Un’Altra Splendida (Quasi) Settantenne! Marianne Faithfull – No Exit

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Marianne Faithfull – No Exit – EarMusic DVD – BluRay – DVD + CD – BluRay + CD

Ormai quasi tutti i musicisti per i quali vibriamo stanno celebrando, o hanno già celebrato da qualche anno, i cinquanta anni di carriera. Anche Marianne Faithfull, cantante londinese musa nei sixties di Mick Jagger e Keith Richards (con Mick ha avuto anche una lunga e burrascosa relazione), oggi sessantanovenne (ne fa settanta a Dicembre), ha tagliato il traguardo due anni orsono, e ha festeggiato l’evento con una tournée che sulla carta doveva promuovere il suo ultimo disco di studio, l’ottimo Give My Love To London (uno dei suoi migliori, ma è già da diversi anni che la bionda Marianne fa solo dischi belli), ma in pratica è diventata un pretesto per rileggere pagine più o meno note del suo percorso d’artista. Molto famosa negli anni sessanta, anche per la sua maliziosa bellezza, Marianne ha avuto un crollo di popolarità nei seventies, anche in conseguenza di uno stile di vita non proprio da monaca: è arrivata fino a conoscere l’inferno, ma ha saputo risalire e reinventarsi, più o meno dall’album Broken English del 1979, come raffinata chanteuse ed interprete sopraffina (ma continua anche oggi a scrivere diverse canzoni di suo pugno), complice anche una metamorfosi vocale, causata da sigarette e stravizi, che ha aggiunto ancora più fascino alle sue canzoni, una voce quasi “brechtiana”; d’altronde la Faithfull ha origini mitteleuropee, essendo discendente da parte di madre della nobile dinastia dei Von Sacher – Masoch (un nome che solo a sentirlo fa venire in mente giarrettiere, guepières e frustini di pelle nera).

Oggi Marianne è una signora invecchiata e con qualche problema fisico (nel BluRay di cui mi accingo a parlare cammina accompagnata da un bastone e ha chiari problemi di movimento), ma il viso reca ancora tracce di quando faceva girare la testa a mezza Londra, e quando apre bocca, sia per introdurre in maniera pacata le canzoni sia per cantarle, rivela una classe immensa ed immutata, ad un livello che recentemente ho riscontrato solamente in Joan Baez e, parlando di uomini, in Leonard Cohen. No Exit è il suo nuovo DVD dal vivo (o BluRay, filmato in una splendida definizione), registrato a Budapest (quindi non lontano da dove discende), che mette in fila in un’ora e mezza precisa sedici brani scelti tra più o meno famosi con, nella versione doppia, una selezione di dieci pezzi dallo stesso concerto (due-tre in più ci stavano, se proprio non si voleva fare un CD doppio). Marianne sopperisce la scarsa forma fisica con una capacità interpretativa formidabile, con la sua voce figlia di mille battaglie che si staglia carismatica e fragile nello stesso tempo, una voce che è uno strumento in più aggiunto a quelli presenti sul palco: la band è ridotta, solo quattro elementi, ma suonano in maniera davvero sopraffina, specialmente lo straordinario pianista Ed Harcourt (che è anche un artista in proprio avendo già pubblicato sette album), dotato di un tocco e di una liquidità scintillante (e comunque gli altri tre non sono di molto inferiori: Rob McVey, chitarrista misurato e sempre funzionale alla canzone, mai una nota fuori posto, e la superba sezione ritmica formata da Jonny Bridgewood al basso e Rob Ellis alla batteria).

Il concerto si apre con la saltellante title track del disco di due anni fa, scritta insieme a Steve Earle, un brano dalla melodia immediata anche se ripetitiva, alla quale la voce di Marianne dona profondità; Falling Back (scritta con la cantautrice Anna Calvi) ha una splendida introduzione full band, con un suggestivo riff di pianoforte, ed il brano fa venire la pelle d’oca tanto è bello, grazie anche all’interpretazione da brividi di Marianne e la formidabile performance di Harcourt. Broken English non ha bisogno di presentazioni, è uno dei classici della Faithfull, e questa versione decisamente elettrica e pulsante le rende giustizia, una rinfrescata ad un brano che ha dato una svolta alla sua carriera; Witches Song, che Marianne dice di aver composto dopo aver visto Il Sabba Delle Streghe di Goya al Prado di Madrid, è un pezzo ritmato, vivace e più solare dei precedenti, con una chitarra acustica a scandire il ritmo ed il solito bel piano liquido, mentre Price Of  Love, una cover di un brano degli Everly Brothers, ha un arrangiamento “cattivo” e dai toni rock-blues. Marathon Kiss è invece stata scritta da Daniel Lanois (che aveva prodotto per Marianne il bellissimo Vagabond Ways), e presenta le tipiche sonorità rarefatte del musicista canadese, un gran bel pezzo che la Faithfull ci propone con un feeling enorme: si sente la fragilità della voce, ma proprio per questo il tutto risulta più vero e spontaneo. L’acustica ed intensa Love More Or Less (se non vi emozionate all’ascolto di brani come questo non siete umani) precede la classica As Tears Go By, il noto brano dei Rolling Stones che all’epoca Marianne fece sua, la canzone non perde un’oncia della sua bellezza, e la voce matura e profonda della leader ne offre la versione forse definitiva: brividi lungo la schiena.

Splendida anche la mossa Come And Stay With Me , un pezzo scritto per lei nel 1965 da Jackie DeShannon, caratterizzata da una melodia pop diretta e godibile; Mother Wolf ha invece una ritmica cupa e minacciosa, ed è meno immediata delle precedenti, ma poi è la volta della celeberrima Sister Morphine, il pezzo scritto dagli Stones pensando a lei (che è anche co-autrice), un brano ancora oggi drammatico e di una potenza emotiva incredibile, punteggiata dai lancinanti riff di chitarra di McVey (nell’originale degli Stones la suonava Ry Cooder). Bella ed intensa anche Late Victorian Holocaust di Nick Cave, un autore molto amato da Marianne; Sparrows Will Sing è invece stata donata alla Faithfull da Roger Waters, e ha una melodia tipica del suo autore, con un arrangiamento forte e molto rock ed una sezione ritmica pulsante, mentre The Ballad Of Lucy Jordan, del noto autore Shel Silverstein, è una grande canzone, una delle migliori del concerto, che dà il meglio di sé in questa resa acustica ma full band ed è ulteriormente valorizzata dalla voce incredibile di Marianne: una meraviglia. Il concerto si chiude con la rara Who Will Take My Dreams Away, ancora drammatica (ma che intensità!), e con Last Song, scritta con Damon Albarn dei Blur (una sera, dice Marianne, nella quale erano tutti e due ubriachi fradici), bellissima anche questa: applausi scroscianti e sipario. Come bonus, quattro pezzi tratti dalla performance alla Roundhouse di Londra, tre dei quali in comune con la serata di Budapest (Give My Love To London, Late Victorian Holocaust e Sister Morphine) ed una intima rilettura di It’s All Over Now, Baby Blue di Bob Dylan.

Assieme al settantacinquesimo di Joan Baez ed al Live In San Diego di Eric Clapton (ma di interessanti ne devono ancora uscire), questo No Exit è uno dei dischi dal vivo dell’anno.

