Un Chitarrista Per Tutte Le Stagioni. Così Parlò Robben Ford!

robben ford interview Robben-Ford

In occasione dell’uscita del nuovo album di Robben Ford Into The Sun mi è stato chiesto di fare, attraverso gli auspici della sua etichetta, quattro chiacchiere con il  grande chitarrista californiano, uno dei più longevi, eclettici e multiformi virtuosi della chitarra, uno che ha attraversato, in cinque e più decadi di attività musicale, praticamente tutti i generi, dal blues al jazz, passando per rock, fusion, soul e qualsiasi altro stile vi venga in mente. Ha suonato con una infinità di musicisti nel corso degli anni, dagli esordi blues con la Charles Ford Blues accompagnando Charlie Musselwhite, passando per Jimmy Witherspoon ed approdando alla fusion degli L.A. Express di Tom Scott che lo portano a suonare con Joni Mitchell, poi l’avventura con un altro gruppo fusion come i Yellow Jackets, ma anche un breve assaggio con i Kiss, poi la collaborazione con Miles Davis, ma anche nella band dello show televisivo Sunday Night della NBC, oltre a decine di album a nome proprio che sono andati in tutte le direzioni musicali. Veramente un chitarrista per tutte le stagioni. Quindi mi sono preparato una serie di domande, tenendo conto che nel momento in cui le facevo, avevo ascoltato il nuovo disco solo in streaming ed ero quasi completamente a digiuno delle circostanze che avevano portato alla registrazione e quindi mi accingevo a chiederle al soggetto in questione http://discoclub.myblog.it/2015/03/17/la-classe-acqua-2-robben-ford-into-the-sun/ . Devo dire che le risposte sono state cortesi e puntuali, ma molto laconiche e stringate, non dico che apparisse seccato ma quasi l’impressione era quella, forse si tratta semplicemente di riservatezza. Per chi non ha avuto occasione di leggerla sul Buscadero, comunque ecco il fedele resoconto della conversazione via mail: ogni tanto ho riunito più domande visto che le risposte erano veramente brevissime.

Ciao Robben, come va? Spero tutto bene! Prima di iniziare una domanda “geografica”. Io ti chiamo da Milano, tu dove ti trovi al momento, ed è il luogo dove risiedi attualmente?

Ojai, California.

Se non sbaglio i due dischi precedenti sono stati registrati a Nashville, A Day In Nashville, come suggerisce il titolo, addirittura in un giorno, mentre anche Bringing It Back Home, ho letto, è stato realizzato in soli tre giorni di sessions a LA. Questo nuovo, Into The Sun, ha avuto lo stesso tipo di approccio?

BIBH è stato registrato a Los Angeles, tre giorni per le registrazioni basiche, poi gli overdubs e il mixaggio hanno richiesto ancora un poco di tempo. Il nuovo album è stato fatto in un periodo di due mesi, adattandosi agli impegni dei musicisti coinvolti nelle registrazioni.

Nelle poche note di presentazione dell’album che ho ricevuto per recensirlo, sembrava che Niko Bolas, l’ingegnere del suono da molti anni tuo collaboratore, non fosse però il produttore del disco.  Quindi lo hai prodotto tu, giusto?

E’ stato prodotto da Cozmo Flow, una nuova conoscenza dal Minnesota (NDA?!?, mai sentito e non trovato neppure in rete),

Ho anche notato che nel nuovo disco, a parte un brano firmato con la cantante ZZ Ward e quattro pezzi scritti con Kyle Swan, le canzoni sono tutte tue, è vero?

Generalmente scrivo sempre io la mia musica. ZZ Ward ha contribuito i primi quattro versi del brano dove canta, mentre ho scritto tutta la musica del disco, con l’eccezione di Same Train, di Kyle Swan e So Long For You di mio nipote Gabe. Kyle ha anche contribuito con i testi di altre tre canzoni.

Nel disco appare anche il giovane chitarrista e cantante texano Tyler Brown, che recentmente ha fatto un disco con il gruppo degli Shakedown. Non sapevo nulla di Kyle Swan, ma per curiosità sono andato a sentirmi il suo disco Gossamer e, sinceramente, non ho capito che genere di musica faccia:“strana” è il termine corretto?

