Grande Album Nuovo, Ma Con Canzoni “Vecchie”: La Recensione. James Taylor – American Standard

james taylor american standard

James Taylor – American Standard – Fantasy/Concord/Universal

Ci stava lavorando da tempo e le prime notizie sull’uscita imminente avevano iniziato a circolare dalla fine della scorsa estate: come lascia intuire il titolo American Standard, l’album, pur essendo completamente nuovo, raccoglie una serie di canzoni “vecchie”, o se preferite classici della canzone americana, brani composti dagli anni trenta fino agli anni sessanta, pezzi che, come ha raccontato lo stesso James Taylor, facevano parte degli ascolti abituali della famiglia Taylor negli anni formativi di James. Appunto grandi standard della musica popolare più raffinata made in America, ma anche tracce estratte dagli album di alcune classiche commedie musicali, Guys and Dolls, Oklahoma!, My Fair Lady, Brigadoon, Peter Pan, Show Boat, South Pacific, il tutto prodotto con l’aiuto di David O’Donnell e del grande chitarrista John Pizzarelli, che insieme a James hanno costruito una serie di arrangiamenti basati intorno al suono della chitarre, e non del pianoforte, magari con forti componenti orchestrali, come è tipico di questo repertorio. Per intenderci, se mi passate il termine, il suono è stato “James Taylorizzato”, almeno da quanto si può arguire ascoltando le tracce sonore.

Insomma, pur essendo lo stile quello solito, raffinato e confidenziale, tipico del cantante di Boston, grazie all’aiuto della solita nutrita pattuglia di musicisti, il sound è comunque complesso e raffinato, infatti nel disco troviamo la sua band abituale, che poi lo accompagnerà anche nei tour che promuoveranno l’album, prima in Canada, insieme a Bonnie Raitt, e poi negli States con Jackson Browne: la lista dei collaboratori è lunga, il bassista Jimmy Johnson, il batterista Steve Gadd,il percussionista Luis Conte, alle tastiere Larry Goldings, ai fiati Lou Marini Walt Fowler e i vocalist di supporto Kate Markowitz, Caroline Taylor, Andrea Zonn, Dorian Holley e Arnold McCuller. In più, come ospiti, Jerry Douglas al dobro, Viktor Krauss al contrabbasso e Stuart Duncan al violino. Inoltre, con l’aiuto del grande giornalista Bill Flanagan (quello che ha fondato la rivista Musician e poi ha “inventato” VH1), che ha prodotto il progetto, James Taylor il 31 gennaio pubblicherà anche Break Shot, una sorta di autobiografia sonora che uscirà nel formato Audible, e con la voce narrante dello stesso musicista racconterà la storia della sua vita, soprattutto la prima parte della sua carriera, anche attraverso molti supporti audio.

Comunque, tornando all’album,  il 19° in studio della sua discografia, nel CD, oltre ai brani tratti dai musical, troviamo le sue versioni di God Bless The Child di Billie Holiday, un classico dello swing come My Blue Heaven, la stupenda ballata The Nearness Of You e quella che viene presentata come la prima cover in assoluto di un brano As Easy As Rolling Off A Log, che faceva parte di un cartone animato del 1938 Katnip Kollege, della serie Merrie Melodies.Questo è quello che avevo scritto per la presentazione dell’album, più di un mese fa, ma visto che posso sottoscrivere tutto ciò che ho detto (dato che avevo già ascoltato il dico), mi limito ad aggiungere una bella recensione track by track delle canzoni contenute in questo American Standard.

