Supplemento Della Domenica: Il Più Bel Disco Dal Vivo Dello Scorso Anno. Anche Se Non E’ “Ufficiale” Ed E’ Registrato Nel 1997! Tom Petty And The Heartbreakers – San Francisco Serenades

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Tom Petty And The Heartbreakers – San Francisco Serenades The Classic 1997 West Coast Broadcast- 3 CD Leftfield Media

Credo, anzi ne sono pressoché certo, che questo sia il disco dal vivo, relativo ad un concerto pubblicato a livello diciamo “non ufficiale”, più bello che sia stato mai pubblicato! Forse solo un paio di quelli di Springsteen relativi alle date del 1978 possono rivaleggiare con questo triplo, per i contenuti e la durata, per la forza della esibizione, per la bravura dei protagonisti, per la scelta del repertorio, per la qualità sonora della registrazione, veramente superba, degna del concerto. Si tratta del broadcast radiofonico relativo all’ultima data tenuta al Fillmore di San Francisco il 7 febbraio del 1997, in una serie di 20 concerti (in parte pubblicati, anche questa serata, solo una canzone però, nel boxset ufficiale Live Anthology). Il concerto è veramente formidabile, e vede Tom Petty riunito con gli Hearbreakers, e “solo” per quelle venti date, dopo una pausa di circa due anni dal tour del 1995, e anche a livello discografico non usciva nulla insieme (a parte la colonna sonora del film She’s The One dell’anno prima e il box Playback del 1995) da Into The Great Wide Open del 1991:quindi una serata in piena libertà, in cui il gruppo, che era diventato forse il quel momento il n°1 al mondo a livello concertistico, visto che la E Street Band era in pausa al momento e considerando gli Stones fuori concorso.

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https://www.youtube.com/watch?v=19G4L27gW1k

Comunque, anche per gli altissimi standard delle esibizioni Live di Tom Petty & The Heartbreakers, come detto, questo concerto è veramente oltre ogni volo più pindarico della immaginazione, una serata fenomenale, durata oltre 3 ore, dove il quintetto, Tom Petty, chitarra e voce, Mike Campbell, chitarre, Benmont Tench, tastiere, Howie Epstein, basso, e l’ultimo arrivato Steve Ferrone, alla batteria, più Scott Thurston, a chitarre e tastiere, prende il rock and roll e lo rivolta come un calzino, in tutte le sue coniugazioni e attraverso tutti i suoi generi (anche con una divagazione nel blues, di cui tra un attimo): Petty lo dice fin dall’inizio al pubblico che vogliono suonare moltissimo, anche per celebrare quella che è una delle location più importanti della storia della musica rock, e vogliono dare quindi fondo anche alle loro profonda ammirazione per molti dei musicisti che quella storia hanno creato, attraverso i 40 brani che suoneranno: la partenza è subito bruciante, con una versione fantastica di Around And Around di Chuck Berry, uno scossone R&R che mette subito in chiaro come sarà la serata, Campbell e Tench sono subito in azione, Epstein, Thurston e Ferrone li seguono a ruota e Tom Petty è il Maestro delle cerimonie perfetto, a seguire Jammin’ Me, uno dei loro brani più diretti e potenti, scritto con Bob Dylan per l’album Let Me Up (I’ve Had Enough), versione incredibile, ma non ce n’è una scarsa nel concerto, arriva poi subito una turbinosa Runnin’ Down A Dream da Full Moon Fever, con un Campbell veramente scatenato, ma tutti i brani hanno una urgenza, una grinta, raramente riscontrate in una band che era comunque sempre una macchina da guerra.

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https://www.youtube.com/watch?v=EqhJKsBwL_I

A questo punto partono le sorprese, Time Is On My Side è un piccolo classico del R&B, ma la versione è un omaggio a quella dei “maestri” Stones, come pure quella di Call Me The Breeze è ispirata da quella dei Lynyrd Skynyrd (ma il brano è di JJ Cale), il southern secondo gli Heartbreakers, con chitarre spiegate; Cabin Down Below non è uno dei brani più conosciuti di Tom, ma la serata è un po’ così, particolare: versione breve ma intensa, seguita da Diddy Wah Diddy, con Petty che ricorda che “Elvis Is King, but Diddley is Daddy”, poi spazio a Mike Campbell con lo strumentale Slaughter On 10Th Avenue, un brano da balletto classico che probabilmente il chitarrista conosceva nella versione dei Ventures. Listen To Her Heart viene dal secondo album con gli Heartbreakers, uno dei brani più jingle jangle, tra Beatles, Searchers e Byrds, I Won’t Back Down, sempre bellissima, in una versione raccolta solo per voce, chitarra elettrica, organo e dei bonghi, anche The Date I Had With That Ugly Homecoming Queen, uno strano divertissement di Campbell, tra R&R e Zeppelin, con Tom all’armonica, non era un brano comune nei loro concerti, ma la band ci dà dentro di brutto, prima di chiamare sul palco John Lee Hooker, per un trittico di canzoni che sono la storia del blues, Find My Baby, It Serves You Right To Suffer e Boogie Chillun, con il grande “Hook” ancora in forma, nonostante gli 80 li avesse già passati, e pure lui viene “pettyzzato” per l’occasione.

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https://www.youtube.com/watch?v=8LSuzIKEyn0

Si riparte con una versione colossale di It’s Good To Be King, una delle più belle mai ascoltate, spaziale, psichedelica, tra west coast e i Pink Floyd di Dark Side, con Tench e soprattutto Campbell  che suonano in modo divino, soprattutto nella lunga coda strumentale, si prosegue con una sfilza di brani inconsueti, una perfetta Green Onions di Booker T. & The Mg’s, il classico popolare You Are My Sunshine, cantata dal pubblico e Ain’t No Sunshine di Bill Withers che mantiene il tempo dell’originale ma diventa molto più rock, On The Street era uno dei primissimi brani scritto da Tench, quando erano dei ragazzini ed è uscita solo nel box Playback, comunque puro Heartbreakers sound, e che dire di I Want You Back Again degli Zombies, uno dei classici della British invasion, tra le influenze dichiarate da Tom. E il bluegrass degli Stanley Brothers con Little Maggie da dove sbuca? Perfetto comunque, come Walls (Circus) una delle loro ballate più belle, delicata ed evocativa come poche, seguita dall’acustica Angel Dream, il secondo brano tratto dal disco più recente all’epoca She’s The One, entrambe bellissime in questa serata magica, con Mike Campbell che poi si “reinventa” il vecchio Guitar Boogie (Shuffle) di Arthur Smith, prima di un uno-due da sballo con Even The Losers e American Girl, in modalità acustica, e sono bellissime anche così. You Really Got Me dei Kinks si può fare solo con le chitarre a manetta, e quindi procedono in tal senso, prima di lanciarsi nel traditional County Farm fatto a tempo di boogie southern come dei novelli ZZ Top o Thorogood , un brano di una potenza devastante con Campbell che giganteggia alla slide e al wah-wah, e per non farsi mancare nulla anche la versione di You Wreck Me è da antologia, presa a 300 all’ora contromano in autostrada.

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https://www.youtube.com/watch?v=9JOzOlB4Vm8

Siamo al terzo CD e devo dire che a parte un paio di super classici, nella parte finale il menu è ancora zeppo di sorprese fantastiche: Shakin’ All Over, forse più vicina a quella sixties di Johnny Kidd & The Pirates che a quella degli Who, comunque sempre un gran bel sentire, non poteva certo mancare una Mary Jane’s Last Dance in versione deluxe da 10 minuti, degna di questo concerto fantastico, con le chitarre che arrotano rock e Petty che dirige il carrozzone come solo lui sapeva fare, con il suoi fido luogotenente Mike Campbell a insaporire la lunga parte strumentale con la loro maestria, molto bella anche You Don’t Know How It Feels in versione quasi younghiana con armonica aggiunta; un’altra scarica di adrenalina è offerta da I Got A Woman del genius Ray Charles, tramutata quasi in un rockabilly, altro brano immancabile è Free Fallin’, per molti la canzone più bella mai scritta da Tom Petty, quasi commovente per l’occasione, poi parte un gran finale pirotecnico, l’enciclopedia del rock rivistata, prima una Gloria lunghissima e scoppiettante, che mastro Van avrebbe approvato, Bye Bye Johnny di Chuck Berry, rock and roll allo stato puro, Satisfaction di tali Jagger/Richards, altra versione micidiale, Louie Louie, a proposito di riff memorabili, e tanto per gradire anche It’s All Over Now. E per mandare tutti a casa una ninna nanna rock come Alright Now. Questo sarebbe il classico disco da 5 stellette, ma visto che non arriva da una casa discografica ufficiale ne togliamo mezza. E comunque ci mancherà tantissimo!

Bruno Conti

Quando Il Vintage Diventa Alternativo! JD McPherson – Undivided Heart And Soul

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JD McPherson – Undivided Heart And Soul – New West CD

Terzo album con incluso cambio d’etichetta (la New West, dopo i primi due lavori targati Rounder) per JD McPherson, giovane musicista originario dell’Oklahoma ma da tempo residente a Nashville. Nonostante risieda nella capitale del Tennessee, e sia anche andato ad incidere il suo nuovo album nel leggendario RCA Studio B (un pezzo di storia, dentro ci sono passati tra gli altri Chet Atkins, Ernest Tubb, Don Gibson, Jim Reeves, Porter Wagoner, Willie Nelson e, last but nor least, Elvis Presley), McPherson non fa country, non ne è neppure lontanamente influenzato. Infatti la sua musica è una originalissima miscela di sonorità rock’n’roll anni cinquanta, surf music, pop in perfetto stile sixties ed anche garage music, il tutto mescolato ad arte e condito con melodie di stampo moderno. JD (che sta per Jonathan David) non assomiglia a nessuno, fa la sua musica ed album dopo album è riuscito nell’intento di far parlare di sé: Undivided Heart And Soul è il suo nuovo disco, un lavoro che riunisce in undici canzoni tutte le caratteristiche del nostro, con la produzione di Dan Molad, da tempo collaboratore dei Lucius (e metà del gruppo di Brooklyn è presente, nelle persone di Jess Wolfe e Holly Laessig).

Un album fresco, pimpante, creativo e, per una volta, originale, anche se fa un po’ di tristezza dover constatare che per essere fuori dal coro bisogna tornare alla musica di cinquanta e passa anni fa. JD può inoltre contare su di una band molto solida che ha i suoi punti di forza nella chitarra di Doug Corcoran e nelle tastiere di Raynier Jacildo, ma anche la sezione ritmica formata da Jimmy Sutton e Jason Smay non si tira certo indietro. Il disco inizia con la roccata Desperate Love, un brano coinvolgente, ritmato e con un feeling da garage band anni sessanta, voce sicura ed attenzione dell’ascoltatore già catturata fin dal principio. Crying’s Just A Thing You Do è più elettroacustica, ma il ritmo è comunque sostenuto, forse il brano è un po’ ripetitivo ma JD compensa con energia e feeling, e poi c’è un assolo molto particolare di una chitarra twang alquanto distorta. Lucky Penny è il singolo (esiste anche un video), ma il pezzo non è per nulla commerciale, anzi mantiene quelle caratteristiche da canzone underground d’altri tempi, elettrica, grintosa e molto diretta, mentre Hunting For Sugar, sempre restando a cavallo tra sessanta e settanta, ha un’atmosfera eterea, cosmica, al limite del psichedelico, ma con un’anima pop niente male.

Con On The Lips andiamo ancora più indietro nel tempo, l’accompagnamento è quasi surf, con reminiscenze degli Shadows o del Link Wray più “tranquillo”, il tutto in contrasto con la voce e la melodia, indubbiamente contemporanee; la title track, sempre cadenzata, ha un deciso e limpido gusto pop-rock che la avvicina a certe cose di Dave Edmunds, Bloodhound Rock inizia come uno strumentale ancora molto sixties, la voce entra solo a metà canzone e le chitarre, ben doppiate dall’organo, suonano con grinta. Style (Is A Losing Game) ricorda i primi Kinks, quelli più rock’n’roll, Jubilee è una squisita pop ballad che sembra uscita da un disco del 1967/68, ancora piacevole nel suo voluto citazionismo, Under The Spell Of City Lights è giusto a metà tra pop e rock, anzi sembra quasi il pezzo di un oscuro gruppo beat; il CD si chiude con Let’s Get Out Of Here While We’re Young (bel titolo), già vintage fin dalle prime note d’organo, e pure nel prosieguo a base di riff di chitarra in puro stile garage, degno finale per un album molto piacevole, fresco e perfino innovativo nel suo voler essere insistentemente retro.

