Coniugare Quantità E Qualità Si Può! Jim Lauderdale – Time Flies

jim lauderdale time flies

Jim Lauderdale – Time Flies – Yep Roc CD

Jim Lauderdale è da diversi anni una delle figure più popolari della country music d’autore. Attivo da quasi una trentina d’anni, Jim ha incominciato all’alba degli anni novanta come una delle nuove promesse del country di Nashville, ma si è a poco a poco allontanato dalla strada del successo, continuando ad incidere dischi di qualità, con una prolificità rara ed una media spesso superiore ad un album all’anno. Nel corso della carriera Jim ha collaborato con molti artisti di primissima fascia, il che lo ha portato indubbiamente a crescere sia come autore che come musicista: Buddy Miller, Rodney Crowell, Ralph Stanley & The Clinch Mountain Boys, James Burton e Robert Hunter (proprio il paroliere di Jerry Garcia, con il quale Jim ha scritto diversi album) sono solo alcuni dei nomi che hanno incrociato il cammino di Lauderdale; in America è piuttosto conosciuto, negli anni ha anche venduto bene, ma ha avuto molto meno successo di tanti burattini senza talento che sfornano dischi in fotocopia ogni anno. Ora il nostro mette sul mercato ben due album, il primo inciso insieme al mandolinista bluegrass Roland White (il bluegrass è una delle grandi passioni di Jim), e questo Time Flies, che propone undici nuove canzoni di classico country.

Ovviamente Lauderdale non cambia il suo stile, ma il suo tipo di musica è comunque abbastanza variegato e con una qualità che si mantiene su livelli medio-alti: Jim infatti spazia con disinvoltura dal country puro, allo swing, alla musica western, fino al rockabilly, e Time Flies (prodotto da Jim insieme a Tim Weaver), riassume con disinvoltura tutti questi generi, con una band che ha i suoi punti di forza nelle chitarre di Chris Scruggs e Kenny Vaughn, nella steel di Tommy Hannum e nelle tastiere di Micah Hulscher e Robbie Crowell. L’album inizia con la title track, ballatona dal passo lento ma strumentazione ricca, con un bel tappeto di chitarre acustiche, gradevoli interventi di piano e steel ed un’atmosfera d’altri tempi. The Road Is A River è più elettrica e contrappone una chitarra ritmica quasi funky ad un tempo western, creando una miscela stimolante impreziosita da un bel refrain ed un paio di ottimi assoli di Scruggs; Violet è una tenue e dolce ballad suonata in maniera diretta e con l’organo che dona un sapore soul, mentre Slow As Molasses è un godibilissimo honky-tonk acustico con un arrangiamento volutamente vintage, alla Hank Williams (Senior, naturalmente).

La spedita Where The Cars Go By Fast è una country song elettrica e roccata, come è solito fare Marty Stuart quando si ispira a Johnny Cash (ed è una delle migliori), When I Held The Cards In My Hand è una deliziosa western tune dal ritmo strascicato ed un chitarrone twang che profuma di anni sessanta, mentre Wearing Out Your Cool cambia registro, essendo una sorta di boogie a cui i fiati danno un sapore da big band, un mix accattivante al quale partecipa anche la steel. Con la ritmata Wild On Me Fast Lauderdale torna al country puro e semplice, con un tocco di swing, swing che aumenta con la gustosa While You’re Hoping, che ricorda certe incursioni di Willie Nelson nel jazz; il CD si chiude con l’elettrica It Blows My Mind, che contrappone una melodia classicamente country ad una chitarra dai toni quasi psichedelici, e con la languida If The World’s Still Here Tomorrow, un lentaccio pianistico alla George Jones. Per Jim Lauderdale quantità e qualità vanno di pari passo, anche con una certa dose di creatività: e meno male, dato che forse solo Joe Bonamassa è più prolifico di lui.

