Nove Cartoline Dal Profondo Sud. Kevin Gordon – Tilt And Shine

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Kevin Gordon è un vero uomo del Sud. Originario della Louisiana, da quando ha iniziato ad incidere ha sempre messo le sue influenze sudiste nei suoi dischi, creandosi negli anni uno stile abbastanza personale, per nulla commerciale ma vero, autentico. Agli inizi sembrava semplicemente un nuovo esponente del movimento roots-rock/Americana sviluppatosi negli anni novanta, come certificava il bellissimo Cadillac Jack # 1’s Son, il suo secondo album (ma il primo con una distribuzione più capillare, prodotto ricordiamo dall’E Streeter Garry Tallent) ed ancora oggi uno dei suoi migliori; già dal lavoro seguente, l’ottimo Down To The Well, si notava uno spostamento verso sonorità più paludose, un misto di rock, blues e swamp decisamente diretto e sanguigno, un suono che anche dopo tutti questi anni ritroviamo con piacere in questo nuovissimo Tilt And Shine, disco che giunge a tre anni da Long Time Gone https://discoclub.myblog.it/2015/12/11/vi-piacciono-bravi-kevin-gordon-long-gone-time/  e giusto a venti dal già citato Cadillac Jack, che ancora oggi viene considerato quasi all’unanimità il suo esordio nonché il suo lavoro più brillante.

E Gordon in Tilt And Shine non cambia certo percorso, anzi è come se si fosse guardato indietro ed avesse volutamente messo a punto un disco riepilogativo dei suoi vent’anni di carriera: infatti, oltre a brani parecchio elettrici ed influenzati pesantemente da sonorità swamp e blues tipiche della Louisiana (con uno sguardo anche al confinante Mississippi), troviamo anche più di un pezzo di puro rock’n’roll, sempre comunque di stampo southern. Il tutto crea un insieme stimolante e creativo, che rende il disco piacevole e vario, complice anche la breve durata (34 minuti). Prodotto da Joe McMahan, abituale collaboratore di Kevin, vede in session un gruppo selezionato di musicisti, tra cui ben quattro diversi batteristi (la batteria ha un ruolo primario in questi brani), il piano ed organo di Rob Crowell ed il basso di Ron Eoff, mentre le chitarre, e ce ne sono molte, sono tutte suonate da Kevin e da McMahan. Il disco parte con Fire At The End Of The World, un blues elettrico, annerito e limaccioso, che rimanda alle atmosfere di Tony Joe White, con una sezione ritmica pressante ed ottimi interventi chitarristici.

Saint On A Chain è un brano più disteso, in chiara modalità laidback, tra J.J. Cale ed Eric Clapton, anche se si nota una certa tensione elettrica; One Road Out è ancora bluesata e paludosa, tutta giocata sulla voce, una slide grezza ed una percussione ossessiva, un pezzo che concede poco al facile ascolto ma non manca di intrigare, mentre Gatling Gun fa filtrare più luce, ha una chitarra sempre slide ma più languida, ed anche la melodia è più aperta, più musicale. Right On Time è rock’n’roll, diretto, trascinante e con una splendida chitarra, un brano che ci fa ritrovare il Kevin degli esordi, ma DeValls Bluff è di nuovo scura, dal passo lento ed un sentore blues nemmeno troppo nascosto, con chitarre e batteria che si prendono la scena, quasi come se fossero i Black Keys. Bella ed intrigante Drunkest Man In Town, rock song ritmata come solo un uomo del Sud sa fare, un bel pianoforte ed il canto quasi scazzato del nostro che ci sta benissimo; Rest Your Head è un momento di pace acustica, voce e chitarra, malinconica e cantata con voce sofferta, mentre Get It Together, che chiude l’album (ed almeno un paio di pezzi in più non ci sarebbero stati male), è ancora puro rock’n’roll, forse il brano più solare del CD, con un’aria ancora laidback che lo avvicina non poco al Mark Knopfler solista.

Un buon disco, forse il migliore di Kevin Gordon da molti anni a questa parte .

