Si Conferma Una Delle Cantautrici Più Lucide, Brave E Coinvolgenti In Circolazione. Shelby Lynne – Shelby Lynne

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Shelby Lynne – Shelby Lynne – Everso Records/Thirty Tigers – 17-04-2020

Come è capitato di scrivere in passato sul Blog parlando di altri dischi di Shelby Lynne, la cantante di Quantico, Virginia, oltre ad essere una interprete in possesso di una delle più belle voci della scena musicale americana, è anche una cantautrice di grande spessore, con una lunga carriera alle spalle, iniziata nel lontano 1988, il cui ultimo capitolo in solitaria era l’eccellente I Can’t Imagine del 2015, ma che poi nel 2017 ha pubblicato in coppia con la sorella Allison Moorer un raffinato disco di cover di altri autori (con un solo brano firmato dalle due) https://discoclub.myblog.it/2017/08/12/un-ottimo-esordio-per-due-promettenti-ragazze-shelby-lynne-allison-moorer-not-dark-yet/ . Pochi mesi fa la Moorer ha rilasciato un bellissimo e sofferto album intitolato Blood che per la prima volta toccava esplicitamente la loro drammatica storia familiare https://discoclub.myblog.it/2019/11/18/un-disco-bellissimo-nato-in-conseguenza-di-uninfanzia-terribile-allison-moorer-blood/ , ora è il turno di Shelby di presentarci la sua nuova fatica discografica, dal titolo semplice ma significativo di Shelby Lynne. Il disco prende spunto, ed è stato in parte registrato, durante le riprese del film indipendente When We Kill The Creators, non ancora uscito e realizzato dalla regista, sceneggiatrice e paroliera Cynthia Mortsua attuale compagna, che è stata co-autrice con la Lynne di circa metà delle liriche delle canzoni incluse nell’album https://www.youtube.com/watch?v=1ut_5lqS4ro : per la realizzazione la stessa Lynne ha poi registrato quasi tutte le parti musicali, suonando piano, chitarra, basso, batteria, tastiere, persino il sax , lasciando solo le principali parti delle tastiere a Mimi Friedman, Ed Roth, Billy Mitchell e soprattutto Benmont Tench. 11 canzoni in tutto, registrate in diversi periodi, di cui più della metà durante le riprese del film, nel quale Shelby appare anche come attrice.

Strange Things apre splendidamente le operazioni, un brano intenso e variegato, cantato con grande partecipazione, e con un tema musicale che mi ha ricordato a tratti la melodia di Ballad Of A Thin Man di Bob Dylan, con un suono caldo ed avvolgente; I Got You, con la voce della Lynne potenziata dal multitracking, ha un profumo blue eyed soul, ritmato ma soffice, sempre con la bella voce della nostra amica che naviga su un tappeto di tastiere e una sezione ritmica in parte sintetica ma “umana”. Love Is Coming è più notturna e soffusa, rarefatta, con la musica che risalta più per sottrazione, affidandosi soprattutto all’uso della voce, protagonista assoluta, Weather è una ballata pianistica classica, direi confidenziale, con tocchi quasi di gospel profano, voci di supporto appena accennate ma decisive, e un crescendo sempre affascinante della elegante vocalità di Shelby. Revolving Broken Heart, quasi sussurrata, si avvale dell’uso di una chitarra acustica, di piano e tastiere e le solite stratificazioni vocali che creano una atmosfera intima e raffinata, quasi privata, dove i sentimenti sono dolorosi e quasi malinconici, splendida. Off My Mind, ricorda quelle interpretazioni classiche di cantanti come Dusty Springfield o Laura Nyro, bianche ma che amavano molto la musica nera, e anche la Lynne dimostra di saper maneggiare con maestria la materia.

Don’t Even Believe In Love rimane sempre in questo ambito, ma con una maggiore scansione ritmica, il soul di Memphis incontra il country e l’Americana, in una ballata mid-tempo dal sottile fascino “sudista” dove l’interpretazione vocale è ancora una volta superba, e mi sentirei di azzardare (anche se non ho le note) che l’organo è quello magistrale di Benmont Tench. Sempre sofferta e rarefatta anche My Mind’s Riot dove la Lynne mette a nudo i suoi sentimenti in un brano dove la chitarra acustica e il piano vengono raggiunti da un sassofono suonato con grande perizia dalla stessa Shelby, che poi ci regala una ballata magnifica, solo voce e piano, la superba ed assertiva Here I Am, quasi desolata ma con sentori di speranza, che quasi essudano dalla interpretazione maiuscola, vulnerabile, ma ricca di forza. The Equation, con i suoi quasi sette minuti, è il brano più lungo dell’album, sempre giocato sull’interscambio tra una chitarra acustica, pianoforte ed organo, ma anche con una chitarra elettrica che incombe sullo sfondo e poi irrompe nell’arrangiamento complesso del brano, meno lineare, più intricato e tortuoso del resto del disco, che si chiude con Lovefear (tutto attaccato), un breve sketch di 1:40 ancora dai retrogusti errebì e che conferma il pregevole valore complessivo di questa nuova fatica della Lynne.

Esce domani, venerdì 17 aprile.

Bruno Conti

Un Duo Decisamente Interessante, Lei Una Voce Affascinante. Native Harrow – Happier Now

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Native Harrow – Happier Now – Different Time Records/Loose Music

I Native Harrrow si presentano come un gruppo, ma come lascia intuire la foto di copertina di questo Happier Time, il “loro” terzo album, che ritrae le gentili e delicate fattezze di Devin Tuel, in effetti si tratta principalmente della creatura di questa musicista dell’area newyorchese, benché abilmente supportata dal membro maschile del gruppo, che c’è e risponde al nome di Stephen Harms, il quale suona tutti gli strumenti, chitarre, tastiere, basso e batteria, lasciando a Devin “solo” la composizione dei brani, la voce solista e una chitarra acustica, che sono poi forse le componenti essenziali di questo sodalizio artistico. La prima cosa che balza all’occhio, anzi all’orecchio, è la bellissima voce della Tuel, non quelle vocettine sospirose che spesso vengono identificate con questo tipo di neo folk alternativo, quanto una cantante affascinante, con un timbro corposo e dalle sofisticate nuances sonore, che se non pareggiano quelle di Joni Mitchell o Sandy Denny (e ce ne vuole) comunque si muovono su quelle coordinate folk-rock anni ’70, che intersecano anche le sonorità dei Fairport Convention o di Nick Drake.