Marco Verdi

Carina, Brava E Con Le Amicizie Giuste! Whitney Rose – Rule 62

whitney rose rule 62

Whitney Rose  – Rule 62 – Six Shooter/Thirty Tigers CD

Sono passati sono pochi mesi dall’ottimo EP South Texas Suite http://discoclub.myblog.it/2017/03/02/texana-no-canadese-whitney-rose-south-texas-suite/ , ma la giovane Whitney Rose (artista canadese di nascita ma americana d’adozione) è già tornata tra noi, questa volta con un full length intitolato Rule 62. La carriera della brava (e bella) artista è legata a doppio filo con la figura di Raul Malo, che ha prodotto l’EP del 2017 ed anche il precedente album di Whitney (e secondo in assoluto) Heartbreaker Of The Year, e la scintilla è scattata quando la Rose ha aperto nel 2013 i concerti dei Mavericks: Malo si è innamorato, professionalmente si intende, della country singer canadese e l’ha guidata passo dopo passo, fino a questo nuovo album che già dal primo ascolto si candida come il migliore dei tre pubblicati dalla ragazza (ed alla produzione oltre a Raul c’è anche un’altra nostra vecchia conoscenza: Niko Bolas, vecchio braccio destro di Neil Young).

Il matrimonio musicale tra la Rose e Malo funziona alla grande, in quanto lo stile di Whitney si ispira direttamente al country più classico, quello di Patsy Cline e Hank Williams (anche se la grinta da rocker alla giovane non manca di certo), e le atmosfere un po’ retro predilette da Raul si sposano alla perfezione con certe sonorità. Se aggiungiamo che la Rose ha anche buone capacità di scrittura e che al disco partecipa una bella serie di musicisti di valore (tra cui il batterista dei Mavericks, Paul Deakin, il bassista Jay Weaver, anch’egli ultimamente con la band di Raul, il fiddler Aaron Till, già con gli Asleep At The Wheel, il chitarrista Kenny Vaughn e l’ottima pianista Jen Gunderman), non è difficile capire perché questo Rule 62 è un lavoro da tenere in considerazione. L’avvio è splendido: I Don’t Want Half (I Just Want Out) è country puro e cristallino, un honky-tonk del genere che Malo e soci facevano ad inizio carriera, cantata da Whitney con la voce giusta e dal suono scintillante. La mossa Arizona ha il ritmo tipico di certe cose del Sir Douglas Quintet (e quindi profuma di Texas), e l’uso del sax dona ancora più colore al sound, Better To My Baby è molto anni sessanta, con un tipo di arrangiamento in cui Malo è un maestro (c’è anche un bel chitarrone twang), ma Whitney non vive di luce riflessa, è brava e ha le idee chiare.

E poi le canzoni se le scrive da sola. La languida You Never Cross My Mind dimostra che la Rose non è solo grinta, ma ha un lato dolce che non è da meno (e qui Raul presta anche la sua voce, in sottofondo ma riconoscibilissima), You Don’t Scare Me ha di nuovo un sapore d’altri tempi, un tipo di suono nel quale anche Chris Isaak ci sguazza, ed il ritornello è decisamente accattivante, mentre la fiatistica Can’t Stop Shakin’ cambia registro, in quanto è un autentico e classico errebi suonato con il giusto piglio (e c’è anche un bell’assolo chitarristico), anche se forse qui ci voleva una voce più potente. Una fisarmonica fa capolino nella bella Tied To The Wheel (cover di un brano di Bill Kirchen), una country ballad tersa e luminosa, anch’essa suonata in maniera perfetta, la spedita Trucker’s Funeral ha un mood anni settanta, un misto di Dolly Parton e Jessi Colter, anch’essa di ottimo livello; Wake Me In Wyoming è ancora honky-tonk deluxe che più classico non si può, You’re A Mess ha il sapore delle produzioni dell’età d’oro della nostra musica (anche qui lo zampino di Malo si sente), mentre Time To Cry è puro country’n’roll, diretto e trascinante, e chiude in maniera energica un dischetto davvero piacevole, riuscito e da non sottovalutare.

