Di Cantautori Così Non Ne Fanno Più! Chip Taylor – Little Brothers

chip taylor little brothers

Chip Taylor – Little Brothers – Train Wreck/Ird CD

Nonostante abbia scritto brani come Angel In The Morning (grande successo per Juice Newton nel 1981 e prima ancora nella Top Ten USA del 1968, cantata da Merrilee Rush), ma soprattutto la celeberrima Wild Thing, il pezzo che da solo ha praticamente definito l’intera carriera dei Troggs (e di cui Jimi Hendrix suonò una versione formidabile al Monterey Pop del 1967), Chip Taylor (nome d’arte di James Wesley Voight, come è anche indicato sulla copertina del CD di cui mi accingo a parlare) è da sempre considerato un outsider, quasi un personaggio di secondo piano, soltanto perché non ha mai avuto successo come artista solista, ma solo come autore per conto terzi, soprattutto con i due brani citati prima. Attivo come performer dall’inizio degli anni settanta, Taylor ha inciso molto, interrompendosi solo per un lungo periodo che comprendeva tutti gli anni ottanta (il nadir di popolarità per molti musicisti “originali”) e metà circa dei novanta, ricominciando però con regolarità solo dagli anni duemila, sia da solo che in coppia con la brava Carrie Rodriguez. Chip è sempre stato un cantautore puro, di stampo classico, voce, chitarra e poco altro, ma con una straordinaria capacità di costruire melodie intense ed immediatamente fruibili, unite ad un feeling non comune; con gli anni poi la sua voce ha assunto tonalità calde e pastose che in diversi casi sono state l’arma in più per far funzionare a dovere le sue canzoni: il suo stile rilassato, confidenziale, a metà quasi tra cantato e parlato, è uno dei suoi marchi di fabbrica, e negli ultimi anni raramente ha sbagliato un colpo.

https://www.youtube.com/watch?v=xIjn5C0RDKc

Infatti, a partire dallo straordinario New Songs Of Freedom del 2008 (ma anche andando a ritroso) , che era una sorta di compilation con però diversi brani nuovi, il nostro non ha mai deluso, e in alcuni casi (parlo almeno per me) ha addirittura entusiasmato: tra i suoi lavori più riusciti ricordo senz’altro il bellissimo Songs From A Dutch Tour (che a dispetto del titolo non è un live), lo splendido Block Out The Sirens Of This Lonely World, uno dei miei dieci dischi del 2013 http://discoclub.myblog.it/2013/06/27/una-trasferta-norvegese-chip-taylor-block-out-the-sirens-of/ , e l’ambizioso triplo CD The Little Prayers Trilogy di due anni orsono. E poi uno che come chitarrista utilizza John Platania, cioè il bandleader per anni di “Mr. Esigenza” Van Morrison (compreso nel leggendario live It’s Too Late To Stop Now, appena ristampato http://discoclub.myblog.it/2016/06/14/sempre-stato-difficile-fermarlo-nuova-versione-espansa-piu-dei-live-piu-belli-sempre-van-morrison-its-too-late-to-stop-now-ii-iii-iv-dvd/ ), non è certo un personaggio qualunque (in Norvegia gli hanno pure dedicato un tributo http://discoclub.myblog.it/2013/03/16/dalla-norvegia-con-passione-paal-flata-wait-by-the-fire-song/.