Marco Verdi

Supplemento Della Domenica: Il Giusto Modo Di Celebrare Una Grande Cantautrice! Natalie Merchant – The Natalie Merchant Collection

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Natalie Merchant – The Natalie Merchant Collection – Nonesuch/Warner 10CD Box Set

Non so in quanti, all’indomani dello scioglimento dei 10.000 Maniacs, gruppo pop-rock di culto degli anni ottanta separatosi dopo il live MTV Unplugged del 1993, avrebbero previsto una carriera luminosa alla cantante della band, Natalie Merchant: ebbene, quasi un quarto di secolo dopo bisogna riconoscere oggi che Natalie è tra le artiste più brave e complete nel panorama internazionale. Non ha inciso molto, solo sette album, ma sempre con una qualità media altissima, e con in mezzo due-tre dischi che non è fuori luogo definire capolavori: oggi la Nonesuch celebra la carriera solista della Merchant, con l’aiuto di Natalie stessa, con questo succulento boxettino di dieci CD intitolato The Natalie Merchant Collection, che comprende tutti e sette gli album della cantante di Jamestown (Leave Your Sleep era doppio) aggiungendo altri due dischetti esclusivi per il box, uno nuovo di zecca (Butterfly) ed un altro, intitolato Rarities 1998-2017, che è appunto una compilation di brani rari ed inediti (ma manca l’album live del 1999: perché?). Reputo quindi doveroso omaggiare questa bravissima musicista con una veloce panoramica dei dischetti contenuti nel cofanetto.

Tigerlily (1995): Natalie fa subito centro con un album che sarà anche il suo più venduto, grazie anche ai tre singoli, Wonder, Carnival e Jealousy, esempi di perfetto pop-rock di gran classe. Ma la Merchant ci regala altre perle, come l’opening track San Andreas Fault, la pianistica Beloved Wife, splendida e struggente, la raffinatissima River, la lunga I May Know The Word, più di otto intensissimi minuti e con una strepitosa coda chitarristica. Natalie mostra da subito un talento che verrà fuori prepotentemente nei dischi successivi.

Ophelia (1998): altro ottimo lavoro, che rappresenta una transizione tra il pop-rock adulto dell’esordio e la Merchant raffinata musicista dei dischi che seguiranno. Numerose le canzoni bellissime, partendo dalla straordinaria title track, un brano dal pathos incredibile, e continuando con la sontuosa ballad Life Is Sweet, la toccante My Skin, nella quale Natalie dà un saggio della sua notevole tecnica pianistica, la splendida King Of May (che classe) e la vibrante Thick As Thieves, con Daniel Lanois alla chitarra elettrica (ed è poco bella The Living?).

Motherland (2001): dopo due album quasi ottimi, Natalie sale ad un livello addirittura superiore: prodotto da T-Bone Burnett, Motherland è un disco più introspettivo nei testi ma musicalmente ricco e variegato. Si passa dalla suggestiva This House Is On Fire, intrigante commistione tra reggae e musica mediorientale, alla stupenda Motherland, una drammatica ballata con un’atmosfera quasi da chanteuse francese, ed una melodia da pelle d’oca d’ispirazione coheniana (una delle canzoni più belle di sempre della Merchant), passando per il folk-blues Saint Judas, con Mavis Staples alla seconda voce, la languida e suadente Put The Law On You, la raffinata rock ballad Build A Levee, e, giusto per non citarle tutte, la tersa e scintillante Not In This Life. Questo sarà per molto tempo l’ultimo disco di canzoni originali per Natalie, ma non per questo i prossimi saranno meno belli (anzi).

The House Carpenter’s Daughter (2003): un album meraviglioso, il più bello di Natalie se non ci fosse il successivo, una serie di interpretazioni strepitose di traditionals, canzoni popolari antiche e (poche) più recenti, con splendidi arrangiamenti in puro stile folk-rock (un paragone? I migliori Waterboys, solo un filo meno rock). Un capolavoro, con titoli celeberrimi che nelle mani della Merchant assumono nuova vita, come Which Side Are You On?, Bury Me Under The Weeping Willow (Carter Family, fantastica), House Carpenter, Down On Penny’s Farm, Poor Wayfaring Stranger, meno noti ma sempre splendidi come Soldier, Soldier ed Owensboro, o addirittura un classico dei Fairport Convention come Crazy Man Michael. E la voce di Natalie è sempre più bella, disco dopo disco.

Leave Your Sleep (2010): ben sette anni di attesa, ma ne valeva la pena: Leave Your Sleep è un doppio album, ben 26 canzoni, in cui Natalie alza ancora l’asticella e si conferma come una delle migliori artiste in circolazione. La Merchant prende una serie di poesie per bambini scritte da autori dell’800 e del 900, aggiunge le musiche scritte di suo pugno e mette a punto un’operazione culturale di altissimo livello e musicalmente sublime. Senza dubbio il suo disco più bello, ma anche uno dei più importanti in assoluto della decade, inutile nominare un brano piuttosto che un altro; dentro c’è di tutto: rock (poco), folk, musica irlandese, blues, old time music, dixieland, pop, country, reggae, e perfino kletzmer e musica da camera, il tutto condito da melodie imperdibili e da una classe inimitabile.http://discoclub.myblog.it/2010/04/14/l-ultima-grande-cantautrice-americana-natalie-merchant-leave/

Natalie Merchant (2014): primo disco di canzoni originali da Motherland ed altro grande album, anche se forse un gradino sotto gli ultimi due (che però sono dei capolavori): Ladybird, che apre il disco, è un’eccellente ballata pianistica dal motivo decisamente bello, ma ci sono anche l’intensa e roots-oriented Texas, la soulful (e splendida) Go Down Moses, in duetto con Corliss Stafford, l’emozionante, quasi da pelle d’oca, Seven Deadly Sins, la jazzata e sensuale Black Sheephttp://discoclub.myblog.it/2014/05/25/il-disco-della-domenica-del-mese-forse-dellanno-natalie-merchant/

Paradise Is There: The New Tigerlily Recordings (2015): Natalie celebra i vent’anni di Tigerlily, il suo disco più famoso, re-incidendolo da capo a piedi (ma cambiando l’ordine della tracklist) con lo stile odierno. Paradise Is There ricalca quindi la Natalie Merchant del 2015, meno pop-rock e più musicista a 360 gradi: le canzoni sono sempre belle (soprattutto, a mio parere, San Andreas Fault, Beloved Wife, River e I May Know The Word, che poi erano le mie preferite anche nel disco originale), ma i nuovi arrangiamenti e la maggiore esperienza di Natalie fanno la differenza.

Butterly (2017): un disco nuovo di zecca, nel quale Natalie re-interpreta sei canzoni del suo songbook e ne aggiunge quattro nuove, con l’ausilio di una band ridotta all’osso e con un quartetto d’archi in ogni pezzo. Un esperimento decisamente interessante e riuscito, che dona uno spessore diverso ai pezzi già noti (The Worst Thing e The Man In The Wilderness, con nuovi arrangiamenti tra Spagna e Messico, sono addirittura meglio degli originali) e fa brillare anche i brani nuovi: la cupa e drammatica Butterfly, dal pathos notevole, la jazzata She Devil, che rimanda a certe cose di Joni Mitchell, la dolcissima ninna nanna Baby Mine e la struggente Andalucia, davvero bella.

Rarities 1998-2017 (2017): formidabile compilation che ha, tra l’altro, solo due brani in comune con il secondo dischetto dell’antologia A Retrospective, uscita nel 2005 e con appunto il secondo CD dedicato alle rarità. Ben otto brani su quindici totali sono inediti, e due di essi sono rifacimenti di brani già noti, Saint Judas e Build A Levee, entrambi con Amy Helm ospite ed entrambi incisi quest’anno. Gli altri sei: il primo è una meravigliosa versione di The Village Green Preservation Society dei Kinks, una rilettura fluida, pianistica e coinvolgente, che da sola vale gran parte del prezzo richiesto; poi abbiamo lo slow raffinato Too Long At The Fair (scritto dal misconosciuto cantautore Joel Zoss), l’intensa e folkie Sonnet 73, adattamento musicale di un sonetto di Shakespeare, la deliziosa ninna nanna My Little Sweet Baby, un demo casalingo del traditional Sit Down, Sister ed il breve e bizzarro strumentale Portofino, che ha il profumo della musica folk nostrana. Tra i brani già editi meritano una citazione il brano dei Cowboy Junkies To Love Is To Bury, tratto da Trinity Revisited, un’intensissima Learning The Game di Buddy Holly, il testo di Woody Guthrie Birds & Ships, cantata con l’accompagnamento chitarristico di Billy Bragg (da Mermaid Avenue), la splendida The Lowlands Of Holland insieme ai Chieftains ed una rarissima versione voce e piano della divertente Political Science di Randy Newman, presa da una session pubblicata anni fa su ITunes, solo per download.

Il cofanetto costa tra i quarantacinque e i cinquanta euro: sta a voi decidere se farlo vostro, ma è certo che se di Natalie Merchant possedete solo qualche disco, la parola imperdibile è l’unica che mi viene in mente.

Marco Verdi

Un Ottimo Esempio Di American Music Dal Più Britannico Dei “Cantautori”In Circolazione. Ray Davies – Americana

ray davies americana

Ray Davies – Americana – Sony Legacy

Sir Raymond Douglas Davies, detto Ray (anche lui è stato alla fine nominato baronetto, o Knight Bachelor se preferite, per il suo servizio alle arti britanniche, molto più tardi di altri colleghi, ma in modo doveroso) pubblica con questo nuovo album Americana quello che probabilmente è il suo miglior album solista, in una carriera che in questo senso non è stata fulgida, ma i meriti acquisiti in oltre 50 anni alla guida dei Kinks lo sono certamente e lo indicano come uno dei più grandi “cantori” della scena musicale inglese, londinese in particolare, nello specifico Fortis Green, nel quartiere di Muswell Hill, nel nord della capitale britannica, in una famiglia non certo agiata, con sette tra fratelli e sorelle, e una provenienza “proletaria”. Ma Ray Davies è stato anche il Dandy per eccellenza, grande appassionato e studioso dei costumi e delle usanze della Terra di Albione, ma pure innamorato della musica americana, anzi “Americana”, che è pure il titolo della sua autobiografia pubblicata nel 2013 e di cui questo album avrebbe dovuto essere la controparte audio, costruito come una sorta di adattamento di quelle memorie sotto forma di canzoni e brevi intermezzi parlati.

Devo ammettere che ad un primo ascolto il disco non mi aveva colpito in modo particolare, pur essendo il sottoscritto un grande fan della sua opera omnia con i Kinks, ma i dischi solisti in passato non mi avevano mai colpito più di tanto, a partire dal primo Return To Waterloo del 1985, che era una sorta di rimasticatura parziale di brani già usciti in Word Of Mouth dei Kinks, e che non era uscito a nome della band a causa dei soliti continui ed immancabili dissidi con il fratello Dave Davies. Anche The Storyteller del 1998 era stata una occasione per ripercorrere la sua storia e quella del gruppo, sotto la ragione sociale della famosa trasmissione televisiva americana; Other People’s Lives, il CD del 2006, quello di maggior successo commerciale in ambito solista, sarebbe stato un eccellente disco per chiunque, ma non per Ray Davies, in definitiva buono ma non eccelso, come pure il successivo Working Man’s Café del 2007, probabilmente comunque il suo migliore fino ad oggi. In mezzo ci sono state varie reunion dei Kinks, dischi celebrativi con orchestra e un album di duetti nel 2010, con grandi ospiti, See My Friends, peraltro piuttosto bello, ma accolto da critiche assai contrastate.