1. My Blue Heaven Scritta da Walter Donaldson-George A. Whiting , faceva parte del musical (o meglio una antenata, la revue, visto che le commedie musicali al cinema erano ancora mute) Ziegfeld Follies del 1927. Un brano intimo e romantico aperto dalla chitarra acustica arpeggiata di Taylor (protagonista comunque in tutto l’album insieme a quelle di Pizzarelli), porto con la solita voce partecipe, ma mai sopra le righe,, del buon James, in uno stile che nella parte iniziale potrebbe ricordare You’ve Got A Friend: anche se qui ci sono delle fioriture orchestrali, poi il tempo si anima, diventa swingato, con il violino di Stuart Duncan in evidenza.
2. Moon River Anche il celeberrimo brano di Henry Mancini e Johnny Mercer, che appariva nella colonna sonora di Colazione Da Tiffany, è una delle canzoni d’amore più famose della musica americana, seconda come popolarità nell’ambito degli standard della musica da film, forse solo a Over The Rainbow, conta oltre settecento diverse versioni: quella di Taylor, cantata splendidamente e in modo soave, gioca su un arrangiamento perfetto, le due acustiche, il contrabbasso di Krauss e un assolo della melodica di Goldings .
3. Teach Me Tonight
riporta come autori ,Gene De Paul-Sammy Cahn un’altra coppia classica dell’American Songbook, e pure questa suona come un brano tipico del nostro, anche se l’uso di percussioni e fiati, nello specifico Walt Fowler alla tromba, confermano quell’appeal jazzy che pervade tutto l’abum.
4. As Easy as Rolling off a Log
come riporto sopra, faceva parte di una colonna sonora di un cartone animato dove i protagonisti erano due gatti, sempre uno swing jazz basato sul suono delle chitarre di James e Pizzarelli e del clarinetto di Lou Marini, molto piacevole e spensierato.

5. Almost Like Being in Love della premiata ditta Frederick Loewe-Alan Jay Lerner faceva parte del musical Brigadoon, anche nella versione cinematografica. Forse qualcuno la ricorda nella colonna sonore de Il Giorno Della Marmotta cantata da Nat King Cole. Questa canzone, grazie anche all’avvolgente lavoro delle coriste e ad un assolo del sax di Marini, oltre al suadente approccio di James, ricorda certo blue eyed soul di gran classe, tentato già da Taylor più volte in passato. Sembra quasi un brano “acustico” degli Steely Dan.
6. Sit Down You’re Rockin’ the Boat
di Frank Loesser era nella commedia musicale Bulli E Pupe (quando posso vi ricordo i titoli italiani), tra i contemporanei l’aveva incisa anche Don Henley. Altro brano che parte piano con il dobro di Jerry Douglas in evidenza, poi si anima con improvvise e deliziose accelerazioni anche vocali, e continui cambi di tempo, sempre con Douglas grande protagonista.
7. The Nearness of You
è un altro standard senza tempo, scritto da Hoagy Carmichael-Ned Washington , una delle più belle canzoni in assoluto della musica pop(olare) americana, e questa versione felpata e sognante, con retrogusti latineggianti, rende assoluto merito a questa adorabile canzone d’amore, con Taylor che la canta magnificamente una volta di più.
8. You’ve Got To Be Carefully Taught
di Richard Rodgers-Oscar Hammerstein II era nel musical South Pacific del 1949, uno dei primi brani che affrontava temi razziali, sia pure in modo lieve e blando, una bella ballata con spazio per il violino di Duncan, il cello di Krauss e le tastiere di Goldings e il “solito” cantato appassionato del cantante di Boston.

9. God Bless The Child porta la firma di Billie Holiday-Arthur Herzog Jr, ed è uno dei capolavori assoluti di “Lady Day”. La rilettura fatta da Taylor con i suoi musicisti è inconsueta, basata sul trillante dobro di Jerry Douglas diventa quasi un brano country, per quanto squisito e di gran classe, con la voce di James che quasi cesella le note, bellissima versione.
10. Pennies From Heaven
Arthur Johnston-Johnny Burke, viene dall’America degli anni ‘30, quella del Post Depressione, ottimista e piena di fiducia e speranza nel futuro, giocata ancora una volta sull’interscambio delle due chitarre, una sezione ritmica sbarazzzina e il suono vintage dell’organo di Goldings, un ennesimo piccolo gioiellino di equilibri sonori tra il cantato e la parte strumentale.
11. My Heart Stood Still
scritta da altri due pesi massimi dell’ American Songbook come Richard Rodgers-Lorenz Hart viene anche questa dagli anni ‘20 del secolo scorso, altro brano romantico perfetto per lo stile del nostro che la “James Taylorizza” da par suo, sempre ben sostenuto dal violino di Duncan, canzone che non avrebbe sfigurato nei suoi album classici degli anni ‘70.

