Ennesima Conferma Per Una Delle Migliori Band Rock Alternative Americane. Old 97’s – Twelfth

old 97's twelfth

Old 97’s – Twelfth – Ato Records CD LP

Come ci ricorda il titolo del disco, Twelfth è il dodicesimo disco in studio della band texana, ma se contiamo riedizioni potenziate, Live vari, dischi natalizi https://discoclub.myblog.it/2019/01/25/se-volete-celebrare-ancora-il-natale-in-ritardo-facendo-casino-old-97s-love-the-holidays/ , si superano abbondantemente le venti unità, senza contare gli otto dischi solisti di Rhett Miller, di cui uno pubblicato prima della nascita degli Old 97’s. Non male per un gruppo che viene considerato tra i fondatori del movimento alt-country negli anni ‘90, ma il cui genere Miller ha comunque preferito definire “loud folk”. Un’altra delle loro peculiarità è che hanno mantenuto sempre la stessa formazione degli esordi: Ken Bethea, chitarra solista e voce, Murry Hammond, basso e voce, Philip Peeples, batteria e appunto Rhett Miller, voce solista, chitarra ritmica, e autore della quasi totalità delle canzoni. Nella scorsa decade hanno avuto quasi tutti grossi problemi di salute, Peeples una frattura al cranio che ha fatto temere per la sua vita, Bethea, perdita di funzioni motorie con intervento alla spina dorsale, mentre Miller è riuscito dopo anni a risolvere i suoi problemi di alcolismo, Hammond tutto bene, grazie.

Se aggiungiamo che la registrazione del disco, partita la notte successiva al forte tornado che ha colpito Nashville ad inizio anno, si è trovata a fare i conti poi con la pandemia e il disco ha avuto quindi una genesi laboriosa. Il CD ha ricevuto ottime recensioni , con un paio di eccezioni dei soliti pignoli, e ci presenta la band alle prese con il loro classico R&R venato di alt-country, o viceversa se preferite; al sottoscritto sembra un ottimo album, del tutto degno del predecessore Graveyard Whistling, del quale mantiene il produttore, l’esperto Vance Powell. “Casualmente” nel disco ci sono 12 canzoni (ma 12 è anche il numero del Quarterback dei Dallas Cowboys Roger Staubach che appare sulla copertina), e sin dall’iniziale Dropouts le chitarre iniziano a ruggire, i ritmi sono elevati, Miller canta con brio, e le melodie sono accattivanti, gli argomenti trattati sono i soliti che girano intorno all’amore e le sue varie sfaccettature, magari aggiornati al fatto che i nostri veleggiano ormai sulla cinquantina e guardano agli errori del passato per correggerli, visto che Rhett ha compiuto i 50 anni proprio il 6 settembre, ma cercano di mantenere quell’eterno amore per power pop, rock, qualche reminiscenza di cow punk che da sempre li caratterizza, Forever Young cantava qualcuno.

Annie Crawford all’harmonium, Eleanor Denig al violino e agli arrangiamenti degli archi e Cara Fox al cello, aggiungono un tocco raffinato ad alcuni brani; This House Got Ghosts ha un vago sentore garage-psych con elementi di rock britannico fine anni ‘70, Turn Off The TV, il singolo, cita T.Rex, Pixies e Kids, in un euforico power pop che riporta ai tempi migliori, con chitarre sbarazzine e ripetute, mentre I Like You Better è più riflessiva e mi ha ricordato i Kinks americani” di inizio anni ‘70, anche per il cantato disincantato (se mi passate il bisticcio) di Miller, e le chitarre tintinnanti, Happy Hour, non credo dedicata agli amanti della movida, è cantata dal bassista Murry Hammond, con chitarrone twangy e richiami al country punk meno frenetico, misti a sonorità spaghetti western. Belmont Hotel è una bella ballata malinconica a tempo di valzer con uso di archi, mentre Confessional Boxing, con chitarre vivaci e pungenti, e ritmi accelerati, è un R&R vibrante come nella migliore tradizione degli Old 97’s.

Molto bella anche Diamonds On Neptune, tra jingle-jangle alla Tom Petty e il Bowie del periodo Ziggy Stardust, con un bel florilegio di chitarre che si rispondono dai canali dello stereo, mentre Miller ci ricorda che lui è You know I’m always on the move. Leavin’ is what I do, I go from neon sign to neon sign”, seguita dalla speranzosa e quasi esultante Our Year, un’altra delle canzoni migliori dell’album, con un notevole lavoro della chitarre. Bottle Rocket Baby è forse una astuta citazione dei loro compagni di avventura durante il massimo splendore dell’alt-rock? Dal ritmo galoppante e dalle sferzate della chitarra di Bethea potrebbe anche essere; Absence (What We’ve Got) è una deliziosa ed elegante love song dai retrogusti pop, sempre cantata da Rhett, che lascia a Hammond il compito di concludere l’album con la propria Why Don’t We Ever Say We’re Sorry?, acustica e confessionale., solo una chitarra e l’armonium.

Bruno Conti