Invece questo nuovo Americana sta ricevendo un nugolo di giudizi positivi, alcuni addirittura entusiasti, altri più composti, ma non si può negare sia un eccellente album, forse, ancora una volta, non un capolavoro assoluto, ma un disco intriso delle influenze americane di Davies filtrate attraverso il suo essere tipicamente british: non per nulla il tutto è stato inciso con una band americana, i Jayhawks (e con altri musicisti), ma nei Konk Studios di Tottenham, in piena Londra. Le canzoni raccontano proprio il rapporto di Ray Davies con gli Stati Uniti, a partire dalla iniziale title track Americana, una morbida (e splendida) ballata che si apre sui tocchi di un pianoforte e delle chitarre acustiche, poi entra una pedal steel, Melvin Duffy, le chitarre e le tastiere degli altri Jayhawks, che con le loro armonie vocali costruiscono una atmosfera sonora molto West Coast, ma con le peculiarità del nostro, che con pochi tratti ci fa immergere in questa sorta di sogno glorioso ad occhi aperti. Anche John Jackson, il co-produttore con Ray e Guy Massey (anche brillante ingegnere del suono) del disco, ha i suoi meriti, e le sue chitarre aggiunte sono tra  i punti di forza del sound, oltre all’uso continuo delle tastiere, Karen Grotberg, Ian Gibbons e lo stesso Davies, molto ben inserite negli arrangiamenti ariosi e complessi.

Prima del secondo brano c’è un breve intermezzo parlato, che evidenzia lo spirito quasi “teatrale” di questa narrazione ( e che forse prelude a futuri sviluppi in tal senso di questo progetto), ma che; a mio modesto parere; spezzano il fluire della musica: in ogni caso The Deal, in viaggio verso la vita dorata di Los Angeles, è un altro brillante esempio della grande facilità con cui il musicista inglese è in grado di costruire melodie che ti entrano subito in circolo e la sua proverbiale abilità nei testi si conferma in questo idilliaco, ma anche sardonico, quadretto della società americana, quasi a tempo di valzer e con un ritornello insinuante, secondo la sua famosa opinione per cui le canzoni devono avere un verso, il ritornello e il bridge e difficilmente si discosta da questo credo, forse gli mancano i riff del fratello Dave, ma Poetry è decisamente più rock, con la sua tipica e unica voce in bella evidenza, mentre le melodie ricordano il periodo classico di fine anni ’60- primi anni ’70, non più solo la band pop dei singoli, ma quella raffinata di album come Village Green Preservation Society, Arthur, Lola Muswell Hillbillies, trasferite sul suolo americano, nazione che agli inizi di carriera li aveva rifiutati, ma poi in seguito li aveva accolti a braccia aperte, ovviamente nella visione di Davies la “poesia” non c’è, sostituita dal consumismo, ma glielo e ce lo dice, con una soavità e una ironia sopraffine, e con melodie avvolgenti e deliziose. Good Time Gals, è meno brillante dei tre brani precedenti, uno schizzo quasi acustico, malinconico, dove comunque si apprezza la bella voce di Karen Grotberg che duetta con la sua voce soave con Ray, tra piano, tastiere e chitarre acustiche appena accennate. Mentre nella successiva A Place In Your Heart la Grotberg viene utilizzata di nuovo, ma in modo più dinamico e mosso, in un brano dove si vira anche verso improvvise aperture sonore country e vaudeville, delicati valzeroni con fisarmonica e archi, oltre alle armonie vocali della premiata ditta Jayhawks. 

Mystery Room rievoca il famoso episodio di New Orleans, dove viveva all’epoca, quando un incontro ravvicinato con un rapinatore quasi gli costò la vita e il brano assume le sonorità scure e misteriose della città della Louisiana, anche se non mi sembra tra le più riuscite del disco, forse fin troppo carica e drammatica, ma visto l’argomento trattato ci sta. La narrazione si lega a quella di Rock’n’Roll Cowboys, una canzone dedicata a Alex Chilton, preceduta da un breve talking Silent Movie, in cui Ray rievoca il loro ultimo incontro a New Orleans, dove entrambi abitavano all’epoca, e i loro discorsi sulla musica e soprattutto sulle canzoni, di cui tutti e due sono stati formidabili autori, e il fatto che mentre chiacchieravano amabilmente in questo commiato la televisione iniziò a trasmettere un vecchio film in bianco e nero sui cowboys, e così nasce la canzone, qualche anno dopo, un tributo ai vecchi rockers che sono come i cowboys, una razza forse in via di estinzione, anche se a giudicare dal brano non si direbbe, uno dei più riusciti e sentiti dell’intero album, con un bellissimo break di chitarra elettrica nella parte centrale, e sicuramente uno dei brani più “americani” nel suono del CD. Change For Change, per quanto sempre interessante nel testo che racconta dei cambiamenti in corso nella società americana, a livello musicale è una specie di blues futuribile, giocato su una chitarra acustica, piccole percussioni, piano e trattamenti elettronici, però abbastanza irrisolto, mentre la successiva, breve, narrata, The Man Upstairs cita all’inizio la celebre All Day And All Of The Night, ma è proprio un intramuscolo. Heard That Beat Before è una pigra e delicata canzone, un misto del Ray Davies classico e un blues molto old fashioned e laidback, pure questa piacevole ma non memorabile.

Long Drive Home To Tarzana viceversa è un brano tra i migliori del disco: “New England To Hollywood Seems So Far Away…” narra Ray, in questo breve trattato sul Sogno Americano e la sua realizzazione, in una strada che è pero lunga ed impervia e non sembra mai arrivare ad una conclusione, ma il protagonista ci prova comunque ad arrivare verso questo Paradiso bramato che è la California dei suoi sogni (quella di Hollywood Boulevard in Celluloid Heroes forse?), e lo fa appunto in una ballata deliziosa, con le “solite” armonie vocali, le chitarre accarezzate e la voce suadente e complice di Davies, e un sound morbido e molto tipico della West Coast evocata dalla canzone. The Great Highway è uno dei rari pezzi rock del CD, molto vicino al sound dei Kinks del periodo americano, della Second Coming, quella riuscita di fine anni ’70, primi anni ’80, con le chitarre che ruggiscono a tutto riff  e Ray che canta con grinta e c’è persino spazio per un assolo dell’elettrica di Gary Louris. Ma, come detto, in precedenza c’era stato un primo tentativo, in cui la band inglese era stata respinta dalla American Federation of Musicians,e bandita per quattro anni, e quindi gli Invaders erano stati ricacciati in Inghilterra, dove avrebbero continuato ad influenzare i musicisti americani (tra cui i Jayhawks stessi) e ad essere a loro volta influenzati dalla musica americana, come dimostra peraltro il sound di questo brano, tutto chitarre acustiche, mandolini, fisarmoniche e un’aria roots corale che fa più Nashville che Londra. A chiudere il cerchio non manca il lieto fine, presunto o vero, di una Wings Of Fantasy, dove i sogni giovanili di Davies “belle ragazze, cowboys, soldi e successo” sembrano realizzarsi nella “land of the free”, come diceva la precedente canzone: il pezzo è più rock e brillante di altri, con la consueta costruzione preferita dal musicista di Fortis Green, ricordata prima, ovvero verso, ritornello, bridge, e una bella melodia, che non manca mai. Per concludere, un buon disco, a tratti brillante in alcuni brani, magari non memorabile, per quanto probabilmente il migliore della sua carriera solista e con più di un eco del glorioso passato, come si suol dire, averne di dischi così: non male per un presunto bollito quasi 73enne sul viale del tramonto!

Bruno Conti

Li Manda Tom Petty: Un Disco Di Rock’n’Roll Come Non Sentivo Da Tempo! The Shelters – The Shelters

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The Shelters – The Shelters – Warner CD

Nel corso dell’anno faccio già abbastanza fatica, sia finanziariamente che per problemi di tempo, a stare dietro a tutte le uscite discografiche più interessanti, novità o ristampe che siano, dei musicisti che già conosco ed ammiro, e quindi tendenzialmente (anche un po’ per diffidenza) è difficile che mi butti a scatola chiusa anche sulle pubblicazioni di solisti o gruppi esordienti: quando però ho visto che il produttore di questo album di debutto di The Shelters, quartetto di Los Angeles, era nientemeno che Tom Petty, cioè uno che di solito si muove solo per sé stesso, ho drizzato le orecchie. Quando poi ho messo il CD nel lettore, altro che orecchie, sono saltato sul divano! Ma facciamo un passo indietro: succede che lo scorso anno il buon Petty vede questi quattro ragazzi suonare in un club di Los Angeles, rimanendone talmente colpito che decide di portarseli ad incidere nel suo studio in compagnia del fido Ryan Ulyate, addetto anche al missaggio (ma Petty già conosceva tre quarti del gruppo per una loro precedente militanza negli Automatik Slim, ed uno di essi, Josh Jove, aveva suonato la chitarra su un brano del suo album del 2014, Hypnotic Eye): il risultato, come ho scritto nel titolo, è un disco di rock’n’roll all’ennesima potenza, una vera e propria bomba che non esito a definire tra i più fulminanti esordi degli ultimi anni.

Ma i quattro ragazzi (oltre al già citato Jove ci sono Chase Simpson, anche lui alle chitarre, Jacob Pillot al basso e Sebastian Harris alla batteria) non sono solo potenti, ma sanno anche scrivere delle signore canzoni: The Shelters è quindi un notevole album di purissimo rock’n’roll chitarristico, diretto, forte, ma anche decisamente riuscito dal punto di vista delle melodie. Solo due chitarre, basso e batteria, più qualche tastiera qua e là suonata sempre da loro, non ci sono sessionmen (neanche Petty suona) e neppure implicazioni blues, country, folk o roots, al massimo qualcosa di pop: l’unica influenza presente (ma non più di tanto) è proprio quella di Tom Petty e  dei suoi Heartbreakers, fin dal nome scelto per la band (che ricorda la Shelter, l’etichetta che ha fatto esordire Tom nel 1976, fondata tra gli altri anche dall’appena scomparso Leon Russell), ma per il resto è tutta farina del loro sacco. E Petty non ha neanche dovuto mettere il becco più di tanto in sede di produzione, si è limitato ad avviare la registrazione ed a lasciarli suonare a ruota libera, dando al massimo qualche consiglio e limando qual cosina qua e là: The Shelters, a mio parere, è meglio anche di Hypnotic Eye, che aveva il suono, ma gli mancavano, in parte, le canzoni, mentre qui abbiamo tutte e due le cose.

Rebel Heart (titolo un po’ alla Petty questo) è introdotta da un riff chitarristico beatlesiano (ma i Beatles più rock), poi parte il pezzo vero e proprio, una vera iniezione di energia, con un refrain diretto ed essenziale e la sezione ritmica che pesta duro: scelta come singolo, secondo me giustamente in quanto la canzone ha anche delle potenzialità radiofoniche. Una bella schitarrata introduce la potente Birdwatching, un rock’n’roll al fulmicotone (qui ci sono similitudini con il giovane Petty, anche nel modo di cantare, e può anche darsi che il biondo rocker abbia rivisto nei ragazzi gli Spezzacuori degli esordi): non solo forza comunque, i nostri hanno anche feeling da vendere e lo mettono al servizio delle canzoni; la cadenzata Liar è un altro concentrato di forza e bravura, un brano lucido dal punto di vista della scrittura e musicalmente coinvolgente al massimo, mentre Nothin’ In The World Can Stop Me Worryin’ ‘Bout That Girl è l’unica cover del CD, essendo un brano non tra i più noti dei Kinks (era su Kinda Kinks del 1965), e mostra un’altra faccia degli Shelters: canzone elettroacustica, più pacata nell’arrangiamento, con i quattro che lasciano scorrere la melodia in modo fluido e la rivestono con una strumentazione parca, pur non rinunciando alla forza espressiva. Con Surely Burn riprende lo sballo, un power pop-rock ancora decisamente elettrico e con un’attitudine da garage band anni sessanta, anche se rispetto a quei gruppi i nostri hanno più tecnica e c’è una maggiore attenzione alla qualità sonora: splendido l’assolo chitarristico finale.