Marco Verdi

21 Anni Fa Era “Solo” Imperdibile, Ora E’ Indispensabile! The Rolling Stones – Totally Stripped

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The Rolling Stones – Totally Stripped – Eagle Vision DVD – Blu-ray – DVD/CD – Blu-ray/CD – DVD/2LP – Deluxe 4DVD/CD – 4Blu-ray/CD

Nel 1994 i Rolling Stones tornarono alla grande, a cinque anni dal discreto Steel Wheels, con l’eccellente Voodoo Lounge, di certo il loro miglior lavoro dai tempi di Tattoo You in poi: i quattro (Bill Wyman nel frattempo aveva mollato la baracca, ufficialmente per logorio fisico e mentale) intrapresero quindi un monumentale tour che li portò praticamente ovunque, e, limitatamente alle date europee, oltre ai soliti mega-concerti negli stadi ci fu qualche serata in piccoli club, giusto per riassaporare il clima degli esordi. Da tre di queste date, al Paradiso di Amsterdam, Olympia di Parigi e Brixton Academy di Londra (ma usando anche diverse registrazioni live in studio a Tokyo e Lisbona), venne tratto Stripped, un album dal vivo davvero magnifico, che vedeva le Pietre in forma super smagliante rivisitare pagine note e meno note del loro repertorio, con alcune vere e proprie chicche e, in molti casi, arrangiamenti quasi unplugged: per il sottoscritto ancora oggi Stripped è il secondo miglior live album di sempre degli Stones (archivi compresi), subito dopo l’intoccabile Get Yer Ya-Ya’s Out. Ora, a distanza di 21 anni (ormai gli anniversari vanno a casaccio) la Eagle Vision mette fuori una sontuosa ristampa di quel disco, intitolandola Totally Stripped, album che inizialmente doveva uscire solo in Giappone ma poi saggiamente si è deciso di rendere disponibile a tutti nella solita pletora di diverse versioni come potete vedere nell’intestazione del post (però esiste una Super Deluxe Edition esclusiva per il mercato nipponico, che comprende i quattro Blu-ray, il CD, il doppio LP, una maglietta ed un CD aggiuntivo con “ben” tre brani in più). Il DVD, o Blu-ray, principale (quello cioè che occupa tutte le versioni singole) è costituito da un bellissimo documentario già trasmesso all’epoca dalla BBC, ma qui potenziato, incentrato sulle sessions di Tokyo e Lisbona, oltre che sui concerti di Amsterdam, Parigi e Londra, con backstage, interviste, highlights dalle tre serate e performances inedite (come un rehearsal di Tumbling Dice) , ma il vero valore aggiunto si trova nelle versioni Deluxe, per una volta davvero da non perdere, che vedono presenti i tre concerti nella loro interezza, una vera goduria per gli occhi e per le orecchie e, nel caso di Amsterdam, un momento quasi leggendario della carriera dei nostri, una di quelle serate magiche che hanno contribuito a creare il mito, nelle quali l’ispirazione e lo stato di grazia si toccano quasi con mano. In tutti e tre i DVD si può comunque apprezzare a fondo un lato inedito degli Stones, che ormai associamo a mega-produzioni e concerti in luoghi immensi, ma che in queste serate in piccole sale tirano fuori il meglio, caricati sicuramente dal contatto ravvicinato con il pubblico, mostrando anche di divertirsi non poco, come se tornassero indietro di trent’anni almeno. Ma, documentario a parte, mi sembra giusto fare una disamina dettagliata delle tre serate, con una maggiore attenzione per la prima delle tre, non solo per la performance da cinque stelle ma anche per l’eccezionalità della scaletta.

Paradiso, Amsterdam: che la serata è di quelle giuste si capisce da subito, in quanto le Pietre iniziano subito con un uno-due da urlo, Not Fade Away di Buddy Holly e It’s All Over Now di Bobby Womack, due cover da loro incise ad inizio carriera ed assenti da una vita dalle setlists: Mick Jagger è più statico del solito (d’altronde il palco è piccolo) ma canta da Dio, Keith Richards e Ronnie Wood sono da subito sudati come muratori sotto il sole e Charlie Watts picchia sui tamburi col solito aplomb da vero Englishman, ed anche il resto della band mostra di essere sul pezzo (i soliti noti: il grande Chuck Leavell alle tastiere, Darryl Jones al basso, Bernard Fowler e la sensuale Lisa Fisher ai cori e la sezione fiati guidata dall’impareggiabile Bobby Keys). La rara Live With Me, elettrica e ficcante, prelude ad una bellissima Let It Bleed acustica, ma dal ritmo sempre alto, una gustosa versione quasi country-rock, con Wood superlativo alla slide, e ad una strascicata e sexy The Spider And The Fly, con Jagger marpione come non mai. Se pensate che la scaletta sia interessante, ecco arrivare la stupenda Beast Of Burden, uno dei loro migliori pezzi degli anni settanta ed in assoluto un errebi fantastico, suonata in maniera perfetta. Dopo un momento romantico con la nota Angie, ecco la sezione country del concerto, con tre brani da k.o. uno dietro l’altro (Wild Horses, mai così intensa, una Sweet Virginia che fa ballare anche il servizio d’ordine e la sensazionale Dead Flowers), seguite, e qui viene giù il teatro, dalla splendida Shine A Light (con Don Was ospite all’organo), un eccezionale soul-gospel-rock qui al suo esordio dal vivo (era su Exile On Main Street): questa è musica che si suona in Paradiso, e non mi riferisco al nome del locale. Anche Like A Rolling Stone è qui al suo debutto nella versione delle Pietre (Jagger scherza dicendo che Bob Dylan l’aveva scritta per loro), bella rilettura, potente, roccata, diretta, coinvolgente. E’ la volta di Keith cantare ben tre canzoni invece delle solite due, una Connection breve ma vibrante, con Jagger che invece di lasciare il palco come fa d’abitudine rimane ai cori, e due intensissime Slipping Away e The Worse, con Keef che non canterà bene come il suo partner ma ci mette il cuore e l’anima. Torna sul palco Mick per il gran finale, con una Gimme Shelter davvero diabolica, e consueto siparietto con una Lisa Fisher da mangiare con gli occhi, una tiratissima All Down The Line, con Ronnie che va giù di slide neanche fosse Johnny Winter, un uno-due a tutto rock’n’roll (Respectable e Rip This Joint) e, come bis, una curiosa Street Fighting Man suonata con strumenti acustici, ma dalla temperatura sempre alta. Uno dei più bei concerti in DVD di sempre.

Olympia, Paris: in questa serata tornano in scaletta diversi pezzi più mainstream, ma suonati anch’essi come se non ci fosse domani (Honky Tonk Women, che apre il concerto, Tumbling Dice, Miss You, ed il finale che mette in fila Start Me Up, It’s Only Rock’n’Roll, Brown Sugar e Jumpin’ Jack Flash), ma non mancano le chicche: tra tutte, Down in The Bottom, un bluesaccio di Howlin’ Wolf (e scritto da Willie Dixon) suonato elettroacustico con tre chitarre (anche Jagger) come se si fosse in una bettola di Chicago, e la sempre monumentale Midnight Rambler, allora non una presenza fissa in scaletta come oggi. Ottimi anche i due rock’n’roll tratti da Voodoo Lounge, You Got Me Rocking e I Go Wild.

Brixton Academy, London: una scaletta abbastanza simile alla precedente, ma che diventa imperdibile solo per la presenza della strepitosa Faraway Eyes, una delle più belle country songs di sempre (e non solo degli Stones), un capolavoro che, messo in fondo ad una sequenza con Dead Flowers e Sweet Virginia, crea un climax ai livelli di Amsterdam. Senza dimenticare una ruvida Black Limousine, il solito grande blues con Love In Vain (di Robert Johnson) e la rarissima, non me la ricordavo neanche, Monkey Man.

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E poi c’è il CD con il meglio delle tre performances, e questa è un’altra sorpresa, nel senso che non ricalca minimamente quello originale, ma sceglie brani diversi o in versioni differenti, eccetto un caso (Street Fighting Man da Amsterdam), andando a chiudere idealmente il cerchio aperto nel 1995. Solo per il concerto al Paradiso questo box non vi dovrebbe sfuggire, ma poi c’è anche il resto a testimoniare la più grande rock’n’roll band di sempre in uno dei suoi momenti più felici: ripeto, indispensabile https://www.youtube.com/watch?v=UZ0Y01fXrts .

