Forse “Il Canto Del Cigno” Di Un Grande “Aborigeno” Australiano. Archie Roach – The Concert Collection 2012 – 2018

archie roach the concert collection

Archie Roach – The Concert Collection 2012 – 2018 – Bloodlines Records – Box 3 CD

Come promesso nella precedente recensione di Dancing With My Spirit https://discoclub.myblog.it/2019/05/11/a-volte-ritornano-ballando-sulla-storia-australiana-archie-roach-dancing-with-my-spirit/ , non ci siamo dimenticati di Archie Roach, cantautore australiano di origine aborigena (come i lettori di questo blog certo  sapranno), e quindi, grazie all’aiuto dell’amico Bruno, sono entrato in possesso di questo magnifico box The Concert Collection 2012-2018, una splendida serie di 3 CD di registrazioni dal vivo tratte dagli ultimi lavori più amati dallo stesso Roach, Into The Bloodstream (13), Let Love Rule (16), e, come detto, Dancing With My Spirit  (tutti puntualmente trattati su queste pagine virtuali dal sottoscritto).  Il primo CD combina le registrazioni dal vivo all’Arts Centre Di Melbourne nel Novembre 2012, e dello State Theatre di Sidney nel Gennaio 2013, annoverando ospiti “straordinari” come il nostro amico Paul Kelly, Emma Donovan, Dan Sultan, Jack Charles, e le immancabili sorelle Vika e Linda Bull. Il secondo disco cattura la registrazione effettuata nell’Ottobre 2016 al Melbourne Recital Centre, con la particolarità di avvalersi delle voci sublimi dei Dhungala Children’s Choir, e della Short Black Opera, mentre il terzo disco (quello più recente), è stato registrato alla Hamer Hall dell’Arts Centre di Melbourne il 6 Maggio 2018, con l’amato, premiato e osannato trio delle Tiddas, che insieme alla meravigliosa voce di Archie, crea e porta sul palco una magia armoniosa e rara. I musicisti che hanno accompagnato il buon Archie nel tour di Into The Bloodstream, erano come al solito una “line-up” di qualità che vedeva Craig Pilkington chitarre, banjo e tromba,  Jen Anderson al violino, mandolino e ukulele, Tim Neal all’hammond, Bruce Haymes alle tastiere, Steve Hadley alo basso, e Dave Folley alla batteria, con il contributo determinante di una sezione fiati con Paul Williamson al sassofono, Percy Landers e James Greening al trombone, Eamon McNeils e Phil Slater alle trombe, più una deliziosa sezione archi composta da Ceridwen Davies alla viola, Helen Mountfort al cello, e la brava Suzanne Simpson al violino, e come detto in precedenza le preziose armonie vocali delle storiche coriste Vika e Linda Bull.

Il concerto si apre con una introduzione strumentale di archi e trombe Sunrise, poi entra la calda e meravigliosa voce di Roach nella ballata che dà il titolo all’album Into The Bloodstream, per poi invitare sul palco la prima ospite Emma Donovan, e cantare in duetto una commovente Hush Now Babies, proseguendo nello stesso solco con la storia toccante di una dolorosa Old Mission Road, con la sezione fiati in evidenza, e dopo un inizio sontuoso di archi, cambiare ritmo nella galoppante “western-song”Big Black Train, seguita dal ritmo sincopato di una gioiosa Little By Little. Dopo i consueti e meritati applausi si riparte con i coretti “soul” di Dancing Shoes, cantata in coppia con Dan Sultan e irrorata da una robusta sezione fiati https://www.youtube.com/watch?v=W2qpjmtHtRI , per poi passare alla preghiera “gospel” di Heal The People, omaggiare il grande Paul Kelly con una melodiosa I’m On Your Side, ingentilita dalle voci di Vika & Linda https://www.youtube.com/watch?v=HtYtgWwQiB8 , per poi ricordare sua moglie Ruby con una straziante interpretazione di una dolcissima Mulyawongk (da pelle d’oca), e infine chiamare sul palco il suo amico Kelly per cantare insieme We Won’t Cry, dove a differenza della versione in studio, la canzone è resa più smagliante dalle trombe finali  e dalle voci delle coriste. Dopo un’altra ovazione del pubblico, il concerto si avvia alla fine con un altro “gospel” di matrice “dixie” come Wash My Soul In The River’s Flow, mentre la seguente Top Of The Hill è una sorta di romanza con l’apporto decisivo dello Skin Choir, si cambia ancora ritmo con le atmosfere di New Orleans di Song To Sing, e si va a chiudere un concerto magnifico chiamando sul palco il suo “compare” Jack Charles (un attore aborigeno australiano), per una replica spettacolare di We Won’t Cry (già cantata in coppia con Paul Kelly).  