Tutte citazioni e rimandi che ci stanno, ma forse caricano di aspettative eccessive, sia gli ascoltatori, che la comunque brava Devin Tuel, una che da giovane voleva diventare una ballerina classica, poi ha studiato da cantante d’opera, ha passato un momento in cui avrebbe voluto essere Patti Smith, prima di ritirarsi nel suo appartamento al Greenwich Village a New York e, sotto il nome d’arte di Native Harrow,  approdare a questo terzo album, registrato in quel di Chicago ai Reliable Recorders Studios, con la co-produzione di Alex Hall (JD McPherson, The Cactus Blossoms, Pokey LaFarge), album che conferma le buone impressioni dei primi due e contiene tutte le indicazioni ed i rimandi ricordati finora. Il disco in effetti è già uscito da Aprile negli States (e per il download è comunque disponibile), con la stessa distribuzione indipendente dei primi due, ma in Europa, tramite l’etichetta Loose, vedrà una circolazione più curata dai primi di agosto: l’iniziale Can’t Go On Like This, pervasa nel testo dalla puntura della precarietà, musicalmente illustra subito questo suono ricco e ricercato, percorso dalla vocalità sicura e ricca di sfumature della Tuel, deliziosa e sinuosa nel suo approccio, mentre chitarre e tastiere e una ritmica basica, ma comunque presente, avvolgono questo fascinoso strumento che è appunto la sua voce, attraverso un folk-rock vibrante e delizioso, che poi sfocia in How You Do Things, che è il brano più vicino alla Joni Mitchell del periodo Court And Spark, malinconica ma assertiva.

Blue Canyon è un omaggio a quella California immaginata, ma forse mai vissuta, un brano acustico, sognante e intimo, che mi ha ricordato certe cose di Nick Drake, sempre per quella melancolia di fondo che si respira nella canzone; e anche se Happier Now, nonostante il titolo, non trasuda felicità, è comunque un altro bell’esempio della musica soffice e delicata, ma complessa, che si respira negli arrangiamenti raffinati dei Native Harrow, sempre con quella deliziosa voce a galleggiare leggiadra, anche con qualche acrobazia vocale appena accennata. Hard To Take è quella che più si ispira al Van Morrison dei primi tempi, con qualche retrogusto à la Ryley Walker, pur se l’approccio è comunque tipico di una unicità femminile, con Something You Have, che, grazie al bellissimo suono vintage di un organo Hammond, rimanda magari alla Band o alla musicalità più influenzata dal soul di una Laura Nyro meno infervorata.

Arc Iris è più elettrica e mossa, con strati di voci sovraincise e una maggiore urgenza nell’approccio sonoro, grazie alla solista di Harms più presente, mentre Hang Me Out To Dry, dal titolo ironico, con la sua chitarra acustica arpeggiata e un cantato più laconico, ha sempre quelle improvvise aperture “mitchelliane” a nobilitarlo, ed è un altro eccellente esempio della vocalità di Devin, che poi si estrinseca al massimo nella lunga e conclusiva Way To Light, una sorta di fantasia agra ed ironica sulla ricerca di una sontuosa ed ipotetica stabilità, brano che secondo alcuni ricorda il giro musicale di Dear Prudence dei Beatles, ma poi nel calderone sonoro introduce anche una ricorrente e pungente slide che punteggia i crescendo sonori e vocali di questo complesso ed articolato brano, uno tra i più interessanti di questa nuova e valida proposta da inserire nel filone folk-rock e tra i nomi da ricordare.

Bruno Conti

Un Chitarrista Per Tutte Le Stagioni. Così Parlò Robben Ford!

robben ford interview Robben-Ford

In occasione dell’uscita del nuovo album di Robben Ford Into The Sun mi è stato chiesto di fare, attraverso gli auspici della sua etichetta, quattro chiacchiere con il  grande chitarrista californiano, uno dei più longevi, eclettici e multiformi virtuosi della chitarra, uno che ha attraversato, in cinque e più decadi di attività musicale, praticamente tutti i generi, dal blues al jazz, passando per rock, fusion, soul e qualsiasi altro stile vi venga in mente. Ha suonato con una infinità di musicisti nel corso degli anni, dagli esordi blues con la Charles Ford Blues accompagnando Charlie Musselwhite, passando per Jimmy Witherspoon ed approdando alla fusion degli L.A. Express di Tom Scott che lo portano a suonare con Joni Mitchell, poi l’avventura con un altro gruppo fusion come i Yellow Jackets, ma anche un breve assaggio con i Kiss, poi la collaborazione con Miles Davis, ma anche nella band dello show televisivo Sunday Night della NBC, oltre a decine di album a nome proprio che sono andati in tutte le direzioni musicali. Veramente un chitarrista per tutte le stagioni. Quindi mi sono preparato una serie di domande, tenendo conto che nel momento in cui le facevo, avevo ascoltato il nuovo disco solo in streaming ed ero quasi completamente a digiuno delle circostanze che avevano portato alla registrazione e quindi mi accingevo a chiederle al soggetto in questione http://discoclub.myblog.it/2015/03/17/la-classe-acqua-2-robben-ford-into-the-sun/ . Devo dire che le risposte sono state cortesi e puntuali, ma molto laconiche e stringate, non dico che apparisse seccato ma quasi l’impressione era quella, forse si tratta semplicemente di riservatezza. Per chi non ha avuto occasione di leggerla sul Buscadero, comunque ecco il fedele resoconto della conversazione via mail: ogni tanto ho riunito più domande visto che le risposte erano veramente brevissime.

Ciao Robben, come va? Spero tutto bene! Prima di iniziare una domanda “geografica”. Io ti chiamo da Milano, tu dove ti trovi al momento, ed è il luogo dove risiedi attualmente?

Ojai, California.

Se non sbaglio i due dischi precedenti sono stati registrati a Nashville, A Day In Nashville, come suggerisce il titolo, addirittura in un giorno, mentre anche Bringing It Back Home, ho letto, è stato realizzato in soli tre giorni di sessions a LA. Questo nuovo, Into The Sun, ha avuto lo stesso tipo di approccio?

BIBH è stato registrato a Los Angeles, tre giorni per le registrazioni basiche, poi gli overdubs e il mixaggio hanno richiesto ancora un poco di tempo. Il nuovo album è stato fatto in un periodo di due mesi, adattandosi agli impegni dei musicisti coinvolti nelle registrazioni.

Nelle poche note di presentazione dell’album che ho ricevuto per recensirlo, sembrava che Niko Bolas, l’ingegnere del suono da molti anni tuo collaboratore, non fosse però il produttore del disco.  Quindi lo hai prodotto tu, giusto?