Marco Verdi

Vi Piacciono Quelli Bravi? Kevin Gordon – Long Gone Time

kevin gordon long gone time

Kevin Gordon – Long Gone Time – Crowville Media 

Kevin Gordon è la perfetta epitome dell’ “unsung hero” (termine che ho usato recentemente anche per Albert Lee  http://discoclub.myblog.it/2015/11/14/eroe-celebrato-albert-lee-highwayman/e che forse rende meglio l’idea dell’italiano “eroe non celebrato o sconosciuto”). Un cantautore nativo della Louisiana, ma che da anni vive a Nashville, dove per mantenersi gestisce anche una sorta di galleria d’arte “alternativa” situata all’interno della propria abitazione, e la drammatica immagine posta in copertina di un cervo che annega tra i flutti del diluvio successivo ad un evento terribile, intitolata After The Flood (Katrina), opera di Michael Noland, illustra perfettamente sia il tipo di articoli in vendita in quella galleria, quanto la musica di Gordon. Canzoni potenti ed espressive, incentrate in parte sui suoi ricordi della adolescenza e gioventù vissuta a Monroe, una piccola cittadina a nord di New Orleans, ma anche sulla vita in generale della provincia americana, piccole storie che sono come novelle o sceneggiature cinematografiche, vivide e ricche di particolari, non lontane nel risultato finale, anche a livello musicale, dal tipo di canzoni che ha sempre scritto uno come Greg Brown (non per nulla Kevin si è laureato all’università dello Iowa), o anche un John Prine.

In effetti in alcuni brani di questo Long Gone Time appare anche Bo Ramsey, a lungo chitarrista di Brown e cantautore pure in proprio, che appare nei dischi di Gordon sin dal bellissimo Cadillac Jack’s #1 Son, l’album del 1998 prodotto da Garry W. Tallent, producendo poi  il successivo Down To The Well di Kevin Gordon, mentre per O Come Look At Burning e Gloryland del 2011 https://www.youtube.com/watch?v=4izrzhic4rk , altri piccoli gioiellini assolutamente da avere, come i precedenti album, la produzione era curata da Joe V.McMahan, che lo fa anche in questo nuovo album, oltre a suonare la chitarra in tutte le tracce. Il risultato è il solito stile, a cavallo tra Americana, rockabilly, blues delle piantagioni e dei bayou della Louisiana, ma anche a tratti honky tonk country, folk e persino sciabolate rock alla Stones americani (non per nulla Keith Richards si era impadronito della sua Deuce And A Quarter per usarla come duetto con Levon Helm in All The King’s Horses, il disco registrato con i sidemen di Elvis)https://www.youtube.com/watch?v=l0jpqF1uolk .

Tra i suoi fans anche Buddy Miller e Peter Guralnick, che ne hanno cantato le lodi e Lucinda Williams, Kate Campbell e Southside Johnny, che ne hanno inciso le canzoni. Anche in questo nuovo Long Gone Time il suono si situa tra acustico ed elettrico, quasi in pari misura, narrando storie autobiografiche di vecchi amici d’infanzia di Gordon, ma anche di leggendari personaggi come il cowboy Brownie Ford, metà bianco e metà Comanche, protagonista di due canzoni e altre avventure tra reale e surreale, che necessiterebbero della presenza dei testi nella confezione, ma ci dobbiamo “accontentare” della musica. Che va dal blues & roll rurale dell’iniziale All In The Mystery, scritta con Gwil Owen, dove oltre alla chitarra minimale di McMahan si gusta anche il piano di Tyson Rogers, la storia dolceamara di GTO, che racconta la sfortunata storia di una bramata automobile, quasi a tempo di rockabilly, come se gli NRBQ si fossero riuniti per l’occasione di una jam con gli Stones.

Altrove ci sono le storie della Louisiana, come l’amara e nostalgica Letter To Shreveport, dove si racconta dei tempi in cui Johnny Horton si sentiva alla radio, con la musica che vira verso un atmosferico e swampy blues di grande intensità, la acustica e laconica Walking On The Levee, con Bo Ramsey alla chitarra slide, che suona quasi come qualche traccia perduta del miglior Greg Brown, un folk rurale di grande bellezza. E ancora la paranoia americana di Shotgun Behind The Door, quasi una minacciosa ninna nanna (anche se sembra un ossimoro) degna di John Prine. Passando per il semi country della twangy Crowville,sempre con Ramsey alla slide, l’elegiaca Goodnight Brownie Ford, delicata e appassionata come le migliori ballate di Tom Russell https://www.youtube.com/watch?v=y82VXcTDe8c , per poi tornare al crudo blues-rock della dura, quantomeno nel testo, Immigrant, con l’eccellente lavoro della chitarra di McMahan, veramente magistrale in questo pezzo https://www.youtube.com/watch?v=voXKI1GkG3A .

I ritmi tra boogie e New Orleans della mossa Church On Time https://www.youtube.com/watch?v=o7CzZSr63kg  e quelli spezzati e “paludosi” della lunga Cajun With A K, che racconta sempre storie bluesate della Louisiana, anche grazie ad una armonica che si fa largo tra chitarre, contrabbasso e un piano minimale, bellissima. Concludono il tutto le bonus, la traccia palese e non nascosta, Following A Night (The Preacher’s Wife), di nuovo sotto forma di una intensa ballata folk acustica in compagnia di Bo Ramsey e If You Will, traccia nascosta, altrettanto bella. Se vi piacciono quelli bravi, qui ne trovate uno!

Bruno Conti     

E Dopo Darlene Love, Ecco La Più Famosa Delle “Spector Girls”! Ronnie Spector – The Very Best Of Ronnie Spector

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Ronnie Spector – The Very Best Of Ronnie Spector – Sony Legacy CD

A dire il vero lei è la più “Spector Girl” di tutte, in quanto il buon Phil se lo era pure sposato…

Solitamente in questo blog non vengono trattate le antologie, cofanetti a parte, ma, siccome di recente ho parlato del nuovo, e pure bello, album di Darlene Love, mi è parso doveroso citare questa retrospettiva uscita da poco che si occupa dell’altra punta di diamante della Phillies Records negli anni sessanta, cioè Veronica Yvette Bennett in arte Ronnie Spector, primo perché è ben fatta (è la ristampa potenziata e migliorata di una raccolta uscita lo scorso anno per la collana economica Playlist) e secondo perché anche di Ronnie, come della Love, oggi non si parla quasi più. La cantante afro-cherokee ha avuto nei sixties una bella serie di successi a 45 giri come leader delle Ronettes, uno dei vocal groups più in voga all’epoca, mentre ha parecchio diradato la sua produzione nei decenni successivi: negli anni settanta (oltre alla separazione con il celebre marito) solo qualche singolo, mentre come LP dobbiamo attendere il 1980 (Siren), seguito fino ad oggi soltanto da altri tre full-length, dei quali l’ultimo, Last Of The Rock Stars, risale ormai al 2006. The Very Best Of Ronnie Spector è quindi il disco giusto per scoprire (o ri-scoprire) il talento di quella che per il suo comportamento non proprio irreprensibile è stata definita la “prima bad girl del rock’n’roll”: diciannove canzoni che ripercorrono tutta la carriera della cantante, tra le quali non mancano chicche e rarità.