Il secondo CD recupera una performance dal tour di Let Love Rule, mantenendo la solita “line-up” con l’aggiunta di un paio di musicisti sempre di “area australiana” ovvero Nancy Bates alla chitarra e voce, e Allara Pattison al basso, e come ospiti l’abituale Emma Donovan, Jessica Hitchcock e il coro Dhungala Children’s Choir, elementi indispensabili negli ultimi anni in tutti i concerti di Archie Roach. Come consuetudine  il vecchio Archie inizia i suoi concerti con la title track dell’ultimo album, e in questo caso si tratta di Let Love Rule, cantata meravigliosamente in coppia con Jessica Hitchcock e accompagnati dal Dunghala Children’s Choir, pezzo a cui fa seguito il suono di un mistico pianoforte che accompagna una ballata “soul” come Get Back To The Land https://www.youtube.com/watch?v=vFSuETutGvg , il moderno country australiano della solare There’s A Little Child, con in sottofondo il controcanto di Nancy Bates, e dopo un intro vocale che coinvolge il pubblico in sala, con una struggente versione per piano e voce della commovente Please Don’t GiveUp On Me. Dopo aver rimosso i fazzoletti si riprende con un’altra meravigliosa ballata cantata in duetto con la sua cantante preferita Emma Donovan, la dolce Love Sweet Love, totale cambio di  ritmo con la sbarazzina Spiritual Love, un’altra ballata di spessore come Always Be Here, e quindi le melodie notturne e tristi di It’s Not Too Late. La parte conclusiva del concerto vede ancora salire sul palco la Donovan per una baldanzosa Mighty Clarence River, dove spadroneggia il violino di Jen Anderson, e andare infine a chiudere alla grandissima con il moderno “gospel” finale di una sontuosa No More Bleeding, che per l’occasione viene accompagnata nuovamente dai cori di Dhungala Children’s Choir & Short Black Opera.

Il terzo CD è più recente e si riferisce all’ultimo tour, quello di Dancing With My Spirit, e di conseguenza a parte la polistrumentista Jen Anderson al violino, mandolino e ukulele, Bruce Haynes alle tastiere, e Craig Pilkington alle chitarre, accompagnano Archie nuovi musicisti di vaglia che rispondono al nome di Barb Waters alla chitarra slide, Archie Cuthbertson alla batteria, Ruben Shannon al basso, con il contributo determinante delle “riunite” e bravissime Tiddas (che sono Lou Bennett, Amy Saunders, Sally Dastey). La serata inizia con la delicata melodia di Dancing With My Spirit (non poteva essere altrimenti), e prosegue con il ritmo allegro di una orecchiabile My Grandmother con le tastiere in spolvero, per poi calare il primo asso della serata con la meravigliosa The River Song (un brano dedicato alla defunta moglie Ruby Turner), dove le parole, il cantato di Archie e la bravura delle Tiddas, regalano al pubblico continue emozioni, che proseguono con un’altra ballata di spessore come la dolce e suadente A Child Was Born Here. Dopo un prolungato applauso si prosegue con le armonie vocali di Morning Star, cantata in duetto con Amy Saunders https://www.youtube.com/watch?v=6WPkFT4sdJs , per poi tornare alle consuete ballate d’atmosfera quali F-Troop e Louis St. John dove imperversa il violino della brava Jen Anderson, e poi passare alle rinfrescanti note di Ever Watching e Heal The People. La parte finale del concerto vede Roach rendere omaggio alle Tiddas, che pescano dal loro repertorio una versione acustica di Come Into My Kitchen cantata sempre dalla Saunders, una corale Anthem (purtroppo non quella di Cohen), e una struggente Wild Mountain Thyme, cantata con voce rauca e baritonale da Archie, prima di andare a chiudere una ennesima serata sublime, con una danzante Dancing Shoes dal ritmo “caraibico” e  le Tiddas che coinvolgono il pubblico in sala con un coretto finale. Applausi meritati e giù il sipario!

