Uno Dei Tanti “Piccoli Segreti” Musicali Americani, Può Sbagliarsi John Fogerty? Bob Malone – Mojo Deluxe

bob malone mojo deluxe

Bob Malone – Mojo Deluxe – Delta Moon 

Un altro dei tanti piccoli “segreti” della scena musicale indipendente americana: si chiama Bob Malone, è nato nel New Jersey, ha studiato al Berklee College Of Music e vive in California, suona le tastiere nella band di John Fogerty dal 2010, ha già otto album solisti al suo attivo, compreso questo Mojo Deluxe. Che altro? Ah, il disco è assolutamente delizioso, quegli album dove si mescolano Rhythm & Blues, soul, rock, uno stile da cantautore a tutto tondo, con tocchi “indolenti” alla Randy Newman, Dr. John o il miglior AJ Croce, uniti al gusto per le belle canzoni, un florilegio di tastiere, piano elettrico Wurlitzer e clavinet, piano a coda, organo Hammond, se serve la fisarmonica: in più è in possesso di una voce espressiva, duttile e vibrante, in grado di districarsi tanto in una morbida ballata, quanto in un rock tirato, o in un blues sporco e cattivo https://www.youtube.com/watch?v=GQUYRVsM2m8 . Non bastasse tutto questo si circonda di ottimi musicisti, a partire da Kenny Aronoff, batterista dal tocco poderoso e compagno di avventura nella band di Fogerty, presente solo nell’iniziale Certain Distance, un bel rock deciso a trazione blues con in evidenza la chitarra, anche slide, del produttore Bob De Marco, che è l’altro grande protagonista del disco e potrebbe essere il Lowell George della situazione, di fronte al Bill Payne impersonato da Malone (perché c’è anche questo aspetto Little Featiano nel suono, in piccolo e con i dovuti distinguo, ma c’è).

Oltre ad Aronoff  sullo sgabello del batterista troviamo l’ottimo Mike Baird, un veterano che ha suonato con tutti, (dai Beach Boys a Joe Cocker e persino nella colonna sonora di Saturday Night Fever e anche una veloce comparsata con Dylan in Silvio), Jeff Dean e Tim Lefebvre si dividono il compito al basso, Stan Behrens (War e Tom Freund) con la sua armonica aggiunge un tocco bluesy alle procedure e, di tanto in tanto, una sezione fiati e un nutrito gruppo di voci femminili aggiungono un supporto speziato al variegato suono del disco. Che è uno dei tanti pregi del disco: dal vivace e tirato rock-blues dell’iniziale Certain Distance, con Aronoff che picchia di gusto, armonica, chitarre e tastiere si dividono gli spazi solisti, la voce di Malone è grintosa e ben supportata dalle armonie vocali di Lavone Seetal e Karen Nash, per un notevole risultato d’insieme. Ambiente sonoro blues confermato nella successiva Toxic Love, più felpata e d’atmosfera, con piano elettrico, un dobro slide e l’armonica che creano sonorità molto New Orleans, sporcate dal rock. Anche le scelta delle cover è quasi “scientifica”: Hard Times di Ray Charles, oscilla sempre tra il classico ondeggiare del “genius” e ballate pianistiche à la Randy Newman, con De Marco che ci regala un breve e scintillante solo di chitarra e Malone che canta veramente alla grande. Anche I’m Not Fine, va di funky groove, con piani elettrici ovunque e il solito bel supporto vocale delle coriste, e De Marco e Malone che aggiungono tanti piccoli ricercati particolari sonori.

Paris è una bellissima ballata pianistica, malinconica e sognante, con il tocco della fisarmonica sullo sfondo, contrabbasso e archi a colorare il suono, elettrica con e-bow e percussioni ad ampliare lo spettro sonoro, e la voce vissuta di Malone a navigare sul tutto, un gioiellino. Eccellente anche Looking For The Blues, di nuovo New Orleans style con fiati scuola Dr.John, ma anche quei pezzi movimentati tra R&B e rock del vecchio Leon Russell o di Joe Cocker, e la slide, questa volta nelle mani di Marty Rifkin, è il tocco in più, oltre alle solite scatenate ragazze ai cori. E anche Rage And Cigarettes, con i suoi sette minuti il brano più lungo, ha sempre quel mélange di R&B, rock e blues, tutti meticciati insieme dalla vocalità quasi nera di Malone che al solito divide gli spazi strumentali con l’ottima chitarra di De Marco https://www.youtube.com/watch?v=iSOdsWsVwqo . Il “vero” blues è omaggiato in una rilettura notturna della classica She Moves Me, solo piano, armonica, contrabbasso e percussioni, per un Muddy Waters d’annata.

