Strade Alternative Per Il “Country” Assolutamente Da Conoscere. Red Shahan – Culberson County

red shahan culberson county

Red Shahan – Culberson County – 7013 Records/Thirty Tigers

Avevo letto di questo signore perché Rolling Stone (che ultimamente non sempre è una rivista molto autorevole a livello musicale, ma forse stavolta ci hanno preso) lo aveva segnalato  tra i “dieci artisti country che devi conoscere”. In effetti  Red Shahan viene dal Texas, e la Culberson County del titolo è una delle contee più piccole dello stato della stella solitaria. E’ al suo secondo album, registrato a Dallas, ma lui ha vissuto anche a Lubbock: uno dei brani del disco è firmato con Brent Cobb, il cugino del noto produttore,  mentre Shahan viene accostato a Ryan Bingham (di cui usa il batterista Matthew Smith), Hayes Carll, Cody Jinks e altri fautori del West Texas Country. Ma sarà vero? Sono qui apposta, l’ho sentito per voi e ora riferisco: intanto aggiungiamo che il produttore è Elijah Ford, anche lui cantautore dal buon pedigree, che suona pure le tastiere, Charlie Shafter e Bonnie Bishop, alle armonie vocali, hanno pubblicato anche album a nome loro, il chitarrista Daniel Sproul ha sostituito Neal Casal negli Hard Working Americans, ma suona anche in un gruppo hard-rock, i Rose Hill Drive con il fratello Jacob, del batterista abbiamo detto, aggiungiamo Parker Morrow, vecchio amico di Shahan, da Lubbock, al basso. Country quindi? Uhm, forse,  almeno  a tratti.

Nell’insieme decisamente  buono, ma deve avere inghiottito anche un Bignami del rock, che poi usa ad arte nelle varie canzoni: e i gusti non sono per nulla da disprezzare. Si va da Water Bill che ha un riff preso dall’opera omnia dei Creedence o di John Fogerty,  innestato su un brano che ha un bel groove rock e un ottimo tiro chitarristico: anche Enemy va di rock and roll grintoso e pure gagliardo, a tutte chitarre, tipicamente americano.  Il nostro amico non ha una voce memorabile, ma comunque efficace e la band compensa alla grande, quando serve, come nelle atmosfere blues-rock della tirata 6 Feet,  dai testi bui e tempestosi, con la solista di Sproul in bella evidenza, un po’ come faceva il grande Philip Donnelly nei dischi di Lee Clayton, che potrebbe essere un buon paragone con Shahan. La title track Culberson County, che racconta degli esodi dei musicisti dal Texas a Nashville per trovare la fortuna, è una deliziosa ballata che coniuga chitarre acustiche e atmosfere alla Pink Floyd (quelli più bucolici) con coyote che ululano alla luna e finalmente atmosfere country, magari noir e desertiche https://www.youtube.com/watch?v=hTIer1fBmm0 ; Idle Hands addirittura miscela l’attacco di Dark Side Of The Moon con la versione di Magnolia che facevano i Poco su Crazy Eyes, molto suggestiva. How They Lie è un altro esempio dello stile più morbido impiegato da Red con profitto in molti brani, un brano dalle atmosfere sospese ed affascinanti.

Niente male pure Roses con una sognante lap steel che sottolinea i tempi pigri e rilassati della canzone, dove una twangy guitar è in agguato tra i solchi e la ritmica in questo caso macina country texano, di quello non tradizionale, un po’ come faceva il Lee Clayton citato poc’anzi. Someone Someday il pezzo firmato con Brent Cobb e Aaron Raitiere, sembra una rivisitazione moderna di Games People Play (il riff è quello) https://www.youtube.com/watch?v=SYgplX30qX8 , trasformato in un rockin’ country mid-tempo corale, con l’organo di Ford che lavora di fino (anche negli altri brani) mentre le chitarre non si tirano indietro. Come non fanno neppure nella “riffatissima” Revolution che sfiora quasi l’hard-rock, o comunque un southern molto robusto, con tutta la band sempre indaffaratissima  a spalleggiare le atmosfere più grintose e chitarristiche di Shahan, con l’ennesimo punto di merito per la solista di Devon Sproul, davvero indiavolata, mentre nella delicata Memphis, che sembra quasi un brano del miglior Jackson Browne, Red si fa accompagnare dalle deliziose armonie vocali della mamma Kim Smith. Insomma l’album cresce dopo ripetuti ascolti, questa aria di déjà vu musicale si fa meno marcata e si apprezzano le belle melodie, spesso avvolgenti, delle canzoni meno rock di Red Shahan, come la splendida ballata Hurricane, ancora graziata da una melodia vincente e la conclusiva Try, altro ottimo pezzo di struttura rock, ma con retrogusti country evidenti . Quindi concludendo, è molto bravo, prendere nota del nome, please.