Per chi ancora non conoscesse Archie Roach, secondo il sottoscritto, che come avrete capito lo ama visceralmente, si tratta di uno degli artisti più importanti australiani, un musicista che ha registrato dischi pluripremiati down under per quasi 30 anni, a partire dal suo album di debutto, lo storico Carchoal Lane del ’90, fino a questa ultima uscita, un cofanetto di registrazioni dal vivo, che viste le sue condizioni di salute (negli ultimi anni ha subito un ictus e perso un polmone a causa del cancro), forse potrebbe essere veramente il suo “canto del cigno” a livello musicale. Nel frattempo Archie Roach  ha continuato a scrivere canzoni che arrivano al cuore e alla mente della gente, canzoni che sono al centro della sua cultura “aborigena”, una “icona” locale che quando sale sul palco è in fondo un uomo solo, ma che attraverso la sua musica dà speranza e sostegno alla sua gente, immaginando per loro un futuro un poco più luminoso. Altamente consigliato (ma lo sapete e lo ribadisco, io sono di parte). Quindi lunga vita Archibald (speriamo)!

NDT: Giunge notizia che Roach stia attualmente scrivendo il suo “Memoir Book” che pare sarà nei negozi, con un CD di accompagnamento, entro la fine dell’anno.!

Tino Montanari

Altri Dispacci Da Down Under: Un Mito “Aussie” Sul Palco Della Sydney Opera House – Paul Kelly Live

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Paul Kelly – Live At Sydney Opera House – 2 CD ABC/Universal Records Australia

Bene, eccoci qui di nuovo in Australia: dopo Archie Roach e i Black Sorrows di Joe Camilleri, oggi torniamo a parlare di una autentica “icona” del panorama musicale nel continente australiano come Paul Kelly (ormai ospite fisso del blog, alla sua sesta apparizione, l’ultima questa https://discoclub.myblog.it/2017/08/28/dalla-botte-infinita-australiana-sempre-ottimo-vino-paul-kelly-life-is-fine/): un signore attivo fin dal lontano ’74 nelle sue varie espressioni artistiche, a partire dal primo gruppo The Dots, a cui faranno seguito i Coloured Girls, e anche la sua storica formazione dei Messengers, per poi giungere ad una lunga e fortunata carriera solista (ricca pure di notevoli colonne sonore). L’occasione per parlare di nuovo di lui ci viene data dall’uscita di questo doppio CD, il risultato di uno spettacolare concerto tenuto da Kelly nel piazzale della “mitica” Sydney Opera House (per farvi capire parliamo dell’equivalente della celebre Royal Albert Hall di Londra),  luogo dove Paul ci propone nella prima parte alcuni brani in versione acustica dall’album Life Is Fine, e nella seconda parte andando a pescare tutti i classici dal suo immenso “songbook”, con diverse “chicche” recuperate anche dalle sue produzioni con gli Stormwater Boys e la banda bluegrass Uncle Bill.

Così la sera del 19 Novembre 2017 nella incantevole “location” situata nella baia di Sidney, Paul Kelly voce, pianoforte e armonica, si porta sul palco una “line-up” composta oltre che da suo figlio Dan Kelly alle chitarre elettriche e acustiche, Bruce Cameron alle tastiere, Bill MacDonald al basso, Lucky Oceans alla pedal-steel, Peter Luscombe alla batteria e percussioni, con l’apporto come vocalist delle storiche e immancabili sorelle Linda e Vika Bull, dando vita come sempre ad una “performance” di assoluto rilievo. Il concerto inizia con un trittico di brani dall’album Life Is Fine, a partire dalla title track che viene riproposta in versione acustica (solo chitarra e voce), seguita dalla pianistica Rising Moon, sempre con un bel ritmo e valorizzata dai cori delle sorelle Bull, e dalla chitarristica Finally Something Good, per poi andare a recuperare da Gossip (86), inciso ai tempi con i suoi Messengers una gioiosa Before Too Long, e da Smoke (99) una galoppante Our Sunshine scritta con Uncle Bill. Dopo i primi meritati applausi di un pubblico entusiasta si prosegue con il ritmo indiavolato di Firewood And Candles, per poi passare al sofferto blues di una strepitosa My Man’s Got A Cold , cantata in modo meraviglioso da Vika Bull , ritornare alla ballata confidenziale con una delicata Letter In The Rain, e al piano sincopato di una bellissima I Smell Trouble.