(Robben glissa su Tyler Brown) Kyle è uno che rompe la regole, molto creativo, ricco di talento. Ama Mingus e Monk, che è il motivo per cui ci siamo trovati a collaborare insieme.

Sembrerebbe che le tue orecchie (come sempre) siano aperte a tutti i generi di musica e ti tieni anche aggiornato con i nuovi nomi in circolazione e quindi, come conseguenza vorrei chiederti se sei sempre un amante della musica, non solo un ascoltatore casuale, oltre che un facitore della stessa?

Sì amo sempre la musica. Non sono poi così aggiornato e ascolto ancora soprattutto un sacco di gente morta. Il musicista vivente che preferisco è Sonny Rollins.

Ovviamente nel disco appaiono molti altri eccellenti musicisti: Warren Haynes, Sonny Landreth, Keb’ Mo’, Robert Randolph e in passato, nel corso degli anni, hai collaborato praticamente con quasi tutti, nel campo musicale. L’arte della collaborazione sembra innata nel tuo modo di fare musica, è così?

Mi piace lavorare con altre persone. Lo farei ancora di più se ci fosse più creatività in circolazione. La gente mi sembra pigra, non si spingono abbastanza in là.

Come giovane musicista, secondo le tue biografie, sei stato influenzato principalmente dal blues e Michael Bloomfield sembra essere stato il primo chitarrista che ammiravi quando eri un ragazzino, è vero? Ma nel corso degli anni hai sviluppato un tipo di suono di chitarra che è solamente tuo. Quando ti ascolto suonare la prima cosa che mi viene in mente quasi automaticamente è “Wow, questo è Robben Ford”! Come nel passato era stato per Hendrix, Clapton, Peter Green (un mio pallino), Santana, nel Blues i tre Kings (BB., Albert and Freddie), e, in anni recenti,  Stevie Ray Vaughan, e molti altri che sono istantaneamente riconoscibili. Come hai ottenuto quel tipo di suono? Il tipo di chitarre, Gibson SG e Telecaster? Tante prove? Talento assoluto? Una combinazione di tutti questi elementi? E sei conscio del tipo di suono che crei?

Ascoltare soprattutto suonatori di sax tenore mi ha realmente aiutato a creare il mio particolare suono alla chitarra. E’ un buon consiglio, ad un certo punto, smettere di ascoltare chitarristi e andare a cercare la tua fonte di ispirazione da qualcosa d’altro.

Ma tornando al nuovo disco, mi sembra che questa volta il tuo obiettivo fosse di mescolare tutte le tue passioni musicali: blues, rock, jazz, persino musica pop, intesa nel suo senso più nobile, per creare un approccio più fresco alla musica, e in questo senso il disco è molto riuscito, uno dei tuoi migliori in assoluto?

L’ispirazione è imprevedibile, e tu vai dove la tua Musa ti porta. Si potrebbe dire che ci sono voluti anni per arrivare a questo disco e non assomiglia a nulla di ciò che ho realizzato in passato. Non ho mai fatto un disco migliore di questo. 

Ho provato a chiedergli chi erano i musicisti che hanno suonato nel disco, anche in relazione ad alcuni specifici brani ed alcuni commenti su Robert Randolph (da me definito una sorta di Hendrix della pedal steel) e gli altri ospiti presenti del disco, nonché una lista di chitarristi contemporanei (ma anche del passato) con cui ha collaborato nel corso degli anni, ma non solo quelli e la stringatissima risposta alle due domande, legata insieme, è la seguente.

Ho incontrato Robert (Randolph) al North Jazz Sea Festival. Per ciò che riguarda i chitarristi contemporanei che ammiro, certamente Mike Landau e Eric Johnson.

Ho provato anche a chiedergli un giudizio su alcuni cosiddetti “chitarristi” di culto, Link Wray, Lonnie Mack, Roy Buchanan, Danny Gatton e sulle sue collaborazioni musicali passate con grandi musicisti. La risposta è stata questa.

Mentre sul tipo di musica che ama suonare, mi ha risposto

Mi piacciono le buone canzoni, ed è il motivo per cui scrivo così tanto. Lo stile non è importante, la qualità sì.

