Da “Solo” O Con La Band, Dice Sempre La Verità. Lance Lopez – Tell The Truth

lance lopez tell the truth

Lance Lopez – Tell The Truth –  Mascot/Provogue

Sono passati solo poco più di 4 mesi dall’uscita di Califonisoul, il secondo album dei Supersonic Blues Machine http://discoclub.myblog.it/2017/11/28/anche-loro-sulle-strade-della-california-rock-supersonic-blues-machine-californisoul/ , ed ecco che il frontman della band, Lance Lopez, voce e chitarra solista nel power trio americano, pubblica già un nuovo album. Come spesso capita ho ascoltato il disco parecchio in anticipo sull’uscita e quindi le informazioni erano ancora poche. Quello che veniva annunciato,  cioè che il disco era stato registrato durante gli ultimi tre anni negli abituali studi di Los Angeles, sotto la produzione di Fabrizio Grossi, che aveva anche curato le parti basso di durante le varie sessioni tenutesi nello stesso periodo in cui veniva inciso l’album dei SBM, come pure  la presenza di un batterista dal suono  vigoroso e potente, che ha tutta l’aria di essere Kenny Aronoff, e il fatto che negli arrangiamenti fossero presenti anche piano, organo, armonica e backing vocalist aggiunti, era abbastanza sintomatico. Quindi il suono a grandi linee è assai simile a quello recente della band, ma Lopez ha comunque un lungo passato di musicista, prima come accompagnatore di musicisti di spessore, da Bobby “Blue” Bland e Johnnie Taylor passando per Johnny Guitar Watson, e poi, dopo il trasferimento dalla natia Louisiana al Texas, attraverso l’incontro con musicisti come Billy Gibbons e Johnny Winter, con cui ha condiviso i palchi a lungo nell’ultima parte della carriera di quest’ultimo.

Anche se la primaria influenza è stata sicuramente Jimi Hendrix, come pure, da un lato più blues, B.B. King e Stevie Ray Vaughan, e qualche trucchetto glielo hanno insegnato anche Lucky Peterson e Buddy Miles, nelle cui rispettive band ha suonato. Nel 1999, a soli 21 anni, pubblica il suo primo album First Things First, poi ripubblicato dalla Grooveyard, che sarà la sua etichetta nella prima decade degli anni 2000, i suoi album migliori Salvation From Sundown, Handmade Music e il Live in NYC, di cui vi ho parlato su queste pagine http://discoclub.myblog.it/2016/05/28/del-buon-blues-rock-chitarristico-dal-vivo-lance-lopez-live-nyc/ . Sempre sano e vigoroso rock-blues, anche hard power trio con la chitarra del nostro spesso e volentieri in evidenza; ovviamente Tell The Truth non cambia la strada maestra, il suono pare solo più centrato, la musica, pur essendo dura e tirata, spesso è ben costruita ed arrangiata: prendiamo l’iniziale Never Came Easy, il suono è rotondo, con basso e batteria ad ancorare il suono, inserti di chitarra acustica, armonica, piano elettrico e la slide a supportare la voce rauca e profonda di Lopez in un pezzo che ha forti profumi blues. Mr. Lucky era la title track di uno degli ultimi album di John Lee Hooker, qui ripreso in una versione power trio, molto Hendrix e SRV, basso pompatissimo, chitarre lancinanti e anche in modalità wah-wah, l’armonica ad addolcire la vena quasi hard-rock-southern di questa versione, che comunque è di eccellente fattura, con la chitarra che scorre fluida e potente.