Notevoli le commoventi e delicate note di una sognante ballata come Petrichor, nonché un nuovo tuffo nel passato dei suoi anni con i Messengers per recuperare dallo splendido Live May 1992 una armonica e melodiosa Careless e soprattutto una solare From Little Things Big Things Grow, una sorta di filastrocca nazionale cantata da molti altri noti cantanti australiani, tra cui Archie Roach e Sara Stoner, Missy Higgins, e il gruppo dei Waifs, per terminare in grande stile la prima parte del concerto. Dopo una giusta e meritoria pausa il concerto riprende con Sonnet 18, estratta dal recente Seven Sonnets & A Song (16), per poi andare a pescare dal suo repertorio di “classici” pure una gradevole Don’t Explain, con al controcanto Linda Bull, una ottima Love Never Runs On Time, tratta dal poco conosciuto Wanted Man (94), il gradevole folk-acustico di una sempre scoppiettante To Her Door, presente anche nel Live del 1992, oltre ad una Josephina dai sapori “pop”.  Con Deeper Water (95) si evidenzia una volta di più la bravura delle sorelle Bull, come pure eccellente è God Told Me, un brano alla Tom Petty estratto dai solchi di Stolen Apples (07),e anche il gradevole “groove” di Dumb Things non dispiace.

Viene anche meritoriamente recuperata una rock song come Sweet Guy , tratta da un album “polveroso” come So Much Water So Close To Home del lontano ’89, affidato alla grintosa voce di Linda Bull, per poi andare a chiudere il concerto con le calde atmosfere di How To Make Gravy (la trovate su Words And Music (93), e il “soul-gospel” di Hasn’t It Rained, dal capolavoro (almeno per chi scrive) The Merri Soul Sessions(14). Dopo una lunga ovazione e meritati e sentiti applausi, Paul Kelly riporta sul palco la sua band, e come spesso accade negli “encores” si trova sempre la polpa più gustosa, a partire dal recupero di una smagliante Sidney From a 727 che trovate sull’album Comedy (91), a cui fanno seguito una quasi dimenticata Look So Fine, Feel So Low (era su Post (85), come pure il rock sporco di una grintosa Darling It Hurts (Gossip (86), un brano delicato e soave come None Of Your Business Now da un album più recente, ovvero Spring And Fall (12), e ancora dal saccheggiato (Gossip) un pop-rock solare come Leaps And Bounds (con i Messengers), per poi andare a chiudere definitivamente il concerto con il soul gospel di una quasi “liturgica” Meet Me In The Middle Of The Air, che si trovava in Foggy Higway (05), in una versione di Paul Kelly con gli Stormwater Boys. Altri applausi meritati, giù il cappello e anche il sipario!

Paul Kelly è uno di quegli artisti di culto che difficilmente sbaglia un colpo, un veterano che viaggia verso i 65 anni, ma trova ancora spesso e volentieri la capacità e la voglia di scrivere grandi canzoni, dimostrando di essere forse il più grande cantautore australiano di tutti i tempi (sempre a parere di chi scrive), principalmente per il suo modo di raccontare la propria, e per questo motivo Live At The Opera House è un disco straordinario, anche per una leggenda come Kelly, per l’occasione in forma smagliante, in quanto nessuno o comunque pochi artisti al mondo possiedono un catalogo così invidiabile e variegato di canzoni, brani che tanti più celebrati colleghi vorrebbero poter vantare. Continuo a pensare, come ho detto altre volte, che Paul Kelly sia un artista fin troppo sottovalutato dalle nostre parti, ma per i tanti o i pochi che si avvicinano ora alla sua musica questa notte speciale, documentata nella recensione che avete appena letto, possa essere l’occasione per fare la conoscenza e di conseguenza scoprire il talento di un grande artista del continente situato “down under”. Manco a dirlo il doppio CD, uscito solo in Australia, non è per nulla facile da reperire, ma vale assolutamente la pena di fare uno sforzo per trovarlo.

Tino Montanari

Dalla Botte “Infinita” Australiana, Sempre Ottimo Vino ! Paul Kelly – Life Is Fine

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Paul Kelly – Life Is Fine – Cooking Vinyl Records

Succede che quando mi tocca parlare di Paul Kelly, mi devo sempre ricordare che mi trovo davanti ad una gloria nazionale dell’Australia, attivo fin dal lontano 1974, un singer-songwriter fantasioso ed eclettico (compone anche musiche per il cinema e il teatro, talvolta si propone anche come attore), e risulta vincitore di numerosi premi musicali in carriera. Detto questo, devo anche precisare che il buon Paul superati i sessanta anni si è scoperto autore molto prolifico, a partire da Spring And Fall (12), poi dalla riscoperta del soul con il bellissimo The Merri Soul Sessions (14), l’omaggio a Shakespeare con  l’intrigante Seven Sonnets And A Song (16), e, sempre uscito lo scorso anno, registrare una raccolta di “canzoni da funerale” con Charlie Owen Death’s Dateless Night (tutti puntualmente recensiti su questo blog dal sottoscritto), fino ad arrivare a questo ultimo lavoro Life Is Fine, che è un ritorno alle sonorità classiche “roots-rock” degli imperdibili primi album con la sua band Coloured Girls, in seguito rinominata Messengers.