Marco Verdi

Vi Piacciono Quelli Bravi? Kevin Gordon – Long Gone Time

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Kevin Gordon – Long Gone Time – Crowville Media 

Kevin Gordon è la perfetta epitome dell’ “unsung hero” (termine che ho usato recentemente anche per Albert Lee  http://discoclub.myblog.it/2015/11/14/eroe-celebrato-albert-lee-highwayman/e che forse rende meglio l’idea dell’italiano “eroe non celebrato o sconosciuto”). Un cantautore nativo della Louisiana, ma che da anni vive a Nashville, dove per mantenersi gestisce anche una sorta di galleria d’arte “alternativa” situata all’interno della propria abitazione, e la drammatica immagine posta in copertina di un cervo che annega tra i flutti del diluvio successivo ad un evento terribile, intitolata After The Flood (Katrina), opera di Michael Noland, illustra perfettamente sia il tipo di articoli in vendita in quella galleria, quanto la musica di Gordon. Canzoni potenti ed espressive, incentrate in parte sui suoi ricordi della adolescenza e gioventù vissuta a Monroe, una piccola cittadina a nord di New Orleans, ma anche sulla vita in generale della provincia americana, piccole storie che sono come novelle o sceneggiature cinematografiche, vivide e ricche di particolari, non lontane nel risultato finale, anche a livello musicale, dal tipo di canzoni che ha sempre scritto uno come Greg Brown (non per nulla Kevin si è laureato all’università dello Iowa), o anche un John Prine.

In effetti in alcuni brani di questo Long Gone Time appare anche Bo Ramsey, a lungo chitarrista di Brown e cantautore pure in proprio, che appare nei dischi di Gordon sin dal bellissimo Cadillac Jack’s #1 Son, l’album del 1998 prodotto da Garry W. Tallent, producendo poi  il successivo Down To The Well di Kevin Gordon, mentre per O Come Look At Burning e Gloryland del 2011 https://www.youtube.com/watch?v=4izrzhic4rk , altri piccoli gioiellini assolutamente da avere, come i precedenti album, la produzione era curata da Joe V.McMahan, che lo fa anche in questo nuovo album, oltre a suonare la chitarra in tutte le tracce. Il risultato è il solito stile, a cavallo tra Americana, rockabilly, blues delle piantagioni e dei bayou della Louisiana, ma anche a tratti honky tonk country, folk e persino sciabolate rock alla Stones americani (non per nulla Keith Richards si era impadronito della sua Deuce And A Quarter per usarla come duetto con Levon Helm in All The King’s Horses, il disco registrato con i sidemen di Elvis)https://www.youtube.com/watch?v=l0jpqF1uolk .

Tra i suoi fans anche Buddy Miller e Peter Guralnick, che ne hanno cantato le lodi e Lucinda Williams, Kate Campbell e Southside Johnny, che ne hanno inciso le canzoni. Anche in questo nuovo Long Gone Time il suono si situa tra acustico ed elettrico, quasi in pari misura, narrando storie autobiografiche di vecchi amici d’infanzia di Gordon, ma anche di leggendari personaggi come il cowboy Brownie Ford, metà bianco e metà Comanche, protagonista di due canzoni e altre avventure tra reale e surreale, che necessiterebbero della presenza dei testi nella confezione, ma ci dobbiamo “accontentare” della musica. Che va dal blues & roll rurale dell’iniziale All In The Mystery, scritta con Gwil Owen, dove oltre alla chitarra minimale di McMahan si gusta anche il piano di Tyson Rogers, la storia dolceamara di GTO, che racconta la sfortunata storia di una bramata automobile, quasi a tempo di rockabilly, come se gli NRBQ si fossero riuniti per l’occasione di una jam con gli Stones.

Altrove ci sono le storie della Louisiana, come l’amara e nostalgica Letter To Shreveport, dove si racconta dei tempi in cui Johnny Horton si sentiva alla radio, con la musica che vira verso un atmosferico e swampy blues di grande intensità, la acustica e laconica Walking On The Levee, con Bo Ramsey alla chitarra slide, che suona quasi come qualche traccia perduta del miglior Greg Brown, un folk rurale di grande bellezza. E ancora la paranoia americana di Shotgun Behind The Door, quasi una minacciosa ninna nanna (anche se sembra un ossimoro) degna di John Prine. Passando per il semi country della twangy Crowville,sempre con Ramsey alla slide, l’elegiaca Goodnight Brownie Ford, delicata e appassionata come le migliori ballate di Tom Russell https://www.youtube.com/watch?v=y82VXcTDe8c , per poi tornare al crudo blues-rock della dura, quantomeno nel testo, Immigrant, con l’eccellente lavoro della chitarra di McMahan, veramente magistrale in questo pezzo https://www.youtube.com/watch?v=voXKI1GkG3A .