Bruno Conti

Tra Country E Cantautorato Puro, Proprio Un Bel Dischetto! Elijah Ocean – Elijah Ocean

elijah ocean bad dreams

Elijah Ocean – Elijah Ocean – New Wheel CD

Non avevo mai sentito parlare di Elijah Ocean, musicista originario del Maine, anche se poi ho scoperto che aveva già tre album alle spalle, l’ultimo dei quali, Bring It All In, risale al 2014. Sulla copertina del suo nuovo lavoro, l’omonimo Elijah Ocean, vediamo un giovane con un look molto anni settanta, quasi da chitarrista blues (stile Rory Gallagher per intenderci), ma la musica contenuta nel dischetto è tutt’altro che blues. I vari siti parlano di Ocean come di un countryman influenzato da gente come Neil Young e Gram Parsons, ma queste informazioni sono perfino riduttive (anche se tracce dell’ex Byrds ci sono): Elijah ha infatti un suo stile, non è country nel senso stretto del termine, ma un cantautore dallo stile molto classico, decisamente anni settanta (quindi non solo nel look), che però usa il country come veicolo espressivo: a me personalmente ha rammentato Lee Clayton, un bravissimo outsider di cui oggi non si ricorda più nessuno, sia nello stile diretto ed asciutto che per il tipo di canzoni, belle ed orecchiabili nello stesso tempo.

Elijah Ocean è infatti una vera sorpresa, un piccolo grande disco di puro songwriting country, con dieci canzoni una più bella dell’altra, suonate con stile classico da un manipolo di musicisti bravi ma sconosciuti, e prodotto in maniera asciutta, senza fronzoli. Chitarre, pianoforte, steel ed un violino ogni tanto, oltre alla voce espressiva del nostro, che dimostra in questi dieci pezzi di avere una penna mica da ridere, riuscendo a coinvolgere fin dal primo ascolto, con sonorità che profumano di West Coast (mentre, come abbiamo visto, lui arriva dal lato opposto degli States), un album che inizia nel migliore dei modi con la splendida Bad Dreams, rockin’ country di grande presa, suono molto seventies e ritmo e melodia vincenti. Niente male anche Chain Of Gold, una ballata cristallina e solare, ancora con un motivo limpido ed un approccio da cantautore classico, mentre Malibu Moon è una toccante ballata costruita intorno ad un splendido pianoforte, chitarra ed un violino malinconico, davvero bella anche questa (il ragazzo deve aver sicuramente ascoltato anche il leggendario primo album solista di John Phillips, John, The Wolfking Of L.A.): solo tre canzoni, e la mia attenzione è già catturata al 100%.

Highway riporta al centro il ritmo, un travolgente rock’n’roll dal sapore country, con una bella slide ed il solito refrain accattivante, Desert Rain è lenta ed intensa, sembra una ballad californiana scritta nel 1971 o 1972, con uno script solidissimo, a conferma che Elijah sa il fatto suo. La gentile Barricade profuma di country & western, Heavy Head è di nuovo tersa, diretta, godibile, una delle più riuscite del disco, mentre Still Where You Left Me è puro country, chitarrone twang e solito sviluppo vibrante. Chiudono la cadenzata e deliziosa Time Passes Slow, dal consueto ritornello eccellente, e Days Are Long, una squisita folk ballad che sembra uscita di botto da Harvest (sentire per credere). Elijah Ocean non è uno qualunque, dategli una chance e sono convinto che non ve ne pentirete.

Marco Verdi

Dischi Dal Vivo Da 4 Stellette, Come Se Ne Fanno Pochi! Lee Clayton – Live At Rockpalast

lee clayton live at rockpalast cd+dvd

Lee Clayton – Live At Rockpalast – CD+DVD Repertoire

Sono passati più di 30 anni dagli eventi (musicali) raccontati in questo Live, e almeno 20 dalle ultime prove discografiche degli anni ’90 (anche se nel 2008 ha postato un suo video in solitaria su YouTube, solo voce e chitarra, di We The People, un brano nuovo, piuttosto bello, peraltro disponibile solo per il download, pare dalla sua base di Nashville, dove dovrebbe vivere tuttora, tutto molto “misterioso”), ma la sua musica, sentita oggi ha ancora un fascino inalienabile.