Per fare tutto ciò Kelly richiama musicisti e amici di vecchia data (in pratica la stellare “line-up” di The Merri Soul Sessions), che vede oltre a Paul alla chitarra acustica e elettrica, piano e voce, la presenza di Cameron Bruce alle tastiere, organo e piano, Peter Luscombe alla batteria e percussioni, Bill McDonald al basso, Ashley Naylor alla slide.guitar, Lucky Oceans alla pedal steel, coinvolge la famiglia con il figlio (sempre più bravo) Dan Kelly alle chitarre, e non potevano certo mancare le fidate e superlative coriste Linda e Vika Bull, il tutto per una dozzina di canzoni di buon livello (in alcuni casi ottimo), che confermano che Paul Kelly è uno di quelli che difficilmente sbaglia un colpo. Il “vecchio ma anche nuovo “corso di Kelly si apre con Rising Moon molto vicina al mondo musicale del primo Graham Parker, seguita dalle chitarristiche Finally Something Good e Firewood And Candles, la prima con un finale valorizzato dalle sorelle Bull, la seconda dominata dalle tastiere di Cameron Bruce, lasciando poi spazio alla bravura della sola Vika Bull, che interpreta al meglio un lento blues fumoso quale My Man’s Got A Cold, perfetto da suonare a notte fonda in qualsiasi piano bar che si rispetti.

Si prosegue con la “radioheadiana” Rock Out On The Sea, che fa da preludio all’intrigante Leah: The Sequel, dichiaratamente sviluppata sul ritornello di un brano del grande Roy Orbison (la trovate anche nel famoso Black And White Night), per poi ritornare alla ballata confidenziale di Letter In The Rain (marchio di fabbrica del nostro amico), e ad una piacevole ritmata “rock-song” come Josephine, dove brilla la pacata tonalità di Paul. Con la bella Don’t Explain arriva il turno al canto di Linda Bull, canzone impreziosita anche da una chitarrina suonata à la My Sweet Lord di George Harrison, a cui fanno seguito ancora la bellissima I Seall Trouble, le note pianistiche di una ballata avvolgente come Petrichor, e a chiudere, la filastrocca chitarra e voce di Life Is Fine, per un disco in cui Paul Kelly, ancora una volta con le sue canzoni, sembra volerci ricordare che “la vita è bella”.

Come sempre in Life Is Fine tutto funziona a puntino, e ogni brano rivela la consueta personalità dell’autore (pur con le molteplici influenze della migliore musica americana): anche se rimangono poche le speranze che questo nuovo lavoro renda giustizia al merito del personaggio (che da ben 45 anni frequenta il mondo discografico), un artista in possesso di una maturità compositiva invidiabile, ricco di talento e inventiva, uno (tanto per dire) a cui se il sottoscritto potesse regalare, se non la fama almeno la gloria, con la famosa “Lampada di Aladino”, sarebbe certamente Paul Maurice Kelly da Adelaide, Australia!

Tino Montanari

Sempre Dall’Australia, Una “Libellula” Di Prima Grandezza. Kasey Chambers – Dragonfly

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Kasey Chambers – Dragonfly – Warner Music Australia – 2 CD

Da quando è tornata “signorina” Kasey Chambers (con il suo ex marito Shane Nicholson aveva inciso due ottimi lavori Rattlin’ Bones (08) e Wreck & Ruin (12)), non sbaglia più un colpo. A distanza di due anni da Bittersweet, al solito puntualmente recensito su queste pagine, ritorna con questo nuovo Dragonfly, il suo undicesimo album di studio, composto da venti canzoni suddivise in due CD, e con la particolarità che i due dischetti sono prodotti,  il primo dal noto cantautore Paul Kelly (abituale cliente di questo blog), e il secondo dal fratello Nash Chambers, il tutto ulteriormente valorizzato dalla partecipazione come ospiti in vari  “duetti” di artisti noti, come lo stesso Kelly, Foy Vance, Ed Sheeran, Keith Urban, e i meno noti Harry Hookey, Grizzlee Train, oltre alle immancabili coriste Vika e Linda Bull.