I primi nove brani sono tutti appannaggio delle Ronettes, e se Be My Baby è splendida anche la millesima volta che la si ascolta, anche You Baby, Baby I Love You e la bellissima versione di I Can Hear Music sono delle pop songs coi fiocchi, ma qui abbiamo anche la rara Paradise (incisa negli anni sessanta ma rimasta nei cassetti per dieci anni), una squisita ballata scritta da Phil Spector con Harry Nilsson, e la fresca e godibile Lover, Lover, un singolo inciso da Ronnie nel 1975 con una nuova configurazione delle Ronettes. Nel mezzo c’è anche il singolo del 1973 scritto e prodotto da George Harrison Try Some, Buy Some, un brano tipico dell’ex Beatle https://www.youtube.com/watch?v=R0xHx-6WmNg , ma che preferisco nella versione incisa dal suo autore per Living In The Material World; You Mean So Much To Me è invece una trascinante versione dal vivo (introvabile) da parte di Southside Johnny And The Asbury Jukes, dove Johnny duetta alla grande con Ronnie in questo brano ricco di groove https://www.youtube.com/watch?v=WZD-9mIfrIg , scritto appositamente da Bruce Springsteen (*NDB In effetti si trova nel Best di Southside Johnny). A proposito del Boss, a seguire troviamo lati A e B di un singolo del 1977 accreditato a Ronnie Spector & The E Street Band (Bruce compreso, ed è l’unico caso in cui il nome del suo gruppo compare su un disco di qualcun altro), con lo slow scritto da Little Steven Baby Please Don’t Go (ed il suono degli E Streeters è riconoscibilissimo) e soprattutto la splendida cover di Say Goodbye To Hollywood di Billy Joel (meglio dell’originale), che il pianista di Brooklyn aveva scritto proprio con Ronnie in mente https://www.youtube.com/watch?v=yascVLup7FI . Gli ultimi cinque pezzi sono storia più recente: Love On A Rooftop, un successo minore del 1987 scritto dalla coppia di hitmakers Desmond Child e Diane Warren, una buona canzone ma con un suono troppo eighties, il gradevole power pop Something’s Gonna Happen, scritto da Marshall Crenshaw, due brani presi da Last Of The Rock Stars, cioè l’emozionante cover di Johnny Thunders You Can’t Put Your Arms Around A Memory (con Joey Ramone ai cori in una delle sue ultime incisioni) e la deliziosa All I Want, con Keith Richards alla solista; al termine, un pezzo tratto da Tycoon, un oscuro musical del 1992, intitolato Farewell To A Sex Symbol, che però è la meno interessante della raccolta.

Il CD esce in una pratica confezione in digipak, con esaurienti note brano per brano: un dischetto perfetto da regalare (o regalarsi) a Natale.

Marco Verdi

Qui Di Strabico C’è Solo Il Cuore! Keith Richards – Crosseyed Heart

keith richards crosseyed heart

Keith Richards – Crosseyed Heart – Mindless/Virgin/Universal CD

Nella loro più che cinquantennale carriera i Rolling Stones hanno sbagliato ben pochi dischi (a mio personale giudizio solo tre – Their Satanic Majesties Request, Emotional Rescue ed Undercover – tra l’altro non brutti ma al massimo pasticciati), mantenendo anzi una media qualitativa sempre piuttosto alta, mentre diverso è il discorso quando si prendono in esame gli album solisti dei componenti delle Pietre. A parte i membri “di contorno” (e comunque Ronnie Wood qualche bel disco lo ha fatto, a differenza di Bill Wyman, di cui ho già detto cosa penso nel mio post sul suo ultimo disco http://discoclub.myblog.it/2015/07/11/speriamo-che-del-prossimo-disco-passino-altri-33-anni-bill-wyman-back-to-basics/ , mentre le avventure jazz del combo di Charlie Watts saranno anche impeccabili ma non sono il mio pane quotidiano); Mick Jagger è stato senza dubbio quello dal rendimento più altalenante: l’unico bel disco tra i quattro pubblicati dal cantante è Wandering Spirit, mentre sia She’s The Boss che Primitive Cool sono davvero brutti, e Goddess In The Doorway raggiunge la sufficienza di stima.

Keith Richards, invece, anche nei pochi episodi senza la sua band madre si è confermato personaggio di una coerenza esemplare, la vera anima rock degli Stones, sia con il discreto Talk Is Cheap del 1988 ma soprattutto con il roccioso Main Offender del 1993 (tra i due, anche un buon disco dal vivo con la sua band, gli X-pensive Winos), due lavori riusciti che però vengono messi in ombra dal nuovo CD di “Keef The Riff”, Crosseyed Heart, da qualche settimana nei negozi. Keith è sempre stato onesto fino all’autolesionismo (basta leggere la sua autobiografia, Life) e tutto ciò si riflette anche in questo bellissimo album, che ci presenta un musicista particolarmente ispirato alle prese con tutti i vari generi musicali da lui amati, proposti a modo suo, e cioè in maniera forse non formalmente perfetta ma ricca di pathos e con un cuore (strabico) grande così.

Tanto rock, un po’ di blues (meno del previsto comunque), una spruzzata di country e reggae ed una buona dose di soul fanno di Crosseyed Heart il miglior disco solista di Richards ed un ottimo surrogato in assenza di novità da parte del suo gruppo principale. Sono della partita musicisti da lui già utilizzati in passato (Waddy Watchel alle chitarre, Steve Jordan – che produce anche il disco con Keith – alla batteria, mentre il basso, e spesso anche il pianoforte, sono suonati dallo stesso Richards), con aggiunte quali Larry Campbell alla steel guitar, lo scomparso Bobby Keys al sassofono in un paio di brani (credo siano le sue ultime incisioni) ed alcuni ospiti di vaglia che citerò man mano. Un cenno lo merita la voce di Keith: sempre poco considerato come cantante (il minimo che ti può capitare se sei in un gruppo con Jagger), il nostro, che conosce i suoi limiti e quindi non esagera, sfodera in questo album una prestazione molto positiva, con il suo timbro non perfetto ma profondo e vissuto che dona alle canzoni quel quid in più.

La title track apre il disco in tono minore, un blues acustico, solo voce e chitarra, ma eseguito con una montagna di feeling: il pezzo è breve e confluisce nella martellante Heartstopper, una rock song elettrica, diretta e potente, con le schitarrate tipiche del nostro, voce minacciosa ed un tiro mica da ridere. Amnesia è rock’n’roll alla maniera di Keith, batteria e basso a stantuffo, un mood leggermente annerito ed il gradito intervento di Keys; Robbed Blind è invece una ballata toccante, con il piano (suonato da Richards) a svolgere un ruolo importante, un arrangiamento delicatamente country ed il nostro che non canterà come Pavarotti ma nelle rughe della sua voce si possono sentire tutte le tracce della vita vissuta nella corsia di sorpasso.

Trouble, che è il primo singolo, dimostra la fantasia e l’amore per il rischio delle case discografiche, in quanto ci troviamo di fronte al brano più stonesiano, classico, ed in un certo senso prevedibile del CD: avercene comunque di pezzi così; Love Overdue è un reggae, un genere molto amato da Keef (e meno dal sottoscritto), con Ivan Neville all’organo ed una sezione fiati a colorare il suono: c’è da dire che Richards risulta molto credibile in queste vesti e ci regala una melodia molto gradevole e solare, cantando anche piuttosto bene.

In Nothing On Me c’è il più famoso dei fratelli Neville, cioè Aaron, alle backing vocals, per una bella canzone, fluida e tersa, dal sapore soul-errebi sudista, un pezzo che con l’ugola istrionica di Jagger avrebbe spaccato, ma che anche così fa la sua porca figura; lo slow Suspicious, sempre molto soulful, riesce ad emozionare non poco, grazie anche al tono confidenziale della voce di Richards, mentre con Blues In The Morning siamo in pieno territorio rock’n’roll, ma quello puro, anni cinquanta, suonato ed arrangiato in modo volutamente vintage. Keith si diverte un mondo, e chi siamo noi per disapprovare? Something For Nothing è un curioso rock’n’roll, piuttosto Stones-style, con coro gospel alle spalle, non un gospel-rock, ma proprio rock’n’roll con coro: risultato decisamente intrigante, ed il gioco di chitarre è da applausi. Illusion, che si avvale della collaborazione di Norah Jones sia in sede di scrittura che di duetto vocale, è un lento pieno d’atmosfera con il piano a guidare le danze, e la strana coppia funziona. Just A Gift è uno degli highlights del disco, una splendida ballata elettroacustica cantata con il cuore in mano, con il piano ancora protagonista ed una melodia struggente; il famoso traditional Goodnight Irene diventa una sorta di valzer obliquo di grande fascino, con Keith che fa la parte del nonno ubriaco che canta la ninna nanna al nipotino. Chiudono Substantial Damage, un rockaccio nero, sporco e pericoloso (ma è quella che mi piace meno) e la deliziosa Lover’s Plea, altra ballata nel più puro filone country got soul, con un importante contributo all’organo del grande Spooner Oldham.