Don’t Threaten Me (With A Good Time) di nuovo con un funky clavinet e una sezione fiati pimpante, oltre alla solita chitarra tagliente e al pianino folleggiante di Malone, ricorda di nuovo quello stile in cui erano maestri i citati Leon Russell e Joe Cocker una quarantina di anni fa, rock blues and soul. Di nuovo tempo di ballate con Watching Over Me che potrebbe essere uno dei brani meravigliosi dell’Elton John “americano”, delizioso, quasi una outtake da Tumbleeweed Connection. Chinese Algebra, un boogie rock strumentale scatenato, potrebbero essere quasi i Little Feat in trasferta a New Orleans, con il vorticoso pianismo di Malone in primo piano e per concludere in bellezza un’altra ballatona ricca di pathos come Can’t Get There From Here, altra piccola meraviglia di equilibri sonori come tutto in questo sorprendente album. Grande voce, ottimi musicisti, belle canzoni, che volete di più?

Bruno Conti  

“Puro” Country-Rock Anni ’70! Pure Prairie League – My Father’s Place, Roslyn, New York 1976

pure prairie league my father's place 1976

Pure Prairie League – My Father’s Place, Roslyn, New York 1976 – Live Wire 

I Pure Prairie League sono stati una delle formazioni migliori di country-rock nel periodo d’oro del genere nella prima metà inoltrata degli anni ’70, e su questo non ci piove. Hanno pubblicato dieci album tra il marzo 1972 quando usciva il primo omonimo LP e il febbraio 1981 quando veniva pubblicato Something In The Night, i primi otto per la RCA, gli ultimi due per la Casablanca. Ma i migliori sono i primi quattro, fino a If The Shoe Fits, il disco uscito nel gennaio del 1976 e che la band promuove in questo broadcast trasmesso dalla WLIR di New York, un concerto tenuto nello storico locale newyorkese My Father’s Place, con la seconda miglior formazione in assoluto della band, senza più Craig Fuller, che aveva dovuto abbandonare i PPL nel 1972 per strani problemi con la giustizia, dopo l’uscita del secondo album Bustin’ Out, quello per intenderci che conteneva Amie, la loro canzone più famosa, che però era diventata un successo solo nel 1975, a 3 anni dalla data di uscita originale. Poi Fuller, eccellente cantante, avrebbe avuto una buona carriera, prima con gli American Flyer, nel duo Fuller & Kaz e infine nei riformati Little Feat, a cavallo degli anni ’80-’90, da allora se ne sono un po’ perse le tracce anche se guida oggi i riformati Pure Prairie League con cui ha inciso l’ottimo All In Good Time del 2005, e che totalizzano ancora un centinaio di concerti ogni anno.

In questo concerto del 1976 Larry Goshorn è il nuovo chitarrista, entrato in sostituzione di Fuller dal 1974, mentre il leader e voce solista è George Ed Powell, con John David Call a pedal steel, dobro e banjo, che è il punto di forza della band, e Michael Connor alle tastiere, Michael Reilly al basso e Billy Hinds alla batteria, a completare la line-up. Diciamo che proprio a voler essere obiettivi al 100% i PPL,  per chi scrive, sono stati comunque un gradino al di sotto di formazioni come Poco, Flying Burrito, i primi Eagles, New Riders, Ozark Mountain Daredevils, New Riders e Nitty Gritty, ma secondo la critica americana, Bustin’ Out (per AllMusic il miglior disco country-rock di sempre) soprattutto e Two Lane Highway (per Rolling Stone alla pari con Sweetheart Of The Rodeo dei Byrds, una gemma assoluta nel genere) vengono considerati tra i migliori album in assoluto di country-rock nel periodo d’oro del genere e questo concerto non ha comunque nulla da invidiare al Live ufficiale Takin’ The Stage, uscito l’anno successivo, anzi il suono è più ruspante e meno “lavorato”.


