Si Sa Che Le Piante Grasse Hanno Vita Lunga! Cactus – Tightrope

cactus tightrope

Cactus – Tightrope – Purple Pyramid/Cleopatra CD

Non so in quanti si ricordino dei Cactus, gruppo di Long Island formato nel 1969 dall’ex sezione ritmica dei Vanilla Fudge, ovvero il bassista Tim Bogert ed il batterista Carmine Appice (*NDB Io si! https://discoclub.myblog.it/2016/10/28/ci-riprovano-lennesima-volta-cactus-black-dawn/ ) . Fautrice di un hard rock con copiose iniezioni di blues (che li aveva fatti definire da qualche critico troppo entusiasta “i Led Zeppelin americani”), la band ebbe il suo momento di gloria dal 1969 al 1972, con la pubblicazione di quattro album che diedero loro una discreta popolarità; poi Bogert e Appice si unirono al grande Jeff Beck per registrare il seminale Beck, Bogert & Appice ed il gruppo si dissolse. Una prima reunion si ebbe nel 1976 per mano del cantante originale Rusty Day, ma la nuova formazione non consegnò alcunché ai posteri: per avere un nuovo album dei nostri bisognerà attendere il 2006 quando i redivivi Bogert e Appice (insieme anche al chitarrista originale Jim McCarthy, ex Detroit Wheels) pubblicheranno Cactus V, un lavoro peraltro abbastanza ignorato, cosa che peraltro capiterà anche a Black Dawn, uscito nel 2016.

Ora a sorpresa la band dello stato di New York ritorna con Tightrope, il loro settimo lavoro in studio: Appice è ormai rimasto l’ultimo tra i membri originali (Bogert ci ha lasciato nel gennaio di quest’anno, ma non faceva più parte del gruppo già da anni) e si è circondato di onesti mestieranti come il chitarrista Paul Warren (per anni con Rod Stewart), il bassista Jimmy Caputo, l’armonicista Randy Pratt ed il cantante Jimmy Kunes, con McCarthy che si limita ad una comparsata in un paio di canzoni. Devo dire in tutta sincerità che non mi aspettavo nulla di buono da questo nuovo lavoro della band, sia perché Appice è uno che per soldi suonerebbe anche nella sigla di Peppa Pig, sia per il fatto che il gruppo in sé è formato da comprimari, ed anche perché la Cleopatra (etichetta di Los Angeles che distribuisce il CD) spesso non è garanzia di qualità. Invece in parte mi devo ricredere: Tightrope non è certamente un capolavoro, ma neppure una ciofeca, ed in poco più di un’ora (forse anche venti minuti in meno sarebbero bastati) riesce ad intrattenere con una bella dose di rock-blues di matrice hard, un suono decisamente robusto che negli anni 70 andava per la maggiore.

Appice sarà quello che sarà, ma quando si siede ai tamburi picchia ancora come un fabbro, Kunes è un cantante sufficientemente potente ed espressivo e le parti chitarristiche non sono disprezzabili, anche se qua e là i suoni sono un po’ tagliati con l’accetta. Si parte in maniera potente con la title track, rock-blues roccioso con reminiscenze zeppeliniane sia nel sound che nel cantato: forse il songwriting non è proprio di prima scelta ma lo scopo viene comunque raggiunto grazie ad una buona tecnica ed una discreta dose di feeling. Papa Was A Rolling Stone è proprio la vecchia hit dei Temptations, anche se qui il pezzo viene completamente stravolto diventando una rock song sanguigna alla quale l’armonica dona un sapore blues; All Shook Up invece non è quella di Elvis ma una canzone nuova, un rock’n’roll con chitarre al vento e steroidi a mille, mentre Poison In Paradise è una riuscita ballatona elettrica dai forti umori blues, notturna, cadenzata e sinuosa.

Con Third Time Gone si torna a pestare duro, ma il suono di fondo ha forti connessioni southern, a differenza delle solide Shake That Thing e Primitive Touch che rimandano ancora all’ex gruppo di Page & Plant, pur non raggiungendo gli stessi livelli di eccellenza (e ci mancherebbe). Preaching Woman Man Blues è appunto un buon blues saltellante, adatto per la voce arrochita di Kunes ed abbastanza coinvolgente grazie anche all’ottima prestazione di tutta la band; Elevation, puro hard rock ancora dalle tinte blues, porta al pezzo centrale del CD, ovvero la lunga Suite 1 And 2: Everlong, All The Madmen, rock ballad soffusa e quasi psichedelica che rimanda decisamente al sound di fine sixties, con la chitarra di Warren che nel finale si erge a protagonista assoluta. La vivace Headed For A Fall, puro blues dal ritmo acceso, ed il rock anni 70 di Wear It Out chiudono un disco che, pur non essendo affatto imprescindibile, è molto meglio di quanto avessi previsto.

Marco Verdi