Nonostante La Lunga Assenza E’ Ancora Una Songwriter Coi Fiocchi! Kathleen Edwards – Total Freedom

kathleen edwards

Kathleen Edwards – Total Freedom – Dualtone CD

L’album di cui mi accingo a scrivere è una specie di piccolo evento, in quanto si tratta del quinto lavoro di Kathleen Edwards, cantautrice canadese tra le più interessanti ad aver esordito nel nuovo millennio che però era ferma discograficamente da ben otto anni. Dopo tre ottimi dischi pubblicati tra il 2003 ed il 2008 (Failer, Back To Me e Asking For Flowers, tutti molto apprezzati sia dalla critica che dal pubblico) la Edwards si era presa cinque anni di pausa prima di tornare nel 2012 con il valido Voyageur https://discoclub.myblog.it/2012/01/26/una-viaggiatrice-particolare-kathleen-edwards-voyageur/ , ma da allora le notizie che la riguardavano erano uscite con il contagocce. Oltre ad aver aperto una coffee house a Stittsville (sobborgo della natia Ottawa), pare infatti che Kathleen abbia sofferto di una seria forma di depressione e che solo in tempi recenti sia riuscita a venirne fuori: una parte del merito è da attribuire a Maren Morris, la quale ha chiesto alla Edwards di scrivere una canzone per il suo album del 2019 Girl (il brano in questione è Good Woman), spronandola in maniera decisa a riprendere in mano la sua carriera musicale.

Il risultato di questo ritorno è Total Freedom, un album che fin dal primo ascolto si rivela davvero bello e riuscito, e che ci mostra un’autrice che non ha perso lo smalto nonostante la lunga assenza dalle scene. I dieci brani del disco sono perfettamente bilanciati tra folk, rock e pop come di consueto, ma è la vena compositiva della protagonista che fa la differenza, insieme alla sua classe interpretativa che non è peraltro mai stata in discussione. Ballate profonde che si alternano a brani più movimentati, il tutto eseguito con grande feeling ed eleganza: molti hanno paragonato Kathleen a Suzanne Vega, ed il parallelo secondo me calza anche se la Edwards ha comunque un suo stile ed una sua personalità che in questo lavoro la porta anche verso atmosfere quasi californiane. Prendete lo splendido brano d’aperura, cioè la mossa Glenfern, una raffinata ed elegante ballata dal ritmo cadenzato, background pianistico ed un motivo pulito e diretto, quasi come se la Vega si fosse ritrovata in studio con i Fleetwood Mac. L’album è prodotto da Jim Bryson e Ian Fitchuk, che collaborano con la Edwards anche in veste di musicisti (rispettivamente a chitarra e piano il primo ed al basso il secondo) insieme ad un collaudato gruppo che vede come elementi di spicco i chitarristi Blair Hogan e Gord Tough, il batterista Peter Von Althen, lo steel guitarist Aaron Goldstein e, alle backing vocals in un brano, la brava “collega” Courtney Marie Andrews.

Dopo la già citata Glenfern l’album prosegue con Hard On Everyone, caratterizzata da un tempo veloce ed un bel lavoro chitarristico che entra sottopelle, il tutto nobilitato dalla voce limpida di Kathleen che sciorina un’altra melodia discorsiva e decisamente gradevole nonostante una leggera malinconia di fondo; la gentile Birds On A Feeder è una squisita ballata di stampo acustico con al centro la voce cristallina della Edwards ed un accompagnamento scarno ma di classe, mentre Simple Math è uno slow elettroacustico dal tono crepuscolare e dotato di una linea melodica purissima, eseguito anch’esso con notevole finezza. Il ritmo torna a salire nell’orecchiabile Options Opens, primo singolo dell’album che può contare su un refrain delizioso ed una strumentazione perfetta in cui le chitarre dicono la loro con misura, un pezzo in aperto contrasto con la seguente Feelings Fade, folk song dall’atmosfera rarefatta ma con un motivo che non manca di provocare qualche brivido grazie anche ad una leggera orchestrazione che aggiunge altro pathos.