pure_prairie_league_1377291284391

Le armonie vocali di Call, Reilly, Goshorn e Powell sono eccellenti, John Call alla pedal steel è eccezionale, alla pari con Rusty Young, Buddy Cage, Sneaky Pete e gli altri virtuosi dello strumento, mentre il repertorio ha anche sussulti di classico rock americano alla Doobie Brothers o Little Feat, momenti di bluegrass, e cavalcate chitarristiche, ma anche ampio uso di tastiere, come nella lunga e conclusiva You’re Between Me, uno dei brani scritti da Fuller o nella travolgente Aren’t You Mine con Call e Goshorn al proscenio https://www.youtube.com/watch?v=BX4XdAE30gk , per non parlare di Two Lane Highway un brano che non ha nulla da invidiare ai migliori Poco o Eagles https://www.youtube.com/watch?v=5WzBurY41_A , o la bellissima Amie, sempre di Craig Fuller, una delle più belle country-rock songs di sempre. Ottime anche Kansas City Southern un brano di Gene Clark guidato dalla incalzante steel di Call, le cover di I’ll Fix Your Flat Tire, Merle, scritta da Nick Gravenites, a tempo di western swing e il R&R classico firmato Buddy Holly di That’ll Be The Day. Come pure una Country Song estratta dal primo album, che tiene pienamente fede al proprio titolo, sempre sulle ali della steel di Call, veramente travolgente https://www.youtube.com/watch?v=JFcC6YCh-hE , e anche Harvest un brano di Goshorn che esplora il lato più rock della band, un po’ alla Loggins And Messina, per non parlare di ballate suadenti come Sun Shone Lightly https://www.youtube.com/watch?v=ClwYh84326c . La qualità sonora è più che buona, il contenuto merita e la band ci mette del suo, un buon documento degli anni dorati del country-rock, da non perdere.

Bruno Conti

Grande Musica Dal Sud Degli States! Victor Wainwright & The Wildroots – “Boom Town”

victor wainwright boom town

Victor Wainwright & The Wildroots – “Boom Town” – Blind Pig/Ird

L’etichetta è di Chicago, l’album è stato registrato tra la Florida e Memphis, Tennessee, dove vive il suo titolare, nato a Savannah, Georgia. Il risultato è un gran bel disco, non poteva essere altrimenti, perché l’aria che si respira dai solchi virtuali di questo CD è certamente quella: tanto blues, ma anche boogie woogie, soul fiatistico New Orleans style, tra Dr. John, Neville Brothers e Fats Domino, rock and roll, e rock sudista. Non per nulla Victor Wainwright, che anche fisicamente ricorda il “Dottore”,  è un pianista e organista “extraordinaire”, divide il suo tempo pure con i Southern Hospitality, l’ottima band sudista dove militano pure Damon Fowler e JP Soars, autrice di quel fantastico debutto che si chiamava Easy Livin’, pubblicato sempre dalla Blind Pig nel 2013, prodotto da Tab Benoit. Wainwright, ha “le physique du role”, anche extralarge, ma è un signor pianista, non per nulla vincitore del Pinetop Perkins Piano Player Of The Year ai due ultimi Blues Music Award del 2013 e 2014, nonché un cantante dalla voce perfettamente in linea con il fisico: rauca, vissuta, “grassa” (scusate!) e pimpante https://www.youtube.com/watch?v=74gYEbLQtqw  , in grado di convogliare sia lo spirito di Mac Rebennack (e anche del vecchio Leon Russell), quanto quello del citato Fats Domino, come i vocioni dei classici bluesmen, o nei momenti in cui i suoi Wildroots sembrano dei Little Feat in fregola, le tonalità vocali di Lowell George.