Insomma, capito il genere, e non è difficile, l’album si gode appieno: Down To One Bar, più dura e riffata, ha qualche vago elemento soul, grazie all’organo e alle coriste, ma le chitarre, sia normale che slide, sono sempre cattive, e se ogni tanto si cerca qualche elemento più commerciale non è un delitto, è nella natura del produttore Grossi. High Life ha persino qualcosa di “claptoniano”, miscelato con elementi sudisti, un bel drive ritmico e la rauca voce di Lance (molto simile a quella di Popa Chubby) in evidenza, oltre alle chitarre stratificate che contribuiscono alla riuscita del brano; Cash My Check è il primo singolo del CD, un bel boogie rock incalzante, con piano, armonica e coretti incisivi, ancora a punteggiare il sound sudista della canzone, veramente riuscita e coinvolgente, rock classico della più bell’acqua con un bel solo di slide che è la ciliegina sulla torta. Tutti i brani sono compatti, tra i tre e i quattro minuti, non si sbrodola troppo e l’insieme ne guadagna, ottime anche The Real Deal, con la solista sempre in modalità bottleneck e Raise Some Hell, una hard ballad elettroacustica dall’atmosfera sospesa, come pure Angel Eyes Of Blue, a tutto wah-wah, forse anche con talk-box inserito, “duretta” anziché no, e comunque sempre di fattura pregevole.

Tutta musica sentita mille volte ma se viene fatta bene, e questo è il caso, estremamente godibile, come conferma il rock made in the 70’s della energica Back On The Highway con pianino boogie, organo e le solite coriste a tirare la volata all’infoiata chitarra di Lopez, mentre la ritmica picchia di brutto; Blue Moon Rising è una delle rare ballate dell’album, peraltro riuscitissima, ambientazione sudista ed un arrangiamento raffinato e complesso, con la solista a punteggiare il mood del brano. E per concludere in bellezza un buon album di rock-blues energico ma, ripeto, ben fatt,o ecco Tell The Truth ancora con sventagliate di riff e soli dalla solista, non male Mister Lopez!

Bruno Conti

Anche Loro Sulle Strade Della California Rock. Supersonic Blues Machine – Californisoul

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Supersonic Blues Machine – Californisoul – Mascot/Provogue  

Capitolo secondo per il power rock trio formato da Lance Lopez, chitarra e voce, Fabrizio Grossi, basso e produttore del disco, nonché Kenny Aronoff alla batteria: se uniamo il titolo del disco, California e soul, e quello della band, che contiene comunque la parola blues al suo interno, e se aggiungiamo ancora rock, abbiamo una idea generale di cosa aspettarci. Come è politica abituale della Provogue nell’album ci sono vari ospiti, quattro in comune con il disco precedente del gruppo e uno “nuovo”: vi dico subito che non si raggiungono i livelli del recente album di duetti di Walter Trout (peraltro presente in un brano), che era veramente un disco notevole http://discoclub.myblog.it/2017/08/29/tutti-insieme-appassionatamente-difficile-fare-meglio-walter-trout-and-friends-were-all-in-this-together/ , ma il trio, californiano di adozione, con un texano, un italiano e un newyorkese in formazione, sa comunque regalarci del sano rock-blues, ogni tanto di grana grossa, anche pestato, sia pure con Aronoff  che lo fa con cognizione di causa grazie ai suoi trascorsi con Mellencamp e Fogerty, “moderno” e commerciale a tratti, per la presenza di Grossi che frequenta anche altri generi, con la guida della band affidata a Lopez, che è chitarrista di stampo Hendrix-vaughaniano, se mi passate il termine, e buon cantante, con una voce che, come ricordavo nella recensione del disco precedente West Of Flushing South Of Frisco,  ricorda molto quella di Popa Chubby http://discoclub.myblog.it/2016/02/26/rock-blues-buoni-risultati-esce-febbraio-supersonic-blues-machine-west-of-flushing-south-of-frisco/ .