E’ stato prodotto da Cozmo Flow, una nuova conoscenza dal Minnesota (NDA?!?, mai sentito e non trovato neppure in rete),

Ho anche notato che nel nuovo disco, a parte un brano firmato con la cantante ZZ Ward e quattro pezzi scritti con Kyle Swan, le canzoni sono tutte tue, è vero?

Generalmente scrivo sempre io la mia musica. ZZ Ward ha contribuito i primi quattro versi del brano dove canta, mentre ho scritto tutta la musica del disco, con l’eccezione di Same Train, di Kyle Swan e So Long For You di mio nipote Gabe. Kyle ha anche contribuito con i testi di altre tre canzoni.

Nel disco appare anche il giovane chitarrista e cantante texano Tyler Brown, che recentmente ha fatto un disco con il gruppo degli Shakedown. Non sapevo nulla di Kyle Swan, ma per curiosità sono andato a sentirmi il suo disco Gossamer e, sinceramente, non ho capito che genere di musica faccia:“strana” è il termine corretto?

(Robben glissa su Tyler Brown) Kyle è uno che rompe la regole, molto creativo, ricco di talento. Ama Mingus e Monk, che è il motivo per cui ci siamo trovati a collaborare insieme.

Sembrerebbe che le tue orecchie (come sempre) siano aperte a tutti i generi di musica e ti tieni anche aggiornato con i nuovi nomi in circolazione e quindi, come conseguenza vorrei chiederti se sei sempre un amante della musica, non solo un ascoltatore casuale, oltre che un facitore della stessa?

Sì amo sempre la musica. Non sono poi così aggiornato e ascolto ancora soprattutto un sacco di gente morta. Il musicista vivente che preferisco è Sonny Rollins.

Ovviamente nel disco appaiono molti altri eccellenti musicisti: Warren Haynes, Sonny Landreth, Keb’ Mo’, Robert Randolph e in passato, nel corso degli anni, hai collaborato praticamente con quasi tutti, nel campo musicale. L’arte della collaborazione sembra innata nel tuo modo di fare musica, è così?

Mi piace lavorare con altre persone. Lo farei ancora di più se ci fosse più creatività in circolazione. La gente mi sembra pigra, non si spingono abbastanza in là.

Come giovane musicista, secondo le tue biografie, sei stato influenzato principalmente dal blues e Michael Bloomfield sembra essere stato il primo chitarrista che ammiravi quando eri un ragazzino, è vero? Ma nel corso degli anni hai sviluppato un tipo di suono di chitarra che è solamente tuo. Quando ti ascolto suonare la prima cosa che mi viene in mente quasi automaticamente è “Wow, questo è Robben Ford”! Come nel passato era stato per Hendrix, Clapton, Peter Green (un mio pallino), Santana, nel Blues i tre Kings (BB., Albert and Freddie), e, in anni recenti,  Stevie Ray Vaughan, e molti altri che sono istantaneamente riconoscibili. Come hai ottenuto quel tipo di suono? Il tipo di chitarre, Gibson SG e Telecaster? Tante prove? Talento assoluto? Una combinazione di tutti questi elementi? E sei conscio del tipo di suono che crei?

Ascoltare soprattutto suonatori di sax tenore mi ha realmente aiutato a creare il mio particolare suono alla chitarra. E’ un buon consiglio, ad un certo punto, smettere di ascoltare chitarristi e andare a cercare la tua fonte di ispirazione da qualcosa d’altro.

Ma tornando al nuovo disco, mi sembra che questa volta il tuo obiettivo fosse di mescolare tutte le tue passioni musicali: blues, rock, jazz, persino musica pop, intesa nel suo senso più nobile, per creare un approccio più fresco alla musica, e in questo senso il disco è molto riuscito, uno dei tuoi migliori in assoluto?

L’ispirazione è imprevedibile, e tu vai dove la tua Musa ti porta. Si potrebbe dire che ci sono voluti anni per arrivare a questo disco e non assomiglia a nulla di ciò che ho realizzato in passato. Non ho mai fatto un disco migliore di questo. 

Ho provato a chiedergli chi erano i musicisti che hanno suonato nel disco, anche in relazione ad alcuni specifici brani ed alcuni commenti su Robert Randolph (da me definito una sorta di Hendrix della pedal steel) e gli altri ospiti presenti del disco, nonché una lista di chitarristi contemporanei (ma anche del passato) con cui ha collaborato nel corso degli anni, ma non solo quelli e la stringatissima risposta alle due domande, legata insieme, è la seguente.

Ho incontrato Robert (Randolph) al North Jazz Sea Festival. Per ciò che riguarda i chitarristi contemporanei che ammiro, certamente Mike Landau e Eric Johnson.

Ho provato anche a chiedergli un giudizio su alcuni cosiddetti “chitarristi” di culto, Link Wray, Lonnie Mack, Roy Buchanan, Danny Gatton e sulle sue collaborazioni musicali passate con grandi musicisti. La risposta è stata questa.

Mentre sul tipo di musica che ama suonare, mi ha risposto

Mi piacciono le buone canzoni, ed è il motivo per cui scrivo così tanto. Lo stile non è importante, la qualità sì.

Non avendo ancora in mano il disco ho provato a chiedere se il primo brano, Rose Of Sharon, uno di quelli dalla costruzione sonora “più strana” fosse frutto della collaborazione con Swan, ma la risposta è stata.

Rose Of Sharon non ha nulla a che fare con Kyle.

Ho ancora provato a chiedere se il suono decisamente rock del brano con Tyler Bryant, e anche quelli con Haynes e Landreth, segnalava uno spostamento verso un sound più rock e grintoso, e indovinate quale è stata la risposta?

Mentre risponde alla domanda sul sound fresco e favoloso, dal timbro soul e R&B, di  Days Of The Planets e Breath Of Me, con il suono della chitarra perfettamente evidenziato nel mixaggio, in modo quasi cristallino, il tipico “Robben Ford sound”, come viene ottenuto?

In Breath ho usato la mia Telecaster ’60, attraverso gli amplificatori Dumble in “impostazione Overdrive” (NDA Qualsiasi cosa voglia dire!), mentre in Planets ho utilizzato la Gibson Sg del ’64, che ormai uso da molti anni, sempre attraverso gli stessi amplificatori.

Appurato da questa risposta che era il “vero Robben” a rispondere alle mie domande, ho provato a buttargli lì la classica domanda sui cinque dischi da portare sull’Isola Deserta e qui si è animato un po’ nella risposta, sorprendendomi anche con la prima scelta.

New York Tendaberry- Laura Nyro; Live At The Village Vanguard- John Coltrane; Juju- Wayne Shorter; My Funny Valentine- Miles Davis; Sonny Rollins On Impulse!- Sonny Rollins.