12. Ol’ Man River altra canzone del 1927, scritta da Jerome Kern-Oscar Hammerstein II per Show Boat, e di cui si ricorda una versione epocale del baritono di colore Paul Robeson, uno dei grandi della canzone gospel, con Taylor che tenta anche alcune note basse notevoli in omaggio a quella versione, dalla melodia bellissima che James omaggia in modo perfetto con una interpretazione veramente magnifica.
13. (It’s Only) a Paper Moon
scritta da Harold Arlen-Yip Harburg-Billy Rose, lo stesso team di autori che scrisse Over The Rainbow, vira nuovamente verso le sonorità tipiche del nostro, pensate a Don’t Let Be Me Lonely Tonight, You’ve Got A Friend, You Can Close Your Eyes, potremmo andare avanti per ore, aggiungete una patina elegante e jazzy, e voilà i giochi sono fatti.
14. The Surrey With The Fringe on Top
ancora di Richard Rodgers-Oscar Hammerstein II era nel musical Oklahoma, carezzevole e leggiadra, solo la voce di Taylor e le chitarre di James e Pizzarelli, con la squisita voce aggiunta nel finale della brava Caroline Taylor, che incidentalmente è la terza e ultima moglie del nostro amico.

Altra ottima prova dopo l’eccellente https://discoclub.myblog.it/2015/07/09/la-classe-acqua-james-taylor-before-this-world/. Della serie, sempre una garanzia!

Bruno Conti

 

Ancora A Proposito Di Chitarristi. Michael Landau – Rock Bottom

michael landau rock bottom

Michael Landau – Rock Bottom – Mascot/Provogue

Michael Landau è il classico “chitarrista dei chitarristi”, un musicista molto stimato dai colleghi, poco conosciuto direttamente dal grande pubblico, anche se il suo nome appare nei credits di almeno 800 album (forse anche di più!) dalla metà degli anni ’70 a oggi: quando qualcuno ha bisogno di un musicista nell’area di Los Angeles e dintorni, ma anche nel resto del mondo, il nome di Landau è uno dei più ricorrenti. Ha iniziato come chitarrista nella band di Boz Scaggs e poi si è subito tuffato nel remunerativo mondo dei sessionmen, negli anni ’80 e ’90 (insieme a Steve Lukather, Michael Thompson e Dan Huff) :era raro che ci fossero dischi di rock in quegli anni, soprattutto registrati in California, dove non suonasse il nostro amico. Non sempre, anzi raramente, in dischi che ci appartengono a livello di gusto (e tuttora alterna partecipazioni agli album di Ramazzotti e Tiziano Ferro, con quelle alla Steve Gadd Band,oppure  con James Taylor o Beth Hart), in passato però ha suonato anche con Joni Mitchell, Miles Davis, Pink Floyd, ma pure in una valanga di “tavanate galattiche” che vi risparmio. Il chitarrista però è uno di quelli bravi, come dimostrano i suoi rari album solisti, gli ultimi un Live del 2006 e un Organic Instrumentals del 2012, dove può indulgere anche alla sua passione per un jazz (rock) alla Allan Holdsworth e simili, oppure nei Renegade Creation, con Robben Ford, in cui viene praticato un rock-blues muscolare, comunque di eccellente fattura tecnica http://discoclub.myblog.it/2010/12/27/posso-solo-confermare-michael-landau-robben-ford-jimmy-hasli/ .

Tra i vari gruppi, poco noti, in cui aveva militato Landau in passato, c’erano stati ad inizio anni ’90 i Burning Water, autori di quattro album, band in cui c’erano anche il fratello Teddy Landau al basso, il cantante David Frazee, entrambi li ritroviamo ora in questo Rock Bottom, insieme al nuovo batterista Alan Hertz. Il disco è in uscita oggi 23 febbraio, ed è il classico album che unisce le varie passioni di Michael: c’è molto rock, ma anche brani dove spicca l’acrobatico stile jazzato di Landau, che in passato è stato definito una sorta di Jimi Hendrix per il 21° secolo, in quanto secondo qualche critico “estroso e visionario” potrebbe suonare la musica che il mancino di Seattle stava per intraprendere al tempo della sua scomparsa, una fusione di jazz e rock. Potrebbe essere, perché di “nuovi Jimi Hendrix” ce ne sono stati quanti i nuovi Dylan, ma l’originale era uno solo. Comunque il nuovo CD complessivamente è decisamente buono, con parecchi brani sopra la media, e altri meno eccitanti: l’iniziale Squirrels, dove si apprezza anche l’eccellente apporto dell’organo di Larry Goldings, che è il tastierista aggiunto in tutto l’album, ha quasi venature leggermente psichedeliche e sognanti, con l’ottima voce di Frazee in primo piano e le evoluzioni della solista di Landau, che subito si accompagnano all’eccellente lavoro ritmico del gruppo, dove spicca il basso del fratello Teddy Landau, partenza molto interessante.

