo primo mentore Clarence Clemons, il mitico sassofonista della E-Street Band.

Tino Montanari

Un Altro Grande Disco Per La “Randy Newman Al Femminile”! Jude Johnstone – A Woman’s Work

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Jude Johnstone – A Woman’s Work – Bojak Records

In questi giorni “post-sanremesi”, mi sembra doveroso e quasi obbligatorio tornare a parlarvi di una “vera” cantante come Jude Johnstone, a distanza di tre anni dal precedente Shatter (13) recensito da chi scrive su queste pagine http://discoclub.myblog.it/2013/06/01/sconosciuta-ma-non-per-tutti-jude-johnstone-shatter/ . La Johnstone piano e voce (arrivata con questo lavoro al settimo album), come sempre si avvale di grandi musicisti, a partire dal chitarrista Charles Duncan, il batterista Darrell Voss, il tastierista Radoslav Lorkovic, il bassista Ken Hustad, con il consueto apporto di “turnisti” del calibro del polistrumentista Bob Liepman, e di Rob Van Durren, Jill Poulos, Linley Hamilton, Larry Klein (ex marito di Joni Mitchell), Danny Frankel, anche lui alla batteria, il tutto sotto la co-produzione di Steve Crimmel e registrato nei famosi Painted Sky Studios di Cambria nella solare California.

A Woman’s Work si apre con la pianistica Never Leave Amsterdam, con la sorprendente voce di Jude accompagnata da una dolce pedal-steel, a cui fa seguito la title track, un valzer su un delicato tessuto di piano, violoncello e archi (sarebbe perfetta nel repertorio di Randy Newman), il raffinato e sofferto blues People Holding Hands, con il notevole assolo di tromba di Linley Hamilton, stesso discorso per The Woman Before Me (che avrebbe impreziosito qualsiasi disco della migliore Carole King), per poi passare ad una leggermente “radiofonica” Little Boy Blue, con una batteria elettronica che detta il ritmo del brano. Il “lavoro” della brava Jude riprende con una deliziosa What Do I Do Now, seguita da una stratosferica lenta ballata dall’aria celtica Road To Rathfriland, solo pianoforte, arpa e viola, un’altra tranquilla “song” per pianoforte e poco altro come I’ll Cry Tomorrow, per poi passare ad una ballata “rhythm and blues” come Turn Me Intro Water (sembra di risentire il favoloso periodo Stax), e affidare la chiusura ad una intima e malinconica Before You, perfetta da cantare su un qualsiasi buio palcoscenico di un Nightclub.

Le canzoni di A Woman’s Work riflettono senza ombra di dubbio l’attuale situazione sentimentale della Johnstone (un recente divorzio dopo un matrimonio durato 28 anni), un lavoro quindi molto intimo, emozionale, con arrangiamenti raffinatissimi eseguiti con strumentisti di assoluto valore, che danno vita ad un disco dal fascino incredibile, un piccolo gioiello fatto certamente con cuore e passione. Jude Johnstone non la scopriamo adesso (già in passato con l’amico Bruno abbiamo avuto modo di parlare dei suoi dischi), in quanto si tratta di una “songwriter” dalla vena poetica e passionale, e le sue canzoni sono state cantate da  artisti come Bonnie Raitt, Emmylou Harris, Stevie Nicks, Bette Midler e altri (ma è nota soprattutto per quella Unchained resa celebre da Johnny Cash).

Il forte sospetto è che questa (giovanile) signora californiana con questo settimo episodio della sua “storia” discografica, passi ancora una volta inosservata e inascoltata come era stato per i precedenti lavori, ed è un vero peccato perché A Woman’s Work resta comunque un ottimo disco di cantautorato al femminile, che piacerà a chi acquistava i dischi di Rickie Lee Jones e Carole King, ma soprattutto è un grande album per gli amanti della musica con forte presenza di pianoforte, e il grande Randy Newman in particolare viene alla mente. Da ascoltare!