Californisoul si apre con I Am Done Missing You, che ondeggia tra un classico blues-rock di stampo seventies, anche con uso di armonica, con elementi funky, reggae e coretti che cercano di strizzare l’occhio alle radio, mai senza sbracare troppo, insomma un tocco di modernità senza comunque adagiarsi a fondo nel conformismo della musica attuale, tutta uguale, e con Lopez che comincia subito a scaldare il suo wah-wah. Il primo ospite a presentarsi è Robben Ford, con il suo tocco raffinato e di gran classe, in un brano, Somebody’s Fool, che richiama certe cose vagamente alla Cream, con Grossi, che è l’autore di tutti i brani, che inserisce sempre qualche elemento più leggero e commerciale, ma le chitarre viaggiano alla grande, Lopez alla slide e Ford molto bluesy e tirato per i suoi standard abituali; L.O.V.E. ha ancora questa aura da Californisoul, con R&B e Rock che vanno a braccetto con il blues, di nuovo armonica e chitarre a guidare le danze, ma anche il groove non manca, e gli altri musicisti aggiunti, Alessandro Alessandroni Jr. alle tastiere (proprio lui, figlio d’arte del famoso “fischiatore dei Western di Morricone), Serge Simic, armonie vocali in Love” e “Hard Times”, come pure Andrea e Francis Benitez Grossi, danno quel tocco più radiofonico https://www.youtube.com/watch?v=wKnjRBk2Xjc . Broken Hart con Billy Gibbons alla seconda chitarra, potete immaginare come è, due texani nello stesso brano ed è subito southern rock a tutta forza, non si fanno prigionieri; Bad Boys, ancora con Lance Lopez a pigiare sul suo pedale wah-wah, attinge sia dall’Hendrix più nero come dalle band di funky-rock anni ’70, come conferma la successiva Elevate, questa volta con Eric Gales, altro hendrixiano doc, a duettare con Lopez in uno sciabordio frenetico di chitarre a manetta e cambi di tempo repentini (non so cosa ho detto, ma suona bene).

The One tenta anche la carta del latin-rock alla Santana, con discreti risultati, grazie anche ai soliti inserti soul, mentre Hard Times, con l’ex Toto Steve Lukather alla seconda solista aggiunta, nei suoi quasi otto minuti prova con successo la strada di un rock melodico, complesso, anche raffinato, costruito su un bel crescendo di questa rock ballad che gira attorno al grande lavoro dei vari musicisti coinvolti, e che finale! Cry è un bel lento che ruota attorno ad un piano elettrico e con il gruppo che costruisce lentamente l’atmosfera di questa sorta di preghiera laica; Stranger, di nuovo a tutto wah-wah, non allenta la tensione del rock tirato che domina questo Californisoul, che poi, grazie alla presenza di Walter Trout alla seconda chitarra, aumenta la quota blues (rock) in lento molto “atmosferico” e con le soliste che lavorano veramente di fino. Thank You, con una sezione fiati che sbuca dal nulla e i ritmi decisamente reggae di This is Love, mi sembrano canzoni meno centrate, al di là del solito buon lavoro della solista di Lopez, ma secondo il mio gusto personale abbassano il livello medio di un album complessivamente buono e destinato soprattutto a chi ama il rock energico e chitarristico.

Bruno Conti

Anticipazione Nuovo Album: Il 24 Febbraio Esce Eric Gales – Middle Of The Road

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Eric Gales – Middle Of The Road – Mascot/Provogue

Eric Gales è stato uno dei primi “ragazzi prodigio” della chitarra, agli inizi degli anni ’90: prima di Bonamassa, Jonny Lang, Kenny Wayne Shepherd e tutti quelli che sono venuti dopo, venne Eric Gales. Con il fratello Eugene, nel 1991 pubblicò per la Elektra il primo disco Eric Gales Band, quando aveva compiuto da poco 16 anni: la stella di famiglia sembrava agli inizi il fratello maggiore Emanuel Lynn Gates, in arte Little Jimmy King, un nome che rendeva omaggio a Jimi Hendrix e ai grandi King della storia del blues, e forse il mancino di Memphis, scomparso prematuramente nel 2002, a soli 27 anni (quindi anche lui colpito dalla “maledizione” del club”), era il vero talento della famiglia. Ma per onestà bisogna riconoscere che pure Eric Gales è un chitarrista dalla tecnica prodigiosa: anche lui cresciuto a pane, Hendrix e blues, viene portato in palmo di mano dai suoi colleghi che ne hanno cantato spesso le lodi. Sempre da prendere con le molle le loro dichiarazioni, che sono molto da cartella stampa, ma Joe Bonamassa lo ha definito “Uno dei migliori, se non il miglior chitarrista del mondo”, anche Santana e altri lo hanno definito “incredibile”, però la sua carriera ha sempre vissuto di alti e bassi, per questo suo dualismo tra l’amore per il rock e il blues e il desiderio, legittimo, di una carriera nella musica mainstream, quella più commerciale, tra pop, R&B “moderno”, anche capatine nell’hard rock e nel lite metal, con i soci “virtuosisti” Pinnick & Pridgen http://discoclub.myblog.it/2014/09/12/fenomeni-nuovo-capitolo-pinnick-gales-pridgen-pgp-2/ .