Marco Verdi

Ex Peccatore Convertito Al Grande Gospel Soul! Mike Farris – Shine For All The People

mike farris shine

Mike Farris – Shine For All The People – Compass Records

Mike Farris, nella prima parte della sua carriera (e vita), è stata l’epitome perfetta del motto “Sesso, droga e rock&roll” (e anche un po’ di alcol). Proveniente da una famiglia dove i genitori hanno divorziato quando Mike aveva 11 anni, Farris ha iniziato a fare uso di droghe e alcol sin da giovanissimo, già prima dei 21 anni ha rischiato di morire per una overdose. Della quota sesso non vi è contezza, ma si dà per presunta, e del R&R vi garantisco io e la sua carriera con gli Screamin’ Cheetah Wheelies, grande band di southern-boogie-rock  https://www.youtube.com/watch?v=5bomaGmvY4M da Nashville,Tennessee, autrice di una manciata di album a cavallo tra gli anni ’90 e gli inizi dei Noughties, un paio su Capricorn, degni eredi di quella sequenza di gruppi che dagli Allman e Lynyrd Skynyrd arriva fino ai Black Crowes https://www.youtube.com/watch?v=EFvGJdB21Lw : ma oggi non parliamo di loro, però se vi capita tra le mani qualche disco degli SCW non lasciatevelo sfuggire.

https://www.youtube.com/watch?v=4GfzrbmJe_8 .

 

Farris era già un gran cantante rock, ma dopo la conversione alla musica gospel-soul-errebì, le sue doti vocali si sono vieppiù affinate inserendolo in quella ristretta cerchia di vocalist che sono bianchi di pelle ma “neri” nell’anima (inteso nel miglior modo possibile) https://www.youtube.com/watch?v=AQGnCnUpNE8 . Un modo di cantare e una voce che hanno sollecitato paragoni con i grandi della musica soul, da Al Green a Wilson Pickett, ma aggiungerei io, anche Sam Cooke e a tratti, tra i “neri bianchi”, Stevie Winwood, quindi di rimando anche Ray Charles. I due CD che vedete effigiati qui sopra sono forse i più significativi della sua discografia (ma anche il primo del 2002 e l’EP con ospiti del 2010 sono da avere): senza dimenticare che molti suoi colleghi ne hanno cantato le preci in modo inequivoco, da Buddy Miller a Marty Stuart, Rodney Crowell e Patty Griffin, tutti si sono dichiarati entusiasti di lui, oltre a gran parte della critica musicale americana, e “last but non least”, Mary Gauthier ha detto di lui “Out of the arms of defeat Mike Farris has done a victory lap…He takes people who are hurting, who are broken, who think they are alone and through just the sound of his voice he lets them know that they’re not…that’s magic.”, parole che non hanno bisogno di traduzione e rendono alla perfezione lo spirito della musica di questo grande artista. Farris, per ricambiare, ha inserito in questo Shine For All The People una versione stellare di Mercy Now, brano della stessa Gauthier che è già bellissimo di suo, ma in questa veste, attraverso un crescendo glorioso, è una perla senza prezzo in un album che è comunque di qualità assai elevata https://www.youtube.com/watch?v=Qt8wiGInALs .

 

Il nostro amico è un cantante gospel, un soul singer, uno shouter, un grande interprete ma anche valido autore, con una musica che fonde il meglio del soul della Stax, il gospel e lo spiritual più ruspanti degli Staple Singers, unendolo a elementi di blues e di rock, della musica di New Orleans e del funky più genuino di Sly & Family Stone, il tutto accompagnato da una pattuglia di ottimi musicisti, con organo Hammond B3, fiati, massicce dosi di cori femminili, chitarre e ritmiche spesso in frenetica eccitazione che fanno sì che sia impossibile non apprezzare questa musica, di per sè nulla di nuovo o innovativo, ma nello stesso tempo senza limiti temporali nella sua ineluttabile piacevolezza https://www.youtube.com/watch?v=sTUD8TX2__I . Sono dieci brani, uno più bello dell’altro (quasi tutti già da tempo nel repertorio live di Farris), partendo dalla cover di un vecchio brano blues di Blind Willie McTell, River Jordan che diventa una sarabanda di colori, con i fiati che evocano un intreccio tra la musica cubana e quella di St. Louis, una delle culle del jazz, cantata da Farris con una voce che a chi scrive, in questo brano, ricorda moltissimo un incrocio tra Al Green e il primo Stevie Winwood, quello dello Spencer Davis Group per intenderci, innamorato del soul e di Ray Charles, tra chitarre elettriche risonanti, massicce dosi di fiati, coriste e coristi non infoiati (perché non si addice al genere) ma infervorati a cantare le lodi del signore, poi parte un assolo di tromba da sballo, seguito da un clarinetto discreto e da un organo insinuante e si gode ancora di più. Jonah And The Whale è un altro vecchio classico blues di JB Lenoir https://www.youtube.com/watch?v=s-NskUFg-2Y , ma qui sulle ali di fantastico call and response tra Farris e le McCrary Sisters sembra una traccia perduta di qualche vecchio vinile di Aretha Franklin, tutto ritmo e dondolio di strumenti.

