Il Primo Disco “Importante” del 2016…Ma Non E’ Per Tutti! – David Bowie – Blackstar

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David Bowie – Blackstar – ISO/RCA CD – LP – 08-01-2016

Quando poco meno di tre anni or sono David Bowie tornò a sorpresa dopo dieci anni di silenzio assoluto con l’album The Next Day http://discoclub.myblog.it/2013/03/12/ancora-tu-ma-non-dovevamo-vederci-piu-david-bowie-the-next-t/ , fece quello che non molto spesso ha fatto nella sua carriera, ovvero dare al suo pubblico esattamente ciò che si aspettava, cioè un disco di puro e classico Bowie-sound, mossa abbastanza comprensibile in quanto, dopo un periodo di assenza così prolungato, era vitale per lui affermare al mondo di essere ancora in perfetta forma ed in grado di intrattenere come, con alti e bassi, aveva sempre fatto.

Con Blackstar (che esce, altrettanto a sorpresa, l’8 di questo mese, in coincidenza del suo sessantanovesimo compleanno) il discorso è diverso, in quanto David, essendo tornato tra noi in tutto e per tutto (anche se di concerti non se ne parla), si sente in pieno diritto di fare la musica che vuole e con chi vuole. E, nel caso di Blackstar, in una maniera che non accontenterà proprio tutti. Le prime recensioni online, tutte ugualmente entusiastiche (ma ormai Bowie è entrato a far parte della categoria degli intoccabili), parlano di un disco sperimentale e modernista, senza strizzate d’occhio pop al grande pubblico: tutto vero, anche se il musicista inglese ci ha spesso abituato a mosse spiazzanti (la trilogia berlinese degli anni settanta, le distorsioni hard dei Tin Machine, l’hip-hop presente su alcuni brani di Black Tie, White Noise, per non parlare dei due famigerati dischi di musica industrial e drum’n’bass Outside e Earthling), ma siccome io sono come San Tommaso volevo sapere se, a monte di tutto, il disco è bello o no.

Beh, sicuramente strano lo è, ed in certi punti anche parecchio, ma devo dire che al primo ascolto, benché piuttosto ostico in molti momenti, non mi è dispiaciuto affatto, anche se confido in futuri ascolti per migliorare ulteriormente il giudizio: certamente Blackstar non è un disco per tutti (e forse nemmeno per tutti i fan di Bowie), non è musica da mettere in sottofondo o da ascoltare in macchina, ma è prodotto benissimo (da David col fedele Tony Visconti), suonato alla grande ed il tanto temuto modernismo è quasi sempre tenuto a bada e dosato con gusto e misura. L’album (che non ha versioni deluxe particolari, ma non si sa mai dato che The Next Day era uscito di nuovo dopo pochi mesi con un intero CD in più, per la gioia di chi se lo era comprato subito) vede la presenza, insieme a Bowie che suona la chitarra acustica, di una sezione ritmica composta da Tim Lefebvre al basso e Mark Guiliana alla batteria, e di vari musicisti di estrazione jazz, un genere dal quale David ha sempre amato essere contaminato (l’ottimo Donny McCaslin, grande protagonista del disco con il suo sassofono, Ben Monder alla chitarra, con uno stile decisamente à la Robert Fripp, Jason Lindner alle tastiere), oltre al tanto temuto (da me) James Murphy, ovvero il DJ dietro il progetto elettronico LCD Soundsystem, che per fortuna limita il suo intervento alle percussioni in un paio di pezzi.

Blackstar, solo sette canzoni, si apre con la lunga title track (quasi dieci minuti), una mini-suite preceduta in rete da un video che definire inquietante è dir poco: una partenza obliqua, con una melodia ipnotica, le tanto temute sonorità “moderne”, una ritmica complessa ed il sax che è l’unica cosa suonata in maniera normale, anche se il tutto non fa certo pensare ad un singolo radiofonico. Poi al quarto minuto l’atmosfera si fa tetra, il ritmo cessa, arriva un coro che sembra provenire dall’aldilà, mentre David intona un motivo quasi normale (almeno per i suoi standard), anche se le stranezze non mancano, ed un finale straniante in cui spunta anche un flauto (anch’esso suonato da McCaslin). Un brano tutto sommato affascinante, anche se di difficile assimilazione. ‘Tis A Pity She Was A Whore non è del tutto sconosciuta (era sul lato B del singolo Sue (Or In A Season Or Crime uscito nel 2014), anche se per Blackstar è stata reincisa da capo a piedi: inizia con una batteria secca ed un sax che sembra cercare l’accordo giusto, poi Bowie comincia a cantare una melodia tipica delle sue (cioè non convenzionale), il ritmo si fa pressante ed il brano, nonostante qualche voluta dissonanza, non risulta affatto spiacevole, anche se non è esattamente la canzone da mettere ad un appuntamento galante.