La suadente The Ghost Is Gone è una grande canzone, percorsa da un alone di psichedelia, anche se in parte mi ricorda certe atmosfere care ai Doors (un gruppo raramente citato tra le influenze), melodia “circolare” ed attendista fino all’esplosione centrale, con gli strumenti che impazziscono per circa mezzo minuto prima di tornare al clima precedente: un brano che dimostra che i ragazzi sono in grado di sviluppare tematiche anche più complesse, dimostrando una capacità da veterani.  L’ottima Gold è come se gli Heartbreakers suonassero un pezzo dei Beatles, un brano di grande piacevolezza, diretto, orecchiabile, suonato alla grande e con un ritornello da applausi, mentre la vibrante Never Look Behind Ya è un altro eccellente rock’n’roll dal ritmo spedito, un bel riff alla Creedence e il solito azzeccato motivo centrale; Fortune Teller è ancora giusto nel mezzo tra rock, pop e psichedelia, ma è notevole la capacità del quartetto di badare al sodo e non voler strafare neanche per un attimo: sentite che potenza nel finale del pezzo! Dopo tanta elettricità finalmente una ballata, Dandelion Ridge, ed anche qui i nostri fanno vedere di non aver paura di nessuno, con una canzone dalla melodia cristallina (ed un po’ pettyana), belle chitarre jingle-jangle e suono comunque molto rock anche se il pezzo è lento. L’album termina con la poderosa Born To Fly, altra prova di forza, ma anche di bravura, dei ragazzi (ed il ritornello è tra i più accattivanti del disco) e con la notevole Down, altra splendida rock song dal suono classico e melodia travolgente, una delle più riuscite dell’intero CD.

Questo potrebbe essere l’anno di Tom Petty, prima perché con i suoi Mudcrutch ci ha consegnato un disco che, almeno per il sottoscritto, gareggerà fino all’ultima curva per il titolo di migliore del 2016 http://discoclub.myblog.it/2016/05/16/i-ragazzi-promettono-bene-anteprima-anniversario-mudcrutch-mudcrutch-2/ , ma anche perché, in qualità di produttore, ci ha fatto conoscere The Shelters, i quali, lo dico fin d’ora, ci hanno regalato l’esordio dell’anno. Imperdibile.

Marco Verdi

Ancora Una Volta Degno Pari Dei Migliori Cantautori, Passati E Presenti! Dirk Hamilton – Touch And Go

dirk hamilton touch and go

Dirk Hamilton – Touch And Go – Acoustic Rock Records/Ird

Ho sempre avuto una particolare ammirazione per la musica di Dirk Hamilton, in modo speciale per i primi quattro dischi, quelli che arrivano fino a Thug Of Love del 1980: album dove lo spirito di Bob Dylan e quello di Van Morrison si fondevano in una perfetta miscela, dove si potevano cogliere anche echi di John Hiatt (che era comunque un suo contemporaneo e avrebbe avuto successo dopo Hamilton) forse per il tipo di approccio tra rock, soul “bianco” e blues e la voce splendida, e  anche tracce di John Prine, per i testi complessi e affascinanti. Poi tra il 1980 e il 1986 abbandona la musica, deluso dall’industria discografica, tra case che falliscono, etichette che lo mollano senza ragione, e si dedica a vari lavori di tipo sociale. Poi riprende a fare musica e approda nel 1990 alla Appaloosa Records del compianto Franco Ratti, e fa dell’Italia la sua seconda patria. Ovviamente i mezzi non sono più quelli di un tempo (e forse neppure l’ispirazione) ma Hamilton a tratti è ancora in grado di emozionare con le sue intense ballate o con i suoi pezzi più rock, intrisi di blues, anche se spesso, per motivi economici, si deve accontentare di una dimensione acustica. Negli anni 2000 si esibisce spesso con il gruppo italiano dei Bluesmen, con cui registra anche alcuni dischi dal vivo, pubblicati dalla sua etichetta Acoustic Rock e nel 2009 esce l’ottimo More Songs From My Cool Life, che lo ripropone quasi ai vertici del suo passato, bissato poi dal CD+DVD del 2011 Thug Of Love Live, dove esegue dal vivo per intero il suo classico del 1980 e alcune altre chicche dal passato http://discoclub.myblog.it/2011/11/27/l-artista-di-culto-per-eccellenza-dirk-hamilton-thug-of-love/ .

Solo Mono e Sweatshop Pinata sono album interlocutori, che lasciano comunque intravedere la classe del nostro; poi tra il 2014 e il 2015 inizia a collaborare con il produttore e polistrumentista Rob Laufer (con un passato anche da ottimo cantautore negli anni ’90), che si era presentato ad un concerto di Hamilton dicendo di essere un suo fan di lunga data. E il risultato è questo eccellente Touch And Go, dove Laufer ha lavorato da vero produttore sulle canzoni di Dirk, rivestendole di una veste professionale, aggiungendo in fase di registrazione una strumentazione ricca e complessa, con arrangiamenti dove le chitarre e l’armonica del nostro, vengono impreziosite da chitarre elettriche, organo, viola, una sezione ritmica e soprattutto un suono d’insieme che non si sentiva da anni. Il resto lo fanno le canzoni: alcune nuove, altre già proposte su dischi del passato in una veste musicale più dimessa e qualcuna, vecchissima, completata per l’occasione. Prendiamo per esempio l’iniziale Gladiola, un brano dove alla voce, all’acustica e all’armonica di Hamilton, Laufer ha aggiunto gli altri strumenti in seguito, in studio, con una procedura che all’inizio Dirk non amava, ma che poi ascoltando i risultati, brillanti a livello di suono e di vivacità delle canzoni, è stata quindi applicata a tutto il disco. La voce è sempre affascinante (vissuta, ormai Hamilton ha 67 anni, stesso anno di nascita di Springsteen), rauca e potente, con quel drive sonoro morrisoniano e l’armonica alla Dylan, che qui si gustano appieno grazie al sound avvolgente apportato da Laufer, che ci riporta ai classici di inizio carriera, quando il cantautore rivestiva le sue canzoni di chitarre elettriche insinuanti, armonie vocali femminili e ritmiche incalzanti.

Ma anche nell’approccio più intimo e dylaniano appunto della bellissima Misery Woman si riascoltano echi del vecchio splendore, con la voce che declama con passione le sue liriche complesse. Ma è ottima anche Head On A Neck che parte come un blues acustico e poi si anima con un organo vintage, chitarre elettriche aggressive, una ritmica grintosa e Hamilton che spinge la sua voce verso territori quasi da esibizione Live. Touch And Go (la canzone), è un altro brano degno dei migliori brani del repertorio del cantautore americano (che si divide come sempre tra California, dove è stato registrato il disco, e Italia, dove torna spesso), con la vecchia abitudine a perfetti equilibri sonori ripristinata come per magia, con gli strumenti che accarezzano la voce in questa ballata dolcissima; We Live In A Dream non cede la ritrovata briosità, quel tocco country got soul da sempre presente nei suoi momenti migliori, come dimostra anche la delicata For The Love Of The Lady, una piccola perla impreziosita da un organo sullo sfondo, una canzone che Hamilton ha iniziato a scrivere nel 1971 e completato nel 2014.

Blame The Poor è proprio un blues, acustico e nudo, mentre Not Free Of Me gira intorno ad un poderoso riff elettrico, quasi alla Kinks, èd è un vigoroso pezzo rock che illustra il lato più gagliardo del nostro amico. Build A Submarine in origine era apparsa su Too Tired Of Sleep del 1990, uno degli album “italiani” della sua discografia, qui diventa una bellissima canzone, di nuovo a metà strada tra Dylan e Morrison, con la deliziosa A Stepper Like You, dolce ed insinuante, prima di rituffarci nel rock incalzante della splendida Cheers To The Heart, uno dei brani più belli del disco (ma non ce n’è una canzone scarsa), bellissime le armonie vocali, gli intrecci di chitarre e di tastiere e il cantato di Dirk Hamilton, che si conferma uno dei “beautiful losers” più di talento dell’intero panorama mondiale. Anche The OnlyThing That Matters viene dal passato, era su Yep, il disco del 1995, e qui rivive in una versione dove gli arpeggi di una acustica si fondono con la viola di Heather Lockie per creare una atmosfera intima, malinconica e toccante. A concludere il tutto il quasi “stream of consciousness” della magnifica Mister Moreno, un pezzo degno del migliore Hamilton del passato e anche dei più grandi cantautori che vi possono venire in mente, di cui questo signore si conferma ancora una volta, quando tutte le circostanze collidono, come in questo disco, un degno pari!

Bruno Conti

P.s. Purtroppo del materiale recente non si trova praticamente nulla in video, quindi mi sono arrangiato con materiale più datato ma sempre valido.

Ogni Tanto Si Rifà Viva Anche Lei! Ronnie Spector – English Heart

ronnie spector english heart

Ronnie Spector – English Heart – 429 CD

E’ di pochi mesi fa il mio post sul Best Of dedicato a Veronica Yvette Bennett, meglio conosciuta come Ronnie Spector, un’ottima antologia con qualche rarità che però non conteneva nulla di nuovo http://discoclub.myblog.it/2015/11/26/darlene-love-ecco-la-piu-famosa-delle-spector-girls-ronnie-spector-the-very-best-of-ronnie-spector/ : l’ultima fatica dell’ex leader delle Ronettes (ed ex moglie del leggendario produttore Phil Spector) risaliva a ben dieci anni fa, il discreto ma non eccelso Last Of The Rock Stars. Ma Ronnie nel corso della sua carriera ha pubblicato davvero poco come solista, e quindi ogni suo disco deve essere considerato come un piccolo evento, essendo lei una delle artiste di punta dei vocal groups tanto in voga nella musica pop degli anni sessanta. English Heart, il suo nuovissimo album, è però un disco particolare: se la quasi totalità dei gruppi e solisti inglesi dei sixties si rifacevano dichiaratamente ad un suono di origine americana (chi blues, chi rock’n’roll, chi soul), con questo lavoro Ronnie ha voluto fare il percorso inverso, omaggiando tutta una serie di artisti e di brani a lei particolarmente cari, dichiarando anche nelle note di copertina il suo smisurato amore per la musica britannica dell’epoca. Quindi un disco di cover, scelte per lo più in maniera personale dalla cantante di origini afro-irlandesi, con pochi pezzi veramente famosi anche se presi dai songbook di band popolarissime: l’album è prodotto da Scott Jacoby, uno con un curriculum non proprio aderente ai gusti abituali di chi scrive su questo blog (Coldplay, Sia, John Legend), ma che qua ha fatto un lavoro impeccabile a livello di suono (tranne un caso), rivestendo i brani di suoni moderni ma nello stesso tempo mantenendo un certo sapore d’altri tempi, utilizzando una lunga serie di sessionmen proprio come faceva l’ex marito di Ronnie (ed i cui nomi, devo confessare, mi sono sconosciuti).

Poi c’è la voce della Spector, sempre bellissima e resa ancora più affascinante da un misto di età, sigarette e chissà cos’altro, che le ha conferito un timbro giusto a metà tra la limpidezza dei brani con le Ronettes ed il tono roco e vissuto di Marianne Faithfull (un’altra che non si è mai fatta mancare niente): il tutto per un dischetto (meno di 35 minuti) che, anche se non imprescindibile, posso tranquillamente definire riuscito, in quanto non annoia e si lascia ascoltare con piacere (e la cosa secondo me non era scontata, in certi casi il pericolo ciofeca è sempre dietro l’angolo). L’album inizia con Oh Me Oh My (I’m A Fool For You Baby), ripresa molto sofisticata e quasi afterhours di un successo minore di Lulu, con un marcato retrogusto soul (una costante nel disco), non malaccio anche se un po’ più di brio non avrebbe guastato. Because è un vecchio pezzo dei Dave Clark Five, B-side in Inghilterra ma lato A in America, proposta con un arrangiamento più vintage (anche se si sente benissimo che è incisa oggi), un botta e risposta tra leader e coro femminile che fa molto Ronettes e melodia squisitamente sixties, e che voce che ha ancora Ronnie.