Questo nuovo lavoro, Dragonfly, quindi prosegue sulle certezze del passato, e il primo battito d’ali avviene con le Sing Sing sessions. Prodotte, come detto, da Paul Kelly, con l’iniziale Pompeii che è la perfetta introduzione con il suono tradizionale del banjo a guidare la melodia; pezzo a cui fanno seguito una splendida ballata come Ain’t No Little Girl dove Kasey dà il meglio di se stessa, come pure nelle dolci note di violino che accompagnano la bella Summer Pillow, e ancora nel country-gospel di Golden Rails, e nella cantilena sussurrata di Jonestown. Con Romeo & Juliet (chiariamo subito che non è quella famosa dei Dire Straits) arriva il primo duetto, con il cantautore irlandese Foy Vance (musicista di cui abbiamo parlato in occasione dello splendido Live At Bangor Abbey), con un abbrivio solo voce, poi la canzone si sviluppa in una ballata che profuma di Irlanda, ed è seguita da una scanzonata e spiritosa Talkin’ Baby Blues, dalla grintosa You Ain’t Worth Suffering For, mentre Behind The Eyes Of Henri Young è un raffinato e delizioso brano acustico, che prelude alla chiusura del primo disco con la ritmata Hey (in duetto con il grande Paul Kelly), e alla tensioni roots-rock di This Is Gonna Be A Long Year, dove la Chambers si riscopre  “rockeuse”.

Il secondo battito d’ali di questo doppio è affidato alle Foggy Mountains Sessions:si parte con il moderno “spiritual” Shackle & Chain, dove un coro quasi da antica piantagione ricorda le profonde tradizioni del sud, mentre la title track Dragonfly è sicuramente il momento più cool e raffinato del disco, seguita dalla rumorosa e intrigante If I Died, dal duetto con Ed Sheeran in una autoironica canzoncina country-pop come Satellite, per poi tornare alla danza quasi popolare di No Ordinary Man con Harry Hookey e le sempre brave sorelle Bull, e ad una dolce e raffinata If We Had A Child con Keith Urban, che fortunatamente per l’occasione è meno “tamarro” del solito. Ci si avvia alla conclusione con il “modern folk” di una galoppante Annabelle, il talk-blues di The Devil’s Wheel con gli emergenti australiani Grizzlee Train, e, infine riproposta in una versione simil “lounge” Ain’t No Little Girl, perfetta da cantare nel famoso The Irish Times Pub di Melbourne.

Kasey Chambers è una stella di prima grandezza del continente Australiano (anche questo disco è arrivato al n°1 delle classifiche down under), fin dal suo esordio con The Captain ed il successo planetario del suo secondo album Barricades & Brickwalls, che vendette più di 7 milioni di copie, avendo comunque buoni riscontri di critica e l’apprezzamento manifestato da molti colleghi, e soprattutto la stima e l’affetto crescente del suo pubblico (anche se per chi scrive sia in parte uno svantaggio il suo passaporto australiano), continua a sfornare ottimi dischi come questo Dragonfly, dove il sound, grazie alle produzioni citate, è semplicemente perfetto, con tracce sia di pop-rock quanto di tradizione (con una vocalità squillante alla Patsy Cline), cosa che farebbe la fortuna di molte altre sue colleghe. Peccato che i suoi dischi non siano facili da reperire e piuttosto costosi per noi europei.

La Chambers non è  mai stata e non sarà mai la Lucinda Williams australiana (troppo alta l’asticella da superare, per chi scrive), ma il suo talento la rende una musicista inconfondibile e anche a distanza di anni, la pone ancora una spanna sopra la media. Accattivante, piacevole e talora struggente!

Tino Montanari

Grande “Soul Music” Dalla Lontana Australia! Paul Kelly & The Merri Soul Sessions

paul kelly merri soul sessions

Paul Kelly Present The Merri Soul Sessions – Gawd Aggie Records 2014

Di questo signore (nato ad Adelaide nel ’55), vi avevo già parlato in occasione del precedente lavoro Spring And Fall (12) http://discoclub.myblog.it/2012/11/14/non-sono-le-quattro-di-vivaldi-ma-anche-queste-stagioni-piac/ (come anche del Live con Neil Finn http://discoclub.myblog.it/2014/09/06/due-leggende-australiane-sullo-palco-neil-finn-paul-kelly-goin-your-way/ ), una sorta di “concept album” sulle varie forme di amore. Paul Kelly, ha attraversato il mondo musicale australiano a partire dal lontano ’74, con  innata e inalterata passione, suscitando un grande interesse in patria, ma anche un discreto riscontro negli Stati Uniti e Inghilterra, vantando una discografia corposa (che comprende anche svariate colonne sonore), giunta con questo bellissimo The Merri Soul Sessions, al ventesimo capitolo in studio, riscoprendo nell’occasione, come è stato per il suo connazionale (leader dei grandi Black Sorrows), Joe Camilleri, l’amore (in tarda età) mai dimenticato,  per il genere “soul”.