Un gran bel disco, con il quale Keith Richards conferma ancora volta di essere dalla parte giusta.

Marco Verdi

Novità Di Settembre Parte IV. Keith Richards, Judy Collins, Dave & Phil Alvin, Robert Forster, Glen Hansard

keith richards crosseyed heart

Altre novità in uscita venerdì 18 settembre: prima di tutto il nuovo album solista di Keith Richards, Crosseyed Heart esce a 23 anni di distanza dal precedente Main Offender, ma il suo principale collaboratore è rimasto il batterista e produttore Steve Jordan, con l’aiuto di Waddy Watchel e Bernard Fowler. Quindici brani contenuti nel CD pubblicato dalla Republic/Universal (ma negli USA la catena Best Buy ne pubblica una versione con una traccia extra, che però è solo una versione alternata di Love Overdue:

1. Crosseyed Heart
2. Heartstopper
3. Amnesia
4. Robbed Blind
5. Trouble
6. Love Overdue
7. Nothing On Me
8. Suspicious
9. Blues in the Morning
10. Something for Nothing
11. Illusion
12. Just a Gift
13. Goodnight Irene
14. Substantial Damage
15. Lover’s Plea

Tra i musicisti presenti anche gli altri X-Pensive Winos Ivan Neville alle tastiere e Sarah Dash alla voce, oltre all’ospite Norah Jones che duetta con Keith in Illusion. Goodnight Irene è proprio il celebre brano di Leadbelly, l’unica cover del disco, mentre il singolo estratto dall’album è Trouble.

judy collins strangers again

Altra giovinetta, alla tenera età di 76 anni Judy Collins pubblica un nuovo album Strangers Again, per la propria etichetta Wildflowers distribuzione Cleopatra; si tratta di un disco di duetti, credo una novità assoluta per “Judy Blue Eyes” e a differenza di altri prodotti similari della Cleopatra, questa volta sembra tutto materiale originale, niente brani riciclati da altri dischi e il cast che appare nel disco comprende sia grandi nomi della musica del passato quanto interessanti personaggi emergenti. Questa la lista delle canzoni con relativi ospiti:

 1. Strangers Again feat. Ari Hest
2. Miracle River feat. Michael McDonald
3. Belfast To Boston feat. Marc Cohn
4. When I Go feat. Willie Nelson
5. Make Our Garden Grow feat. Jeff Bridges
6. Feels Like Home feat. Jackson Browne
7. From Grace feat. Thomas Dybdahl
8. Hallelujah feat. Bhi Bhiman
9. Someday Soon feat. Jimmy Buffett
10. Stars In My Eyes feat. Aled Jones
11. Send In The Clowns feat. Don McLean
12. Races feat. Glen Hansard

Un paio, Ari Hest (anche se ha pubblicato una quindicina di dischi fino a oggi e ha scritto la title-track del nuovo album https://www.youtube.com/watch?v=bjS9o5W2WSc ) e Aled Jones (cantante gallese anche lui con una discografia sterminata), non sono molto popolari, ma Michael McDonald, Marc Cohn, Willie Nelson, Jeff Bridges, Jackson Browne, Jimmy Buffett Don McLean, in ordine di apparizione, non hanno certo bisogno di una presentazione, mentre gli emergenti Thomas Dybdahl, Bhi Bhiman Glen Hansard, hanno già mostrato il loro valore in più occasioni (e di un paio abbiamo parlato nel Blog). E anche alcune delle canzoni sono molto celebri: pezzi di Leonard Bernstein, Sondheim, Randy Newman, James Taylor e l’amato Leonard Cohen con una versione di Hallelujah che non vedo l’ora di sentire!

glenn hansard didn't he ramble

Proprio Glen Hansard, uno dei partecipanti al disco della Collins, pubblicherà il 18 settembre per la Epitaph/Anti Didn’t He Ramble, il suo secondo album solista, dopo l’esordio con Rhythm And Repose del 2012, ed una lunga serie di EP usciti a cavallo dei due album. L’irlandese Hansard, ex Frames Swell Season, si fa aiutare in questo disco da due Sam, Amidon Bean (conosciuto dai più come Iron And Wine). 

Questa è la lista dei brani, l’uscita del disco è anticipata dal video di Winning Streak che conferma la classe e le qualità di questo cantautore classico, uno dei migliori delle ultime generazioni, in possesso anche di una gran voce:

Tracklist
1. Grace Beneath The Pines
2. Wedding Ring
3. Winning Streak
4. Her Mercy
5. McCormack’s Wall
6. Lowly Deserter
7. Paying My Way
8. My Little Ruin
9. Just To Be The One
10. Stay The Road

dave alvin and phil alvin lost time

Ormai sembrano averci preso gusto e vogliono recuperare il tempo perduto. Secondo disco in coppia per Dave Alvin & Phil Alvin, a poco più di un anno dal precedente Common Ground, uscito a giugno dello scorso anno e che celebrava la musica di Big Bill Broonzy, questo Lost Time è sempre un disco di blues, visto nell’ottica dei due ex Blasters, con brani di James Brown, Leadbelly, Willie Dixon, Blind Boy Fuller e Leroy Carr, e quattro pezzi dal repertorio del loro primo mentore, il grande Big Joe Turner:

1. Mister Kicks
2. World’s In A Bad Condition
3. Cherry Red Blues
4. Rattlesnakin’ Daddy
5. Hide And Seek
6. Papa’s On The House Top
7. In New Orleans (Rising Sun Blues)
8. Please Please Please
9. Sit Down Baby
10. Wee Baby Blues
11. Feeling Happy
12. If You See My Savior

A giudicare da un paio di brani che anticipano l’album in uscita per la Yep Rock, sempre il 18 settembre, hanno fatto centro ancora una volta.

e

robert forster songs to play

Altro musicista che mi piace moltissimo è l’australiano Robert Forster, prima gloria nazionale nei grandissimi Go-Betweens, insieme all’altrettanto grande Grant McLennan, scomparso per un attacco di cuore nel 2006. Forster, era dal 2008, anno in cui venne pubblicato The Evangelist (peraltro molto bello, come sempre), che non pubblicava un disco nuovo e ora rompe il silenzio con questo Songs To Play che uscirà su etichetta Tapete Records (?1?), etichetta tedesca che ha distribuito anche gli ultimi album di Lloyd Cole, antologie escluse, a dimostrazione di un certo buon gusto. Vado sulla fiducia, poi in occasione dell’uscita effettiva ci sarà un post più sostanzioso, visto che nel Blog in passato non si è mai parlato di questa musicista.

Anche per oggi è tutto, alla prossima.

Bruno Conti

Come Migliorare Un Capolavoro! The Rolling Stones – Sticky Fingers

stones sticky fingers

The Rolling Stones – Sticky Fingers – Rolling Stones Records CD – Deluxe 2CD – Super Deluxe 3CD + DVD + 45 rpm – LP

Dopo le versioni potenziate di Exile On Main Street e di Some Girls (oltre a quella del magnifico live Get Yer Ya Ya’s Out!), finalmente i Rolling Stones pubblicano in versione deluxe anche quello che, a detta di molti (me compreso, per quello che può interessare) è il loro capolavoro assoluto: Sticky Fingers, uno dei classici dischi da isola deserta, uno di quei rari casi in cui tutti, dal leader del gruppo fino all’ultimo sessionman, ai tecnici del suono e ai grafici (l’iconica copertina era opera, per quei due o tre che ancora non lo sanno, di Andy Warhol) sembrano in un aureo stato di grazia. C’è da dire che all’epoca (1971) gli Stones erano per distacco la migliore band del pianeta (e anche adesso se la battono), venivano da altri due capolavori del calibro di Beggar’s Banquet e Let It Bleed, oltre che dal live citato prima, ed avrebbero pubblicato da lì a un anno il monumentale Exile On Main Street, cioè l’altro disco che contende a Sticky Fingers la palma del disco più bello delle pietre. Ma io non ho mai avuto dubbi nel preferire quello noto anche come “l’album della zip”, più compatto, più ispirato, meno dispersivo, con un suono migliore (la voce in Exile è sempre stata mixata troppo bassa, ed il sound in generale un po’ “fangoso”) e, soprattutto, con una serie di canzoni formidabili. Dulcis in fundo, avevano al loro interno un Mick Taylor (il miglior chitarrista che abbiano mai avuto) ormai perfettamente inserito ed integrato nella macchina da guerra che era all’epoca la band di Jagger e Richards, e dal vivo erano forse ancora meglio dell’anno prima, come dimostra il Live At Marquee di cui vi ha parlato Bruno pochi giorni fa http://discoclub.myblog.it/2015/06/20/erano-proprio-gran-bel-complessino-rolling-stones-from-the-vault-the-marquee-live-1971/ : in poche parole, un ensemble di fenomeni in un momento irripetibile.