Tino Montanari

NDT: Nei prossimi giorni, sempre per guarire dal “contagio sanremese” parleremo anche di un altro personaggio emarginato, ma amato dal Blog: Otis Gibbs !

“Sconosciuta”? Ma Non Per Tutti! Jude Johnstone – Shatter

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Jude Johnstone – Shatter – Bojak Records 2013

Quello che unisce il sottoscritto, il titolare di questo blog e il compianto Franco Ratti (e, si spera, “molta” altra gente), è la passione musicale per Jude Johnstone, una signora nata nel Maine, ma californiana di adozione che, tanto per cambiare, è tra i segreti meglio custoditi del cantautorato femminile americano. La Johnstone ha iniziato la sua carriera musicale alla precoce età di otto anni, e già a sedici suonava in una band. Scoperta da Clarence Clemons (il mitico sassofonista della E-Street Band e compagno di bevute del Boss), negli anni ha scritto canzoni per grandi artisti come Bonnie Raitt, Bette Midler, Trisha Yearwood, Johnny Cash (la famosa Unchained che dava il titolo al secondo album della serie American Recordings), Jennifer Warnes, Stevie Nicks e tanti altri che evito di menzionare per mancanza di spazio. Ero venuto a contatto con la musica di Jude all’epoca dei suoi primi due dischi da solista, l’esordio Coming Of Age (2003) e soprattutto On A God Day (2005), dove si rivelava una cantautrice dotata e ispirata che faceva un buon uso soprattutto del pianoforte. In seguito i suoi lavori Blue Light (2007), Mr.Sun (2008), Quiet Girl (2011) e anche questo ultimo Shatter sono mutati, hanno preso una impronta diversa, con composizioni dai toni più jazzati, raffinati e intimi, in cui ha riscoperto le sue radici, fatte di ascolti di Sarah Vaughan e Tony Bennett.  

Shatter, prodotto dalla stessa Johnstone e registrato nei Mad Dog Studios di Los Angeles (CA), si avvale di fidati strumentisti, gente del calibro di Danny Frankel alla batteria, Radoslav Lorkovic alle tastiere e alla fisarmonica, Kevin McCormick alle chitarre, Marc Macisso al sax, Dan Savant alla tromba, più altri musicisti di area “losangelina”.

Ad aprire il disco è la title track Shatter, un brano che strappa il cuore, mentre nelle successive What A Fool e The Underground Man la matrice jazz si fa più intensa. La Johnstone si destreggia sia nelle ballate più oscure come When Does Love Get Easier e Girl Afraid, in cui si apprezza uno splendido duetto tra piano e fiati, sia nei brani in cui è maggiore l’influenza blues, come nel caso specifico di Touchdown Jesus, dove brilla il piano di Lorkovic. Una tromba lancinante introduce la splendida Halfway Home, una canzone lenta e sensuale, seguita dal valzer cadenzato di Who Could Ask For More, e verso la fine fanno capolino la ninna nanna di Your Side Of The Bed e il suono caraibico di Free Man dove imperversa il sax di Marc Macisso.

Per chi ha amato i dischi di Rickie Lee Jones e attualmente quelli di Mary Gauthier, Shatter sarà una piacevole sorpresa, infatti Jude Johnstone ha messo insieme undici brani di ottima fattura, dagli arrangiamenti raffinati e dall’anima dolce e romantica. Mi auguro che molti di voi si accostino a questa grande cantautrice, in quanto questo lavoro è un disco dal fascino incredibile, che pur non aggiungendo nulla alla storia musicale americana, evoca un tempo che non c’è più, con canzoni che sembrano fatte apposta per far chiudere gli occhi e costruirci sopra un sogno, e questo mi basta a definirlo un piccolo gioiello di poesia musicale.  