Lazarus è il singolo corrente in radio in questi giorni (* NDB. Ed è anche la title-track del nuovo musical di Broadway scritto da Bowie https://www.youtube.com/watch?v=B_3mEWx2e_8): introdotta da basso e batteria, è più lenta della precedente brano, l’uso dei fiati e la melodia abbastanza lineare la rendono la canzone più fruibile finora, anche se i riff quasi distorti di chitarra tendono volutamente a rompere gli equilibri. Molto bello l’assolo di sax ed il lungo finale strumentale (ripeto, piaccia o non piaccia il genere, qui ci sono dei musicisti con le contropalle). Ed ecco proprio Sue (Or In A Season Of Crime), anch’essa in versione diversa da quella apparsa sull’antologia Nothing Has Changed: quella di due anni fa mi piaceva poco, e anche se questa rilettura più elettrica e “rock” (termine da prendere con le molle in questo disco) migliora le cose, io continuo a considerarlo un brano minore; Girl Loves Me inizia come una filastrocca allucinata, con la ritmica sghemba ed un synth sullo sfondo, siamo di nuovo sul versante “strano”, ma se finora tutto è stato abbastanza coeso e con un’idea di progetto, questo mi sembra fra tutti il pezzo più fine a sé stesso. Dollar Days è invece una sorprendente ballata pianistica dall’andamento canonico, con un sax soffuso, la chitarra acustica che finalmente si sente e la voce che tesse una melodia decisamente classica (e pure riuscita), finalmente il Bowie meno ostico, che ci regala una boccata d’aria fresca; I Can’t Give Everything Away, che chiude l’album a 41 minuti, torna solo parzialmente alle atmosfere del resto del disco, nel senso che la base è moderna (pur senza esagerare), ma il motivo risulta abbastanza orecchiabile, seppur nei canoni bowiani.

Quindi un lavoro volutamente spiazzante, nel quale però Bowie non arriva a punte di modernismo esasperato stile Earthling: non mi sento comunque di consigliarlo a chiunque, anche se, come ho già detto, ripetuti ascolti potrebbero far aprire qualche porta in più.

Marco Verdi

E Quelli Che Vendono I Dischi? I Migliori Del 2010 Secondo Amazon

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Ho scelto Amazon tra quelli che vendono dischi in rete per tre ragioni: perché si trova in tutto il mondo, perché iTunes ad esempio ti rimanda sempre alla classifica italiana o a qualche sito di rap o hip-hop che dice che dominano le classifiche e infine perchè altri non hanno classifiche basate sui giudizi critici e non sulle vendite. Ho scartato poi quelli troppo settoriali tipo Pitchfork. E anche perché è fatta in base ai giudizi dei “clienti”, cioè di quelli che comprano ancora dischi, cioè “noi”! Comunque ecco i risultati:

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Album Of The Year- Mumford And Sons – Sigh No More( anche se sarebbe del 2009, ma è uscita la nuova versione Deluxe)!

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2) Arcade Fire – The Suburbs

3) Black Keys – Brothers

4) National – High Violet

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5) LCD Soundsystem – This Is Happening

6) Kanye West – My Beautiful Dark Twisted Fantasy

7) Broken Bells – Broken Bells

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8) Vampire Weeekend – Contra

9) Deerhunter – Halcyon Digest

10) Big Boi – Sir Lucious Left Foot…The Son Of Chico Dusty

Ovviamente sono sempre più o meno i soliti, qui c’è la “sorpresa” dei Broken Bells.

Per curiosità, il video più visto dell’anno su Youtube con oltre 400 milioni di visite è Baby di di Justin Bieber. Non commento perché sono tanti ma penso delle cose che non dico!

Bruno Conti