Di recente qualche disco per la Cleopatra, tra cui un buon doppio Live e quattro anni fa un CD+DVD dal vivo per la Blues Bureau/Shrapnel http://discoclub.myblog.it/2012/10/10/tra-mancini-ci-si-intende-eric-gales-live/ , ed ora il ritorno alla Mascot/Provogue, con cui aveva già pubblicato quattro album, per questo Middle Of The Road, che non è un album di canzoncine pop leggere (come potrebbe far presumere il titolo, per quanto…), ma, come dice lo stesso Eric nella presentazione del disco, vuole essere una sorta di viaggio al centro della strada, che è il posto ideale per concentrarsi e dare il meglio di sé. Dopo questo sfoggio parafilosofico il buon Gales si è scelto come produttore Fabrizio Grossi dei Supersonic Blues Machine e come musicisti compagni di viaggio, Aaron Haggerty, il batterista che si divide tra la band di Eric e quelle di Chris Duarte e Stoney Curtis, Dylan Wiggins all’organo Hammond B3 e la moglie LaDonna Gales, armonie vocali in tutto il disco, oltre a Maxwell ‘Wizard’ Drummey al mellotron in Repetition, con lo stesso Eric Gales, voce solista, chitarra e basso. E alcuni ospiti che vedremo nei rispettivi brani: Good Times è costruita su un ripetuto riff di chitarra e batteria, un brano funky semplice e breve, ma anche abbastanza irrisolto, la solista non viene mai scatenata. Change In Me (The Rebirth) viceversa è un classico brano alla Gales, influenzato da Hendrix, tra rock e blues, con la chitarra in bella evidenza, e qui il “tocco” di classe non manca; Carry Yourself, scritta insieme a Raphael Saadiq, è una via di mezzo tra il “nu soul” del co-autore e le derive rock del nostro, impegnato in questo caso al wah-wah, come succede spesso, buono ma non entusiasmante, la Band Of Gypsys di Hendrix era un’altra più storia, quasi 50 anni fa, ma molto più innovativa.

Altro discorso per la cover di Boogie Man, una rilettura del brano di Freddie King dove Eric duetta con Gary Clark Jr., pezzo fluido, anche “moderno” nella sua realizzazione, ma le chitarre comunque si godono. Been So Long, scritta con Lauryn Hill, è un reggae-soul-pop che cerca per l’ennesima volta di insinuarsi nel circuito mainstream, a chi piace, l’assolo è comunque godibile! Mentre in Help Yourself Gales ci introduce ai talenti di tale Christone ‘Kingsfish’ Ingram, nuovo fenomeno della chitarra 16enne, che viene da Clarksdale, Mississippi, e come era stato per Eric ad inizio carriera, in questo brano, firmato con Lance Lopez, il blues cerca di tornare a farsi sentire, anche se l’idea di “filtrare” la voce nella parte iniziale è trita e ritrita, poi quando parlano le chitarre molto meglio, anche se c’è sempre questo “modernismo” a tutti i costi nel sound, fattore che spesso risulta fastidioso nei suoi dischi, almeno per il sottoscritto.