Tino Montanari   

Novità Di Maggio Parte VIII. Jason Boland, Randall Bramblett, Shinyribs, Jeffrey Foucault, Jude Johnsone, Chip Taylor

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Ultimi sei titoli per questo giro di novità relativo al mese in corso, ne rimangono alcuni che verranno recensiti singolarmente e quelli in uscita il 28 maggio. Partiamo con i primi tre.

Jason Boland viene dall’Oklahoma e quindi a pieno titolo fa parte del cosiddetto movimento “Red Dirt”, che prende il proprio nome dal colore del terreno che si trova in quello stato americano. Siamo nell’area country, ma di quello pimpante, che è anche non lontano parente e discendente del movimento Outlaw e del country texano. Questo è il 9° lavoro di Jason Bolland (& The Stragglers) (compresi due live): Dark & Dirty Mile, è uscito la scorsa settimana per la Proud Souls/Thirty Tigers e contiene nove brani originali di Bolland e un paio di altri autori, oltre ad essere prodotto da Shooter Jennings, garanzia di qualità.

Si era citato il nome di Randall Bramblett, per la sua partecipazione in un CD della Real Gone Music che conteneva un paio di ristampe di vecchi album dei Sea Level, ma questo signore, cantante, tastierista, chitarrista e sassofonista è in pista da metà anni ’70 (il suo primo album, That Other Mile, risale al 1975) e ha suonato anche come sessionman in centinaia di dischi nel corso di questo periodo: da Gregg Allman a Bonnie Raitt, da Robbie Robertson a Stevie Winwood passando per la quasi omonima Bonnie Bramlett, i Widespread Panic, tanto per citarne alcuni, con un stile influenzato dal blues, dal folk, dal rock, ma soprattutto dal southern in tutte le sue declinazioni, anche con influenze gospel. Questo nuovo The Bright Spots, uscito nei giorni scorsi per la New West, è un ulteriore esempio del suo ottimo “artigianato” musicale!

I pavesi Lowlands del mio amico Ed Abbiati hanno preso il loro nome da una canzone dei Gourds, l’ottimo gruppo americano, texani per la precisione, che è una sorta di piccola Band. Gli Shinyribs sono una costola di quella formazione e prendono il moniker dal soprannome di Kevin Russell che è il leader anche di questa band di cui avete potuto leggere nel Blog per il precedente album Well After Awhile shinyribs. A tre anni di distanza ci riprovano con Gulf Coast Museum e centrano ancora l’obiettivo. Piccolo grande disco, da beautiful losers o “carbonari” perfetti, come preferite. Etichetta Nine Mile, sarebbe uscito da un mesetto, ma la citazione la merita comunque. 

 

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Un altro terzetto di “clienti abituali” del Blog.

Prima Jeffrey Foucault, al nono album di studio, collaborazioni con i Redbird e Cold Satellite incluse, sempre citato in queste  rubriche sulle uscite discografiche ma mai con un suo post specifico (ma in futuro…). Ottimo singer-songwriter roots, questa volta schiaccia il pedale sul rock in alcuni brani ma è sempre presente la giusta quota di ballate. Il disco si chiama Cavalcade e Foucault, molto amato dal critico americano Greil Marcus, usufruendo anche lui della Kickstarter Campaign per autofinanziarsi, con la collaborazione della poetessa Lisa Olstein, confeziona una ulteriore ottima prova discografica. Assolutamente da scoprire.

Jude Johnstone è una delle mie cantautrici preferite tra le “sconosciute”, passione condivisa anche dallo scomparso Franco Ratti: si tratta di una cantante “anomala” ma bravissima. Ogni due o tre anni pubblica un album nuovo, questo Shatter, sempre per la sua Bojak Records, non se la fila nessuno regolarmente, ma intanto le sue canzoni sono state incise da Emmylou Harris, Bonnie Raitt, Stevie Nicks, Johnny Cash (la bellissima Unchained), Trisha Yearwood, Bette Midler, Jennifer Warnes e nei suoi dischi sono apparsi la stessa Harris, Clarence Clemons, Valerie Carter, Jackson Browne (più volte), Buddy & Julie Miller, Rodney Crowell che ne ha più volte magnificato le virtù, anche per il nuovo album. Un motivo ci sarà, basta scoprirlo!

