“L’Americano Di Parigi” Colpisce Ancora! Elliott Murphy – It Takes A Worried Man

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Elliott Murphy – It Takes A Worried Man – Blue Rose/Last Call Records 2013

Da più parti acclamato come il Bob Dylan degli anni ’70, Elliott James Murphy è uno dei più validi poeti del rock newyorkese. Dimostrandosi un ragazzino precoce a soli 13 anni, col gruppo dei Rapscallios vince un concorso di band giovanili, e nei primi anni ‘70 viene in Europa , gira i piccoli Club e ottiene una piccola parte nel film Roma del nostro Federico Fellini. Di ritorno in America si esibisce regolarmente nei locali, in compagnia dei New York Dolls, Patti Smith e altri personaggi dell’underground di New York. Scoperto dal critico Paul Nelson, ottiene brillanti riconoscimenti di critica con il disco d’esordio Acquashow (73), che contiene la stupenda Last Of The Rock Stars, una delle migliori ballate rock di Murphy, ma i successivi e costanti cambi di etichetta tengono l’artista ai margini del rock business, con ottime referenze di critica, un buon seguito di culto, ma con pochi risultati commerciali. In seguito Elliott forma una propria etichetta, la Courtisane e il primo disco è Affaire (80), registrato con musicisti che costituiranno l’ossatura di tutte le prove discografiche degli anni ’80, periodo in cui Murphy collabora con le riviste americane Rolling Stone e Spin, e scrive anche in Italia per Il Mucchio Selvaggio.

Nell’estate del ’89 l’artista appare in uno storico concerto al Festival di Losanna con Chris Spedding e Garland Jeffreys e non mancano le soddisfazioni, come l’apparizione a fianco di Bruce Springsteen in un suo concerto parigino del ’92, e proprio la capitale francese diventa la sua residenza fissa, trovandovi famiglia, e da allora vive a Parigi con la moglie Francoise (ballerina) e il figlio Gaspard (suona con lui da anni e gli fa da produttore). Gli anni 2000 lo vedono accasarsi alla Blue Rose e dopo il live April in coppia con il compare e chitarrista Olivier Durand, arriva Rainy Season lavoro ispirato più sul piano letterario che su quello musicale. La Terre Commune è invece il frutto della collaborazione con Iain Matthews (Fairport Conventio) e si divide tra composizioni originali e cover (brani di Dylan, Springsteen, Brecht/Weill), mentre Soul Surfing e il successivo doppio Strings Of The Storm mantengono inalterate l’ispirazione e la popolarità dell’artista, e Murphy Gets Muddy è un bellissimo e doveroso omaggio ai padri del blues, cui fanno seguito Coming Home Again e Notes From The Underground che chiudono in gloria la decade.

Se non ho sbagliato i conti (tra compilation, raccolte di inediti e dischi dal vivo) questo It Takes A Worried Man (prodotto dal figlio Gaspard) è il trentunesimo album per “l’americano a Parigi”, e accompagnato dalla fedele Normandy All Stars, con Laurent Padro al basso, Alan Fratas alla batteria, il bravo Kenny Margolis (Willy DeVille) alle tastiere, Olivier Durand (da anni fedele compagno di ventura di Murphy) alle chitarre e come gradita ospite in un brano Patti Scialfa, è sicuramente tra i suoi lavori migliori, con una vena compositiva ritrovata.

*NDB Anche se una piccola ma tignosa parte della critica lo accusa di ripetersi (cosa dovrebbe fare secondo costoro, alternative rock, r&b, soul, dischi di tarantelle, farsi produrre da Rick Rubin)? Se ve la siete persa (e ve ne frega qualcosa) qui trovate la recensione del disco precedente, con il mio parere il-migliore-dei-vecchi-nuovi-dylan-ancora-in-circolazione-el.html

Si parte con l’iniziale folk tradizionale di Worried Man Blues, seguita da una classica Angeline, mentre Little Big Man è un mid-tempo con le chitarre in spolvero. Murphyland è un autodedica molto gustosa, mentre Then You Start Crying è un perfetto brano “dylaniano”, cui fa seguito la ballata I Am Empty con la voce al controcanto della signora Springsteen e un finale chitarristico di Durand da brividi (una delle migliori del disco). Un piano introduce la sofferta He’s Gone, mentre la seguente Day For Night è un rock tagliente, una cavalcata che ricorda il Murphy degli esordi, niente a che da vedere con le trombe delicate di Little Bit More. Il country si manifesta in Eternal Highway con un pregevole intermezzo di armonica (alla Neil Young), e chiude un disco splendido il pianoforte malinconico e solitario di Even Steven.