Di nuovo voce filtrata per I’ve Been Deceived, suono molto carico per un funky-rock pseudo-futuribile, che neppure la chitarra fiammeggiante riesce a salvare del tutto. Repetition, scritta con il fratello bassista Manuel Gales, vecchio mentore ad inizio carriera, è uno strano esperimento semi-futuribile e ricercato, ma non mi entusiasma,anche se al solito la chitarra viaggia. Se vi mancava un brano scritto con un “music therapist” lo trovate in questo CD: una ballata gentile per chitarra acustica e tastiere, si chiama Help Me Let Go. Per I Don’t Know nel commento mi adeguerei al titolo, non l’ho capita molto, solito funky-rock-soul; per fortuna come ultimo brano Eric Gales inserisce uno strumentale Swamp, un pezzo rock bello carico e potente, con batteria e chitarra a manetta. Per il resto del disco direi anch’io un bel “I Dont Know”,  quindi in definitiva il talento c’è, l’album ha i suoi momenti, ma per il risultato finale un bel “mah, non saprei” mi pare d’obbligo!

Bruno Conti

Tra Rock E Blues Con Buoni Risultati. Supersonic Blues Machine – West Of Flushing South Of Frisco

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Supersonic Blues Machine – West Of Flushing South Of Frisco – Mascot/Provogue 

Ormai la Mascot/Provogue sta diventando una sorta di leader in quel settore di musica che sta tra il rock e il blues, con un roster di artisti che include Bonamassa e Robert Cray, passando per Kenny Wayne Shepherd, Leslie West, Robben Ford, Sonny Landreth, Joe Louis Walker, Walter Trout, Warren Haynes, ma anche gruppi come JJ Grey & Mofro e Indigenous e moltissimi altri che non stiamo a ricordare: l’etichetta olandese è diventata una sorta di mecca mondiale per questo tipo di musica, dove si spazia anche in generi diversi ma, bene o male, la chitarra è quasi sempre lo strumento dominante. Alla lunga lista si aggiungono ora anche i Supersonic Blues Machine, un nuovo trio di power rock-blues che vede Lance Lopez alla chitarra e alla voce (autore di alcuni ottimi album proprio di rock-blues, in studio e dal vivo, di cui mi ero occupato in passato, e che non pubblicava nulla dal 2011 http://discoclub.myblog.it/2011/12/13/il-ritorno-della-personcina-lance-lopez-handmade-music/ e che nella recensione originale, nella fretta, ho pervicacemente chiamato Vance ), Fabrizio Grossi, bassista, produttore e ingegnere del suono, nato a Milano, ma che vive negli Stati Uniti da tempo, prima a New York e ora a Los Angeles, musicalmente più vicino all’hard & heavy, e Kenny “Pestaduro” Aronoff, uno dei migliori batteristi rock attualmente in circolazione, basta ricordare le sue collaborazioni con John Mellencamp e John Fogerty, ma ha suonato praticamente con tutti.