Fools Ride è intimista, con gli strumenti che a poco a poco fanno crescere l’intensità lasciando però sotto i riflettori la voce di Kathleen, Ashes To Ashes è un altro incantevole bozzetto per voce, chitarra acustica e poco altro, la breve Who Rescued Who è invece una piacevole e solare pop song ancora “veghiana”, che ci porta alla conclusiva Take It With You When You Go, toccante e bellissima ballatona pianistica che mette la parola fine con grazia e feeling ad un disco che conferma la bravura di Kathleen Edwards e la sua voglia ancora intatta di fare ottima musica.

Marco Verdi

Una “Viaggiatrice” Particolare. Kathleen Edwards – Voyageur

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Kathleen Edwards – Voyageur – Rounder/Universal

La canadese Kathleen Edwards, giunta al suo quarto album con questo Voyageur, come forse saprete  per averlo letto, era partita per un “viaggio” alla ricerca di un produttore e di un nuovo suono e l’ha trovato nella persona di Justin Vernon (in arte Bon Iver), ma ha anche trovato l’amore. Questo nuovo album allo stesso tempo si unisce alla nutrita schiera dei “divorce album” in quanto tra metafore varie racconta la storia del collasso del suo matrimonio con il suo precedente produttore e compagno di vita Colin Cripps. Questa è in soldoni la storia della genesi e della realizzazione di questo album che martedì prossimo vedrà la pubblicazione anche sulle lande italiche dopo essere uscito, prima in America e poi in Europa nelle scorse settimane.

Lei, al sottoscritto piace, ma questo album ha scatenato una serie di commenti (forse anche superiori al valore del disco): chi l’ha stroncato senza pietà in Italia, chi l’ha osannato anche troppo in Inghilterra via Stati Uniti (il recensore di Uncut). Secondo me siamo in una onesta via di mezzo. Il disco si ascolta piacevolmente, ha più di un punto di contatto con il sound dell’ultimo omonimo album di Bon Iver ma pure qualche reminiscenza (peraltro poche) con il suo passato roots. Alcuni brani sono anche orecchiabili, vogliamo dire, più nobilmente, radiofonici, e non è un’offesa o una degradazione, se ogni tanto alla radio con il piattume che circola, ogni tanto, si possono sentire anche canzoni di chi qualcosa da dire ce l’ha, non può certo far male alle orecchie e al cuore di chi li ascolta.

 

Il disco, registrato tra Fall Creek nel Wisconsin e Toronto, Canada si avvale di una piccola pattuglia di collaboratori e ospiti ma il “grosso” del lavoro strumentale lo fa Justin Vernon che si destreggia tra chitarre acustiche ed elettriche, tastiere, banjo, basso e “l’odiato” synth pietra dello scandalo (che ad essere onesti un po’ rompe la balle ma non troppo), mentre Kathleen Edwards suona molte chitarre acustiche, piano e organo, un evocativo violino nella malinconica ballata A Soft Place To Land, entrambi si alternano al vibrafono in un paio di brani, non proprio uno strumento da musica orecchiabile se proprio vogliamo.

 

Il collega canadese Jim Bryson (molto bravo, ha fatto cinque album a nome suo), una costante nei dischi della Edwards firma il brano Sidecar e appare costantemente come musicista nel disco. Anche Hawksley Workman altro quotato cantautore canadese pur di partecipare siede alla batteria in un paio di brani (ma è uno dei tanti strumenti che suona). E nel brano finale, la lenta avvolgente e ipnotica For The Record le armonie vocali sono a cura di Norah Jones. Mi piace ricordare anche il folk-pop brioso dell’iniziale Empty Threat e la atmosfere più raccolte di House Full Of Empty dall’impronta più acustica che ricorda i lavori passati di Kathleen Edwards. Mint ha un suono più rockeggiante vagamente (ma molto vagamente) alla Sheryl Crow mentre Pink Champagne potrebbe ricordare le sonorità meno austere della connazionale Sarah McLachlan con un bell’insieme corale. E ricordiamo pure pure Change The Sheets che mi ha fatto rimembrare i Cranberries del primo periodo (qui da David Letterman).

 

Insomma se vi piacciono le voci femminili di talento, questo Voyageur non è un capolavoro ma nemmeno una “schifezza”. Quando si è proprio incerti sui risultati finali si usa estrarre dal cilindro il termine “lavoro di transizione”. Si può fare!

Bruno Conti