Un bel grazie da R. per concludere e fine delle trasmissioni.

Bruno Conti

P.S. Attualmente Robben Ford è nel pieno del suo tour europeo, con 2 date anche in Italia:

14 maggio Roma
Auditorium Parco della Musica Sala Sinopoli

16 maggio Padova
GranTeatro Geox

Bel Disco, Forse Troppe Ballate, Ma Dal Vivo…Beth Hart – Better Than Home

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Beth Hart – Better Than Home – Provogue/Mascot/Edel

Il nome di Beth Hart solitamente non si accosta al termine singer songwriter, o se preferite, in italiano, cantautrice. Quando pensiamo alla cantante di Los Angeles il suo stile viene avvicinato alle grandi interpreti del rock e del soul, da Etta James ad Aretha Franklin, passando per Janis Joplin e Grace Slick, e naturalmente anche Tina Turner, una che, soprattutto nella prima parte della sua carriera, ha saputo fondere i due generi alla perfezione. Ma Beth Hart ha sempre scritto le sue canzoni, non dimentichiamo che il suo primo successo fu la canzone LA Song (Out Of This Town) che nel lontano 1999 fu utilizzata nell’ultima stagione di Beverly Hills, 90210, anche se erano altri tempi. Poi, con il tempo, la nostra amica si è costruita una grande reputazione come interprete dal vivo, una delle rocker più intemerate in circolazione, in possesso di una voce potente ed espressiva, temprata da migliaia di concerti, ma, nella prima parte della carriera, forse, anche un po’ troppo tamarra e sopra le righe, “esagerata”, come dimostra il peraltro pregevole DVD e CD LivAt Paradiso, registrato nel famoso locale di Amsterdam https://www.youtube.com/watch?v=EbwggC8tdhU , e che ha inziato la sua fortunata storia con il pubblico olandese. Però la fama (sempre limitata, non da stadi o talent vari, anche se… https://www.youtube.com/watch?v=d26gbMol7IA notare la differenza tra le due) e i riconoscimenti della critica sono venuti con gli ultimi album, soprattutto quelli registrati in coppia con Joe Bonamassa, due in studio e uno del dal vivo, fantastico, registrato sempre ad Amsterdam http://discoclub.myblog.it/2014/04/11/potrebbe-il-miglior-live-del-2014-beth-hart-joe-bonamassa-live-amsterdam/.

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Se volete verificare la sua potenza di performer dal vivo non dovete fare altro che recarvi all’Alcatraz di Milano il prossimo martedì 28 aprile per l’unica data italiana del suo tour europeo (biglietti dovrebbero essercene ancora), OK, non è accompagnata da Bonamassa con la sua band, ma avendola già vista dal vivo nel suo primo passaggio in Italia, vi posso assicurare che è un evento da non perdere, Beth Hart è un vero animale da palcoscenico, degna in tutto e per tutto, vocalità, presenza scenica e repertorio, delle grandi cantanti del passato, ed in possesso anche di una genuinità e una simpatia che la rendono unica. Tornando al nuovo disco, forse proprio il repertorio potrebbe essere l’unico punto debole di questo nuovo Better Than Home https://www.youtube.com/watch?v=cWDMsvyHKQo : un disco basato su molte ballate scritte dalla stessa Beth, e pochi pezzi rock, soul & blues, come negli ultimi dischi in coppia con Bonamassa (ma tutti e due, separatamente, hanno già promesso che ci sarà un nuovo capitolo nel 2016, e se lo dicono entrambi c’è da crederci), non dimentichiamo comunque che andiamo a confrontarci con una seria di cover che vengono dal repertorio di gente come Billie Holiday, Etta James, Aretha Franklin, Ike & Tina Turner, ma anche Buddy Miles, Al Kooper, Melody Gardot, tra le nuove leve, e ancora Tom Waits, Ray Charles, Bill Withers, Delaney And Bonnie, quindi è quasi inevitabile che questi pezzi da novanta confrontati con le canzoni scritte dalla Hart possano risultare difficili da raffrontare https://www.youtube.com/watch?v=QgBff_8pJoQ . Ma persistendo nell’ascolto, come ha fatto chi vi scrive, questo nuovo album, alla lunga, ha un suo fascino e un suo perché.

Un brano come l’iniziale Might As Well Smile si pone nel solco di quelle ballate soul Memphis style che deliziavano le orecchie degli ascoltatori nel periodo d’oro di questa musica https://www.youtube.com/watch?v=SRpdpxRg5xs , punteggiata dal lavoro dei fiati e delle coriste la canzone è una piattaforma perfetta per ascoltare la voce della Hart, che in fondo è il suo punto di forza, tenera e vulnerabile, espressiva e potente, con un phrasing perfetto acquisito con il passare del tempo ed ora giunto alla maturità. Non guasta la bravura dei musicisti utilizzati, a partire da Larry Campbell, chitarrista che ha suonato con molti dei grandi, diciamo giusto Levon Helm e Dylan, l’ottimo Charlie Drayton alla batteria (con Madeleine Peyroux, Dar Williams e Bettye Lavette, ma anche con in passato con Keith Richards, Simon & Garfunkel, Neil Young, Johnny Cash e una miriade di altri), anche Zev Katz, il bassista, ha un CV di tutto rispetto. Le mie perplessità (e anche quelle di Beth, in alcune interviste rilasciate, dove esprimeva la sua riluttanza a lasciare un produttore come Kevin Shirley, con cui aveva lavorato benissimo negli ultimi album) risiedevano nel nome del nuovo produttore, arrangiatore e tastierista, tale Rob Mathes, uno che, partito, con Chuck Mangione, nel corso degli anni si era fatto un nome arrangiando eventi come il Pavarotti and Friends, l’insediamento di Obama alla Casa Bianca, i concerti al Lincoln Center, oltre ai dischi di George Michael, Panic At The Disco ed altre amenità del genere. Invece devo dire che l’album, pur non essendo un capolavoro, è decisamente, come dico nel titolo del Post, un “Bel disco”!