Stranamente l’idea del progetto, a ovest di New York e a sud di San Francisco, come ricorda il titolo, nasce da Grossi, che oltre agli inizi da metallaro ha sempre coltivato una passione per il blues, il quale ha chiamato Lance Lopez, nativo della Louisiana, ma di chiara scuola texana e Kenny Aronoff, che aveva già suonato con lui insieme a Steve Lukather dei Toto. Naturalmente poi, come è politica della Mascot, sono stati chiamati altri ospiti di pregio per insaporire il menu di questo West Of Flushing South Of Frisco: Billy Gibbons, Warren Haynes, Chris Duarte, Eric Gales, Walter Trout e Robben Ford, tutti praticanti dell’arte della chitarra solista. Il risultato finale è diciamo alquanto “duretto”, con qualche eccezione, ma potremmo definire lo stile di questi Supersonic Blues Machine come “heavy blues”, più dalle parti del Bonamassa hard che di quello di Muddy Wolf, per intenderci. Lance Lopez è un ottimo solista, scuola Stevie Ray Vaughan, ma grande appassionato pure di Hendrix, e con una voce che ricorda molto Popa Chubby. Eppure il disco parte con la slide acustica e l’armonica dell’iniziale Miracle Man, un pezzo che con il blues ha più di una parentela, ma quando entra la batteria di Aronoff si capisce subito che non si faranno prigionieri, anche se il brano rimane in un bilico elettroacustico interessante, ravvivato dalle fiammate della solista di Lopez. I Ain’t Falling Again gira subito verso un classico hard-rock targato anni ’70, con coretti che cercano di dare una patina radiofonica alla musica del trio. Running Whiskey, scritta da Grossi, Tal Wilkenfeld (ve la ricordate? Era la bravissima bassista australiana che ha accompagnato Jeff Beck qualche anno fa) e Billy Gibbons, è cantata proprio dal leader degli ZZ Top ed è un classico boogie-rock nello stile del trio texano, con il barbuto impegnato a scambiare riff e sciabolate chitarristiche con Lopez, mentre un indaffaratissimo Aronoff tiene i ritmi a livelli poderosi.

Remedy, firmata dal gruppo con l’aiuto di Warren Haynes, è una bella hard ballad di stampo sudista, con l’ex Allman che aggiunge la sua solista alle procedure con eccellenti risultati. Bone Bucket Blues, è un solido blues-rock che va di slide e armonica, tirato il giusto, con la voce roca di Lopez e la sua solista a tessere le file del sound, che si ammorbidisce nuovamente per Let It Be, uno slow vagamente hendrixiano che ci permette di gustare un ennesimo eccellente solo di Lance, mentre anche un organo contribuisce a colorare il suono (non so dirvi chi lo suona, non ho le note dell’album). That’s My Way è il duetto con Chris Duarte, un grintoso blues-rock texano, energico, ma senza esagerare, anche se i coretti che ogni tanto ammorbano le canzoni non sempre sono di mio gradimento, ma è un piccolo difetto. Ain’t No Love (In The Heart Of City), è un blues lento di quelli classici, mentre Nightmares And Dreams, la collaborazione con il vecchio amico di Lopez, Eric Gales, è un’altra cavalcata chitarristica in ambito blues-rock e Can’t Take It No More, il duetto con Walter Trout, un altro blues dalle atmosfere ricercate e sognanti. Whiskey Time è la ripresa, con la coda strumentale aggiunta, di Running Whiskey. Molto bella la dolce Let’s Call It A Day, un duetto tra le soliste abbinate di Robben Ford e Lance Lopez, che poi lascia spazio al funky-rock della conclusiva Watchagonnado. In definitiva meno duro di quanto mi era apparso ad un primo ascolto, ovviamente indicato per chi ama il guitar rock. Esce il 26 febbraio,

Bruno Conti

Il Ritorno Della “Personcina”! Lance Lopez – Handmade Music

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Lance Lopez – Handmade Music (Ltd. Edit.) – MIG Made in Germany

Il nostro amico Lance Lopez, di cui mi ero già occupato lo scorso anno in occasione dell’uscita del CD Salvation From Sundown che conteneva anche un bel DVD registrato al Rockpalast lance%20lopez, fa dell’onesto rock-blues, che mischia lo stile del Texas divenuto sua terra di elezione, con il rock “energico” dei grandi chitarristi inglesi ed in particolare della triade Clapton-Beck & Page. Quindi  cosa ottenete se unite il southern rock-blues degli ZZ Top al suono di Stevie Ray Vaughan e Johnny Winter, ci spalmate una abbondantissima dose di Jimi Hendrix (il suo vero idolo assoluto) affidate il tutto alle abili mani di Jim Gaines il suo produttore di fiducia (quello di Santana, Steve Miller Band, Thorogood, il John Lee Hooker di The Healer), poi vi recate a registrare nei leggendari Ardent Studios di Memphis (per Lopez il luogo dove gli ZZ Top hanno registrato Sharp Dressed Man, Thorogood Bad To the Bone e Jimmy Page ha mixato Led Zeppelin III)?