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Come di consuetudine, la ristampa esce in varie configurazioni, ed io vorrei come al solito prendere in considerazione la più completa che, oltre ai due CD della “normale” versione deluxe, comprende anche un terzo CD dal vivo, un 45 giri con Brown Sugar e Wild Horses, uno splendido libro pieno di note e foto mai viste, oltre ad un DVD, invero piuttosto inutile, con due (!) brani tratti dal live appena pubblicato al Marquee (che in realtà dovrebbe servire da “traino” per acquistarli entrambi).

CD1: qui troviamo la versione nota di Sticky Fingers (album prodotto, lo ricordo, da Jimmy Miller, dietro la consolle in tutti i dischi del periodo d’oro delle Pietre, e anche responsabile dei lavori dei Traffic e del mitico LP dei Blind Faith), rimasterizzata ex novo e con un suono spettacolare. Che dire che non sia già stato detto di questo album epocale? Che contiene la migliore rock’n’roll song di sempre delle Pietre (Brown Sugar, a pari merito secondo me con Jumpin’ Jack Flash e con buona pace di Satisfaction)! Che ospita la loro più bella ballata (Wild Horses, stavolta ex-aequo con Salt Of The Earth)? Che c’è una delle migliori country songs di sempre, e non solo degli Stones (Dead Flowers)? Che Sister Morphine mi fa accapponare la pelle anche al centesimo ascolto (specie quando Ry Cooder fende l’aria con la sua slide tagliente)? Che non vedo l’ora che in Can’t You Hear Me Knocking Jagger smetta di cantare per sentire l’assolo di Taylor? Che nella stupenda I Got The Blues canta Mick ma sembra quasi di sentire Otis Redding? Che è un delitto che un pezzo come Sway lo conoscano solo i die hard fans? E potrei andare avanti…

CD2: a differenza delle reissues di Exile e Some Girls qui non troviamo vere e proprie outtakes, ma solo versioni alternate di cinque brani del disco originale, ma i motivi di interesse non mancano di certo, a partire da una Brown Sugar non molto diversa ma con l’aggiunta della succosa (e riconoscibilissima) partecipazione di Eric Clapton alla slide, per poi ascoltare una versione più spoglia di Wild Horses, che però non ha nulla da invidiare a quella nota, ed una Dead Flowers più rock di quella finita sul disco. Completano la serie una Can’t You Hear Me Knocking più corta e grezza ed una extended version di Bitch. Siccome cinque pezzi erano pochi per riempire un CD, eccone altrettanti registrati nello stesso anno alla Roundhouse di Londra, con le Pietre accompagnate da Jim Price alla tromba e soprattutto dai grandissimi Bobby Keys al sax e Nicky Hopkins al piano: la spedita Live With Me serve da antipasto per una Stray Cat Blues sporca e cattiva, una sontuosa Love In Vain con Taylor e Richards che fanno a gara a che è più bravo (vince Taylor a mani basse, anche se a feeling Keith non lo batte nessuno), una monumentale Midnight Rambler, allora come oggi momento centrale del concerto, con Taylor ancora sugli scudi e Hopkins che sembra avere venti dita, per finire con la sempre coinvolgente Honky Tonk Women.

CD3: intitolato Get Your Leeds Lungs Out, documenta un concerto del 1971 alla Leeds University, con gli stessi musicisti dei pezzi alla Roundhouse. Tredici canzoni, tra le quali le stesse cinque presenti nella parte live del secondo CD, in versioni similari (cioè eccelse, anzi credo che Midnight Rambler sia pure meglio), tre dal nuovo disco (Dead Flowers, ancora più bella della versione in studio, la trascinante Bitch ed una Brown Sugar nella quale Keys sotterra tutti con il suo sax pieno di groove) ed una manciata di classici suonati alla grandissima, che rendono questo CD superiore anche a quello appena uscito del Marquee, tra cui una Jumpin’ Jack Flash che apre la serata col botto (e con Bill Wyman e Charlie Watts che si confermano silenziosi ma indispensabili), due covers di Chuck Berry (Little Queenie e Let It Rock) cantate e suonate come se non ci fosse domani, una Street Fighting Man che non è mai stata tra le mie preferite ma qui spacca e Satisfaction che è forse l’unica con il pilota automatico (ma forse perché ormai l’ho ascoltata circa 1.500 volte).

Il box non costa poco (anzi), ma qui siamo di fronte al miglior gruppo di sempre (con i Led Zeppelin), nel loro momento migliore di sempre e nella miglior formazione di sempre, in più con degli extra da leccarsi i baffi: devo ancora convincere qualcuno?

Marco Verdi

Erano Proprio Un Gran Bel “Complessino”! Rolling Stones – From The Vault: The Marquee Live In 1971

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Il terzo capitolo della serie From The Vault,  registrato nel 1971, l’annata in cui esce Sticky Fingers, ma anche il periodo in cui il gruppo è “costretto” per motivi fiscali a lasciare l’Inghilterra. Prima di andarsene, e per salutare i fans, gli Stones organizzano un Farewell Tour, che si svolge tra il 4 e il 14 marzo, in locali decisamente più piccoli delle Arene e dei Palazzi dello sport della tournée precedente: un paio di date sono state immortalate nella recentissima edizione Super Deluxe di Sticky Fingers https://www.youtube.com/watch?v=hj04ed1uWUs e https://www.youtube.com/watch?v=Ih2EzG-uiIg . Ma il 26 marzo, come appendice al breve tour, viene registrato uno special televisivo per la BBC, che servirà anche da promozione per l’imminente uscita proprio di Sticky Fingers, prevista per il 23 aprile. Il tutto viene ripreso allo storico Marquee di Londra, un locale piccolissimo (ormai non esiste più, ma chi c’è stato sa di cosa stiamo parlando) dove hanno suonato tutti i grandi della musica rock, con il pubblico a pochi centimetri dai musicisti, il classico club dove si poteva gustare la presenza degli artisti in tutta la propria dirompente carica. Per l’occasione non c’è Nicky Hopkins al piano, che aveva partecipato alle altre dati ufficiali, ma Ian “Stu” Stewart, mentre sono presenti, in alcuni brani, Bobby Keys al sax e Jim Price alla tromba. Lo spettacolo, che andò in onda su Lion TV venne chiamato Ladies And Gentlemen, The Rolling Stones (ma niente paura, nulla in comune con il DVD dallo stesso titolo pubblicato nel 2010), che era l’annuncio ufficiale in apertura dei concerti degli Stones, e la registrazione proviene da quelle che vengono definite dress-rehersals, le prove, senza presenza di pubblico, il cui rumore verrà poi aggiunto in fase di mixaggio. Non è un concerto molto lungo, meno di quaranta minuti, più 4 versioni alternative, due di I Got The Blues e due di Bitch, ma la qualità sia sonora, audio e video, che dell’esecuzione, sono elevatissime: come dico nel titolo i Rolling Stones in quell’epoca era proprio un gran bel “complessino”!