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Il formato musicale preponderante è la ballata, ma se i punti di riferimento sono l’Elton John anni ’70 (una delle passioni della Hart), il blue-eyed soul, le canzoni di Laura Nyro e Carole King, fatte le dovute proporzioni, per bilanciare, aggiungiamo una Adele, nei suoi momenti migliori, e con un carico di musica nera e gospel, che la giovane cantante inglese non ha nel suo bagaglio, forse più Rumer (con cui Mathes ha collaborato), un’altra innamorata degli anni ’70 e delle belle canzoni. Prendete due brani come Tell ‘Em To Hold On, una canzone pianistica strepitosa che potrebbe ricordare nella sua costruzione in crescendo l‘Elton John “americano https://www.youtube.com/watch?v=4TgrjTPlCsY , quello di Tumbleweed Connection, con retrotoni gospel ed una interpretazione vocale da sballo con Beth che lascia andare in libertà e a piena potenza la sua voce, o come un’altra ballata melodica e malinconica come Tell Her You Belong To Me, dove l’arrangiamento di archi (e fiati) accentua il tono appassionato della canzone, ricca di pathos, pochi tocchi ben piazzati di chitarra, il dualismo piano-organo e quella voce magica che galleggia sull’ottimo arrangiamento di Mathes (chiedo venia per avere pensato male) https://www.youtube.com/watch?v=CYABiE1-FAQ . Trouble è uno dei rari momenti dove la grinta proverbiale di Beth Hart esce allo scoperto, tra riff chitarristici che mi hanno ricordato i Beatles (perché? Non so, così, un’impressione) e voce sparata alla Tina Turner, quando divideva ancora i palchi con Ike, scariche di fiati all’unisono e quel pizzico di gigioneria che dal vivo verranno, immagino, ulteriormente, amplificati (vedere, e sentire, per credere)  https://www.youtube.com/watch?v=MGUA3eiNYH4. E che dire di Better Than Home, la title-track, una bellissima ballata mid-tempo melodica, quasi pop, ma di quello di altri tempi, con un giro di basso “geniale” che la percorre, e un ritornello che si memorizza con grande piacere.

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Pure St. Teresa rimane in questo spirito à la Elton John, con florilegi pianistici di gran classe e la vocalità trattenuta ma perfetta per questo tipo di brano, e addirittura in We’re Still Living In The City, se possibile, il suono si fa ancora più scarno, solo voce e una chitarra acustica, con gli archi sullo sfondo, e poi in primo piano, a colorare il suono, in un modo che Paul Buckmaster avrebbe approvato,  mentre in The Mood That I’m In va di groove, tra funky e swing, con una chitarrina pungente ed un eccellente lavoro d’assieme di tutti i musicisti impiegati e la voce sempre godibile di Beth, qui un poco più vivace, non ti dà la scossa di molti dei brani con Bonamassa, ma l’insieme è più mosso. Mechanical Heart è un’altra ballata struggente, quella scelta come motivo promozionale per presentare l’album prima dell’uscita https://www.youtube.com/watch?v=nM2N4BeRkFE,  bellissima, ariosa, radiofonica nel senso più nobile del termine, con gli archi che la avvolgono e la nobilitano in modo deciso. As Long As I Have A Song potrebbe, come ricordavo all’inizio, avvicinarsi alle sonorità di grandi cantautrici come Laura Nyro o Carole King, anche se con la voce di Beth Hart che è uno strumento di grande fascino di per sé. Conclude la bonus track (ormai un obbligo per le case discografiche) Mama This One’s For You, dove Beth siede al piano in solitaria per un sentito omaggio alla sua amata genitrice.

Concludendo, questo Better Than Home, più lo senti più ti piace, bisogna ascoltarlo diverse volte, ma poi ti entra dentro e anche se non ha la forza dirompente delle collaborazioni con Bonamassa ( e della sua chitarra) è forse il suo miglior disco da solista, o da cantautrice, se preferite. Comunque dal vivo è imperdibile!

Bruno Conti

Un Raffinato Quartetto: E Che Voce La Ragazza! Lake Street Dive – Bad Self Portraits

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Lake Street Dive – Bad Self Portraits – Signature Sounds

Il recente successo di Inside Llewyn Davis ha scatenato tutto un indotto intorno al film e alla colonna sonora, e in occasione del lancio del film, si è tenuto un concerto “One Night Only” dove alcuni musicisti, invitati da Burnett e dai fratelli Cohen, hanno cantato alla Town Hall di New York brani ispirati da quell’epoca gloriosa. Diventerà un CD/DVD, Another Day, Another Time, più avanti nell’anno (a marzo esce quello del film) ma non è inerente al CD di cui stiamo parlando, se non fosse per il fatto che i Lake Street Dive sono tra coloro che sono stati invitati da T-Bone Burnett per questa serata speciale e questo denota, secondo me, che si tratta di gente di valore http://www.youtube.com/watch?v=np3ru7z-PRE .

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Non fanno folk, ma qualcosa c’è, probabilmente, se non in piccola parte, non fanno neppure il jazz che gli viene attribuito come genere principale, ma fanno un pop assai raffinato e ricco di sfumature soul,  qualche brivido rock, folk e jazz intesi in un’ottica alla Laura Nyro o Carole King, in virtù del fatto che il gruppo ruota tutto intorno alla voce di Rachael Price, che è il motivo per cui questo Bad Self Portraits è così piacevole http://www.youtube.com/watch?v=crqkkXCGMyk . Non la solita da voce da cantante o cantautrice triste e malinconica che va per la maggiore al momento (e al sottoscritto ce ne sono molte che piacciono, è un genere che frequento con piacere, quindi non è una critica), quanto una bella voce pimpante, con dei piccoli timbri gutturali, di gola, alla Tony Childs, (ricordate?), oppure quelle voci bianche, ma innamorate della musica nera, un blue eyed soul semplice ma movimentato, musica che ha dei ritmi  vivaci e mossi, frutto di parecchi anni on the road, dove hanno affinato lo stile, portato alla luce da metà anni 2000, in quel di Boston, Massachusetts, con alcuni album, quattro in tutto, dove lentamente ma con progressi costanti, sono passati dalla indie jazz band degli inizi, al raffinato quartetto che pubblica questo nuovo lavoro per la Signature Sounds, probabilmente il loro migliore fino ad ora.

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Il disco è stato registrato in uno studio di una piccola cittadina del Maine, Parsonsfield, meno di 2.000 anime, mentre, come raccontano nelle note, un piccolo terremoto per fortuna innocuo si abbatteva sui dintorni del piccolo borgo. Non so se il tutto abbia contribuito a dare una piccola scossa alla loro creatività, ma il prodotto che ne è uscito è estremamente piacevole: il loro amore per il soul, la musica di Hall & Oates, i Beatles e in particolare Paul McCartney, i Fleetwood Mac, i Mamas and Papas, i Drifters, i primi Jackson 5 (su YouTube circola un video, dove, all’impronta, per le strade di Brighton, Ma., improvvisano una versione di I Want You Back http://www.youtube.com/watch?v=6EPwRdVg5Ug ), tutto questo confluisce nel CD, che non sarà di quelli che fanno svoltare la storia della musica, ma per chi ama tutti i nomi citati potrebbe essere una piacevole sorpresa.