Ennesimo disco per Chip Taylor, per citare alcune sue particolarità: grande cantante, autore, giocatore d’azzardo, zio di Angelina Jolie, fratello di Jon Voight, partner musicale di Carrie Rodriguez, e soprattutto, grande musicista. Ci siamo occupati di lui recentemente perché era l’autore di quel bellissimo brano dedicato alla strage avvenuta in Norvegia un paio di anni fa, This Darkest Day dalla-norvegia-con-passione-paal-flata-wait-by-the-fire-song.html, e anche di tutte le altre canzoni presenti in quel CD, visto che era un tributo a lui dedicato. Ora, nel suo nuovo doppio album Block Out The Sirens Of This Lonely Wordl, appare la sua versione di quel brano, insieme a tante altre stupende ballate che confermano la innata classe di un altro”grande vecchio” (Chip Taylor è del 1940). L’etichetta, come per tutti i suoi dischi degli ultimi venti anni è la Train Wreck. Anche i video sono bellissimi.

That’s all folks, alla prossima!

Bruno Conti

Novità Di febbraio Parte IV. Johnny Cash, Bruce Cockburn, June Tabor, Jude Johnstone, Rainbow, Bocephus King. Eccetera

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Riprendiamo la nostra disamina delle prossime uscite discografiche (e qualcuno già uscito) dopo un’orgia di recensioni Blues e qualche “Beautiful Loser” che meritava di essere portato alla vostra conoscenza. Mentre scrivo in questa piovosa domenica di febbraio sto ascoltando il nuovo di Lucinda Williams Blessed che uscirà il 1 marzo ed è veramente bellissimo. Mi avevano pregato di aspettare fino ad una decina di giorni prima dell’uscita per recensirlo, quindi d’ora in poi ogni giorno è buono.

Intanto una precisazione: contrariamente a quanto annunciato il DVD di James Taylor e Carole King Troubaudours (almeno per l’Italia) non uscirà più il 22 Febbraio ma esattamente un mese dopo il 22 marzo.

Confermato per il 22 febbraio il “nuovo” Johnny Cash, Bootleg Vol.2: From Memphis To Hollywood, doppio CD pubblicato dalla Sony Legacy, esce a quattro anni di distanza dal precedente Personal File (che viene ripubblicato a prezzo speciale) e contiene materiale d’archivo, dagli esordi Live in quel di Memphis nel maggio 1955 passando per materiale registrato negli studi Sun di Sam Phillips (11 demo inediti, 7 outtakes e ulteriori 2 demo) per un totale di 32 brani nel primo CD. Il secondo CD contiene 25 brani del periodo Columbia: singoli non contenuti negli album CBS, B-sides e outtakes, per un totale di 25 inediti.

Due donzelle per gradire. June Tabor è una delle più grandi voci della musica folk britannica (e della musica tout court) e a 35 anni dall’esordio Silly Sisters con Maddy Prior pubblica (se non ho fatto male i conti) quello che dovrebbe essere il suo 20° album, Ashore, l’etichetta come di consueto è la Topic. Il Guardian in una sola parola lo ha definito “Magnifico” e chi siamo noi per dissentire. Per chi non la conosce una ottima occasione per avvicinare la sua musica.