Per anni Elliott James Murphy è stato uno dei segreti meglio custoditi del panorama americano, e per chi lo conosce non ha bisogno di presentazioni, è uno storyteller capace di scrivere splendide canzoni sulla vita urbana e sugli amori bohèmienne, creando un ponte ideale tra la New York del Village dei suoi esordi e la sempre romantica Parigi, dove da diversi anni vive. Nella sua lunga discografia, ci sono dischi che hanno avuto un ruolo prioritario nel consolidare la sua fama, e mi fa piacere pensare che questo It Takes A Worried Man possa entrare in quel contesto, a dimostrazione che in quarant’anni di carriera un onesto poeta della musica come il buon Murphy, aveva tutte le potenzialità per diventare un grande “numero uno”, e se l’America abbandona i suoi eroi, la vecchia Europa li accoglie a braccia aperte: certamente il successo commerciale non sarà mai paragonabile a quello d’oltreoceano, ma almeno si può vivere dignitosamente (di questi tempi non è poco!).

NDT: Recentemente a dimostrazione di quanto sopra, Elliott Murphy è stato insignito della prestigiosa Medaille De Vermeil de La Ville de Paris, da parte del primo cittadino di Parigi.

Tino Montanari

Il Migliore Dei Vecchi “Nuovi Dylan” Ancora In Circolazione – Elliott Murphy

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Elliott Murphy – “Elliott Murphy” – Blue Rose/Ird

Agli inizi degli anni ’70 la stampa americana inventò quel gioco al massacro che era la creazione o meglio l’investitura di un “Nuovo Bob Dylan”. Se proprio vogliamo guardare, in effetti non è che il buon Dylan in quegli anni facesse proprio dei bei dischi, qualcuno ha detto Starportrait? E quindi i giornalisti cominciavano a guardarsi intorno: vado a memoria ma mi sembra di ricordare che il primo in ordine cronologico fu Loudon Wainwright, seguito a breve da John Prine. Massacrati i primi due (perché era veramente come metterti una fune intorno al collo con pietra annessa, buttarti in acqua e poi dirti ” e adesso nuota) nel 1973 la rivista Rolling Stone pubblicò un articolo dedicato a Ellott Murphy che esordiva con Aquashow e Bruce Springsteen che pubblicava The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle, entrambi erano presentati come i “Migliori Dylan dal 1968” e vai col massacro. Poi Bob Dylan “ritornerà”, prima con Planet Waves poi Blood On the Tracks e Desire e quindi il nuovo Dylan non serviva più visto che c’era di nuovo quello vecchio.

Ma l’effetto, e le aspettative, per quei due album, peraltro entrambi bellissimi fu devastante. Poi Bruce Springsteen diventerà “Bruuce” o il “Boss” ma Elliott Murphy, un talento quasi alla pari con il coetaneo dei New Jersey, e con 30 album alle spalle (live e compilations incluse) è diventato un artista di culto, un cantautore e rocker di grande talento ma non sempre, specie negli ultimi anni, con dischi degni della sua fama. Questo nuovo album lo riporta ai fasti del passato, ai tempi di Lost Generation, Night Lights e Just A Story From America, ma anche il successivo Murph The Surph. Una giusta miscela di R&R, ballate ariose e canzone d’autore con qualche eco Dylaniano ma anche tutta la storia del miglior rock contenuta nelle sue canzoni.