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La Price è la frontwoman della band, e i tre musicisti che completano il gruppo scrivono tutto il materiale, Mike “McDuck” Olson, che oltre alla chitarra, suona anche tromba, trombone e piano, la bassista (anche al piano) Bridget Kearney, forse l’autrice principale e alla batteria Mike Calabrese, tutti contribuiscono al sound strumentale e vocale che è raffinato il giusto, senza eccessi. In effetti la Price ha anche una carriera parallela come cantante jazz, ma qui il pop-soul più gioioso impera: la Kearney al contrabbasso e Calabrese alla batteria “swingano” a tempo di rock-soul sin dall’iniziale title-track, giravolte di piano e chitarra, ambientazioni sudiste, accenni di doo-wop, la voce squillante di Rachael http://www.youtube.com/watch?v=nCHiB1IymBQ , ancora intrecci vocali beatlesiani in una Stop Your Crying ricca di energia 60’s. Better Than è soul music divina, con un organo in sottofondo, la voce di gola della Price e un assolo di tromba di Olson delicatissimo. Rabid Animal ricorda il miglior Billy Joel degli anni ’70 con un pianino insinuante http://www.youtube.com/watch?v=zSDeO66VxL8  mentre You Go Down Smooth ha l’energia irrefrenabile di Walking On Sunshine di Katrina And The Waves http://www.youtube.com/watch?v=GfOkqLxjaMI .

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Use Me Up si appoggia sul fantastico contrabbasso della Kearney e sulle tastiere di Sam Kassirer, il produttore del disco, che aggiunge dei piccoli tocchi di genialità al suono d’assieme della band. Anche Bobby Tanqueray ha quel suono volutamente retrò e arrangiamenti pop raffinatissimi, studiati per valorizzare la voce di Rachael Price. Just Ask avreste potuto trovarla su Back To Black di Amy Winehouse, con la voce che ha la stessa intensità della scomparsa cantante inglese, tonalità quasi perfette. Seventeen è un’altra costruzione sonora semplice e complessa al tempo stesso, con voci e strumenti che si incastrano alla perfezione e in What About Me, per una volta si fanno più aggressive, prima di lasciare spazio ad una ballata pianistica molto McCartney come Rental Love http://www.youtube.com/watch?v=5wUvzfz6F-A . Se vi piacciono le bravi cantanti e il pop raffinato qui troverete pane per i vostri denti!                                                                    

Bruno Conti

Attrici Che Cantano, Uhm…E Invece E’ Brava! Katey Sagal – Covered

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 Katey Sagal – Covered – Entertainment One

Un bel giorno, tra il lusco e il brusco, mi trovo tra le mani questo CD, Covered, molto bello, ma il nome della cantante, Katey Sagal, mi dice poco o nulla, anche se, come avrebbe detto Totò, quella faccia non mi è nuova (solo la faccia, nella battuta di Totò si alludeva ad altro)! Ai nostri tempi è diventato facile, digiti il nome su Google (o Yahoo o quello che preferite) e ti si apre un mondo: alla faccia si affianca una persona. Attrice, doppiatrice cantante, aveva fatto già due dischi, Well nel 1994 e Room nel 2004, quindi secondo la regola, più o meno, dei dieci anni, era tempo di farne uno nuovo. Ma torniamo, per un attimo, all’attrice: soprattutto serie televisive, una decina di stagioni di Sposata…con figli, anche di più, dal 1999, come una delle voci originali della serie a cartoni animati Futurama,e poi 8 Semplici Regole, The Shield, Lost, Boston Legal, dal 2008 Sons Of Anarchy, oltre a molte partecipazioni a film e telefilm.

Negli anni ’70 e ‘80, e questo ci interessa di più, ha fatto la corista, tra gli altri, per Bob Dylan e Bette Midler e di conseguenza deve avere stretto dei rapporti con il mondo della musica americana che si rivelano fondamentali per questo album. Intanto liberiamoci dai pregiudizi sugli attori che non sanno cantare, ce ne sono molti bravi, l’ultima che mi viene in mente è Minnie Driver, andando a ritroso, Billy Bob Thornton, Bruce Willis, eccetera, eccetera. Ma Katey Segal canta veramente bene, un bel contralto, una voce calda ed espressiva, per certi versi, appena un filo inferiore, mi ha ricordato la giovane Rumer, che tanto mi aveva impressionato negli ultimi anni, anche con il disco delle cover, Boys Don’t Cry, dello scorso anno. Come dice il titolo di questo album, Covered, siamo su quei territori, 9 canzoni, note, anzi notissime e un originale firmato da Bob Thiele Jr, che è anche produttore del disco e polistrumentista, e da Tonio K, vedo delle manine che si alzano, bravi, ricordate? Ma a differenza di altri casi, dove per perversi motivi, vengono scelte canzoni perlopiù oscure dai repertori degli artisti da interpretare, questa volta la Siegal, ha scelto tra il meglio che c’era in circolazione.

Free Fallin, di Thomas Earl Petty e Jeff Lynne (anche questo vezzo di scrivere i nomi completi degli autori è segno di rispetto), For A Dancer di Jackson Browne, Follow The Driver è l’unico brano originale, Goodbye di Stephen F. Earle, I Love You But I Don’t Know What To Say di Ryan Adams, Gonna Take A Miracle di Randazzo,Weinstock, Stallman, ma resa immortale da Laura Nyro, Orphan Girl di Gillian Welch, For Free di Joni Mitchell, Secret Heart di Ron Sexsmith, Roses And Cigarettes di Ray LaMontagne! Ma neanche nelle mix tapes dei vostri sogni c’è un repertorio così. E le fa un gran bene: con l’aiuto di gente come Matt Chamberlain alla batteria, Greg Leisz alle chitarre, Davey Faragher al basso, Freddy Koella al violino, Bobby Mintzer al clarinetto, Lyle Workman alla chitarra, tanto per citare alcuni dei musicisti impiegati nell’album. Ah, un certo Jackson Browne, come seconda voce, in una sontuosa versione di Goodbye di Steve Earle, con un’aria tipicamente messicana provvista dal laud e dalla banduria di Javier Mas e dal violino di Alkexandru Bublitchi (ha un qualcosa di Romance in Durango di Dylan).