Probabilmente otterrete questo Handmade Music che unisce il boogie fervido del trio texano nell’iniziale Come Back Home cantato con una voce rauca e ruvida che mi ha ricordato, non so perché, forse a causa di una somiglianza non fortuita, il Popa Chubby più ruspante. Sound e assoli di chitarra di gran fattura che ritornano anche nella successiva Hard Time e poi si stemperano in una gustosa hard rock ballad di notevole appeal come Let Go dove chitarre acustiche e organo e la produzione professionale di Gaines allargano lo spettro sonoro del disco. Visto che il trucco ha funzionato una volta viene ripetuto, con successo, anche nella successiva Dream Away, un altro ottimo esempio di lunga ballata in crescendo che proviene dal miglior southern rock d’annata. Ma lo stile preferito è quel rock-blues intriso di boogie con una solida sezione ritmica nelle mani del bassista Chris Gipson e del batterista Jimmy Dereta, di solito lo chiamiamo power trio e non ci si sbaglia mai, non sarà originale, sentito mille volte, ma se ci affidiamo a un buon manico come Lance Lopez e con una produzione professionale nelle mani di Gaines, brani come Get Out and Walk e Your Love hano un perché, specialmente se uno apprezza il genere.

Non sempre tutto funziona, Travelling Riverside Blues sarà pure il famoso brano di Robert Johnson che suonavano anche gli Zeppelin ad inizio carriera, ma in questa versione abbastanza anonima potrebbe essere Crossroads o Walkin’ Blues, il riff più o meno è quello. Letters con il suo organo aggiunto ed una maggiore verve, potrebbe essere un pezzo d’annata della Steve Miller Band o di Clapton, niente di trascendentale fino all’orgia hendrixiana di wah-wah nella parte centrale che ci rende il sorriso. Non male anche l’ottimo strumentale Vaya Con Dios dove si lavora molto di toni e di finezza sulla chitarra con Lopez che mette di nuovo in mostra le sue indubbie qualità tecniche. E che dire della cover di Black Cat Moan il celebre brano di Don Nix che faceva il suo bel figurone nell’album di Beck, Bogert & Appice? Fa la sua “porca figura” anche in questo Handmade Music come un dovuto omaggio al Jeff Beck rocker! Le due tracce bonus alla fine (nella versione limited da 12 pezzi) sono una leggera ma piacevole versione di Can(t) You Feel It? un brano scritto dallo scomparso Dan Hartman ma lo faceva anche, se non ricordo male (ho controllato, c’è), Johnny Winter in Still Alive And Well e proprio in Zona Cesarini un gagliardo slow blues Lowdown Ways che ritorna alle radici della musica di Lance Lopez e chiude in gloria quello che si può definire un buon album, nel suo genere, ovvero file under blues-rock!

Una curiosità finale: chissà se nel tour con Winter sfoggia ancora quel bel completino alla Zorro che aveva nel filmato del Rockpalast?   

Bruno Conti

Lard Rock. Guarda che personcina, Però Suona Alla Grande. Lance Lopez

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Come promesso un’altra anteprima sulle recensioni del Buscadero.

LANCE LOPEZ

Salvation From Sundown

Mig Music

***1/2

Nativo della Louisiana, ma da anni residente in Texas, Lance Lopez è uno dei più interessanti chitarristi delle ultime generazioni, uno di quelli che hanno vissuto a pane e Jimi Hendrix, ma che ad inizio carriera ha suonato anche con musicisti di diverse estrazioni, dal soul man raffinato Johnnie Taylor, passando per Bobby Blue Bland, Johnny Guitar Watson, Little Milton e altri, quindi una gavetta di lusso. Poi ha suonato per alcuni anni nel gruppo di Lucky Peterson, prima di approdare ai Buddy Miles Express.