Vocalmente, specie nei brani più mossi, come nella Rock ‘n Roll ‘n Rock ‘n Roll (tanto per rendere chiaro il concetto), contenuta in questo CD, la tonalità ricorda molto quella del Bowie rocker dei primi anni, mentre musicalmente si potrebbe tracciare un parallelo con i primi Mott The Hoople, quelli prima dell’epoca glam, quando già facevano dei bellissimi album assai vari nei loro contenuti. Elliott Murphy è sicuramente più morbido nelle sue sonorità ma quando c’è da rockare non è uno che si tira indietro. Nei suoi dischi negli anni ha suonato gente come Mick Taylor, Phil Collins, Billy Joel, Sonny Landreth, David Johansen, i Violent Femmes, Shawn Collins e, naturalmente, l’amico Bruce. Nei suoi gruppi si sono alternati fior di musicisti ma da quando, da una ventina di anni, Murphy è diventato “Un Americano a Parigi” il suo collaboratore fisso è l’immancabile chitarrista Olivier Durand, un musicista molto valido e il perfetto contraltare per Elliott. Non sempre tutto funziona a dovere, non sempre i brani contenuti nei dischi sono all’altezza della fama ma in questo Elliott Murphy tutto fila alla perfezione.

Dall’iniziale Poise ‘n Grace dove, questa volta sì, Elliott Murphy sfoggia una voce Dylaniana, grave e vissuta e la musica, caratterizzata dalla slide di Durand e dalle tastiere di Kenny Margolis (uno dei Mink DeVille dei primi tempi) e con le armonie vocali dove spicca la voce di Lisa Lowell altra Springsteeniana doc, questa musica ricorda molto il miglior Dylan, evocativa anche nei testi che ci portano dall’Alaska al Madagascar attraverso Detroit e da Milano ad Amarillo per arrivare a Honolulu e Asbury Park dove risuona la Johnny 99 di Nebraska. Brano bellissimo che non si può descrivere (ci ho provato) ma è da sentire.

Ottima pure la successiva Maybe You Were laughing, anche con una bella sezione di fiati e di nuovo la chitarra di Durand in grande spolvero ed una produzione precisa e meticolosa che mette in evidenza tutti gli strumenti e la voce caratteristica di Murphy. E sapete chi è l’autore di questo piccolo miracolo di equilibri? T-Bone Burnett, Don Was, Joe Henry o Rick Rubin? Ma proprio per niente: è il figlio ventenne del buon Elliott, Gaspard Murphy, che forse ispirato dall’incontro ravvicinato con Springsteen un paio di anni fa sul palco dello stadio di Parigi, si rivela produttore attento e meticoloso, forse il migliore per mettere in evidenza i grandi meriti di quel musicista che è anche il suo papà.

Le canzoni si susseguono, una più bella dell’altra, dalla malinconica Counterclockwise alla scatenata e già citata Rock ‘n Roll ‘n Rock ‘n Roll, vero manifesto sonoro di tutto quello che è valido nella musica rock “The Gospel according to Elvis” come dice nel testo del brano.

Gone, gone, gone molto seventies nella sua costruzione sonora, lenta e confidenziale nella sua andatura soffusa, la sincopata With This Ring con le tastiere di Margolis in primo piano e ancora la bellissima ballata Take That Devil Out Of Me e le atmosfere notturne quasi LouReediane di The Day After You ( i due sono concittadini, entrambi newyorkesi), dove una voce femminile contrappunta dolcemente quella di Elliott Murphy. Rain, rain, rain giocosa e scatenata ricorda il Boss più ludico quello che ama gli anni ’50 e quelle atmosfere spensierate con l’organo di Margolis a condurre le danze.

La conclusione è affidata alla lunga Train Kept A Rolling (nulla a che vedere con il brano dello stesso titolo): il nostro amico ha tenuto il meglio per la fine (e non è che il resto fosse scarso, tutt’altro), una lunga canzone poetica e descrittiva che si dipana su un ritmo sospeso, la voce quasi sussurrata e gli strumenti e le voci di supporto quasi centellinate su un tappeto di percussioni molto presente e sullo sfondo una chitarra elettrica che ricorda vagamente il suono di quella di The End dei Doors, minacciosa e quasi irrisolta. Ottimo finale e ottimo disco!

Well done mister Elliott Murphy.

Bruno Conti