Ma lei canta con voce vellutata tutti i brani, forse quello leggermente meno riuscito è l’iniziale Free Fallin’ troppo legato allo stile inconfondibile di Tom Petty, ma non è comunque una brutta versione. Bellissima Gonna Take A Miracle, soul raffinatissimo, soffusa For A Dancer, solo chitarra, pedal steel e organo, deliziosa la versione di Secret Heart di Ron Sexsmith, che ricordo in una interpretazione fantastica dell’autore in una puntata della trasmissione Spectacle di Costello. E poi il brano nuovo scritto appositamente per l’album che è una sorta di soul ballad alla People get ready, rivisata in chiave rock orchestrale. E il valzerone country rock del brano di Ryan Adams, con la pedal steel insinuante di Leisz, è poco bello? Anche il country-folk paesano del brano di Gillian Welch e la ripresa del capolavoro di Joni Mitchell, con lo splendido clarinetto di Mintzer in evidenza, confermano una sintonia completa con il lavoro di queste grandissime cantautrici. Roses And Cigarettes di Ray LaMontagne sancisce definitivamente che là fuori ci sono tante bellissime canzoni, basta saperle cercare, e cantare! Veramente una bella sorpresa, brava!

Bruno Conti

Novità Di Gennaio Parte II. West Of Memphis, Yo La Tengo, Villagers, Laura Nyro, Christopher Owens,Jimbo Mathus, Jeff Black, Eccetera

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 Eccomi di nuovo con le principali uscite relative al 15 gennaio e qualcosa già uscito. Intanto vi ricordo, perché lo avrete visto nei negozi di dischi (che a dispetto di quanto professano molti, per fortuna, esistono ancora), che, solo per il mercato italiano, in America e Inghilterra uscirà il 22, è uscito il doppio CD 12-12-12, distribuito dalla Sony Music.

Sempre la Sony/Bmg pubblica il 15-01 la colonna sonora del documentario West Of Memphis Voices For Justice, che racconta la storia del famoso crimine avvenuto a West Memphis in Arkansas nel 1993, nel corso del quale furono assassinati tre bambini di 8 anni e al termine di un nebuloso processo furono condannati 3 giovani, di cui uno solo maggiorenne, che dopo 18 anni e un altro “strano” processo, sono stati condannati (senza essere colpevoli, ma in seguito ad un accordo tra accusa e difesa) a 18 anni e 78 giorni e rilasciati subito dopo perché avevano scontato tutta la pena. Il documentario, presentato al Sundance Festival del 2012, diretto da Amy Berg e prodotto da Peter Jackson e Fran Walsh (quelli del Signore degli Anelli) e sponsorizzato, tra gli altri, da Eddie Vedder, Henry Rollins e Johnny Depp (che negli anni era diventato amico intimo di Damien Echols, l’unico maggiorenne tra gli accusati, all’epoca), già nel 2000 era stato oggetto di un progetto da parte dal mondo della musica per raccogliere fondi e tenere viva la vicenda (e Echols, che, non dimentichiamolo, era nel Braccio della morte) Free The West Memphis 3, con la partecipazione di Tom Waits, Steve Earle, Mark Lanegan, Joe Strummer, Eddie Vedder, John Doe e molti altri. Ora per questa nuova colonna sonora, che si annuncia come uno dei dischi più interessanti di questo inizio 2013, anche per la vicenda che tratta, sono stati coinvolti:

Track Listing:

1. Henry Rollins (feat. Nick Cave & Warren Ellis original score) – Damien Echols Death Row Letter Year 9
2. Natalie Maines – Mother
3. Lucinda Williams – Joy
4. Camp Freddy – The Jean Genie
5. Tonto’s Giant Nuts feat. Johnny Depp & Bruce Witkin – Little Lion Man
6. Marilyn Manson – You’re So Vain
7. Band of Horses – Dumpster World (Live)
8. Citizen Cope – DFW
9. Eddie Vedder – Satellite
10. Bill Carter – Anything Made of Paper
11. The White Buffalo – House of Pain
12. Bob Dylan – Ring Them Bells
13. Nick Cave & Warren Ellis – West of Memphis Score Suite
14. Tonto’s Giant Nuts feat. Johnny Depp (feat. Nick Cave & Warren Ellis original score) – Damien Echols Death Row Letter Year 16

Bonus Track:
15. Patti Smith – Wing (Recorded Live at Voices For Justice Benefit Concert – August 28, 2010)

Digital Only Bonus Track:
16. Bill Carter – Road to Nowhere

L’unico pezzo edito è quello di Dylan, il resto sono tutti brani inediti o versioni live di brani già noti.
 
 
Nuovo album per gli Yo La Tengo, si intitola Fade, uscito il 15 per la Matador e, a detta di molti ciritici, il loro miglior album da molti anni a questa parte (ma ne hanno mai fatti di brutti?). Registrato a Chicago con la produzione di John McEntire (Tortoise), se non frequentate già potrebbe essere l’occasione per ascoltare una delle migliori formazioni americane dell’ultimo trentennio. Non sembra ma sono in pista dal 1984 e l’alternative rock con cui vengono catalogati è un termine molto riduttivo, anche i Velvet Underground e i Television ai tempi erano “alternativi”, ma a cosa?
 
 
Secondo album per i Villagers, ovvero Conor J. O’Brien,con la partecipazione del chitarrista Tommy McLaughlin e anche se questa volta O’Brien non suona tutti gli strumenti come nel precedente Becoming A Jackal (che mi era piaciuto una cifra, come potete verificare anche-lui-di-nome-fa-conor-the-villagers-becoming-a-jackal.html ) questo nuovo Awayland mi sembra sempre molto buono (ho appena finito di sentirlo, poi se riesco ci torno in modo più dettagliato, ma non prometto). Etichetta Domino Records, è uscito anche questo il15 gennaio e ci sarebbe pure una versione Deluxe in vendita sul sito dell’etichetta, in tiratura limitata di 500 pezzi (con 5 brani extra, Live At Attica, bellissimi, quasi meglio del resto del disco). L’irlandese è un vero talento, se non avete l’altro album, magari iniziate da lì, ma sono eccellenti entrambi, consigliato!
 
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Il nuovo album di Jeff Black è il secondo capitolo della serie B-Sides And Confessions Volume Two, il titolo, viene autodistribuito tramite il suo sito su etichetta Lotos Nile, quindi non è di facile reperibilità, ma come il primo volume, che essendo uscito per la Dualtone è ancora reperibile, si situa tra le cose migliori di questo grande cantautore, residente nella Nashville “alternativa” Tra gli ospiti Sam Bush, Jerry Douglas, Matraca Berg e Gretchen Peters, con una giusta alternanza di brani acustici ed elettrici.
 
