Questa Volta La Collaborazione Famigliare Non Ha Funzionato? Neil & Liam Finn – Lighsleeper

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Neil & Liam Finn – Lightsleeper – Inertia/[PIAS]/Self     

Neil Finn, per certi versi, è sempre stato uno “specialista” degli album collaborativi, soprattutto con altri membri della famiglia: negli Spli Enz divideva la leadership con il fratello Tim, insieme al quale, dopo la parentesi nei Crowded House, ha dato vita ai Finn Brothers, autori di un paio di album, e anche Paul Kelly è stato tra i suoi compagni di viaggio, Tra i tanti dischi della sua discografia solista forse il più bello è proprio l’album dal vivo collettivo 7 Worlds Collide, dove il musicista neozelandese collaborava con molti musicisti arrivati da tutto il mondo: Eddie Vedder, Johnny Marr, Ed O’Brien, Tim Finn, Sebastian Steinberg, Phil Selway, Lisa Germano, e i Betchadupa che nel 2002 erano la band del figlio Liam https://discoclub.myblog.it/2009/11/03/7-worlds-collide-sun-came-out/ (uno dei primi post del Blog, nel lontano 2009). Ma specie dal vivo i vari componenti della famiglia si sono trovati spesso sul palco, oltre a Neil, Tim e Liam, anche la moglie di Neil Sharon e l’altro figlio Elroy, rispettivamente al basso e alla batteria in alcuni brani di questo nuovo Lightsleeper.

In tre brani è presente anche Mick Fleetwood, e così sbrighiamo un’altra pratica, perché, per chi ancora non lo sapesse, Neil Finn sarà (insieme a Mike Campbell degli Heartbreakers) il nuovo chitarrista e cantante dei Fleetwood Mac per il tour autunnale, in sostituzione di Lindsey Buckingham (che però dice di essere stato estromesso dalla band, e non di essersene andato di propria volontà). Torniamo a questo album: ascolto il disco molto prima della sua uscita che sarà verso la fine di agosto, non ho moltissime informazioni ma sufficienti, per cui quindi mi affido soprattutto alla musica, che però, devo dire, non mi entusiasma. Il disco viene presentato come un incontro tra la sensibilità pop (e rock) del babbo Neil e lo stile più lo-fi e alternative del figlio Liam: in Back To Life che è il singolo che precede l’album ci sono anche i due musicisti greci Elias Dendias e Spiros Anemogianis, a bouzouki e fisarmonica, belle armonie vocali e un uso intelligente dello studio di registrazione, che è quello di Auckland di proprietà di Neil, per uno stile tra pop, qualche accenno di world music e traiettorie musicali raffinate, non lontane da quello di Peter Gabriel, che pure con una vocalità diversa e più “teatrale” potrebbe rimandare ai dischi dell’ex Genesis. Nell’iniziale Island Of Peace, preceduta da un breve preludio, c’è tutto un florilegio di electronics e tastiere da dove faticano ad emergere le abituali brillanti melodie di Finn,  ancora fin troppo annacquate nella morbida e zuccherosa Meet Me In The Air, cantata con un falsetto eccessivamente levigato, tutto molto raffinato, ma poca sostanza.

La lunga Where’s My Room si apre sul consueto tappeto di percussioni programmate, poi vira verso ritmi quasi dance sicuramente “moderni”,  ma che non sembrano consoni al solito sound della famiglia Finn e anche quando la melodia prende il sopravvento mi sembra molto sempliciotta e banale, sempre per i miei gusti ovviamente. In Angel Plays A Part, il primo dei brani dove Fleetwood siede alla batteria, lo spirito pop sembra prendere il sopravvento, la bella voce di Tim intona una piacevole melodia, nulla di memorabile, ma il tocco di classe non manca, anche se la canzone mi pare nuovamente involuta; Listen, una bella ballata pianistica, sempre molto “lavorata”, finalmente mostra il lato più interessante dei brani classici di Finn, con echi quasi Beatlesiani, diciamo lato Paul McCartney. Anche in Any Other Way si insiste con questo dream pop indie che è più farina del sacco di Liam, Fleetwood è ancora accreditato alla batteria, ma francamente non si nota molto; di Back To Life abbiamo detto, Hiding Place introdotta da arpeggi di acustica e piano, poi viene sommersa da un florilegio di tastiere che però questa volta non nascondono del tutto le melodie di Finn, benché al solito siano ”esagerate” e anche Ghosts non risulta particolarmente memorabile. Lasciando a We Know What It Means, l’ultimo brano con Fleetwood, il compito di risollevare il lato pop-rock dell’album, che si chiude sulla nota gentile della dolce e quasi acustica Hold Her Heart. Fin(n) troppo “sonnacchioso”. Esce domani.

Bruno Conti