Poi ribadita nella rocciosa Bad Friend, in effetti hendrixiana e roccata, ma anche raffinata, una specie, più o meno, di Red Hot Chili Peppers meno proni alle derive commerciali degli ultimi album, con la chitarra di Michael Landau, anche in modalità wah-wah, veramente dappertutto; Gettin’ Old, con i suoi tocchi jazz e atmosferici può rimandare ai lavori di Holdsworth con i Tempest o di Ollie Halsall con i Patto, grande tecnica ma anche spirito rock. We All Feel The Same è un blues futuribile nello stile dell’amico Robben Ford, sospeso e felpato, con le tastiere che scivolano sullo sfondo, mentre la chitarra pennella note ad effetto in grande souplesse e Frazee canta in modo davvero brillante, We’re Alright vira nuovamente verso un rock robusto e anche accattivante, con i suoi riff ripetuti e un groove molto coinvolgente, sempre nobilitato dalle scariche micidiali della solista di Landau . One Tear Away è una sorta di doom rock con vaghi retrogusti sabbathiani, senza violenze metal, ma con il gusto per un’improvvisazione raffinata ed elegante che riscopre il miglior rock progressivo degli anni ’70 https://www.youtube.com/watch?v=YHEtbAe46m4 ; Poor Dear è un solido rock-blues tra Cream e Steve Miller Band, mentre Freedom è una ballata jazz crepuscolare, da suonarsi in qualche nightclub d’elite di New York ed Heaven In the Alley un’altra pigra e ciondolante ballad fuori dagli schemi e alquanto irrisolta, ma con il solito assolo prodigioso. Chiude l’album Speak Now, Make Your Peace uno “strano” blues notturno parlato, molto minimale ma poco coinvolgente, al di là dell’immancabile assolo strabiliante della chitarra, doppiata dell’organo, che lo risveglia nel finale. Per chi ama i chitarristi, ma non solo.

Bruno Conti

Replay! Una Anteprima A Lunga Gittata: 19 Febbraio 2013 Il Nuovo Album Di Robben Ford – Bringing It Back Home

Come promesso ripubblico la recensione, visto che era stata postata quasi due mesi fa, il disco esce martedì prossimo, ed eccola di nuovo, con video, come promesso nel Post scriptum.

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Robben Ford – Bringing It Back Home – Provogue/Mascot  19-02-2013

Un “ritorno alle origini” di Robben Ford? Il titolo lo potrebbe fare supporre, ma in effetti direi che se di ritorno si tratta è quello alle radici del suo suono, dopo gli “esperimenti” più rock nei due CD dei Renegade Creation. Quindi una forte componente di Blues, primo amore, il jazz raffinato immancabile, un pizzico (abbondante) di funky e rock. Quando Robben iniziava la sua carriera nella Charles Ford Blues Band uno dei primi punti di riferimento fu sicuramente il sound della Butterfield Blues Band e il chitarrista di quel gruppo (va bene, uno dei due, l’altro era Elvin Bishop) era un certo Mike Bloomfield, che trasformò un modesto futuro sassofonista in uno dei più grandi stilisti della chitarra elettrica del 20° secolo (non per nulla la compianta rivista Musician lo inserì tra i 100 più grandi del secolo). Robben Ford è passato con assoluta nonchalance dal blues puro che suonava con Musselwhite e Witherspoon alla fusion degli L.A. Express, poi raffinata nell’eccelsa arte di Joni Mitchell, per approdare infine al jazz “elettrico” di Miles Davis.