 
Nel 1976 Laura Nyro realizzò il suo ultimo grande tour americano, accompagnata da una band incredibile, dove spiccavano il chitarrista John Tropea, Mike Mainieri al vibrafono, Andy Newmark alla batteria, Carter Collins alle percussioni e Richard Davis al basso (mi sa che li ho detti tutti). Da quella tournée venne estratto il disco dal vivo Season Of Lights, inizialmente pensato dalla Columbia come un doppio LP, ma alla fine pubblicato come singolo (la Iconoclassic nella ristampa in CD del 2008 recuperò anche i brani mancanti). Quel disco proveniva da diverse date del tour, mentre questo Live At Carnegie Hall, pubblicato dalla All Access, riporta l’intero broadcast radiofonico del marzo 1976, con una ottima qualità sonora, nonostante la provenienza dubbia, e la stessa band stellare del live ufficiale. Un must per i fans (e non solo) di quella che è stata una delle più grandi cantautrici americane degli anni ’70 e probabilmente di tutti i tempi. Il dischetto è già disponibile da qualche settimana, anche se non di facile reperibilità
 

Christopher Owens, è uno dei nomi emergenti del nuovo rock americano, ex leader del gruppo indie Girls, con cui ha pubblicato due album, ora fa il suo esordio come cantautore per la Fat Possum/Turnstile con il disco Lysandre, un disco ricco di ballate dal suono melodico e molto curato, interessante.
 
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Manifestra di Erin McKeown viene pubblicato dalla etichetta personale della cantautrice americana, la TVT Records e, come ultimamente spesso è usanza, è stato finanziato con una raccolta di fondi attraverso la rete da parte dei fans, che in soli sei giorni, a tempo di record, hanno raccolto il denaro sufficiente per registrare questo nuovo album. Il disco esce anche in versione doppia, con il secondo CD che raccoglie i dieci brandi del disco in versione acustica, solo chitarra e voce. La McKeown fa parte di quel filone diciamo di folk-rock militante e alternativo da cui provengono Ani DiFranco, Josh Ritter, le Indigo Girls, Melissa Ferrick, Thea Gilmore e molti altri. Ma non disdegna anche del buon pop radiofonico come testimonia il brano Instant Classic. Partecipano al disco Anais Mitchell, Polly Paulusma, Sean Hayes e Ryan Montbleau che duetta nel brano citato.
 

Jimbo o James Mathus che dir si voglia, ex leader degli Squirrel Nut Zipper e di molte altre formazioni o in veste da solista, questa volta si avvale dei Tri-State Coalition per White Buffalo che viene pubblicato (la data ufficiale è il 22 gennaio, un anticipo delle uscite della settimana prossima) dalla Fat Possum. Lo stile oscilla tra country-roots stile Band, blues, rock, ballate e musica del sud degli States in generale e da quello che ho sentito mi sembra un gran bel disco.

Henry Wagons, era il leader, non so se ricordate, dei Wagons, una band australiana che però faceva un country-rock che più americano non si poteva in un disco omonimo molto bello, pubblicato nel 2011. Questo mini album con 7 pezzi Expecting Company?, in Australia è gia uscito da ottobre dello scorso anno, ma ora viene distribuito anche in America ed Europa la settimana prossima, tramite la Thirty Tgers. Come lascia intuire il titolo si tratta di una serie di duetti con Robert Forster dei Go-Betweens, Alison Mosshart dei Kills, Patience Hodgson dei Grates, Sophia Brous, per uno stile che mescola country, brani alla Nick Cave, gothic rock e Johnny Cash o Willie Nelson con ottimi risultati, da sentire!

Alla prossima (so che che questa è la rubrica più letta del Blog)!

Bruno Conti

Un’Erede Per Carole King e Laura Nyro! Diane Birch – Bible Belt

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Diane Birch – Bible Belt – S-Curve Records 2009

Devo ammettere, mia colpa, che qualche mese fa, la pubblicazione di questo disco mi aveva interessato, poi, non so perchè, l’ho accantonato senza più pensarci, ma i dischi belli non spuntano come i funghi e quando ho visto e sentito movimento nelle radio italiane e nelle televisioni e nell’industria discografica americana mi è tornato in mente con prepotenza e sono andato a risentirlo e, ragazzi, è veramente un gran disco! Quei nomi Carole King e Laura Nyro non sono fatti con leggerezza, questa Diane Birch è proprio brava, si è citata anche Carly Simon ma, secondo me c’entra poco, mentre Aretha Franklin e il Girl Group Sound degli anni ’60 (quello di Phil Spector), ma anche Brill Building e Philly Sound confluiscono nel melting pot sonoro di questo Bible Belt.

Scoperta da quel vecchio marpione di Steve Greenberg, lo stesso che ha scoperto Hanson e Jonas Brothers ma anche Joss Stone, per fortuna, il suo disco d’esordio è stato pubblicato nel maggio dello scorso anno negli States senza grandi risultati poi le voci si spargono, l’onda monta e ogni tanto della buona musica invade l’etere.

File under celestial pop-soul-gospel: gran voce, arrangiamenti che sembrano uscire dai solchi di Tapestry di Carole King o dal disco della grandissima Laura Nyro con le Labelle Gonna Take a Miracle (sarà un caso che il singolo tratto dall’album, quello che più ricorda il sound di quel disco si intitola Nothing But A Miracle?), questo è il video, sentite un po’.


L’album è co-prodotto dalla grande soul singer Betty Wright, ricreando il team che aveva realizzato il primo disco di Joss Stone e tra i musicisti coinvolti ci sono Adam Blackstone dei Roots, Cindy Blackman la batterista nera di Lenny Kravitz, George Porter il prodigioso bassista dei Meters, alla chitarra c’è Lenny Kaye del Patti Smith Group e il suono ne risente in  modo super positivo: sentite l’arrangiamento fantastico di Rise Up, con voci soul-gospel ovunque che si intrecciano con i fiati dove risalta un basso tuba, sullo sfondo un organo hammond d’ordinanza e su tutto la voce imperiosa di Diane Birch che guida le danze con vellutata autorevolezza.
Per Photograph mi tocca scomodare la grande Aretha Franklin, quelle soul ballad che a cavallo degli anni ’60 e ’70 la regina del soul sfornava a getto continuo, un arrangiamento raffinatissimo e completo che ti avvolge nella sua finta semplicità ed esplode in un finale gospel di devastante potenza e coinvolgimento, un piccolo capolavoro di equilibri sonori, grandissima musica.
Ma vi sfido a trovare un brano scarso, tredici brani tredici per cinquantacinque minuti di musica da ascoltare tutta d’un fiato.

Se Jay-Z e Kanye West non arriveranno a rompere le balle prevedo una grande carriera, intanto Letterman l’ha chiamata nel suo show, se niente niente pubblicassero anche l’album in Italia non sarebbe una cattiva idea.
Bruno Conti