Non avendo ancora in mano il disco ho provato a chiedere se il primo brano, Rose Of Sharon, uno di quelli dalla costruzione sonora “più strana” fosse frutto della collaborazione con Swan, ma la risposta è stata.

Rose Of Sharon non ha nulla a che fare con Kyle.

Ho ancora provato a chiedere se il suono decisamente rock del brano con Tyler Bryant, e anche quelli con Haynes e Landreth, segnalava uno spostamento verso un sound più rock e grintoso, e indovinate quale è stata la risposta?

Mentre risponde alla domanda sul sound fresco e favoloso, dal timbro soul e R&B, di  Days Of The Planets e Breath Of Me, con il suono della chitarra perfettamente evidenziato nel mixaggio, in modo quasi cristallino, il tipico “Robben Ford sound”, come viene ottenuto?

In Breath ho usato la mia Telecaster ’60, attraverso gli amplificatori Dumble in “impostazione Overdrive” (NDA Qualsiasi cosa voglia dire!), mentre in Planets ho utilizzato la Gibson Sg del ’64, che ormai uso da molti anni, sempre attraverso gli stessi amplificatori.

Appurato da questa risposta che era il “vero Robben” a rispondere alle mie domande, ho provato a buttargli lì la classica domanda sui cinque dischi da portare sull’Isola Deserta e qui si è animato un po’ nella risposta, sorprendendomi anche con la prima scelta.

New York Tendaberry- Laura Nyro; Live At The Village Vanguard- John Coltrane; Juju- Wayne Shorter; My Funny Valentine- Miles Davis; Sonny Rollins On Impulse!- Sonny Rollins.

Un bel grazie da R. per concludere e fine delle trasmissioni.

Bruno Conti

P.S. Attualmente Robben Ford è nel pieno del suo tour europeo, con 2 date anche in Italia:

14 maggio Roma
Auditorium Parco della Musica Sala Sinopoli

16 maggio Padova
GranTeatro Geox

La Classe Non E’ Acqua, 2! Robben Ford – Into The Sun

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Robben Ford – Into The Sun – Mascot/Provogue 31-03-2015

Se vi chiedete il perché del 2 nel titolo, data per scontata la classe di Robben Ford, è semplicemente perché avevo già usato lo stesso titolo, un paio di anni fa, per la recensione di Memphis di Boz Scaggs (a proposito, a fine mese esce il nuovo album, A Fool To Care, che si annuncia eccellente, con Bonnie Raitt e Lucinda Williams). Ma veniamo all’anteprima di questo Into The Sun, anche lui in uscita il 31 marzo. Tra l’altro ho realizzato un’intervista con Robben, che dovreste leggere sul numero di aprile del Buscadero.

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Sinceramente ho perso il conto del numero dei dischi dell’artista californiano, ma credo che tra album a nome suo, con i fratelli e collaborazioni varie con altri musicisti e gruppi, gli album dove appare il nome di Robben Ford (non come ospite), superino abbondantemente le trentacinque unità. Quello che è certo è che gli ultimi tre sono usciti per la Mascot/Provogue, questo Into The Sun incluso, e secondo la critica, almeno nei due precedenti, si era segnalato un certo ritorno di Robben verso le sue radici più blues http://discoclub.myblog.it/2014/01/30/ecco-giorno-nashville-lo-scorso-anno-robben-ford-esce-il-4-febbraio/. A giudicare dai primi ascolti del nuovo album (effettuati in streaming parecchie settimane prima dell’uscita e senza molte informazioni a disposizione sui musicisti coinvolti, ospiti a parte) mi sembra che invece in questa occasione si sia optato per un tipo di suono più eclettico e variegato, magari a tratti un filo più leccato, che è da sempre la critica che gli fanno i suoi detrattori, grande tecnica e bravura infinita, ma un suono fin troppo algido e preciso a momenti. Ford, nella presentazione del disco, ha parlato di un disco solare (vedi titolo) e positivo, molto ritmato e diversificato negli stili usati, spingendosi a dichiarare che si tratta di uno dei suoi migliori in assoluto (ma avete mai sentito un artista dire, “sì in effetti l’album è bruttino, potevo fare meglio”?).