Questi Wildroots sono fior di band: tre musicisti ai fiati (e quindi qualche similitudine con combo tipo i Roomful Of Blues potrebbe pure starci), con Patricia Ann Dees anche dedita alle armonie vocali e voce solista con Victor in WildRoot Farm, Stephen Dees, il bassista, nonché chitarrista, vocalist, autore o co-autore di tutti i brani, compagno di avventura di Wainwright dai tempi del primo album solista di Victor, Piana From Savannah, uscito nel lontano 2005 e la cui title-track, un formidabile boogie woogie strumentale è presente in questo Boom Town. Aggiungete Stephen Kampa all’armonica, quando il blues si fa più urgente, e Nick Black alla chitarra, oltre a Billy Dean, batterista dal grande swing, e a questo punto ricordiamo anche gli altri due fiatisti, Charlie DeChant e Ray Guyser, tutti al sax, compresa la Dees. Si parte subito alla grande, con i florilegi pianistici di Wainwright, l’organo hammond di Chris Stephenson, i fiati che pompano, e la voce subito nella parte, potente e decisa, per una title-track minacciosa e poderosa che ci parla di un voodoo-rock-blues cadenzato e coinvolgente https://www.youtube.com/watch?v=SznI9mISJbg . Nella successiva Saturday Night Sunday Morning il ritmo aumenta vorticosamente e siamo in pieno R&R, un pezzo che avrebbe fatto vibrare anche i baffetti di Little Richard o le bacchette di Lionel Hampton ai tempi di Hey Ba-Ba-Re-Bop, fantastico. Anche Stop Me Bossin’ Me Baby rimane su queste coordinate, con Nick Black il chitarrista, voce duettante con Victor, uno è il rock, l’altro il roll, per questo swingante brano, dove piano, chitarre e tutta la band ci danno dentro sempre alla grande.

It Ain’t Got Soul – Part 1 sono i Little Feat in trasferta a New Orleans e in session con i Meters, grande groove e l’armonica di Kampa che si fa sentire, come Wainwright che raddoppia anche all’organo. When The Days Is Done è uno strano gospel soul con solo le voci di Victor, Dees, Black e Beth McKee (toh chi si risente http://discoclub.myblog.it/2012/03/04/musica-dal-profondo-sud-e-da-new-orleans-gran-bella-voce-bet/ ) accompagnate da percussioni, battito di mani, chitarra acustica e armonica. Genuine Southern Hospitality probabilmente prende il nome dall’altro gruppo di Wainwright (o viceversa) ed è un altro ottimo esempio di Little Feat sound, anche grazie alla slide dell’ospite Ernie Lancaster; altro fantastico boogie woogie è Two Lane Black Top Revisited, con le mani di Wainwright che volano sulla tastiera. WildRoot Farm, come ricordato, è un duetto con la Dees, puro Dr. John sound, sottilmente avvolgente, con Professor Stephen Kampa all’armonica, mentre per The Devil’s Bite arriva anche JP Soars all’acustica, un tuffo in atmosfere old time e fumose, con Wainwright che ricorda il giovane Tom Waits per lo stile vocale. Reaper’s On The Prowl, tra shuffle e surf music è un altro eccellente esempio della ecletticità di questo combo, con Back On Top che è un classico blues di quelli pigri e ciondolanti, il titolo preso a prestito dal chitarrista Robert “Top” Thomas, che duetta con il piano di Wainwright e l’armonica. In conclusione c’è WildRoot Rumble che è veramente un “rombo di tuono” di pezzo, un boogie rock devastante, chitarra, piano e armonica sugli scudi, ma tutta la band gira a mille e dimostra perché sono giustamente considerati uno dei migliori gruppi attualmente in giro nell’ambito del roots-rock e nelle cui fila milita uno dei pianisti più formidabili al momento in circolazione. Alzare il volume dello stereo e godere!

Bruno Conti

Capitolo 4: Gli Archivi di “Jimmy” Non Finiscono Mai! Jimmy LaFave – Trails West Lounge

jimmy lafave trail 4

Jimmy LaFave – Trail Four – Music Road Records/Ird

Dopo lo splendido The Night Tribe (sicuramente uno dei dischi più belli di quest’anno) http://discoclub.myblog.it/2015/05/18/sempre-buona-musica-dalle-parti-austin-jimmy-lafave-the-night-tribe/ , ritorna  Jimmy LaFave con il quarto capitolo dei suoi “Basement Tapes” personali (una sorta di bootleg series per fan, contenenti inediti e materiale radiofonico live). La “compagnia di giro” che accompagnava il buon Jimmy in queste performances era composta da Kevin Carroll alle chitarre, Herb Belofsky alla batteria, Stewart Cochran alle tastiere, Randy Glines al basso, Gary Primich all’armonica, Darcie Deaville al violino, e (occasionalmente) Gurf Morlix alla lap-steel, tutti splendidi musicisti in grado di dare alle canzoni (in buona parte covers), un gusto raffinato e professionale.

