Affascinante “Vera Ed Antica” Country Music Dagli Altopiani Australiani. Kasey Chambers & The Fireside Disciples – Campfire

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Kasey Chambers & The Fireside Disciples – CampfireWarner Music Australia/Essence

Kasey Chambers è una delle più popolari (e brave) cantautrici australiane, i suoi dischi sono regolarmente ai primi posti nelle classifiche down under, questo Campfire è il suo dodicesimo disco di studio, ed esce dopo l’ottimo e complesso doppio dello scorso anno Dragonfly https://discoclub.myblog.it/2017/02/05/sempre-dallaustralia-una-libellula-di-prima-grandezza-kasey-chambers-dragonfly/ . Ma nel passato della brava Kasey c’è anche un passaggio cruciale nella band di famiglia, la Dead Ringer Band, in azione soprattutto negli anni ’80 e ’90, e che vedeva in formazione anche la mamma Diane, il fratello Nash e il babbo Bill, partendo proprio dagli stessi presupposti che stanno alla base di questo Campfire: ovvero, riassunto molto in sintesi, nel 1976, quando Kasey era un infante e Nash aveva due anni, la coppia Chambers decise di andare a vivere in una zona dell’Australia rurale nota come Nullarbour Plain, un altopiano in mezzo al nulla, dove per sostenersi si erano dedicati alla caccia alla volpe e ad altre attività molto primitive, alla sera prima di dormire tutta la famiglia si riuniva intorno al falò del campo, da cui il Campfire del titolo, Bill estraeva la chitarra e tutta la famiglia armonizzava al ritmo dei grandi classici del country, del bluegrass, del folk e della OTM. Quindi cosa ti ha pensato la vulcanica nostra amica: perché non realizzare un album interamente basato su questa tradizione delle canzoni intorno al falò?

Detto fatto e, a merito della Chambers, va detto che questo disco, acustico, scarno, basato su pochi strumenti e l’armonizzazione deliziosa delle voci, in primis è molto riuscito, e poi è arrivato anche fino al 6° posto della classifica australiana: pensate ad un disco di Iris DeMent o Gillian Welch, ma scarnificatelo ancora di più, oppure al suono di un progetto come Brother Where Art Thou (Fratello Dove Sei?), incentrato su una serie di brani scritti appositamente dalla Chambers per l’occasione, che viene aiutata dal babbo Bill , chitarra, dobro, mandolino, da Brandon Dodd dei Grizzly Train, chitarra e banjo, e da Alan Pigram, un aborigeno degli Yavuru, che collettivamente si fanno chiamare The Fireside Disciples, e integrano con le loro intricate armonie vocali Kasey Chambers, in brani che spaziano appunto tra country, mountain music, bluegrass, folk, anche gospel, in alcune occasioni cantato a cappella , mentre altre canzoni sono cantate in solitaria. Un disco non facile, ma affascinante, che si apre, e non poteva essere diversamente, con The Campfire Song, una delicata canzone che rimanda alle canzoni della Carter Family, ma anche ai brani più acustici di Emmylou Harris e Dolly Parton, che da sole (o come trio, insieme alla Ronstadt) hanno esplorato questo repertorio più acustico e tradizionale: la Chambers non ha una voce straordinaria, piuttosto sottile, ma “garbata” ed evocativa, e l’intermezzo parlato di Pigram aggiunge fascino ad un brano già ammaliante di suo. Go On Your Way vive solo sulle voci disadorne ma seducenti dei protagonisti, mentre Orphan Heart, introdotta da un banjo e da una chitarra acustica, vive ancora sulle splendide armonizzazioni dei musicisti coinvolti, e poi il dobro di Bill Chambers diventa protagonista del brano.

La quasi biblica Goliath Is Dead va a ritmo di un  mosso gospel, con il call and response di Kasey e dei suoi soci, su cui si inserisce una frizzante armonica. Abraham, cantata dalla sola Kasey, è uno dei brani centrali del disco, una ballata splendida di sei minuti, fragile ma forte al contempo, sui guai di questo mondo, forse senza speranza, dove viviamo, cantata in solitaria dalla Chambers, ma con le voci e gli strumenti che a tratti la sostengono con vigore in una atmosfera per altri versi, soffusa; Early Grave è un’altra bella canzone di stampo country-folk, come pure la successiva The Harvest And The Seed, dove come ospite appare una Emmylou Harris che mostra una voce meno frizzante del solito, più rotta e vissuta, che testimonia che anche per lei il tempo scorre, anche se il fascino e la classe non mancano mai. Big Fish, solo voci e percussioni e un dobro nel finale, come pure The Little Chicken (featuring My  Dad!), ricordano appunto quelle canzoni  spensierate che probabilmente si cantavano intorno al fuoco nei tempi che furono. E anche Junkyard Song introdotta dai dialoghi in presa diretta dei protagonisti, come pure la musica ha quella freschezza tipica della canzone popolare, con Now That You’re Gone, che è un’altra splendida ed intensa traccia da folksinger pura di grande caratura, cantata con impeto e grande partecipazione dalla Chambers, che poi si rilassa nuovamente nella elegante, minimale e favolistica Fox And The Bird, solo un banjo e la voce sussurrata di Kasey. Che ci saluta nella conclusiva, corale Happy, dove come The Little Pilgrims appaiono quelli che hanno tutta l’aria di essere figli e nipoti, per chiudere idealmente questo incantevole viaggio nel passato e proiettarlo nel futuro.