Undici brani in tutto, cinque dove appaiono ospiti molto diversi tra loro, quattro scritti in collaborazione con un certo Kyle Swan, musicista, vocalist e polistrumentista dall’approccio particolare, di cui fino a questo album ignoravo l’esistenza, diciamo un tipo “strano” https://www.youtube.com/watch?v=31FenhgSS3M . Comunque non mi sembra che l’influenza di Swan sia molto marcata, e in ogni caso per uno che ha suonato con Joni Mitchell e Miles Davis nulla di nuovo! L’ingegnere del suono al solito è Niko Bolas, collaboratore di lunga data di Robben Ford, che rende il tutto nitido e ben calibrato (ma sempre dall’intervista ho ricavato che il produttore è tale Kozmo Flow ?!?), per i musicisti che suonano azzardo la presenza della sua ultima sezione ritmica, Wes Little, il batterista e Brian Allen, il bassista, anche in A Day In Nashville e Jim Cox alle tastiere. Il risultato sonoro, come si diceva, è più eclettico del solito, Rose Of Sharon, tra acustico ed elettrico, ad occhio (e a orecchio) sembra una di queste collaborazioni con Swan, molto raffinata e ricercata, con lo spirito jazz-blues della chitarra di Ford che cerca di inserirsi in melodie più complesse (ma nell’intervista mi ha detto che Swan non c’entra nulla). Ma Day Of The Planets ha  questo annunciato sound molto solare ed immediato, tocchi soul, una ritmica esuberante e le tastiere che colorano il solito lavoro magistrale della solista di Robben, dal suono inconfondibile, più misurato rispetto ad altre occasioni. Howlin’ At The Moon, con la presenza di alcune voci femminili di supporto, ha un suono decisamente più rock-blues e carnale con la chitarra che fa sentire una presenza più decisa, ben supportata dall’eccellente lavoro di sezione ritmica e tastiere, oltre ad una ottima interpretazione vocale; molto piacevole anche l’incalzante Rainbow Cover, con le cristalline evoluzioni della solista di Robben inserite in una canzone di impronta decisamente pop-rock, ma di classe.

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La voce maschia di Keb’ Mo’ ben si accoppia con quella di Robben Ford, in un duetto gospel-blues, Justified https://www.youtube.com/watch?v=YisOj_37zUw , dove si apprezza anche la sacred steel del bravissimo Robert Randolph, il piano honky-tonk di Jim Cox, il tutto coronato da un classico assolo di Ford. ZZ Ward è una giovane cantante americana, di recente opening act anche per Eric Clapton, fautrice di un blues-rock leggero, forse più blue-eyed soul https://www.youtube.com/watch?v=4zzeoEjh_ig  che ben si sposa con le sonorità sempre raffinate della chitarra di Robben, che donano una magica aura sospesa e sognante a una notevole Breath Of Me, mentre per High Heels And Throwing Things, un duetto con Warren Haynes, il suono si fa decisamente più maschio e vibrante https://www.youtube.com/watch?v=89wEudH-AMQ , un funky-rock gagliardo dove la slide guizzante del musicista dei Gov’t Mule ben si sposa con la solista del titolare, in una continua alternanza di licks. Cause Of War è un altro bel pezzo, energico e dalla struttura decisamente rock-blues, con un torrido riff di chitarra e un sound tirato inconsueto per Ford, mentre la successiva e complessa So Long 4 You rimane in questo spirito chitarristico presentando un duetto con il maestro della slide Sonny Landreth, in gran spolvero. Ci avviciniamo alla conclusione, prima con una Same Train che anche grazie alla presenza di una armonica (non so chi la suona) alza la quota blues di un album che cresce con il passare dei brani anche grazie al solismo sempre diversificato di Ford, poi con Stone Cold In Heaven, che vede la presenza di Tyler Bryant, leader e solista degli Shakedown, uno dei nomi emergenti del nuovo rock americano http://discoclub.myblog.it/2013/01/19/una-curiosa-coincidenza-tyler-bryant-the-shakedown-wild-chil/ , che imbastisce un bel duetto a colpi di solista con Robben. Forse aveva ragione lui, in effetti sembra uno dei suoi migliori dischi di sempre.

Bruno Conti