Jude Johnstone, è una di quella cantautrici che si è soliti definire “minori” o se preferite di “culto” ma in effetti è uno dei segreti meglio custoditi della scena americana. Questo Quiet Girl è il suo quinto album, distribuito dalla propria etichetta la Bojak Records negli States (dove è uscito la scorsa settimana) e l’8 marzo in Inghilterra per la Burnside. Da noi spero nell’Ird per una distribuzione nazionale. Vi basti sapere che le sue canzoni sono stato incise da Emmylou Harris (che partecipa all’album), Stephen Bishop, Bonnie Raitt, Trisha Yearwood, Johnny Cash, Bette Midler, Stevie Nicks, tanto per darvi un’idea. Lo stile varia dal country al folk, alla canzone d’autore, roots ma anche jazzato di tanto in tanto, con una voce particolare che non guasta.

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Bruce Cockburn secondo il modesto parere di chi scrive è uno dei cinque migliori musicisti canadesi di sempre (se Neil Young, Joni Mitchell e Leonard Cohen sono gli altri tre, il quinto chi è? Forse la Band?). In ogni caso questo Small Source Of Comfort che esce per la True North in tutto il mondo l’8 marzo (ma stranamente è già disponibile nei negozi italiani a cura dell’Ird) è il suo 24° album (25 se contiamo lo strumentale Speechless) di studio, oltre ad una manciata di Live e qualche antologia, con e senza inediti. Tutti belli o molto belli, questo è uno dei migliori in assoluto. Uomo avvisato…

Sempre dal Canada viene un musicista di culto, Bocephus King, questo Willie Dixon God Damn! è il suo quinto album (servizio discografie, utile per aggiornare le vostre collezioni), il primo dopo una pausa di quasi sette anni e lo riporta ai fasti del primo Joco Music del 1996. Una delle voci più interessanti in circolazione e nonostante il titolo non c’entra niente con il Blues (più o meno). Già disponibile!

Il nome Ben Ottewell non dirà niente ai più ma si tratta di un ex componente dei Gomez, una delle migliori nuove band inglesi che esordì nel lontano 1998 con l’ottimo Bring It On candidato al Mercury Prize (che credo abbiamo anche vinto, si tratta del premio della critica inglese). Allora Ottewell aveva solo 18 anni. Questo suo esordio da solista si chiama Shapes and Shadows è già uscito in Inghilterra per la Eat Sleep Records (?!? andiamo bene!) e pur venendo inserito nel filone Americana, sono stati scomodati paragoni con il Nick Drake di Bryter Layter, David Gray e Ryan Adams. A questo punto sono curioso di sentirlo. watch?v=Sfxj5wDbZ24

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Tre ristampe tre.

La Raven australiana pubblica un CD dal vivo del 1972 di Howlin’ Wolf Live and Cookin’ At Alice’s Revisited, pubblicato in origine dalla Chess si tratta di uno degli ultimi dischi del “Lupo”. Contiene 2 bonus tracks ed è l’unico disco dal vivo ufficiale di Howlin’ Wolf pubblicato quando era ancora in vita. Il vocione è ancora in gran forma e molti dei cavalli di battaglia sono presenti: Smokestack Lightnin’, Killing Floor, Back Door Man e Little Red Rooster per uno dei musicisti che ha influenzato decine di gruppi e solisti rock, Jim Morrison in primis.

Per gli amanti dell’hard rock classico anni ’70 prosegue la ristampa degli album dei Rainbow di Ritchie Blackmore in versione Deluxe doppia: questa volta è il turno di Down To Earth che viene ripubblicato rimasterizzato con un secondo CD che contiene 12 bonus tracks, prevalentemente strumentali e qualche alternate takes. Già uscito in Inghilterra disponibile a giorni anche in Italia.

La Alligator per proseguire nei festeggiamenti del suo 40° anniversario ha già pubblicato la ristampa rimasterizzata e con una traccia bonus di uno dei dischi più belli della storia del blues recente. Si tratta della super session tra Albert Collins, Robert Cray e Johnny Copeland in un disco strepitoso intitolato Showdown che viene ripubblicato a 25 anni dall’uscita originaria del 1985. Per gli amanti del blues elettrico e ruspante, il più genuino un disco che non si può fare a meno di avere. Eccezionale!

Bruno Conti