Mick Taylor e Keith Richards alle chitarre, Bill Wyman al basso, Charlie Watts alla batteria, Mick Jagger, gran cerimoniere, alla voce e all’armonica (più gli ospiti citati) erano un gran bel sentire all’epoca, la miglior incarnazione di sempre del gruppo e “The Greatest Rock’n’Roll Band In The World” (anche se gli Who e i Led Zeppelin contendevano loro lo scettro): un suono nudo e crudo, puro R&R, ma con ampie spruzzate di blues e qualche dose di country, scoperto dopo la frequentazione con Gram Parsons. Il risultato che otteniamo in questo Live At The Marquee è eccitante e straordinario, i Rolling Stones al loro apogeo, l’unico appunto è la durata, ma allora i concerti, con l’eccezione di poche bands, non erano ancora le maratone rock che sarebbero diventate con lo scorrere del tempo. Si parte con Live With Me, uno dei classici “minori” degli Stones, apparso in origine su Let It Bleed, con Bobby Keys che replica l’assolo di sax dell’originale, le chitarre di Taylor e Richard subito indaffaratissime, il pianino di Stu ad alzare la quota R&R e Mick Jagger in gran voce. Mick che, già slacciato il bolerino glitterino molto sobrio che indossa, ci regala una versione bellissima di Dead Flowers, con le armonie vocali, in questo caso, di un leggermente barbuto Keith Richards, mentre Mick Taylor pennella una serie di assoli brevi e concisi che rendono alla perfezione il tono country di questa canzone, che sarebbe apparsa solo un mese dopo su Sticky Fingers, mentre I Got The Blues, anche questa all’epoca nuova, è una stupenda ballata blues, come forse solo gli Stones dell’epoca sapevano fare , con fiati e piano, valore aggiunto, ad intrecciarsi alle perfezione con le chitarre taglienti e un Jagger sempre in grande serata.

Let It Rock sarebbe stato il lato B di Brown Sugar nella versione inglese del singolo (mentre per gli Stati Uniti era Bitch) ed è un omaggio ad uno dei maestri assoluti dei Rolling, quel Chuck Berry di cui Keith Richards credo tenga ancora il santino vicino al letto, la perfezione del R&R di Berry unita alla potenza di tiro degli Stones dell’epoca, due minuti e mezzo di pura goduria https://www.youtube.com/watch?v=tqjoW5eC3YU . A questo punto del concerto, più corto del solito, è già tempo di Midnight Rambler, Mick Jagger estrae l’armonica e l’altro Mick, Taylor, affila la sua chitarra, per uno dei momenti clou della serata, e di tutta la carriera degli Stones, reinserita di prepotenza nel repertorio live della band di recente (con il ritorno proprio di Taylor) ma già allora occasione per il biondo chitarrista, e il gruppo tutto, di mettere in luce tutta la loro maestria di “geni” del rock and roll, nonché una delle punte assolute di tutti i concerti. I pochi presenti alla serata riconoscono subito il riff di una (I Can’t Get No) Satisfaction, per quanto “mascherata” in una versione più consona al suono dell’epoca del gruppo, più sanguigno e fiatistico, non mancano ovviamente le rullate di Watts e i riff di Keith. Segue Bitch, altro brano nuovo e altro esempio del R&R perfetto che gli Stones avevano creato in quel momento magico, potenza e classe, ribadite poi in Brown Sugar, uno dei riff più conosciuti della storia del Rock, qui in versione già perfettamente formata, con tutta la banda che rocca e rolla come se la loro vita dipendesse da questo, ma che ve lo dico a fare, già lo sapete tutti, fine del concerto.

In coda sono aggiunte un’altra versione di I Got The Blues, sempre con la classica presentazione di Jagger “for you, you, you” e forse più bella di quella definitiva, poca differenza ma significativa, seguita dalla seconda versione alternata, senza presentazione e accorciata nel finale, quindi leggermente più breve, ma sono differenze minime, magari non fondamentali per chi non è un fan sfegatato. Stesso discorso per le due versioni extra (molto simili tra loro, quasi identiche) di Bitch, sempre con il classico suono potenziato dai fiati, tipico degli Stones di Sticky Fingers, quindi tra le migliori edizioni di sempre. Per concludere, disco (o CD, Blu-Ray, DVD, come preferite) forse non imperdibile, ma indispensabile questo sì, da mettere lì, tra Get Yer Ya-Ya’s Out e Some Girls: Live In Texas ’78 (oltre ai due box quadupli in DVD degli anni 2000 e al ricordato Ladies And Gentlemen, sempre in DVD) tra i migliori live in concerto dei Rolling. I giapponesi, che sono furbi, nella confezione Deluxe, uscita solo per il loro mercato, hanno aggiunto anche i due CD del Brussels Affair (Live 1973), uno dei più belli di sempre, diversamente disponibile solo per il download. Naturalmente il box giapponese costa un botto e supera di parecchio i cento euro a cui dovete aggiungere tasse e spese doganali.

Bruno Conti

Il Più Grande “Gregario” Della Storia del Rock’n’Roll? Kentucky Headhunters With Johnnie Johnson – Meet Me In Bluesland

kentucky headhunters johnnie johnson meet me

Kentucky Headhunters With Johnnie Johnson – Meet Me In Bluesland – Alligator/Ird

Senza voler essere irrispettosi, con una ardita metafora, mi pare cheultimamente nella musica sia come per il maiale, non si butta via niente. In questa epoca di ristampe e riscoperte clamorose, ogni giorno viene pescata dagli archivi qualche chicca che era rimasta nascosta nelle pieghe del tempo. Nel caso specifico si tratta di una session di tre giorni, registrata nel gennaio del 2003, che univa la famosa formazione southern (e country) dei Kentucky Headhunters con Johnnie Johnson, il leggendario pianista di Chuck Berry. Il tutto venne registrato senza una previsione di pubblicazione immediata, poi nel 2005 Johnnie morì, per cui il progetto fu accantonato e cadde quasi nel dimenticatoio. Ora, in questa epoca dove le case discografiche sono alla perenne ed affannosa ricerca di qualcosa di nuovo (o di vecchio) da (ri)pubblicare, era quasi inevitabile che questi nastri, visto che sono molto buoni, vedessero finalmente la luce. Una vecchia volpe come Bruce Iglauer, il boss della Alligator, non poteva lasciarsi sfuggire questa occasione, considerando anche che il materiale contenuto nell’album è molto vicino alla, chiamiamola, linea editoriale della etichetta di Chicago. Non ci sono classici del blues o del R&R, a parte una gustosa cover di Little Queenie di Chuck Berry, ma il suono è molto vicino a quegli stilemi. D’altronde Johnson ed i Kentucky Headhunters erano spiriti affini, avevano già collaborato per un album, attribuito ad entrambi; That’ll Work, uscito nel 1993 per la Elektra/Nonesuch https://www.youtube.com/watch?v=VT3FPA6_kw8 , la stessa che l’anno prima aveva pubblicato Johnnie B. Bad, il suo esordio per una major, disco dove partecipavano anche Keith Richards, Eric Clapton e gli NRBQ, Stevie Jordan alla batteria e Bernie Worrell alle tastiere https://www.youtube.com/watch?v=ZMcOX2uAzwI .