Ora Chip torna con un CD nuovo di zecca, Little Brothers, nel quale ci regala otto brani nuovi di zecca, di stampo autobiografico (e non è la prima volta, lo aveva già fatto in Yonkers, NY http://discoclub.myblog.it/2009/11/07/chip-taylor-yonkers-ny/ ), a partire dalla copertina che lo vede ritratto in una foto di quando era bambino assieme ai suoi due fratellini (cioè il famoso attore Jon Voight, e quindi Chip è anche lo zio di Angelina Jolie, e Barry Voight che è un famoso geologo e vulcanologo). Anche in questo disco Taylor ci delizia con una serie di ballate acustiche di rara intensità, alternandole con brevi racconti parlati nel suo tipico stile, accompagnato da pochi ma validissimi compagni di viaggio: oltre al fido Platania, abbiamo il bravissimo Goran Grini al piano ed organo (oltre che alla produzione) e un paio di bassisti che si alternano, Bill Troian e Grayson Walters, alcuni sporadici backing vocalist (tra cui i suoi nipoti) e nessuna batteria. Il disco si apre con Barry And Buffalo, una tipica canzone delle sue, in cui all’inizio Chip parla, accompagnandosi alla chitarra, in perfetto relax (ma a me, sarò parziale. piace pure quando parla), per poi infilare all’improvviso un ritornello cantato da brividi, complice anche il pianoforte di Grini. E poi anche le pause ed i sospiri del nostro fanno parte della struttura ritmica del brano. Bobby I Screwed Up è più canzone, Chip canta da subito (anche se quasi sussurrando), l’accompagnamento chitarristico è forte seppur acustico, e l’organo fornisce un prezioso background, mentre con Enlighten Yourself siamo ancora in pieno talkin’, anzi all’inizio Taylor parla proprio, come se raccontasse una storia (ci sono anche dei suoni di clacson!), poi comincia ad arpeggiare la chitarra ed introduce una melodia molto intensa, quindi ricomincia a parlare in fretta, e faccio fatica a stargli dietro, per poi finire ancora con la parte cantata, il tutto in maniera decisamente informale, ma non priva di fascino.

La title track è un altro talkin’, ma stavolta la musica non abbandona mai il brano, grazie anche ad un refrain semplice ma diretto e ad un bel connubio tra la chitarra di Platania e l’organo di Grini, risultando piacevole e raffinato. Refugee Children, anch’essa anticipata da una lunga introduzione parlata (strano!), è una toccante ballata nella quale viene fuori la particolare bravura del nostro nel creare grande pathos con solo chitarra, piano, basso e la sua voce profonda (sul finale c’è anche un coro di bambini, per una volta non fuori posto, visto l’argomento della canzone). St. Joan, dedicata a sua moglie, è un altro gran pezzo di cantautorato puro, tre strumenti in croce (ma che bel pianoforte), una voce calda ed un motivo semplice ma in grado di trasmettere grandi emozioni; Time Goes By e Book Of Hope proseguono sulla stessa linea, anzi sono ancora più lente ma forse, specie la seconda, ancora più struggenti. Il CD si chiude con una breve ripresa di Enlighten Yourself: in definitiva ancora un album davvero riuscito per Chip Taylor, un cantautore di quelli di cui hanno buttato via lo stampo.

Marco Verdi

Per L’Occasione, Meglio In Compagnia Che Sola! Carla Olson – Have Harmony Will Travel Vol.1

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Carla Olson – Have Harmony Will Travel Vol. 1 – Continental Coast/CRS/Ird 2013

Chi, come colui che vi scrive, ha amato i Textones, band degli anni ’80 nata dalla scena musicale di Los Angeles, non  può non provare piacere per il ritorno alla ribalta di Carla Olson, un personaggio quasi carismatico del rock californiano degli ultimi quarant’anni. La produzione di questa leggendaria “rockeuse” si è sempre mantenuta ad alti livelli qualitativi. Se l’apice della sua carriera l’ha toccato come “front woman” dei suddetti Textones (Phil Seymour, David Provost, Kathy Valentine, George Callins), con lo splendido album Midnight Mission (84), bissato da Cedar Creek (87) e da una raccolta Through The Canyon (89), la sua attività non ha poi conosciuto cedimenti, diventando una “musicista di culto”, ma lontana dal raggiungere lo “status” di rockstar. Non posso dimenticare il sodalizio con l’ex Byrds Gene Clark (che poteva far rinverdire in chiave più rock i fasti del duo Emmylou Harris-Gram Parsons) e che ha prodotto album come So Rebellious A Lover (87), e non posso neppure scordare la lunga collaborazione, iniziata alla fine degli anni ’90, con l’ex Bluesbreakers e Stones Mick Taylor, concretizzata in un eccellente live Too Hot For Snakes (91). Dopo l’esordio solistico Carla Olson (88), la buona armonia tra i due è continuata con Within An Ace (93) e proseguita anche in Reap The Whirlwind (94), mentre The Ring Of Truth (2001) e Dark Horses (una compilation del 2008)sono i lavori dell’ultima decade, oltre al live inedito del 2008 con i Textones, Detroit ’85: Live And Unreleased.  