I’d Much Rather Be With The Girls è una canzone poco nota dei Rolling Stones (scritta dall’inedita coppia Keith Richards – Andrew Loog Oldham e pubblicata nella compilation di rarità Metamorphosis), un brano che già in origine era un omaggio a Spector (il marito), e quindi Ronnie non deve cambiare molto per portare a casa il risultato pieno (a parte il titolo, dove Boys viene sostituito da Girls); Don’t Let The Sun Catch You Crying (Gerry & The Pacemakers) è invece ripresa in maniera quasi cameristica, con solo due chitarre acustiche ed un violoncello (ed anche una leggera percussione) ad accompagnare la voce carismatica di Ronnie, una rilettura di classe, parola non abitualmente associata ad una che ha il soprannome di “bad girl of rock’n’roll”. Tired Of Waiting è una (bella) canzone dei Kinks, anche se non tra le più note, e la nostra Veronica la rifà con un approccio rock asciutto e diretto ed un leggero sapore errebi che non guasta; Tell Her No (Zombies) è la più mossa finora, con ancora un arrangiamento in perfetto stile anni sessanta, un blue-eyed soul di presa immediata, mentre con I’ll Follow The Sun (Beatles, of course) non si sforza più di tanto, lasciando intatta la struttura folk dei Fab Four ed eseguendola con due chitarre e poco altro. You’ve Got Your Troubles è un oscuro brano di un’altrettanto oscura band (The Fortunes) ed è il primo e per fortuna unico caso di suono un po’ finto, con drum programming e synth ben in vista, ed anche la canzone non è niente di che, meglio Girl Don’t Come (di Sandie Shaw, la “cantante scalza” molto popolare anche in Italia), che mantiene il gusto pop dell’originale ed è suonata in maniera classica, e pur non essendo un grande brano si lascia ascoltare.

Don’t Let Me Be Misunderstood è invece un capolavoro della nostra musica (ed è anche la più famosa tra le canzoni scelte dalla Spector), ed anch’essa viene rivestita di sonorità tra rock e rhythm’n’blues, dando un sapore nuovo ad un pezzo che ha avuto più di una versione superlativa (Animals e Nina Simone su tutte… e che nessuno si azzardi a dire Santa Esmeralda, a parte Carlo Conti!): gran ritmo e melodia trattata con il dovuto riguardo. Il CD si chiude con l’unico “sconfinamento” negli anni settanta, con la nota How Can You Mend A Broken Heart dei Bee Gees, un pezzo che non ho mai amato particolarmente (ma è un mio problema, Ronnie la rifà bene): quindi, ripeto, un dischetto forse non indispensabile, ma in definitiva ben fatto ed ottimamente interpretato, e vista la (poca) regolarità con la quale incide Ronnie Spector, l’acquisto ci può anche stare.

Marco Verdi

Sono Ancora “Affamati”! Zombies – Still Got That Hunger

zombies still got that hunger

Zombies – Still Got That Hunger – The End/Cherry Red Records 

Odessey And Oracle rimane uno dei dischi “culto” e allo stesso tempo più importanti della storia del rock, una riuscita fusione tra Beatles e Beach Boys in puro stile psych, con venature pop britanniche, mini-sinfonie barocche e le tastiere di Rod Argent e la voce di Colin Blunstone a dominare il tutto. Ah, dimenticavo: e alcune “Canzoni” con la C maiuscola http://discoclub.myblog.it/2011/03/12/una-storia-senza-fine-zombies-odessey-and-oracle/ . Grandi canzoni che forse in seguito, se non in parte, Rod Argent non ha più ritrovato nella sua creatura successiva, gli Argent, anche se la band ha lasciato una manciata di album più orientati verso il rock classico, grazie alla voce e alla chitarra di Russ Ballard. Gli Zombies con questo Still Got Hunger sono già al secondo album del nuovo corso, dopo quello della seconda reunion del 2011, un buon Breathe Out, Breathe In, e mantenendo la stessa formazione, ovverosia Argent e Blunstone (mai più alla ribalta, ma autore di molti buoni album solisti nel corso degli anni), più i fratelli Rodford, Jim anche negli Argent al basso e Steve alla batteria, con l’aggiunta di Tim Tooney alla chitarra. Il risultato ottenuto in questo Still Got Hunger è in fondo soddisfacente: ci sono molti elementi del passato, e non solo nel suono, ma anche nella grafica della copertina firmata da Terry Quirk, lo stesso di Odessey, con addirittura il personaggio centrale del disegno che tiene in mano la copertina di quel disco http://discoclub.myblog.it/2013/08/24/un-altro-cofanetto-in-utile-the-zombies-in-stereo-5639062/ .

Musicalmente, grazie alla chitarra di Toomey, a tratti domina un classico rock made in USA, tipo quello di un’altra band molto popolare negli States nel loro periodo più “duro”, i Kinks, o addirittura tratti di rock-blues non alieni allo stile degli Argent, comunque impreziositi dai florilegi alle tastiere di Rod Argent. L’iniziale Moving On è rappresentativa di quanto detto, riff di pura matrice rock, la voce ancora potente ed espressiva di Blunstone (uno dei cantanti inglesi più sottovalutati), e le improvvise aperture quasi jazzate del piano di Rod su cui si innesta la chitarra di Toomey e le armonie vocali preziose della band, ma ancor di più un brano come New York, dove un riff gigantesco alla Who e l’uso di organo e piano elettrico, nonché le robuste evoluzioni della sezione ritmica si rifanno chiaramente ad un sound americano molto anni ’70, e non è detto che sia una iattura, se ben fatto, come in questo caso https://www.youtube.com/watch?v=0XO-7nFdNr0 .

Si vede che la band ha lavorato a lungo su questo album, finanziato anche nel loro caso dal crowdfunding, con un suono pulito e rifinito magari senza molti sprazzi del vecchio genio, ma con una certa solidità di fondo e preziose impennate qualitative: Chasing The Past introdotto da un eccellente lavoro di Argent al piano che poi ci regala un classico assolo di organo che profuma di rock progressivo anni ’70, mentre Blunstone è sempre magnetico con i suoi tratti vocali e anche il lavoro della chitarra di Toomey in questo brano è raffinato quanto basta. Edge Of The Rainbow è una classica ballata tra blues e jazz, con accenni doo-wop nelle armonie vocali, mentre I Want You Back Again è una rilettura moderna di un brano presente in Odessey And Oracle, accenni di psichedelia, fughe strumentali jazzate, in fondo lo stile classico degli Zombies rivisitato con gusto e bella calligrafia https://www.youtube.com/watch?v=2s8F3Mzcf0I , anche se l’originale, con il suo classico tempo in ¾ era probabilmente superiore, come è quasi sempre il caso. Altrove And We Were Young Again, una morbida ballata accarezzata dalla voce di Blunstone e dalla chitarra di Toomey e Now I Know I’ll Never Get Over You, un brano che sul disco solista del 2009 di Colin era un soffice brano con accompagnamento di archi e qui diventa un pezzo rock quasi alla U2, quelli buoni, hanno lampi della vecchia classe. Maybe Tomorrow è un pezzo rock piacevole ma che lascia il tempo che trova (come altri brani del disco, per essere onesti fino in fondo), se non fosse per il virtuosismo di Argent e per la citazione finale di un verso di Yesterday dei Beatles. Le conclusive Little One, solo voce e piano, e Beyond The Borderline, ancora molto beatlesiana, hanno agganci con il vecchio sound della band e confermano il giudizio positivo per questo album, molto nostalgico ma in fondo non disprezzabile.

Bruno Conti

Ancora Una “Infornata” Di Nuovi Cofanetti Pre-Natalizi. King Crimson, Supertramp, Wilco, Hollies, Jethro Tull, Kinks, David Bowie, John Martyn, Velvet Underground Parte II

jethro tull tull war child 40th anniversary

Come promesso ecco altri cofanetti di prossima uscita. Partiamo con…

Jethro Tull – War Child 40th Anniversary Theatre Edition – 2 CD+2DVD Parolphone/Warner – 25-11-2014

Evidentemente Steven Wilson, oltre ai suoi lavori solisti e con i Porcupine Tree, trova il tempo per proseguire il suo lavoro di restauro dell’opera dei King Crimson e dei Jethro Tull. Della band di Fripp avete letto ieri, mentre per il 25 novembre è annunciata una edizione espansa di War Child, con questo contenuto:

Disc One
1. WarChild
2. Queen and Country
3. Ladies
4. Back-door Angels
5. SeaLion
6. Skating Away on the Thin Ice of the New Day
7. Bungle in the Jungle
8. Only Solitaire
9. The Third Hoorah
10. Two Fingers

Disc Two – The Second Act: Associated Recordings
1. Paradise Steakhouse
2. Saturation
3. Good Godmother*
4. SeaLion II
5. Quartet
6. WarChild II*
7. Tomorrow Was Today*
8. Glory Row
9. March, The Mad Scientist
10. Rainbow Blues
11. Pan Dance

WarChild Orchestral Recordings

12. The Orchestral WarChild Theme*
13. The Third Hoorah (Orchestral Version)*
14. Mime Sequence*
15. Field Dance (Conway Hall Version)*
16. Waltz Of The Angels (Conway Hall Version)
17. The Beach (Part I) (Morgan Master Recording)*
18. The Beach (Part II) (Morgan Master Recording)*
19. Waltz Of The Angels (Morgan Demo Recording)*
20. The Beach (Morgan Demo Recording)*
21. Field Dance (Morgan Demo Recording)*

* Previously Unreleased

DVD 1 (Audio & Video)

Contains:
* WarChild remixed to 5.1 DTS and AC3 Dolby Digital surround sound and 96/24 PCM stereo.
* A flat transfer from the original 1974 LP master at 96/24 PCM stereo.
* A flat transfer of the original 1974 Quad LP (with additionally Glory Row & March, The Mad Scientist) at 5.1 (4.0) DTS and AC3 Dolby Digital surround sound.
* Video clips of a Montreux photosession and press conference on 11th January 1974 and The Third Hoorah promo footage with remixed stereo audio.