Bruno Conti

Sempre Dall’Australia, Una “Libellula” Di Prima Grandezza. Kasey Chambers – Dragonfly

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Kasey Chambers – Dragonfly – Warner Music Australia – 2 CD

Da quando è tornata “signorina” Kasey Chambers (con il suo ex marito Shane Nicholson aveva inciso due ottimi lavori Rattlin’ Bones (08) e Wreck & Ruin (12)), non sbaglia più un colpo. A distanza di due anni da Bittersweet, al solito puntualmente recensito su queste pagine, ritorna con questo nuovo Dragonfly, il suo undicesimo album di studio, composto da venti canzoni suddivise in due CD, e con la particolarità che i due dischetti sono prodotti,  il primo dal noto cantautore Paul Kelly (abituale cliente di questo blog), e il secondo dal fratello Nash Chambers, il tutto ulteriormente valorizzato dalla partecipazione come ospiti in vari  “duetti” di artisti noti, come lo stesso Kelly, Foy Vance, Ed Sheeran, Keith Urban, e i meno noti Harry Hookey, Grizzlee Train, oltre alle immancabili coriste Vika e Linda Bull.

Questo nuovo lavoro, Dragonfly, quindi prosegue sulle certezze del passato, e il primo battito d’ali avviene con le Sing Sing sessions. Prodotte, come detto, da Paul Kelly, con l’iniziale Pompeii che è la perfetta introduzione con il suono tradizionale del banjo a guidare la melodia; pezzo a cui fanno seguito una splendida ballata come Ain’t No Little Girl dove Kasey dà il meglio di se stessa, come pure nelle dolci note di violino che accompagnano la bella Summer Pillow, e ancora nel country-gospel di Golden Rails, e nella cantilena sussurrata di Jonestown. Con Romeo & Juliet (chiariamo subito che non è quella famosa dei Dire Straits) arriva il primo duetto, con il cantautore irlandese Foy Vance (musicista di cui abbiamo parlato in occasione dello splendido Live At Bangor Abbey), con un abbrivio solo voce, poi la canzone si sviluppa in una ballata che profuma di Irlanda, ed è seguita da una scanzonata e spiritosa Talkin’ Baby Blues, dalla grintosa You Ain’t Worth Suffering For, mentre Behind The Eyes Of Henri Young è un raffinato e delizioso brano acustico, che prelude alla chiusura del primo disco con la ritmata Hey (in duetto con il grande Paul Kelly), e alla tensioni roots-rock di This Is Gonna Be A Long Year, dove la Chambers si riscopre  “rockeuse”.

Il secondo battito d’ali di questo doppio è affidato alle Foggy Mountains Sessions:si parte con il moderno “spiritual” Shackle & Chain, dove un coro quasi da antica piantagione ricorda le profonde tradizioni del sud, mentre la title track Dragonfly è sicuramente il momento più cool e raffinato del disco, seguita dalla rumorosa e intrigante If I Died, dal duetto con Ed Sheeran in una autoironica canzoncina country-pop come Satellite, per poi tornare alla danza quasi popolare di No Ordinary Man con Harry Hookey e le sempre brave sorelle Bull, e ad una dolce e raffinata If We Had A Child con Keith Urban, che fortunatamente per l’occasione è meno “tamarro” del solito. Ci si avvia alla conclusione con il “modern folk” di una galoppante Annabelle, il talk-blues di The Devil’s Wheel con gli emergenti australiani Grizzlee Train, e, infine riproposta in una versione simil “lounge” Ain’t No Little Girl, perfetta da cantare nel famoso The Irish Times Pub di Melbourne.

Kasey Chambers è una stella di prima grandezza del continente Australiano (anche questo disco è arrivato al n°1 delle classifiche down under), fin dal suo esordio con The Captain ed il successo planetario del suo secondo album Barricades & Brickwalls, che vendette più di 7 milioni di copie, avendo comunque buoni riscontri di critica e l’apprezzamento manifestato da molti colleghi, e soprattutto la stima e l’affetto crescente del suo pubblico (anche se per chi scrive sia in parte uno svantaggio il suo passaporto australiano), continua a sfornare ottimi dischi come questo Dragonfly, dove il sound, grazie alle produzioni citate, è semplicemente perfetto, con tracce sia di pop-rock quanto di tradizione (con una vocalità squillante alla Patsy Cline), cosa che farebbe la fortuna di molte altre sue colleghe. Peccato che i suoi dischi non siano facili da reperire e piuttosto costosi per noi europei.

La Chambers non è  mai stata e non sarà mai la Lucinda Williams australiana (troppo alta l’asticella da superare, per chi scrive), ma il suo talento la rende una musicista inconfondibile e anche a distanza di anni, la pone ancora una spanna sopra la media. Accattivante, piacevole e talora struggente!

Tino Montanari