Questi deliziosi duetti di Have Harmony Will Travel prodotti e curati dalla stessa Olson, vedono il supporto strumentale di ottimi musicisti come Clem Burke, Cindy Cashdollar, Tom Fillman, Rick Hemmert, Tom Morgan Jr., Pat Robinson, Greg Sutton suoi amici da sempre, e vengono eseguiti con artisti del calibro di Peter Case, Richie Furay (Poco), Scott Kempner, John York (Byrds), Rob Waller (I See Hawks in L.A.), James Intveld, Gary Myrick e la cantante country Juice Newton. L’iniziale You Can Come Crying To Me esce dalla penna di Radney Foster, un brano in mid-tempo ritmato in duetto con Juice Newton, seguito dal vocione di Rob Waller in Look What You’ve Done con Carla al controcanto, mentre Love’s Made A Fool Of You di Buddy Holly, viene eseguita in perfetto stile Roy Orbison da James Intveld. La nota Keep Searchin’ (We’ll Follow The Sun) di Del Shannon, vede un inaspettato Peter Case in una versione “beatlesiana” anni ’60, cui fa seguito una ballata di Chris Jagger (il fratello meno noto di Mick), Still Waters cantata e suonata dalla Olson con Gary Myrick, mentre She Don’t Care About Time del suo vecchio “pard” Gene Clark trova le antiche armonie dei Poco nella voce di Richie Furay.

Il sax di Tom Morgan Jr. introduce All I Needed Was You di Little Steven, e pare di vedere salire sul palco la mitica E-Street Band con la voce di Scott Kempner (dei grandi Del Lords), cui fa seguito la dolce The First In Line, scritta ai tempi da Paul Kennerley per la reunion degli Everly Brothers ed eseguita in duetto con John York, nei Byrds nel ’68-’69. Con il blues di Stringin’ Me On del songwriter e chitarrista James Intveld, Carla ritorna ai suoi antichi amori musicali, in coppia con Juice Newton, mentre Upon A Painted Ocean, viene ripescata dal vasto repertorio di PF Sloan (vi dice niente Eve Of Destruction di Barry McGuire? E’ stato anche uno dei pochi ai quali un collega illustre come Jimmy Webb ha dedicato un brano, P.F. Sloan appunto) sempre in duetto con York, seguita da 8:05 dei Moby Grape ed eseguita da Peter Case, molto sixties. Chiude la versione di un brano di Don Williams Till The Rivers All Run Dry, dal ritmo trascinante, eseguita alla perfezione da Rob Waller,

Per Carla Olson gli anni non sembrano passare, stessa grinta e classe degli importanti esordi con i Textones, una voce di grande personalità (per il sottoscritto tra Chrissie Hynde e Patti Smith), certificata da questo lavoro Have Harmony Will Travel, dove si mette anche al servizio degli altri e  che non solo conferma la classe e la continuità di questa cantante, autrice e chitarrista in grado come poche di nobilitare la figura del rock al femminile, ma che testimonia, una volta di più, la caratura di questa bionda e affascinante signora texana.

L’uscita ufficiale del disco è il 16 aprile, ma in Italia già circola.

Tino Montanari

Dalla Norvegia Con Passione! Paal Flaata – Wait By The Fire. Songs Of Chip Taylor.

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Paal Flaata – Wait By The Fire: Songs Of Chip Taylor – Rootsy 2012/2013

Scovati grazie all’infallibile fiuto della tedesca Glitterhouse, sempre attenta alla scena pop-rock indipendente, i norvegesi Midnight Choir furono considerati una delle realtà più intriganti della scena rock europea, fin dall’esordio con l’album omonimo Midnight Choir (94), cui faranno seguito Olsen’s Lot (96), Amsterdam Stranded (vincitore per il miglior album rock norvegese del  ‘98), Unsung Heroine (2000), Waiting For The Bricks To Fall (2003), tutti prodotti da Chris Eckman dei grandissimi (per chi scrive) Walkabouts, prima di sciogliersi nel 2004. La band era composta da Ron Olsen, Al DeLoner (autore di tutte le musiche e testi) e dal cantante e leader indiscusso Paal Flaata, dotato di una voce sinuosa e profonda, che dava intensità ad una musica che richiamava alla mente importanti figure che hanno scritto pagine significative nella storia del rock d’autore (a partire da Leonard Cohen, da un verso del quale prendeva il nome il gruppo).