Tutti gli elementi che hanno da sempre contrassegnato la sua carriera e che ora ritornano in questo Bringing It Back Home, quindi non solo Blues come si può leggere in rete dai “soliti informati” che non hanno ancora sentito il disco e quindi riciclano più o meno le notizie rilasciate dalla casa discografica o qualche dichiarazione parziale dello stesso Ford. Chi vi scrive l’album lo sta ascoltando in questo momento, e posso assicurarvi che non è proprio così, anche se per verificare dovrete aspettare fino al 19 febbraio del 2013 quando uscirà il disco. Siamo un po’ in anticipo. La prima novità saliente è che i musicisti del CD suonano per la prima volta con Robben Ford, anzi quando il disco è stato inciso in una session di tre giorni ai Village Studios di Los Angeles, sotto la supervisione di Ed Cherney (Stones, Bonnie Raitt, Ry Cooder) era addirittura la prima volta che si trovavano tutti insieme; anche se mi sembra, a memoria, che almeno con il batterista Harvey Mason (quello dei mitici Headhunters di Herbie Hancock e poi anche nei Fourplay) abbia già suonato in passato e con la sua presenza aumenta la quota “funky” del disco. Ottimi anche gli altri: Larry Goldings alle tastiere ( da James Taylor a Jim Hall), David Piltch al basso (tra gli altri con Kd Lang e Solomon Burke), oltre a una new entry come strumento nei dischi di Ford, il trombone, affidato a Steve Baxter (che ha suonato con Macy Gray ma anche con Johnny Guitar Watson, tra i tanti). Non proprio una formazione di bluesmen, anche se almeno idealmente, si potrebbe dire, come spesso nei suoi dischi, che è il Blues “according to Robben Ford”!

Quello che è certo è che gli amanti della chitarra avranno di che deliziare i padiglioni auricolari, con quel suo stile unico, che riunisce le influenze di Bloomfield, Jim Hall, Miles Davis, tanto Blues e ancor di più Robben Ford, che questa volta si cimenta in tutto il disco con una sola chitarra,  Epiphone Riviera del 1963 che permette di cogliere il suo suono cristallino e scandito, raramente sopra le righe, forse troppo turgido per quelli che non lo amano, ma è sempre un bel sentire.

Dall’iniziale Everything I Do Gonna Be Funky (il titolo dice tutto) dal repertorio di Allen Toussaint, passando per Bird’s Nest Bound, un brano di Charley Patton conosciuto da Ford nella versione di Bukka White, dove il country blues dell’originale usufruisce della “fordizzazione” del chitarrista, con la solista a duettare con l’organo insinuante di Goldings. Fair Child è un oscuro brano di tale Willie West, un cantante soul/R&B che pure io che sono un cultore del genere, non ricordavo assolutamente, anche questa molto funky con batteria e trombone in evidenza. Oh Virginia è una bellissima soul ballad suonata (che bell’assolo) e cantata in modo incantevole. Anche Slick Capers Blues, se è quella (ho poche informazioni al momento), è un oscuro brano di tale Little Buddy Doyle, un bel blues dal suono old fashioned con trombone e organo di supporto, non dissimile dal suono dell’ultimo Clapton omonimo del 2010.

On That Morning è l’unico brano strumentale del disco, ispirato da Kind Of Blue di Davis, nelle parole di Ford vorrebbe essere un omaggio a quel suono dagli spazi aperti, ma ricorda anche i duetti organo-chitarra di Smith & Montgomery. Traveler’s Waltz non so che origini abbia ma sembra una di quelle ballate raffinate alla James Taylor, godibilissima. Most Likely You Go Your Way(And I’ll Go Mine) invece la conosciamo tutti, è proprio il brano di Bob Dylan, che potrebbe uscire dalla vecchia Supersession di Bloomfield e Kooper (senza Stills) e Trick Bag sarà mica quella dei Meters (che però era di Earl King)? Mi sa di sì, con il contrabbasso di Piltch e la batteria di Mason a scandire il ritmo e la solista di Ford a ricamare assoli come lui sa fare. Per finire Fool’s Paradise che è un vecchio classico che faceva anche Sam Cooke, un bel Blues sapido che conclude in gloria uno dei migliori dischi della discografia del grande musicista californiano, poco pirotecnico ma molto solido per l’occasione.

Bruno Conti

P.s Ogni tanto mi “scappano” queste anteprime, ma eventualmente in avvicinamento all’uscita dell’album pubblicherò di nuovo questo Post, magari con qualche video aggiunto, visto che per ora del nuovo CD non c’è ancora nulla.