I ritmi tra boogie e New Orleans della mossa Church On Time https://www.youtube.com/watch?v=o7CzZSr63kg  e quelli spezzati e “paludosi” della lunga Cajun With A K, che racconta sempre storie bluesate della Louisiana, anche grazie ad una armonica che si fa largo tra chitarre, contrabbasso e un piano minimale, bellissima. Concludono il tutto le bonus, la traccia palese e non nascosta, Following A Night (The Preacher’s Wife), di nuovo sotto forma di una intensa ballata folk acustica in compagnia di Bo Ramsey e If You Will, traccia nascosta, altrettanto bella. Se vi piacciono quelli bravi, qui ne trovate uno!

Bruno Conti     

“Altre Storie” Da (East) Nashville! Kevin Gordon – Gloryland

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 Kevin Gordon – Gloryland – Crowville Media Self-released 2012

Mi ero quasi dimenticato di Kevin Gordon cantautore e letterato nato a West Monroe in Louisiana, autore di ottimi album nella sua quasi ventennale carriera. Kevin non è un novizio nell’ambiente discografico, nonostante il suo nome ai più dica poco, è un tipo che si è laureato in letteratura all’Università dell’Iowa, e la sua vena di scrittore gli ha permesso di pubblicare molti poemi sulle migliori riviste del settore. Come “songwriter” debutta nel 1993 con Carnival Time un album edito dalla Taxim Records, mentre Cadillac Jack’s # 1 Son (1998) si può considerare il lavoro più compiuto di Gordon, seguito dall’ottimo Down To The Well (2000), entrambi  distribuiti dalla Shanachie Records. Dopo qualche problema con la casa discografica, incide O Come  Look At The Burning (2005) un omaggio alla sua terra (Lousiana), un disco profondamente influenzato da atmosfere cupe, tipiche di New Orleans e di uno dei suoi figli prediletti Tony Joe White.

Validamente coadiuvato dal “braccio destro” produttore e musicista Joe McMahan, Kevin in questo disco si avvale della sua attuale band, composta da ottimi musicisti, Paul Griffith, Ron Eoff, Steve Poulton, Dave Jacques, e ospiti speciali come Sarah Siskind, due componenti dei Lambchop (Scott Martin  e Ryan Norris) e le sorelle McCrary (Regina e Ann coriste di gospel con Mike Farris), proponendo una manciata di canzoni con la sua voce soul,  per un “sound” che spazia tra rock and roll, folk e blues e che coinvolge l’ascoltatore.

Si parte con il blues di Gloryland e le chitarre in spolvero sulla voce di Kevin, e si prosegue con una Don’t Stop Me This Time dalla sezione ritmica importante, con un ritornello che entra subito in circolo. Colfax/Step In Time è una delle più belle del disco, inizia dolcemente, poi si sviluppa nei suoi 10 minuti su un testo bellissimo e con il crescendo “soul” delle sorelle McCrary. Pecolia’s Star è una ballata maestosa su un tessuto sonoro con il mandolino in evidenza, mentre Black Dog è uno svamp rock, uno di quei brani che ricorda il Fogerty d’annata. Si torna alla ballata malinconica con Trying To Get To Memphis, con Gordon  vocalmente molto vicino a John Hiatt, mentre la seguente Bus To Shreveport è un mid-tempo senza infamia e senza lode. Il livello del disco torna alto con Nine Bells, atmosfera notturna creata dalla chitarre slide, batteria low-fi e voce rancorosa di Kevin. Splendida! Side of the Road inizia con un arrangiamento “desertico”, poi diventa sudista fino al midollo con l’apporto delle “sisters” al controcanto, mentre Tearing It Down molto “bluesata”,  è sporca e cattiva quanto basta. Si chiude alla grande con One I love che sembra toltada Guitar Town di Steve Earle, e la bonus track Don’t Take It All, ammaliante ballata quasi recitativa, composta su qualche palafitta sul Mississippi, sorseggiando un buon Southern Comfort.

Kevin Gordon è un autore con una certa “verve” descrittiva (basta leggere i testi), liriche, ritmo e voce vanno a braccetto e nessuno prevale sull’altro, è una sorta di Sonny Landreth con meno virtù chitarristica e più senso di narrazione, e in questo lavoro mostra tutte le sue qualità e ci regala quasi sessanta minuti di musica gustosa e genuina, e suonata come Dio comanda. Bravo Kevin, un bel ritorno, un disco sofferto, difficile, ma se riuscite a penetrare nella sua musica, non potete esimervi dal farlo vostro. Adesso spero solo di non dover aspettare altri sette anni per ricordarmi del suo talento.

Tino Montanari