Dopo l’abbandono dal gruppo, Paal Flaata inizia una pregevole carriera solista partendo da In Demand (2002), l’ottimo Rein (2005), una raccolta di canzoni natalizie Christmas Island (2006), Old Angel Midnight (2008), sino ad arrivare a questo Wait By The Fire, che propone, curiosamente, un intero lavoro di rivisitazioni di “classici” del cantautore americano Chip Taylor (fratello dell’attore Jon Voight, padre di Angelina Jolie, moglie di Brad Pitt, e qui mi fermo per il gossip, ma aggiungerei  giocatore di poker professionista). Come spesso accade nella vita, i due si sono conosciuti incidentalmente, in occasione della vicenda della strage sull’isola Utoya, avvenuta nel Luglio del 2011, e da quel momento si è consolidata una stima reciproca, che ha portato a queste dieci canzoni, che sono state estratte dal corposo songbook di Chip (con brani che vanno dal 1960 al 2011).

Prodotto dal collaboratore e polistrumentista Goran Grini, Wait By The Fire, nei suoi cinquanta minuti, si avvale di bravi musicisti locali (per questa volta vi risparmio, per ovvi motivi, i loro nomi), che accompagnano l’ex cantante dei Midnight Choir in questa riuscita reinterpretazione di brani di un autore come Chip Taylor, conosciuto in tutto il mondo per aver scritto successi negli anni ’60 come Wild Thing (Troggs, ma anche Hendrix al Festival di Monterey) e I Can’t Let Go (Hollies), stranamente escluse da questa selezione, ma sinceramente era talmente vasto il serbatoio da cui pescare, che non era certamente facile fare delle scelte. L’iniziale Wait By The Fire, introdotta da arpeggi di chitarra, è un brano splendido, che rispetta in modo evocativo lo spirito delle canzoni dell’autore, mentre la seguente He Sits At My Table è una dolcissima ballata (il primo successo di Willie Nelson nel 1960) con una “performance” di grande livello da parte di Paal Flaata.

Arriva il momento di Angel Of The Morning uno dei classici di Taylor , si tratta di un motivo impossibile da dimenticare, che è stato interpretato da una schiera di cantanti tra cui Juice Newton (la versione più famosa pubblicata nel 1981), Evie Sands (l’originale), Merrilee Rush, Nina Simone, Dusty Springfield (dalle nostre parti è stata fatta una versione dai Profeti con il titolo Gli occhi verdi dell’amore), a cui fa seguito l’accattivante I Can Make It With You, altro brano portato al successo nel lontano 1966 da Jackie De Shannon. Si prosegue con una meraviglia, una versione di If I Stop Loving You, una ballata di sei minuti cantata in stile Leonard Cohen, dove la bravura vocale di Paal viene messa in evidenza, mentre Sleepy Eyes è una dolce filastrocca pop. Con Graceland Souvenirs  (dove il titolo di una canzone di Elvis I Forgot To Remember To Forget è una parte del testo) si viaggia ancora verso le ballate d’atmosfera, mentre Weaker Moments è il momento più intimo del disco, un pianoforte ed un violino ci trasportano con la mente in un lussuoso piano-bar di Oslo. You Didn’t Get Here Last Night è una grande brano pianistico, con un ritornello in stile “ragtime”  che fa da preludio a This Darkest Day, una ballata struggente (che Chip Taylor scrisse il giorno dopo la strage, in ricordo delle vittime) e Flaata l’ha cantata nel corso di un bel concerto gratuito al Farm Festival di Halden.

Paal Flaata (per chi scrive) è senza ombra di dubbio una delle voci più belle della scena norvegese, e per chi conosce il cammino fatto con il suo gruppo, questo Wait By The Fire  non può altro che certificarlo, a dimostrazione che in questo genere di contesto, le canzoni pur belle, possono essere ulteriormente valorizzate con una prestazione vocale fantastica, che viene dal profondo dell’anima.

Alla fine dell’ascolto del CD, ho avuto la netta sensazione che queste canzoni fossero state scritte appositamente per Paal Flaata, in quanto anche se Chip Taylor è un grande cantante e autore, le sue migliori canzoni sono diventate più grandi di lui, e la dimostrazione è stata data da tutti i grandi artisti che hanno portato la sua musica in giro per il mondo.

Tino Montanari