DVD 2 (Audio)

Contains:
* An additional eleven group recordings from the WarChild sessions and later, including 3 previously unreleased tracks, and 4 orchestral recordings from the WarChild sessions mixed to 5.1 DTS and AC3 Dolby Digital surround sound and 96/24 PCM stereo.
* Six additional orchestral recordings (five previously unreleased) mixed by Robin Black in 1974, now in 96/24 PCM stereo.

kinks the anthology

The Kinks – The Anthology 1964-1971 – 5CD Sony Legacy/Sanctuary – 18-11-2014 UK/ 09-12-2014 USA

Come era stato recentemente per gli Small Faces, anche per i Kinks continuano ad uscire cofanetti: tra novembre e dicembre, mercato inglese ed americano, ma le date cambiano in continuazione, quindi sono indicative, esce questo ennesimo box per festeggiare il 50° Annoversario della band dei fratelli Davies, da Muswell Hill, Londra. Come al solito ci sarà la solita pletora di rarità, o presunte tali, ma il sottoscritto si ferma al precedente box da 6 CD, Picture Book, uscito nel 2008. Abbiamo già dato, grazie. Per chi fosse interessato, come al solito questi i contenuti:

CD1:

1. I’m A Hog For You, Baby – The Boll-Weevils
2. I Don’t Need You Anymore (demo)
3. Ev’rybody’s Gonna Be Happy (demo)
4. Long Tall Sally
5. I Took My Baby Home
6. You Still Want Me
7. You Do Something To Me
8. You Really Got Me
9. It’s All Right
10. Beautiful Delilah
11. Just Can’t Go To Sleep
12. I’m A Lover, Not A Fighter (mono alternate)
13. Little Queenie (Live At The Playhouse Theatre, 1964)
14. Too Much Monkey Business (alternate take)
15. Stop Your Sobbing (mono)
16. All Day And All Of The Night
17. I Gotta Move
18. I Gotta Go Now
19. I’ve Got That Feeling (Live At Piccadilly Studios, 1964)
20. Tired Of Waiting For You
21. Come On Now (alternate mix)
22. Look For Me Baby
23. Nothin’ In The World Can Stop Me Worryin’ ‘Bout That Girl
24. Wonder Where My Baby Is Tonight
25. Don’t Ever Change
26. You Shouldn’t Be Sad
27. Something Better Beginning
28. Ev’rybody’s Gonna Be Happy
29. Who’ll Be The Next In Line (Session Fragment – Backing track)
30. Who’ll Be The Next In Line (alternate)
31. Set Me Free
32. I Need You
33. Interview: Clay Cole Meets The Kinks June 17, 1965

ALL TRACKS IN MONO SOUND SYSTEM
Tracks 5-13, 15-19 and 21-33 Produced by SHEL Talmy
Tracks 14 and 20 Produced by BERNIE ANDREWS

CD2:

1. See My Friends
2. Never Met A Girl Like You Before
3. I Go To Sleep (demo)
4. A Little Bit Of Sunlight (demo)
5. Tell Me Now So I’ll Know (alternate demo)
6. When I See That Girl Of Mine (demo)
7. There’s A New World Just Opening For Me (demo)
8. This Strange Effect (Live At Aeolian Hall, 1965)
9. Hide And Seek (Live At Aeolian Hall, 1965)
10. A Well Respected Man
11. Such A Shame
12. Do not You Fret
13. Till The End Of The Day
14. Where Have All The Good Times Gone
15. Milk Cow Blues
16. I Am Free
17. The World Keeps Going Round
18. I’m On An Island
19. You Can not Win
20. Time Will Tell
21. Dedicated Follower Of Fashion (Snippet Login – Tomas 1-3)
22. Dedicated Follower Of Fashion (single version)
23. Sittin ‘On My Sofa
24. She’s Got Everything (Backing Track Take Two)
25. She’s Got Everything (Mono alternate version)
26. Mr. Reporter (version one)
27. All Night Stand (demo)

ALL TRACKS IN MONO SOUND SYSTEM
TRACKS 1, 2, 10-26 Produced by SHEL Talmy
Tracks 8 and 9 Produced by Keith Bateson

CD3:

1. Sunny Afternoon (mono)
2. I’m Not Like Everybody Else (mono)
3. Dandy (mono)
4. Party Line (mono)
5. Rosy Will Not You Please Come Home (mono)
6. Too Much On My Mind (Mono)
7. Session Man (mono)
8. Most Exclusive Residence For Sale (mono)
9. Fancy (mono)
10. Dead End Street (mono)
11. Big Black Smoke (alternate stereo mix)
12. Mr. Pleasant (stereo)
13. This Is Where I Belong (stereo)
14. Village Green (stereo)
15. Two Sisters (stereo)
16. Waterloo Sunset (Snippet Sign – Backing Track Take Two)
17. Waterloo Sunset (stereo)
18. Act Nice And Gentle (stereo)
19. Harry Rag (stereo) (Snippet session)
20. Harry Rag (stereo)
21. Death Of A Clown (stereo) – Dave Davies
22. Love Me Till The Sun Shines (stereo) – Dave Davies
23. David Watts (stereo)
24. Tin Soldier Man (stereo)
25. Afternoon Tea (alternate stereo mix)
26. Funny Face (stereo) – Dave Davies
27. Lazy Old Sun (alternate stereo mix)
28. Susannah’s Still Alive (stereo) – Dave Davies
29. Good Luck Charm (stereo) – Dave Davies

Tracks 1-9, 11-20, 23 and 24 produced by Talmy SHEL
Tracks 10, 21, 22, 25-29 Produced by RAY DAVIES

CD4:

1. Autumn Almanac (mono)
2. Lavender Hill (mono)
3. Rosemary Rose (stereo)
4. Wonderboy (mono)
5. Polly (mono)
6. Lincoln County (single stereo version) – Dave Davies
7. Did You See His Name? (Stereo alternate ending)
8. Days (Snippet session)
9. Days (stereo)
10. Misty Water (alternate mix)
11. Do You Remember Walter (mono)
12. Picture Book (mono)
13. Johnny Thunder (stereo remix)
14. Big Sky (mono)
15. Animal Farm (mono)
16. Starstruck (mono)
17. Pictures In The Sand (mono)
18. People Take Pictures Of Each Other (stereo Mix for Europe)
19. Interview: Ray Davies talks about Village Green Preservation Society (mono)
20. The Village Green Preservation Society (Live At The Playhouse Theatre, 1968) (mono)
21. Hold My Hand (stereo) – Dave Davies
22. Creeping Jean (stereo) – Dave Davies
23. Berkeley Mews (stereo)
24. Till Death Us Do Part (mono)
25. When I Turn Out The Living Room Light (mono)
26. Where Did My Spring Go (mono)
27. Plastic Man (stereo) )
28. King Kong (mono)
29. This Man He Weeps Tonight (Mono)
30. Reprise US Tour Spot (stereo)

Tracks 1-18, 21-29 Produced by RAY DAVIES
Tracks 19 & 20 Produced by BILL BEBB

CD5:

1. Victoria (stereo)
2. Some Mother’s Son (stereo)
3. Drivin ‘(stereo)
4. Shangri-La (stereo)
5. She’s Bought A Hat Like Princess Marina (stereo)
6. Young And Innocent Days (stereo)
7. Mindless Child Of Motherhood (stereo) – The Kinks Featuring Dave Davies
8. Lola (mono)
9. Apeman (stereo)
10. Strangers (stereo)
11. Get Back In The Line (stereo)
12. Anytime (stereo)
13. This Time Tomorrow (stereo)
14. A Long Way From Home (stereo)
15. Powerman (stereo)
16. Got To Be Free (stereo)
17. Dreams (stereo)
18. Moments (stereo)
19. The Way Love Used To Be (stereo)
20. God’s Children (stereo)

PLUS 7 “SINGLE

La scritta finale vuol dire che nella confezione ci sarà un 45 giri, tradotto per i non collezionisti!

david bowie nothing has changed

David Bowie – Nothing Has Changed – 2 CD o 3 CD Deluxe Edition Sony Legacy -18-11-2014

Anche il “Duca Bianco” ci propone o ci propina, tramite la sua ultima casa discografica, una ennesima antologia, ma è quella definitiva. In attesa di un nuovo album, annunciato da Tony Visconti in probabile uscita a primavera del 2015, David Bowie ci regala ben “un” brano nuovo, Sue (Or In A Season Of Crime) https://www.youtube.com/watch?v=3GodUgnO7lY , prodotto dall’appena nominato Visconti, più un inedito Let Me Sleep Beside You, dall’album del 2001 Toy rimasto inedito, Your Turn To Drive, sempre dalle stesse sessions, poi “apparse” in rete nel 2011, e Shadow Man, idem come sopra. Tutti e quattro i brani sono nella versione tripla, due sono presenti in quella doppia, mentre gli “astuti” giapponesi ne pubblicheranno una versione esclusiva singola, con il brano nuovo. Contenuti del triplo CD a seguire:

CD1
1. Sue (Or In A Season Of Crime) (7.40)
2. Where Are We Now? (4.09)
3. Love Is Lost (Hello Steve Reich Mix By James Murphy For The DFA Edit) (4.07)
4. The Stars (Are Out Tonight) (3.57)
5. New Killer Star (Radio Edit) (3.42)
6. Everyone Says ‘Hi’ (Edit) (3.29)
7. Slow Burn (Radio Edit) (3.55)
8. Let Me Sleep Beside You (3.14)
9. Your Turn To Drive (4.44)
10. Shadow Man (4.48)
11. Seven (Marius De Vries Mix) (4.12)
12. Survive (Marius De Vries Mix) (4.18)
13. Thursday’s Child (Radio Edit) (4.25)
14. I’m Afraid Of Americans (V1) (Clean Edit) (4.30)
15. Little Wonder (Edit) (3.40)
16. Hallo Spaceboy (PSB Remix) (With The Pet Shop Boys) (4.23)
17. Heart’s Filthy Lesson (Radio Edit) (3.32)
18. Strangers When We Meet (Single Version) (4.21)

CD2
1. Buddha Of Suburbia (4.24)
2. Jump They Say (Radio Edit) (3.53)
3. Time Will Crawl (MM Remix) (4.18)
4. Absolute Beginners (Single Version) (5.35)
5. Dancing In The Street (With Mick Jagger) (3.20)
6. Loving The Alien (Single Remix) (4.45)
7. This Is Not America (With The Pat Metheny Group) (3.51)
8. Blue Jean (3.11)
9. Modern Love (Single Version) (3.56)
10. China Girl (Single Version) (4.15)
11. Let’s Dance (Single Version) (4.08)
12. Fashion (Single Version) (3.25)
13. Scary Monsters (And Super Creeps) (Single Version) (3.32)
14. Ashes To Ashes (Single Version) (3.35)
15. Under Pressure (With Queen) (3.56)
16. Boys Keep Swinging (3.17)
17. ‘Heroes’ (Single Version) (3.35)
18. Sound And Vision (3.03)
19. Golden Years (Single Version) (3.27)
20. Wild Is The Wind (2010 Harry Maslin Mix) (5.58)

CD3
1. Fame (4.14)
2. Young Americans (2007 Tony Visconti Mix Single Edit) (3.13)
3. Diamond Dogs (5.56)
4. Rebel Rebel (4.28)
5. Sorrow (2.53)
6. Drive-In Saturday (4.29)
7. All The Young Dudes (3.08)
8. The Jean Genie (Original Single Mix) (4.05)
9. Moonage Daydream (4.40)
10. Ziggy Stardust (3.12)
11. Starman (Original Single Mix) (4.10)
12. Life On Mars? (2003 Ken Scott Mix) (3.49)
13. Oh! You Pretty Things (3.11)
14. Changes (3.33)
15. The Man Who Sold The World (3.56)
16. Space Oddity (5.12)
17. In The Heat Of The Morning (3.00)
18. Silly Boy Blue (3.54)
19. Can’t Help Thinking About Me (2.46)
20. You’ve Got A Habit Of Leaving (2.32)
21. Liza Jane (2.18)

john martyn best of island years

John Martyn – The Best Of The Island Years – 4 CD Island/Universal – 04-11-2014

Come era stato per Sandy Denny, la Island/Universal pubblicherà questo cofanetto con il “meglio” estratto dal cofanetto da 18 CD uscito lo scorso anno, The Island Years https://www.youtube.com/watch?v=0Nk4j_Ur554 , dedicato a John Martyn, pescando tra tutti gli inediti che erano contenuti in quella opera omnia: ovviamente non è l’integrale degli inediti, visto che c’erano ben 2 concerti completi mai pubblicati, la prima versione di The Apprentice e un DVD di materiale raro ed edito, ma comunque la selezione è esaustiva ed il prezzo molto più contenuto, anche se il “cofanettone” è una meraviglia! Ecco la tracklist della versione da 4 CD, in uscita il 4 novembre:

CD1
1. Go Easy – Alt Take # 2 (4:34)
2. Bless The Weather – Alt Take (4:51)
3. Just Now – Alt Take #2 (3:37)
4. Head And Heart – Alt Take (4:59)
5. Glistening Glyndebourne (7:47)
6. May You Never – Live At The Hanging Lamp (4:18)
7. Head And Heart – Live At The Hanging Lamp (3:57)
8. I’d Rather Be The Devil – Live At The Hanging Lamp (7:50)
9. Solid Air – Alt Take (4:30)
10. Over The Hill – Alt Take (3:17)
11. I’d Rather Be The Devil – Alt Take #2 (6:02)
12. Go Down Easy – Alt Take #3 (5:11)
13. Dreams By The Sea – Alt Take (3:22)
14. May You Never – Alt Take (3:46)
15. Fine Lines – Alt Take (3:55)