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Questo nuovo “combo” oltre al babbo Paul alla chitarra ritmica, si avvale del figlio Dan Kelly e di Ashley Naylor alle chitarre, Cameron Bruce alle tastiere, Bill McDonald al basso, Peter Luscombe alla batteria e percussioni, e, come ospiti, una schiera di “lead vocalists” di grande valore, tra le quali le sorelle Linda e Vika Bull (già sentite nei primi imperdibili dischi dei Black Sorrows, e con altri artisti australiani come Archie Roach e John Farnham), la “prosperosa” Clairy Browne vocalist delle Bangin’ Rackettes, e due emergenti poco conosciuti, ma altrettanto bravi, come Dan Sultan e Kira Puru, che danno tutti un notevole contributo alle undici canzoni  firmate da Paul Kelly, con il mixaggio e la produzione dell’esperto e veterano Steven Schramn https://www.youtube.com/watch?v=mme6FnU2wSY .

paul kelly vika linda bullpaul kelly merri soul live

La partenza è fulminante, con una Smell Like Rain cantata da Linda Bull su un tappeto di tastiere e chitarre slide, seguita dalla sorella Vika che con What You Want ci riporta ai favolosi anni Motown e Stax, dove i brani erano impreziositi da coretti deliziosi https://www.youtube.com/watch?v=jypbzCXi-8g , mentre la travolgente Keep On Coming Back For More (forse il brano di punta del disco), è cantata con grande grinta da Clairy Browne, che lascia poi  il passo ad una ripescata (venticinque anni dopo) Sweet Guy, rifatta in modo scintillante dalla brava Vika. Con Righteous Woman, aperta dalle chitarre acustiche, si presenta al canto Kelly con la sua inconfondibile voce, mentre Don’t Let A Good Thing Go si avvale della voce fumosa di Dan Sultan, con i “famosi coretti” che ne accompagnano il ritornello, passando in seguito ad una stratosferica ballata soul Where Were You When I Needed You (composta appositamente da Paul per la Browne), e Clairy gli rende omaggio con una interpretazione che ricorda, tanto per volare bassi, Dusty Springfield e Aretha Franklin. Con Thank You si ripresenta Paul in una delle sue classiche ballate, seguita dalla paranoica tensione di I Don’t Konow What I’d Do, cantata da una sorprendente Kira Puru, e  andando a chiudere di nuovo con le sorelle Bull, che cantano in duetto una delicata Down On The Jetty https://www.youtube.com/watch?v=IR436Vrk8Kw , e “last but not least” il gospel Hasn’t It Rained, dove tutto il gruppo viene coinvolto a cantare, come se ci si trovasse sulle strade di Harlem.

Paul Kelly, nella sua lunga carriera, da buon Australiano, ha saputo mediare le influenze britanniche e quelle americane, condensando una forma pop e una cantautorale (Bob Dylan su tutti), ma con un piglio sempre onesto e genuino, che ora gli permette di fare un ennesimo disco di alto livello come questo The Merri Soul Sessions, dove tutto è al posto giusto, a partire dalla scrittura dei brani, supportato da arrangiamenti che saranno anche nostalgici, ma che fanno bene alle orecchie, al cuore e all’anima, un album suonato come Dio comanda, e, cosa non trascurabile, cantato da alcune tra le più belle voci in circolazione nella “terra dei canguri”. Come di consueto, una menzione particolare per la cover di Peter Salmon-Lomas !

Al solito, preparate il portafoglio: per gli amanti del genere questo lavoro merita un posticino nello scaffale di casa vostra. Imperdibile !

Tino Montanari

Non Sono Le Quattro Di Vivaldi, Ma Anche Queste “Stagioni” Piacciono! Paul Kelly – Spring And Fall

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*NDB In considerazione del fatto che i “miei collaboratori” ultimamente sono particolarmente prolifici, molte delle ultime uscite discografiche (soprattutto tra i cosiddetti “carbonari”) passano velocemente alla sezione recensioni, come nel caso di questo nuovo Paul Kelly, domani i Departed (spesso quando nessuno ne ha ancora parlato in Italia). Quindi la parola a Tino e la ricerca continua sempre.