johnnie johnson johnnie b bad johnnie johnson that'll work

Stranamente, sono andato a verificare, entrambi gli album non erano stati accolti benissimo dalla critica americana, ma il sottoscritto li ricorda come dischi vivaci e pimpanti, certo non dei capolavori. Nel 2003, in occasione di una visita di Johnson ai suoi amici Stones, per un concerto in Texas, era stata organizzata una partecipazione del grande pianista alla registrazione dell’album Soul dei Kentucky Headhunters, poi effettivamente uscito quell’anno https://www.youtube.com/watch?v=MB9ftKMlFQM , ma nell’occasione della registrazione di quel disco ai Barrick Studios di Glasgow (nel Kentucky però) i partecipanti alle sessions avevano deciso di lasciare andare i nastri ed i risultati erano stati poi accantonati (ma non dimenticati) per venire usati in seguito: quando nel 2005, alla comunque rispettabile età di quasi 81 anni, il vecchio pard di Chuck Berry ci lasciò, il progetto rimase lì nel limbo. Ora, con il titolo di Meet Me In Bluesland, abbiamo tra le mani il risultato di quell’incontro, e anche se, nuovamente, non si può parlare di capolavoro, il CD è una solida e riuscita fusione tra le matrici southern e rock dei Kentucky Headhunters e il R&R e il blues dell’uomo di Fairmont, che si conferma uno dei pianisti più versatili e creativi della storia del rock, anche in questa occasione, con le mani che spesso volano sulla tastiera con evidente piacere ed abbandono. I Kentucky Headhunters vengono ancora ricordati soprattutto per il primo album, Pickin’ On Nashville, comunque  nel corso degli anni hanno registrato molti altri album, l’ultimo Dixie Lullabies del 2011, alcuni anche dal vivo, dove hanno confermato questa loro vena di rockers, ma forse il migliore in assoluto, primo escluso, potrebbe essere proprio questo Meet Me In Bluesland.

Si respira una bella aria stonesiana (da sempre grandi ammiratori di Johnson), con brani come l’iniziale Stumblin’ che ricordano anche il sound dei vecchi Faces di Rod Stewart, riff di chitarra alla Keith Richards (o se preferite, alla Chuck Berry), pianino indiavolato e le voci di Doug Phelps e Richard Young che si alternano alla guida dei brani https://www.youtube.com/watch?v=yQhGSPfwbDs , il secondo nei pezzi più blues, come il Chicago sound di Walking With The Wolf, dove la slide tira la volata al solito ispiratissimo piano di Johnson. Little Queenie non ha nulla da invidiare alle versioni di Berry e degli Stones https://www.youtube.com/watch?v=Rj32T1ecj2g , She’s Got To Have It, è una delle rare occasioni per ascoltare il vocione di Johnnie, Party In Heaven è un altro R&R di quelli tosti e cialtroni https://www.youtube.com/watch?v=9B-qymVlYxM . Non manca uno slow blues intenso e ad alta gradazione pianistica come la title-track, ma per il resto del disco prevale il rock di brani divertenti e tirati come King Rooster o il boogie velocissimo della strumentale Fast Train https://www.youtube.com/watch?v=0cJj_HpcJaQ , senza dimenticare il groove pigro e ciondolante di Shufllin’ Back To Memphis https://www.youtube.com/watch?v=zYmr6tCk7Hk  e Sometime, due facce della stessa medaglia. Conclude Superman Blues, un altro gagliardo esempio di blues elettrico, come facevano i grandi musicisti della Chess dei tempi che furono https://www.youtube.com/watch?v=aguwrysWQ84 , e Johnnie Johnson era uno di loro, come disse la rivista Rolling Stone, in uno dei suoi rari momenti di lucidità, “the greatest sideman in rock and roll”!

Bruno Conti  

Un’Occasione Persa. Solo Per Maniaci “Stonimentali”! Rolling Stones – GRRR!

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The Rolling Stones – Grrr!

Polydor 2CD – 3CD – 3CD Deluxe – 5CD + EP Super Deluxe – 5LP

Se uno si dovesse limitare a dare un giudizio sul contenuto di Grrr!, box celebrativo dei 50 anni di carriera dei Rolling Stones, cioè della più grande rock’n’roll band di sempre, dovrebbe chiedere una deroga alle classiche cinque stelle e dargliene almeno sei o sette (per la cronaca, sto prendendo in esame esclusivamente la versione Super Deluxe, cioè quella con 80 canzoni più bonus).

Invece, guardando la cosa dal lato negativo, ci sarebbe da incazzarsi alquanto, dato che ci troviamo per le mani l’ennesima antologia delle Pietre Rotolanti, presentata certo in maniera sontuosa, con un megabox elegante (ma di difficile sistemazione logistica), con un lussuoso ed interessante librone all’interno (nel quale mancano però i riferimenti agli album dai quali sono tratti i brani), ma con la miseria di due inediti, cioè le già note, per chi smanetta su internet, Doom And Gloom e One More Shot.

(NDM: comunque nel boxettone super, peraltro costosuccio, c’è anche un mini CD con 5 demo inediti degli anni sessanta ed un EP in vinile con quattro BBC Sessions dello stesso periodo, sempre inedite, una specie di magro contentino per i fans, pur se estremamente interessanti dal punto di vista musicale).

Quindi ne parlo bene o male? Diciamo che, come ho scritto nel titolo del post, ci troviamo di fronte all’occasione persa del secolo: sarebbe bastato prendere gli stessi ottanta brani (o altri, non importa) e pubblicarli esclusivamente in versione inedita, sia alternata di studio che dal vivo (gli archivi ne sono sicuramente pieni), invece dalla solita minestra riscaldata, tra l’altro a poco tempo di distanza dalla ripubblicazione di tutto il catalogo dagli anni settanta in poi.

Per carità, i due inediti, registrati quest’estate a Parigi, sono bellissimi, due rock’n’roll tipici dei loro, con Keith Richards a riffare da par suo e Mick Jagger solito marpione dietro al microfono: due brani di grande qualità (soprattutto Doom And Gloom, nel filone di classici del passato quali Brown Sugar, Street Fighting Man e Start Me Up).

Uno pignolo (ed io lo sono, soprattutto se devo spendere circa cento euro) avrebbe poi qualcosa da dire anche sulla tracklist: va bene la scelta di omaggiare tutti gli album di studio (compresi dischi live o antologici, vedi Flashpoint e Forty Licks, che però avevano al loro interno anche dei brani nuovi incisi per l’occasione, nella fattispecie Highwire e Don’t Stop), va bene che se prendiamo mille fans avremo mille tracklist differenti, ma come si fa ad escludere brani seminali come Sister Morphine, Sweet Virginia, Dead Flowers (forse il mio brano preferito degli Stones) e Memory Motel?

E meno male che hanno messo Salt Of The Earth e Beast Of Burden se no andavo ad aspettarli sotto casa…

In definitiva, non me la sento di consigliarvi l’acquisto di questo manufatto, a meno che non dobbiate farvi fare un regalo costoso per Natale: se invece conoscete qualche giovane leva che vi chiede che cosa sia il rock’n’roll e vi avanzano quei cento euro in tasca (ma per questo vanno bene anche le edizioni “economiche”), regalate Grrr! e farete senz’altro un’opera di bene,

Marco Verdi

*NDB: prima una breve legenda. NDB, sta per Nota del Bruno o del Blogger, che coincide. NDT, starebbe per Nota del Traduttore, mentre nel Blog vale per Nota del Tino. Ora c’è anche la new entry, NDM, questo è facile, Nota del Marco. Chiarito il tutto, la mia breve nota.

Giustamente Marco si chiede perché in questa antologia Super Deluxe (ma anche in quella di Charlie Is My Darling) gli inediti, in studio e dal vivo, sono ridotti al lumicino? Perché, secondo me, i Rolling Stones aderiscono alla famosa teoria mouriniana del “non sono mica pirla” e quindi i concerti inediti (Official Bootlegs) se li vendono per il download sul loro sito http://www.stonesarchivestore.com/ L’ultimo è Leeds 1982 ma è già in arrivo Toronto 2005 http://www.stonesarchive.com/bootleg_years/2005/

Intanto, according to Mr. Ron Wood, gli Stones stanno per entrare in studio per incidere un nuovo album per il vero anniversario del 50° che sarà il 2013 e questi due brani inediti non verranno forse (ri)utilizzati, mah?

E’ tutto. Come vedete nel Blog (a proposito di Mourinho) vige un gioco di squadra, per cui immagini, video e integrazioni sono sempre a cura del vostro blogger preferito (spero). Sempre a lavorare, anche quando non sembra!