CD2
1. The Glory Of Love – Alt Take (2:40)
2. Make No Mistake – Alt Take (6:45)
3. Sunday’s Child – Alt Take (6:30)
4. Spencer The Rover – BBC Sight And Sound (3:53)
5. Eight More Miles – Alt Take (2:44)
6. Outside In – Liver At Leeds (18:56)
7. Solid Air – Live At Leeds (7:10)
8. The Man At The Station – Live At Leeds (2:42)
9. Dealer – Alt Take (5:16)
10. One World – Alt Take (4:19)
11. Smiling Stranger – Alt Take (3:35)
12. Certain Surprise – Alt Take #2 (4:00)

CD3
1. Couldn’t Love You More – Alt Take (3:14)
2. Big Muff – Take 1 (7:11)
3. Dancing – Alt Take #2 (3:54)
4. Small Hours – Alt Take (9:50)
5. Black Man At Your Shoulders (8:30)
6. Some People Are Crazy – Alt Take (4:12)
7. Grace And Danger – Alt Take (7:37)
8. Johnny Too Bad – Alt Take (7:18)
9. Hi Heel Sneakers – Unreleased Song (3:17)
10. Running Up The Harbour – Alt Take (4:38)
11. Sweet Little Mystery – Old Grey Whistle Test – 10/1/1981 (4:58)
12. Our Love – Alt Take (5:54)
13. After Tomorrow Night – Alt Take (4:36)

CD4
1. Sapphire – Andy Lydon Mix (4:49)
2. Over The Rainbow – Andy Lydon Mix (3:47)
3. Fisherman’s Dream – Andy Lydon Mix (4:33)
4. Mad Dog Days – Andy Lydon Mix (5:21)
5. Love In Your Life – Previously Unreleased Song (3:26)
6. Solid Air – Live At Glastonbury (5:42)
7. Bless The Weather – Live At Glastonbury (4:10)
8. Lonely Love – Alt Take (3:22)
9. Angeline – Alt Take (5:03)
10. Piece By Piece – Take 1 (3:58)
11. The River (4:17)
12. Send Me One Line (5:12)
13. The Apprentice (4:16)
14. Lifeline (3:52)
15. Patterns In The Rain (3:26)
16. John Wayne – Live At The London Palladium (8:03)

velvet underground the velvet underground

Velvet Underground – The Velvet Underground (3rd Album) – 6 CD Polydor/Universal 25-11-2014

Proseguendo nella serie di ristampe del 45° anniversario dell’uscita dall’album originale esce anche la ristampa del terzo disco della band di Lou Reed (che ci ha lasciato circa un anno fa, il 27 ottobre dello scorso anno), conosciuto semplicemente come The Velvet Underground e pubblicato in origine dalla MGM nel marzo del 1969. Niente più John Cale e spazio al nuovo arrivato Doug Yule. Il disco originale, bellissimo, aveva solo 10 brani https://www.youtube.com/watch?v=juyTTZZumCQ , in questa versione Super Deluxe, ce n’è giusto “qualcuna” in più, 65 canzoni, in studio e dal vivo:
DISC ONE: THE VELVET UNDERGROUND

(“The Val Valentin Mix”)

1. CANDY SAYS

2. WHAT GOES ON

3. SOME KINDA LOVE

4. PALE BLUE EYES

5. JESUS

6. BEGINNING TO SEE THE LIGHT

7. I’M SET FREE

8. THAT’S THE STORY OF MY LIFE

9. THE MURDER MYSTERY

10. AFTER HOURS

DISC TWO: THE VELVET UNDERGROUND

(“The Closet Mix”)

1. CANDY SAYS

2. WHAT GOES ON

3. SOME KINDA LOVE

4. PALE BLUE EYES

5. JESUS

6. BEGINNING TO SEE THE LIGHT

7. I’M SET FREE

8. THAT’S THE STORY OF MY LIFE

9. THE MURDER MYSTERY

10. AFTER HOURS

11. BEGINNING TO SEE THE LIGHT (alternate “Closet Mix”)

DISC THREE: THE VELVET UNDERGROUND

(“Promotional Mono Mix”)

1. CANDY SAYS

2. WHAT GOES ON

3. SOME KINDA LOVE

4. PALE BLUE EYES

5. JESUS

6. BEGINNING TO SEE THE LIGHT

7. I’M SET FREE

8. THAT’S THE STORY OF MY LIFE

9. THE MURDER MYSTERY

10. AFTER HOURS

Mono Single released April 1969

11. WHAT GOES ON

12. JESUS

DISC FOUR: 1969 SESSIONS

1. FOGGY NOTION (original 1969 mix) +

2. ONE OF THESE DAYS (new 2014 mix) +

3. LISA SAYS (new 2014 mix) +

4. I’M STICKING WITH YOU (original 1969 mix) +

5. ANDY’S CHEST (original 1969 mix) +

6. CONEY ISLAND STEEPLECHASE (new 2014 mix)+

7. OCEAN (original 1969 mix)

8. I CAN’T STAND IT (new 2014 mix) +

9. SHE’S MY BEST FRIEND (original 1969 mix) +

10. WE’RE GONNA HAVE A REAL GOOD TIME TOGETHER (new 2014 mix) +

11. I’M GONNA MOVE RIGHT IN (original 1969 mix)

12. FERRYBOAT BILL (original 1969 mix)

13. ROCK & ROLL (original 1969 mix)

14. RIDE INTO THE SUN (new 2014 mix) +

+ previously unreleased mixes

DISC FIVE: LIVE AT THE MATRIX

November 26 & 27, 1969 (Part 1)

1. I’M WAITING FOR THE MAN *

2. WHAT GOES ON *

3. SOME KINDA LOVE **

4. OVER YOU *

5. WE’RE GONNA HAVE A REAL GOOD TIME TOGETHER *

6. BEGINNING TO SEE THE LIGHT **

7. LISA SAYS **

8. ROCK & ROLL **

9. PALE BLUE EYES *

10. I CAN’T STAND IT ANYMORE *

11. VENUS IN FURS *

12. THERE SHE GOES AGAIN *

DISC SIX: LIVE AT THE MATRIX

November 26 & 27, 1969 (Part 2)

1. SISTER RAY ***

2. HEROIN *

3. WHITE LIGHT/WHITE HEAT **

4. I’M SET FREE *

5. AFTER HOURS *

6. SWEET JANE **

All mixes previously unreleased.

* previously unreleased performance

** different source mix of this performance appears on 1969: The Velvet Underground Live

*** different source mix of this performance appears on The Quine Tapes Box Set

E dalle prime informazioni non dovrebbe, una volta tanto, essere neppure troppo costoso, indicativamente tra i 50 e i 60 euro (sempre da prendere con beneficio d’inventario tutti i prezzi che riporto con molto anticipo).

Dire che per il momento, a livello cofanetti, è tutto, ma ne mancano alcuni, tipo il sestuplo limitato dal vivo dei Dexys Midnight Runners e altri di cui mi riservo di parlarvi nei prossimi giorni, insieme ad altre uscite interessanti, senza tralasciare le immancabili recensioni.

Alla prossima.

Bruno Conti

Novità Di Agosto Appendice. Justin Hayward, Robyn Hitchcock, Brad Paisley, Shovels And Rope, Guy Clark, Danny Bryant, Arthur Brown, David Wiffen, Wagons, Phil Ochs, Kinks, Tribute To Jean Ritchie

justin hayward spirits live justin hayward spirits live dvd

Consistente appendice alle uscite del mese di agosto: titoli in uscita il 26 agosto, alcuni che erano sfuggiti nei precedenti Post e alcune novità di cui non è certa la data di pubblicazione. In ogni caso molti CD (e DVD) interessanti, per cui, visto il numero elevato, partiamo:

proprio con una pubblicazione prevista in tutti e tre i formati, CD DVD e Blu-Ray, si tratta di Spirits… Live, dai concerti che Justin Hayward ha tenuto nell’autunno del 2013 sulla costa occidentale degli Stati Uniti, per promuovere il suo disco Spirits In The Western Sky, ed in particolare la data conclusiva del tour, al Buckhead Theatre di Atlanta. Naturalmente in quella che è stata solo la sua seconda tournée negli USA, senza i Moody Blues, non potevano mancare anche alcuni brani tratti dal repertorio del gruppo inglese https://www.youtube.com/watch?v=ffyHZ556ncE , 15 brani in tutto. Con DVD e Blu-Ray che hanno oltre un’ora di contenuti speciali (tra i quali tre brani extra), un lungo documentario sul dietro le scene. Pubblica la Eagle Rock, domani 26 agosto.

robyn hitchcock the man upstairs

Sempre domani, per la Yep Rock, esce il nuovo album di Robyn Hitchcock, The Man Upstairs, di cui avevo letto mirabilie. Ad un veloce ascolto, pur amando Hitchcock, e prima ancora i Soft Boys, devo dire che il disco non mi ha entusiasmato, anche se, trattandosi di un disco molto intimista, mi riprometto ascolti futuri. Il fattore che lo rende interessante è che si tratta di un disco acustico (e fin qui nulla di strano, il nostro amico Robyn in passato ne ha fatti altri, a partire dall’ottimo I Often Dream Of Trains), anzi un disco folk, prodotto da Joe Boyd, sulle tracce delle sue collaborazioni con Nick Drake e Fairport Convention. E quindi questo album, il ventesimo della sua discografia in studio, si avvale solo di tre musicisti, oltre a Hitchcock, Charlie Francis al piano, Jenny Adejayan al cello e la norvegese Anne Lise Frokedal, alla chitarra e soprattutto alle armonie vocali. Cinque composizioni nuove e cinque cover, tra le quali The Ghost In You dei Psychedelic Furs https://www.youtube.com/watch?v=52DUrv1gCUw , To Turn You On dei Roxy Music e The Crystal Ship dei Doors, quest’ultima in particolare, le migliori. Tra i brani nuovi piacevoli Comme Tojours (in un franco-inglese delizioso) e San Francisco Patrol https://www.youtube.com/watch?v=cm9ydhJNyN0 . Le camicie sempre bellissime!

brad paisley moonshine

Dall’altra parte dell’oceano arriva il nuovo album di Brad Paisley, uno dei pochi countrymen di Nashville che vale la pane di ascoltare. Il disco si chiama Moonshine In The Trunk, esce per la Arista e presenta 15 brani, quasi tutti scritti da Paisley, da solo o in compagnia, con l’eccezione di Gone Green di Kenny Lewis, dove Paisley duetta con Emmylou Harris https://www.youtube.com/watch?v=SnvUSHYrg60 (c’è un altro duetto, High Life, con Carrie Underwood) e una cover di un brano di Tom T. Hall, Me And Jesus, inserita come bonus. C’è anche un brano JFK 1962, su un famoso discorso tenuto da John Fitzgerald Kennedy quell’anno e vari brani dove si possono apprezzare anche le qualità di Brad come musicista, ottimo chitarrista in particolare https://www.youtube.com/watch?v=egF3LGg9k_k . Però l’escursione a tempo disco di Crushin’ It e il loop elettronico di Limes se li poteva risparmiare, ma bisogna accontentare anche il mercato, evidentemente.

shovels and rope swimmin' time

Sempre in ambito country, ma decisamente più orientati verso il bluegrass, l’Americana e la roots music in generale, arrivano gli Shovels & Rope, un duo composto da Michael Trent e Cary Ann Hearst, che dopo il successo del precedente O’ Be Joyful, che gli ha fatto vincere il premio come Migliori Artisti Emergenti nella categoria, pubblicano questo nuovo Swimmin’ Time, sempre per la Dualtone. Questa volta il suono sembra parzialmente più elettrico ed influenzato dal rock https://www.youtube.com/watch?v=SgJMyU8kbLw , anche se le immancabili armonie vocali, loro marchio di fabbrica, non mancano https://www.youtube.com/watch?v=h1n7FAsiezo . Sentiremo meglio.