Paul Kelly – Spring And Fall – Gawd Aggie Recordings – 2012

Tra i tanti piaceri musicali del vostro umile recensore (che si diletta a scrivere piacevolmente su questo blog), vi è anche quello di far conoscere artisti meritevoli, in questo caso l’australiano Paul Kelly, una gloria nazionale in patria (attivo fin dal 1974), ma al di fuori di “Down Under” lo conoscono in pochini (ma buoni). Vediamo di rimediare. Sesto di nove figli, Paul nasce ad Adelaide nel 1955 e dopo la scuola alla Christian Brothers School (dove impara a suonare la tromba), si trasferisce a Melbourne, dove la fiorente scena musicale dei pub gli permette di farsi notare con un suo gruppo, i The Dots, e di incidere i primi due album, Talk e Manila, dove si intravede un talento in gestazione, ma già con il seguente Post la versione australiana di Rolling Stone lo premia come miglior disco del ’85. A quel punto Kelly forma una nuova band (Coloured Girls) e incide Gossip (86,) straordinario doppio album, una raccolta di 24 canzoni che cementano la sua reputazione come cantautore di livello assoluto, seguiranno poi Under The Sun (88), So Much Water So Close To Home (89), Comedy (91), Hidden Things (92) incisi con la storica formazione dei The Messengers.  E ancora, negli anni seguenti, altri dischi splendidi per quanto sottovalutati, ad esempio Deeper Water (95), (probabilmente il suo capolavoro), sino ad arrivare a questo 19° lavoro in studio, Spring And Fall (preceduto da un megabox di 8 CD di materiale dal vivo inedito).

Paul Kelly, accompagnato dal noto produttore australiano e polistrumentista GregJ” Walker e dal nipote Dan Kelly alle chitarre, ha registrato l’album in un paese isolato tra le colline di Victoria, e come ospiti utilizza altri validi musicisti, tra i quali ricorderei i fratelli Dan e Peter Luscombe al pianoforte e batteria, Attila Kuti al violino, e le coriste, Laura Jean, nonché le bravissime sorelle Linda e Vika Bull. La particolarità del disco, una specie di “concept album”, è che si tratta di canzoni d’amore, (ognuna con collegamenti con il brano che segue), e tutto l’album nel suo insieme è una storia d’amore. Si inizia con una dolcissima New Found Year, seguita dal valzer cadenzato di When a Woman Loves a Man valorizzato dall’armonica, mentre For The Ages è un brano pop leggero ma elegante. Gonna Be Good , Someone New e Time And Tide sono da catalogare alla voce “ballate”, cantate al meglio da Paul, e hanno un calore che non è facile riscontrare nei dischi di oggi. L’influenza di Dylan si fa sentire in Sometimes My Baby, e a seguire una Cold As Canada dalla struttura melodica di grande impatto, e l’armonica dona nuovamente spessore ad una grande canzone che cattura sin dal primo ascolto, mentre I’m On Your Side dalla ritmica dolce, ha le chitarre sempre in evidenza. None of Your Business Now inizia con la voce in falsetto, poi entrano il violino e il dobro che accompagnano il brano verso i binari della musica tradizionale americana, e il disco si chiude con una pacata Little Aches And Pains con spunti di chitarra e slide, mentre una notevole “ghost track” (ormai quasi una regola) dimostra ulteriormente il valore di questo “veterano”.

Anche in questo Spring And Fall, composto da dodici canzoni scritte scrupolosamente dall’autore, si nota una vena compositiva invidiabile, dove le semplici ballate rendono piacevole l’ascolto e la pacata tonalità di Paul Kelly, ben si adatta agli arrangiamenti, retti principalmente dal suono della chitarra e dall’uso dell’armonica a bocca, strumento troppo spesso dimenticato negli ultimi tempi.

In definitiva un disco di pregevole fattura, ben confezionato (ma per ora di difficile reperibilità), che ci mostra un autore che ancora dopo 30 anni di carriera ha molte frecce al suo arco e che propone musica di qualità; chissà che al buon Kelly con questo CD (che non farà rimpiangere i soldi spesi), dai toni autunnali e per cuori ricettivi e sensibili, arrivi una certa visibilità e il meritato successo.

Tino Montanari

NDT.: Una menzione per la bellissima copertina di Peter Salmon-Lomas!