I “sentieri musicali”, in questo quarto capitolo, partono con una accorata Walking To New Orleans, pescata dal repertorio del grande Fats Domino (la trovate in qualsiasi raccolta), subito seguita da una delle più belle ballate del “nostro”, la pianistica When It Starts To Rain (Austin Skyline), per poi omaggiare J.J.Cale con il blues di Call Me The Breeze (Naturally) https://www.youtube.com/watch?v=cVPGPSn1lKk , setacciare come al solito l’amato repertorio “dylaniano” con le note She Belongs To Me, I’ll Remember You (meravigliosa), Chimes Of Freedom, e anche una It Takes A Lot To LaughIt Takes A Train To Cry rivoltata come un calzino e rifatta in versione blues https://www.youtube.com/watch?v=72l1dUuCDGM . I “sentieri” proseguono alla grande con Rocket In My Pocket dei grandi Little Feat di Lowell George (era in Times Loves A Hero), con una performance di Stewart Cochran al pianoforte che non fa rimpiangere il grande Bill Payne https://www.youtube.com/watch?v=YDGXZBLX5c4 , riproporre ancora una volta il “blues da saloon” di Route 66 Revisited, andando poi a recuperare dal repertorio di Townes Van Zandt una magnifica rilettura di Snowin’ On Raton (cercatela su At My Window), andando poi a chiudere con un brano poco conosciuto come Hideaway Girl (Cimarron Manifesto), e la canzone che chiude sempre i suoi concerti, una sempre sontuosa Worn Out American Dream (dal capolavoro Buffalo Return To The Plain), una ballata in perfetto stile Jimmy LaFave.

Mi auguro che questi ultimi lavori, The Night Tribe e anche questo Trail Four, facciano (ri)scoprire  un autore un po’ troppo colpevolmente sottovalutato,  a giudizio di chi scrive, e che gli archivi di  uno “dei figli prediletti del Texas” non siano ancora stati svuotati del tutto!

Tino Montanari

Una Sorta Di Moderna Nitty Gritty Dirt Band, Musica Solare E Deliziosa! Session Americana – Pack Up The Circus

session americana pack up the circus

Session Americana – Pack Up The Circus – Continental Song City / Ird

Come minacciato e promesso, eccomi a parlarvi dei bravissimi Session Americana, visti e sentiti domenica scorsa 3 maggio al Bar Trapani in quel di Pavia, con tanta bella gente e la presenza di personaggi famosi della musica italiana roots, come l’amico Ed Abbiati dei Lowlands, il chitarrista Maurizio “Gnola” Glielmo (è uscito in questi giorni il nuovo album della Gnola Blues Band, Down The Line), Veronica Sbergia e Max De Bernardi dei Red Wine Serenaders, e meno famosi come il sottoscritto e il titolare di questo blog, ma tutti abbiamo apprezzato con gusto la serata.

I Session Americana sono una “all-star-band” che si è formata a Boston nel 2004, iniziando il loro percorso con canzoni country tradizionali e brani classici della tradizione “bostoniana”, andando poi a rileggere pagine di autori come Jimmy Ryan, Mark Sandman (Morphine) e Dennis Brennan. Il loro debutto discografico avviene con Table Top People Vol. 1 e 2 (05), seguito a breve da The Blue Void Trilogy (06) e Table Top People Vol. 3: Beertown (07) che li porta ad avere una certa visibilità e diventare band di supporto di artisti quali Patty Griffin, Peter Wolf e Bill Janovitz dei Buffalo Tom tra gli altri. In seguito la formazione del Massachusetts pubblica una serie di album che vedono alternarsi diversi collaboratori, a partire da Diving For Gold (09), la registrazione di un Live (11), lo splendido Love And Dirt (13), fino ad arrivare a questo nuovo lavoro Pack Up The Circus (con cui si sono fatti notare anche dalle nostre parti), prodotto dalla brava Anais Mitchell.