guy clark an american dream

Uno che il country lo ho sempre “dominato” alla grande, Nashville o non Nashville, è sempre stato Guy Clark. La Raven australiana pubblica in questi giorni un doppio CD che raccoglie  quattro album del cantautore texano, comunque imperdibili: mancano Old # 1 e Texas Cookin’ del 1975-1976, usciti per la RCA mentre troviamo i tre usciti per il gruppo Warner, il disco omonimo del 1978 https://www.youtube.com/watch?v=cTwE8DVpM9cThe South Coast Of Texas del 1981 e Better Days del 1983, più Boats To Build pubblicato dalla Elektra/Asylum nel 1992. Manca anche Old Friends che era uscito per la Sugar Hill nel 1989. Edizione molto curata, rimasterizzata e con le solite note molto dettagliate dell’etichetta Down Under. Difetti? Niente inediti e come tutti i dischi australiani costa un botto. Se non li avete (ma esistono tutti singolarmente in compact) fateli vostri, in caso contrario astenersi, se non siete dei collezionisti “malati”! Ho dimenticato qualcosa? Ah, sì il titolo: An American Dream, Classic Albums 1978-1992.

danny bryant temperature

Dopo l’ultimo album Hurricane, dove Danny Bryant era stato affiancato dal produttore e tastierista heavy Richard Hammerton, non sempre con risultati felici, e l’ottimo disco dal vivo Night Life: Live In Holland, esce un nuovo album, il terzo per la tedesca Jazzhaus (in effetti la data dovrebbe essere il 2 settembre o forse il 29 agosto) che segna un ritorno al rock-blues, tirato e senza compromessi https://www.youtube.com/watch?v=2OFw4tbxA6U , dell’artista inglese, un vero virtuoso della chitarra. Reduce dal tour accompagnato dalla band di Walter Trout (anche con il figlio in formazione), per raccogliere ulteriori fondi per lo sfortunato arista americano: a proposito è stato operato, gli hanno trapiantato un nuovo fegato e pare che sia in via di guarigione. Il disco si chiama Temperature Rising e penso che se ne parlerà nel Blog prossimamente, per cui mi astengo da giudizi, ma pare decisamente buono.

arthur nrown zim zam zin

Questa non è una ristampa, per quanto possa sembrare incredibile si tratta di un nuovo disco del Crazy World Of Arthur Brown, uscito la settimana scorsa, il 18 agosto, 46 anni dopo il leggendario esordio, quello che conteneva Fire per intenderci, il settantenne artista britannico pubblica un nuovo disco Zim Zam Zim, per la Bronzerat Records, e non sembra neanche brutto. E’ uscito la settimana scorsa, contiene dieci nuovi brani, il “vocione” è sempre quello (sembra Tom Waits a momenti) https://www.youtube.com/watch?v=yXYgLPBfF_w  e anche lo stile, un misto di rock, psychedelia, blues e “stranezze, con qualche spunto elettronico non fastidioso, lo rende un artista comunque interessante anche quasi cinquanta anni dopo il suo tempo.

david wiffen david wiffen

Questo disco era uscito in origine nel 1971, meno celebrato di quello che viene considerato il capolavoro di David Wiffen, Coast To Coast Fever si tratta comunque di un grande album dell’artista canadese, se non altro perché contiene una delle sue canzoni più belle in assoluto, quella Drivin’ Wheel https://www.youtube.com/watch?v=wNGnNA7gwKk , ripresa recentemente anche da David Bromberg nel suo ultimo album, ma in passato cantata da Tom Rush, Byrds, Roger McGuinn, Cowboy Junkies, i fratelli Robinson dei Black Crowes, persino Rumer. Il disco, pubblicato ai tempi dalla Fantasy, aveva avuto una versione in CD “semi-ufficiale” della Akarma, e ora questa nuova edizione, uscita a fine luglio, per la americana Water Records, con quattro bonus tracks. Ho letto che il suono della rimasterizzazione pare non sia eccelso (penso comunque migliore della edizione Akarma), ma la cosa è controversa, per cui si applicherà il sistema San Tommaso, ossia ascoltiamo e poi vi sapremo dire.

wagons acid rain

Per la serie album di non facile reperibilità, come per Wiffen qui sopra, anche il nuovo disco degli australiani Wagons, Acid Rain & Sugar Cane, è uscito a fine maggio in Australia e ai primi di luglio nel resto del mondo (ma non ce ne siamo accorti), etichetta Spunk Records/Six Shooter prodotto da Mick Harvey, Ex Bad Seeds, pare sia bello come i precedenti, nella sua (in)consueta miscela di country-rock https://www.youtube.com/watch?v=WXoiX2bFPDY , ballate alla Nick Cave o alla Johnny Cash https://www.youtube.com/watch?v=6eWPkraf6mo , pezzi alla ZZ Top https://www.youtube.com/watch?v=Hlqf43YSP1g  e R&R. Sulla carta sembra strano ma nei dischi precedenti, almeno cinque, più uno a nome Henry Wagons, funzionava!

phil ochs live again

Negli ultimi mesi sono usciti alcuni album dal vivo “inediti” di Phil Ochs, qualcuno ufficiale, altri meno, per quanto provenienti da broadcasts radiofonici. L’ultimo della serie è questo Live Again!, come al solito solo voce e chitarra acustica: si tratta di un concerto registrato allo Stables Di East Lansing il 26 maggio del 1973 https://www.youtube.com/watch?v=853oNAqObXg . Pubblicato dalla Rockbeat Records che recentemente ha pubblicato dei CD d’archivio dal vivo molto interessanti e ben registrati, a partire da quello al My Father’s Place di NY di Roy Buchanan, oltre ai classici di Ochs contiene anche una versione riveduta e corretta di un brano Here’s To The State Of Mississippi che per l’occasione diventa Here’s To The State Of Richard Nixon, apparsa all’origine solo nella doppia antologia in vinile Chords Of Fame.

kinks lola versus powerman

Il 18 agosto la Legacy della Sony/Bmg ha ristampato nella classica versione doppia Deluxe anche Lola Versus Powerman And The Moneygoround Part 1, che mancava all’appello nella serie delle ristampe potenziate https://www.youtube.com/watch?v=LemG0cvc4oU . Nel doppio CD è contenuta anche la colonna sonora di Percy del 1971, oltre alla solita quota di demos e versioni alternate. Questa è la lista completa dei brani:

CD 1: Lola Versus Powerman and the Moneygoround Part One plus bonus tracks

  1. The Contenders (2.42)
  2. Strangers (3.18)
  3. Denmark Street (1.59)
  4. Get Back in Line (3.04)
  5. Lola (4.01)
  6. Top of the Pops (3.39)
  7. The Moneygoround (1.43)
  8. This Time Tomorrow (3.21)
  9. A Long Way from Home (2.26)
  10. Rats (2.38)
  11. Apeman (3.51)
  12. Powerman (4.16)
  13. Got to Be Free (2.59)
  14. Anytime (3.32)
  15. The Contenders (Instrumental Demo) (3.00)
  16. The Good Life (3.16)
  17. Lola (Alternate Version) (5.16)
  18. This Time Tomorrow (Instrumental) (3.17)
  19. Apeman (Alternate Stereo Version) (3.40)
  20. Got to Be Free (Alternate Version) (2.02)

Tracks 1-13 originally released on Lola Versus Powerman and the Moneygoround, Part One, Pye LP NSPL 18359, 1970 Tracks 14-20 previously unreleased

CD 2: Percy plus bonus tracks

  1. God’s Children (3.17)
  2. Lola (Instrumental) (4.42)
  3. The Way Love Used to Be (2.12)
  4. Completely (3.39)
  5. Running Round Town (1.03)
  6. Moments (2.56)
  7. Animals in the Zoo (2.19)
  8. Just Friends (2.35)
  9. Whip Lady (1.18)
  10. Dreams (3.42)
  11. Helga (1.53)
  12. Willesden Green (2.25)
  13. God’s Children (End) (0.28)
  14. Dreams (Remix) (3.21)
  15. Lola (Mono Single) (4.06)
  16. Apeman (Mono Single) (3.52)
  17. Rats (Mono Single) (2.40)
  18. Powerman (Mono) (4.25)
  19. The Moneygoround (Mono Alternate Version) (1.39)
  20. Apeman (Alternate Mono Version) (3.40)
  21. God’s Children (Mono Film Mix) (3.16)
  22. The Way Love Used to Be (Mono Film Mix) (2.04)
  23. God’s Children (End) (Mono Film Mix) (0.49)

Tracks 1-13 originally released on Percy, Pye LP PSPL 18365, 1971
Tracks 14, 18-21, 23 previously unreleased
Tracks 15-17 originally released on various singles, 1970
Track 22 originally released on Percy, Castle CD ESMCD 510, 1998

dear jean ritchie

Alcuni siti di vendita lo danno come già uscito, ma quello ufficiale della Compass Records riporta come data di pubblicazione il 2 settembre. Si tratta di Dear Jean, Artists Celebrate Jean Ritchie, un doppio CD tributo che giustamente omaggia una delle “grandi signore” del folk americano, celebre per i suoi bellissimi album su Folkways, a cavallo tra la fine anni ’50 e gli anni ’60, ma già in azione con il suo dulcimer degli Appalachi dalla decade precedente https://www.youtube.com/watch?v=CBPLbwqvXLU . Conosciuta come “The Mother Of Folk” Jean Ritchie, 91 anni a dicembre dello scorso anno è una delle più importanti artiste della musica tradizionale americana  ed in questo CD, a fianco di artisti poco conosciuti, ci sono alcuni dei migliori interpreti del genere, provenienti da diverse generazioni, anche se manca Emmylou https://www.youtube.com/watch?v=x1dZB63gwcQ Questa è la lista completa dei brani e dei musicisti che appaiono nei 2 CD:

Disc: 1
1. Black Waters (John McCutcheon, Tim O Brien, Suzy Bogguss, Kathy Mattea, Stuart Duncan and Bryn Davies)
2. Now is the Cool of the Day (Molly Andrews)
3. The L&N Don’t Stop Here Anymore (Robin and Linda Williams with John Jennings)
4. Morning Come, Maria s Gone (Janis Ian)
5. Lord Bateman (Sally Rogers and Howie Bursen)
6. High Hills and Mountains (Al, Alice and Ruth)
7. Young Man Who Wouldn’t Raise Corn (Peggy Seeger)
8. West Virginia Mine Disaster (Susie Glaze)
9. With Kitty I’ll Go (Mick Lane with Pat Broaders)
10. I Celebrate Life [Spoken Word] (Pete Seeger)
11. Pretty Betty Martin (Kathy Reid-Naiman)
12. Shady Grove (Sparky and Rhonda Rucker)
13. The Cuckoo (Sam Amidon)
14. Thousand Mile Blues (Dan Schatz)
15. Blue Diamond Mines (Riki Schneyer)
16. The Bluebird Song (John McCutcheon)
17. Go Dig My Grave (Dale Ann Bradley and Alison Brown)
18. Jubilee (Kathy Mattea and Friends)
Disc: 2
1. One I Love (Judy Collins)
2. Let the Sun Shine Down on Me (Kim and Reggie Harris)
3. My Dear Companion (Cathy Fink and Marcy Marxer)
4. Last Old Train s a-Leavin (Peter Pickow, Jon Pickow, and Kenny Kosek)
5. Wintergrace (Debra Cowan and John Roberts)
6. Pretty Saro (Robbie O Connell)
7. Fair Nottamun Town (Elizabeth LaPrelle)
8. Golden Ring around the Susan Girl [Instrumental] (Matt Brown)
9. I’ve Been a Foreign Lander (Atwater-Donnelly)
10. One More Mile (Rachael Davis)
11. Farewell to the Mountains (Magpie)
12. I’ve Got a Mother (Starry Mountain Singers)
13. Jemmy Taylor-O (Big Medicine)
14. Brightest and Best (Lorraine and Bennett Hammond)
15. Hangman (Ralston Bowles and May Erlewine-Bernard)
16. Jackaro (Archie Fisher)
17. Who Killed Cock Robin? (Oscar Brand and Jean Ritchie)
18. Twilight a-Stealing (The Ritchie Nieces)Disc 1
19. The Peace Round (Jean Ritchie and Friends)

Anche per questa volta è tutto, alla prossima.
Bruno Conti