clayton00

Lee Clayton, considerato uno degli originatori del fenomeno “outlaw country”, soprattutto per quella canzone manifesto chiamata Ladies Love Outlaws, portata al successo da Waylon Jennings nel 1972, occhio alla cronologia, e che sarebbe apparsa nel suo primo album omonimo del 1973, uscito su etichetta MCA. Clayton, giustamente, è conosciuto (purtroppo non abbastanza) per quella fantastica trilogia di album pubblicati dalla Capitol tra il 1978 ed il 1981, soprattutto quello di mezzo, Naked Child, un disco elettrico e visionario come pochi, nelle liste dei migliori dell’anno della critica in quel periodo, con un suono dove l’outlaw country conviveva con un rock chitarristico ad altissima gradazione, impersonificato dalla figura del chitarrista irlandese Philip Donnelly, già con Donovan negli anni precedenti, e presente anche in Border Affair e nel successivo The Dream Goes On, che con la sua solista dai suoni acidi, taglienti e lancinanti, in quel periodo era uno degli axemen più ricchi di inventiva in circolazione. Nel disco di studio del ’79, erano presenti anche Klaus Voorman (il vecchio bassista della Plastic Ono Band) e Tony Newman (già con Jeff Beck e David Bowie, ora residente a Nashville, con cinque figli, di cui tre fanno i batteristi, perbacco!), una sezione ritmica che rese, soprattutto la prima facciata di quel disco, quasi perfetta.

Lee Clayton forse (anzi sicuramente) non è mai stato un grande vocalist, con quel suo cantar parlando che poteva avvicinarlo, per certi versi, a Lou Reed, uno che di chitarristi “bravini” ne ha sempre avuti e in seguito al James McMurtry del periodo in cui David Grissom era il suo solista, ma ovviava con una serie di canzoni che pur facendo della laconicità del canto una delle sue armi, avevano anche melodie ed arrangiamenti che molti contemporanei dell’epoca si sognavano, non per nulla anche il giovane Bono lo definì “l’unico cantante country che mi ha influenzato”, frase famosa riportata anche all’interno del ricco libretto nella confezione CD+DVD che racconta con dovizia di particolari e ricordi quel leggendario tour europeo, e che forse il buon Paul Hewson dovrebbe continuare a seguire, ma trattasi di altra storia.

Il sottoscritto confessa (ma è anche un merito) di averlo visto due volte dal vivo in quel periodo, come spalla di McGuinn e Hillman al Palalido di Milano e di supporto a Commander Cody al Venue di Londra: grandi concerti, come questo ripreso per il Rockpalast alla Markthalle di Amburgo il 9 gennaio del 1980, senza Klaus Voorman, ma con il bassista e conterraneo di Donnelly, Colin Cameron (peraltro presente in Border Affair) a sostituirlo. Il suono è comunque turbolento e fantastico, con la solista di Philip Donnelly, co-protagonista alla pari del concerto, che inanella una serie quasi infinita di soli incredibili, soprattutto in 10,000 Years/Sexual Moon, nella devastante The Dream Goes On, che sarebbe apparsa sul disco omonimo solo l’anno successivo, nella cavalcata fremente della fantastica, per mancanza di altri aggettivi, I Ride Alone (uno dei brani più belli di quegli anni e di sempre), una gagliarda Saturday Night Special, ripresa anche a fine concerto, l’intermezzo country (?!?) con Ladies Love Outlaws e If You Can’t Touch Her At All, un successo per Willie Nelson.

lee clayton borders affairslee clayton live 1

Senza dimenticare la loureediana Tequila Is Addictive, le folate R&R di Draggin’ Them Chains (anche quella presente solo l’anno successivo su The Dream Goes On, il disco più violento, ma sempre eccellente, della trilogia) e della tiratissima The Road, con l’incedere maestoso della batteria di Newman, sempre impegnatissimo a percuotere con vigore il suo strumento. Ottima anche la dylaniana The Road, con Clayton pure all’armonica e la dolce My True Love, uno dei rari momenti di quiete del concerto, aldilà dell’intermezzo country. Ma sinceramente non c’è una canzone scarsa in quella serata, un concerto imperdibile per chi vuole conoscere uno dei personaggi più misconosciuti di quel periodo, anzi se ancora non li avete e riuscite anche a trovare il doppio CD, già fuori produzione, che raccoglie i 3 dischi in studio di quel triennio, Border Affairs:The Capitol Years, vi fareste solo del bene. Se questo è country datemene decine di dischi così! A ben pensarci questo Live è uno di quelli da 4 stellette.

Bruno Conti