Il primo disco pubblicato a livello indipendente è del 1998, First Things First. L’anno successivo vince a New Orleans una competizione indetta dalla Hendrix Experience, Jimi Hendrix Electric Guitar Competition, un nome un programma. Nel 2000 arriva per la prima volta in Europa, dove apre per Steve Vai e Jeff Beck. Nel 2001 vince il premio come miglior Blues Band Texana a Dallas.

Per farla breve ha pubblicato altri tre album di studio di cui uno co-prodotto dall’altro Hendrixiano doc Eric Gales e un live strepitoso nel 2007 solo per il mercato europeo dove le cover di Hendrix si sprecano ma c’è anche un blues lento terrificante Everytime I Turn Around di oltre ventitre minuti dove gli assoli si susseguono in una sequenza micidiale.

Quindi chi già conosce sa cosa aspettarsi, per gli altri siamo sulle lunghezze d’onda di Popa Chubby (quello migliore), Frank Marino dei tempi d’oro, ma anche classico rock-blues texano, ZZTop, Stevie Ray Vaughan naturalmente, il Bonamassa più caciarone, visto che anche il nostro amico è un po’ sopra le righe, per usare un eufemismo, però suona, eccome se suona, dalla sua Fender Stratocaster molto vissuta è in grado di estrarre un sound violentissimo, molto riffato, ma anche sonorità ricercate e raffinate frutto di una notevole tecnica maturata in anni di gavetta.

Questo disco che esce con allegato un DVD dal vivo registrato al Rockpalast dello scorso anno unisce il meglio dei due mondi: c’è il rocker tamarro e intemerato che si presenta sul palco con un completino nero alla Zorro, con tanto di cappello, ma su un corpaccione che ricorda il Sergente Garcia, fautore di quello che definirei Lard Rock (l’altro giorno camminando ho visto un tipo, non proprio smilzo, con una maglietta che da lontano sembrava dell’Hard Rock Café, ma da vicino recitava Lard Rock e vedendo un sudatissimo Lance Lopez con il suo completino sul palco del Rockpalast mi è tornata in mente quella T-shirt, anche perché il concerto si è tenuto il 25 luglio, unica concessione, occhialoni scuri al posto della mascherina di Zorro)-

Scherzi a parte il nostro amico suona alla grande, soprattutto nella parte dal vivo, ma anche il disco in studio (che ha molti brani in comune con la versione live, ma sono proprio due cose diverse), registrato in quel di Dallas e agli Ardent Studios di Memphis per la produzione di Jim Gaines, non è niente male. La formula è quella conosciuta e sperimentata del power rock-blues trio, con una giusta miscela di brani originali (otto) e cover (quattro) nel disco in studio, mentre nel DVD dal vivo il rapporto è di sei a sei.

Lance Lopez si alterna tra la Fender già citata e una Flying V, ormai tornata in grande auge tra i chitarristi migliori delle ultime generazioni, Bonamassa docet, visto che fa molto scena. Anche Lopez va a sfrucugliare nel repertorio degli ZZtop per una versione micidiale del super classico La Grange, ma c’è spazio anche per una “doverosa” Heart Fixin’ Business di Mastro Albert King (che da lassù controlla con Jimi e Stevie Ray al fianco), sia in studio che dal vivo ma anche per una sorprendente Friend Of Mine di R.L. Burnside nella parte Live e una altrettanto sorprendente It Shoulda Been Me di Ray Charles nel disco in studio. Naturalmente tutti i brani ricevono il trattamento Lopez, quindi assoli prolungati r vigorosi, riff rocciosi e accattivanti e tutto l’armamentario degli Axemen Doc. Ma c’è anche spazio per il raffinato fraseggio di Neverlove una quasi ballata di grande misura e per il sound da deserto texano dell’ottima El Paso Sugar.

Alla fine, come si usa dire, Lance Lopez non prende prigionieri ma è anche il bello di questi dischi, sai già cosa aspettarti, ma se ti piace il tuo rock-blues hard e chitarristico godi come un riccio.

Guarda il completino, ma suona come Dio comanda.

Bruno Conti