session americana 1 session americana 2

Il nucleo base attuale della formazione (quello che si è esibito in questo mini-tour) è composto da Ry Cavanaugh alle chitarre, Billy Beard alla batteria, il polistrumentista Dinty Child al banjo, mandolino, organetto e fisarmonica, Kimon Kirk al basso, Jim Fitting all’armonica (componente con Beard anche dei Treat Her Right, storica band i Boston e “antenati” dei Morphine), e la brava italo-americana Laura Cortese al violino, e li vede proporre una musica che spazia dal folk al country, dal soul al bluegrass (con una delicata spruzzatina di jazz), ricca di armonie vocali (cantano tutti), alternando brani classici della tradizione americana, e brani originali composti da alcuni componenti della band.

session americana live session americana 4

Il viaggio “circense” del nuovo album inizia con il gradevole folk-pop della title track Pack Up The Circus, per poi passare alle atmosfere soul di Willing To The Lucky, il delicato swing diYou Always Hurt The One You Love, impreziosito dalle note della tromba e clarinetto, alla tenue ballata folk It’s Not Texas, e cambiare ancora ritmo con la trascinante Vitamin T, dai sapori “caraibici” . Il delicato violino della Cortese introduce una struggente ballata come All For You, per poi ritornare a percorrere i sentieri dello swing con Time Winds Me Up con l’armonica di Fitting in evidenza, alla marcetta Country & western di una piacevole Notary Public, andando a chiudere con due splendide ballate folk, la sognante Mighty Long Time dove spicca la lap-steel di Child, e il solenne incedere di una corale Dark Clouds, fatta su un tessuto di violini e fiati, che cala il sipario su un meraviglioso spettacolo sonoro.

La Session Americana è uno straordinario collettivo di musicisti, che oltre a quelli citati in queste righe annovera: Jon Bistine, Dietrich Strause, Jefferson Hamer, Alec Spiegelman, Adam Moss, Zachariah Hickman, Charlie Rose, Duke Levine, Eliza Carthy e Jennifer Kimball ( delle Story, nonché moglie di Cavanaugh, tanto per non fare torti), un gruppo che in patria ha ricevuto numerosi premi e nomination, diventando per l’area “bostoniana” una vera e propria istituzione. I loro spettacoli dal vivo sono travolgenti, con un vecchio microfono sul tavolo e i musicisti intorno che, a turno, intrecciano voce e strumenti (come se un gruppo di amici si trovasse a suonare insieme), con un mix di brani originali e cover d’autore di Gram Parsons, Emmylou Harris, Little Feat https://www.youtube.com/watch?v=buQ5OGvgDQg  (a Pavia hanno chiuso con una spettacolare versione di Pancho & Lefty del compianto Townes Van Zandt) https://www.youtube.com/watch?v=h_GuW2y_r3E , creando nel pubblico un’atmosfera di forte complicità e divertimento reciproco. Per chi ama il genere una formazione assolutamente da scoprire, che gestisce la sua musica come un continuo “happening”, con canzoni nel segno della tradizione popolare americana, ma contaminate in parte da sonorità moderne e altre volte recuperando i suoni “vintage” delle radici. Vivamente consigliato!

Tino Montanari

Una “Amica” Di Delbert McClinton. Etta Britt – Etta Does Delbert

etta britt etta does delbert

Etta Britt – Etta Does Delbert – Self-released

Ormai non è inconsueto venire a sapere che un artista abbia avuto una carriera quanto meno travagliata, spesso interrotta per motivi familiari e poi ripresa (specie in questi hard times che stiamo vivendo, quando l’arte deve comunque venire a patti con il sostentamento quotidiano e non è infrequente per i musicisti dover avere anche un lavoro quotidiano, da affiancare alla propria passione). Il caso di Etta Britt, nata Melissa Prewitt sul finire degli anni ’50 in quel di Lancaster, Kentucky e cresciuta poi in una famiglia numerosa a Louisville, non è tanto diverso: dopo una lunga gavetta vince una audizione per entrare in un gruppo vocale country, Dave & Sugar, che negli anni fra il 1979 e il 1984 ebbe vari singoli e album ai vertici delle classifiche di categoria di Billboard. Nel 1984 mentre già risiedeva a Nashville, si sposò con il chitarrista di studio Bob Britt, uomo di mille battaglie e dischi, avendo due figli e decidendo quindi di dedicarsi alla famiglia per aiutare le condizioni economiche non floride della economia domestica. Ovviamente la passione era sempre lì, e, soprattutto dagli anni ’90, quando inizia ad usare il nome d’arte di Etta Britt, la si ritrova spesso nei credits di molti album di country (ma non solo).