mike farris 3 mike farris 4

Lo shout di Sparrow parte come uno dei vecchi 45 giri di Wilson Pickett ma poi diventa progressivamente uno spiritual, un gospel, un brano di dixieland, tra fiati e “pianini”e le solite coriste incredibili. Sulle note solitarie di un organo, Paul Brown, quello di Al Green https://www.youtube.com/watch?v=BN-F86Ha9iY, e di una chitarra, parte poi quella meraviglia che si chiama Mercy Now, con Farris che sembra il primo Sam Cooke (periodo Soul Stirrers) https://www.youtube.com/watch?v=7vEB93i0K3s  ma anche il Marvin Gaye più riflessivo e meno carnale, mentre entrano di volta in volta, archi e fiati, le voci di supporto, e il ritmo della canzone prende un crescendo inarrestabile, diventando una delizia senza tempo della buona musica https://www.youtube.com/watch?v=kPOC-RC3j3Q (ve ne ho messo tre diverse versioni in video) . Difficile fare meglio, però anche il resto delle canzoni non delude le nostre attese. Real Fine Day, scritta da Farris, non ha nulla da invidiare agli altri brani, più uptempo e vicino al soul, con tocchi eccellenti della chitarra di Kenny Vaughn, schioccare di dita a tenere il tempo, la solita patina gospel che si dipana in tutti i brani, la voce è sempre eccellente e trascinante. Così pure in The Lord Will Make A Way Somehow, con un piano saltellante che supporta il solito organo e dà al brano una atmosfera sonora che sta a cavallo tra Winwood, Ray Charles e lo Stevie Wonder migliore dei primi 70’s, con intermezzo ritmico-vocale-percussionistico e Farris che si lancia in qualche ardito falsetto, incitato dal suo eccellente ensemble di strumentisti e cantanti che lo attizza alla grande https://www.youtube.com/watch?v=pVwed2n1Pmg .

mike farris 5 mike farris 6

Ottimo anche l’altro originale firmato da Farris, Power Of Love (che non è quella di Huey Lewis, nè quella di Celine Dion, che peraltro avevano un The davanti) https://www.youtube.com/watch?v=sCezQBmbkwo : questo brano non ha articoli determinativi, ma un attacco blues chitarra-organo, una andatura alla Creedence swampy in trasferta a New Orleans, poi arricchita dalla solita orgia (casta) di fiati e voci di supporto, una sorta di Heard It Through The Grapevine miscelata con Susie Q, e il mélange funziona, specie quando il brano ha qualche entratura alla Sam & Dave, specie quando Mike lascia andare la voce. Something Keep On Telling Me del reverendo C.J. Johnson nasce come spiritual/gospel. ma subisce pure lui il trattamento soul à la Farris, tutto gioia, ritmo, fiati e voci che si inseguono gioiosamente, in questo caso anche la brava Brigitte Demeyer (di cui potete leggere qui http://discoclub.myblog.it/2014/09/13/sulla-strada-americana-del-soulful-rock-dautore-brigitte-demeyer-savannah-road/) a supportare Farris. Pochi momenti malinconici nel disco, per cui anche How It Feels To Be Free, ha quell’aria errebi di stampo Stax/Hi Records, ritmata e trascinante, non puoi astenerti dal muovere il piedino e dondolarti al ritmo della musica. Un altro pezzo forte del disco (ma ce ne sono di deboli?) è la conclusiva This Little Light, intro solo contrabbasso-percussioni, nuovamente quella voce alla Winwood, poi entrano gli altri, piano, ritmica, organo, voci e la festa ricomincia, tutti insieme, “Let it shine” ad libitum fino a stordirvi, con piano, organo e chitarra elettrica a menare le danze e gran finale in crescendo. Amen!

Bruno Conti