dave and sugar etta britt 1

Facendo un salto veloce per arrivare ai giorni nostri, la Britt viene (ri)scoperta da Sandy Knox, autrice musicale per Reba McEntire, che nel 2012, alla tenera età di 53 anni le procura il primo contratto discografico da solista e la possibilità di incidere un album, Out Of The Shadows, dove possa esprimere appieno le sue notevoli capacità vocali; nello stesso anno collabora anche con Paul Thorn e Scott Ramminger, spostando ulteriormente il suo raggio d’azione verso uno stile che includa blues, soul, R&B, rock, e un pizzico di country, ispirata dal sempre ammirato Delbert McClinton, che grazie ai diversi legami con Bob Britt (marito per una, fido chitarrista per l’altro), appare già nel primo album della Britt, duettando in Leap Of Faith, un eccellente brano di blues-soul-roots rock, il genere che possiamo associare ad entrambi https://www.youtube.com/watch?v=XXznrmvTwU8  . Ancora di più se consideriamo che il secondo disco di Etta Britt, questo Etta Does Delbert, è proprio un tuffo nella musica del grande McClinton. Ed è soprattutto un fior di album, veramente bello: una voce pimpante e roca il giusto, una band coi fiocchi, oltre al marito, che produce e suona la chitarra, l’eccellente Kevin McKendree alle tastiere, Steve McKeys al basso, Lynn Williams alla batteria, tutti, passati e presenti, membri della band di Delbert, con l’aggiunta, per dirla alla Cohen, delle deliziose sorelle McCrary, “ginnaste” della musica nera, e della sassofonista Dana Robbins in Jealous Kind..

Il risultato è un disco che suona come una iniezione di musica di gran qualità, con l’energia del rock, i ritmi del soul e del R&B, più vicino alle radici di Memphis (rispetto a Nashville, dove risiede) o al limite del Texas, dove ha svolto gran parte della sua carriera il Delbert McClinton, che, da solo o in compagnia, è l’autore di quasi tutti i dodici brani che compongono questo CD, The Jealous Kind, bellissima, non è sua, ma è come se lo fosse, una signature song https://www.youtube.com/watch?v=ZQXs11Dveys . Pezzi come l’iniziale Somebody To Love You, dove la voce di Etta (omaggio indiretto anche alla grande James?) ha una raucedine e una grinta che la avvicina a gente come Maggie Bell dei non dimenticati Stone The Crows (una sorta di Rod Stewart in gonnella), ma anche al groove di Delaney & Bonnie, o per restare in tempi più vicini a noi, della Tedeschi Trucks Band, in un vorticare di chitarre pungenti, tastiere, densi strati di voci di supporto, una ritmica “cattiva” il giusto, più rock che soul, o entrambi https://www.youtube.com/watch?v=KwVBlIE4WKA .

etta bob britt etta bob britt 2

Old Weakness (Comin’ On Strong) ha una andatura stonesiana, ma di quelli del periodo “americano”, con pianino d’ordinanza e riff chitarristici all’impronta, anche slide, al limite può ricordare pure i Little Feat o la migliore Bonnie Raitt, con la cui voce ha molti punti di contatto, o anche il citato Rod Stewart nella veste di soul rocker https://www.youtube.com/watch?v=xtHMEFguCzA . Non manca il rock’n’roll misto a blues della poderosa Boy You Better Move On, un duetto con Delbert McClinton, con le McCrary Sisters sempre fantastiche con le loro armonie. Startin’ A Rumour annovera tra i suoi autori anche Guy Clark, ed è una deep soul ballad ad alta gradazione emozionale, sentire che voci, la chitarra, l’organo Hammond, ma dove è stata tutti questi anni la signora! Lie No Better è un funky rock di quelli sanguigni https://www.youtube.com/watch?v=PH1F9GoWD_g , e Every Time I Roll The Dice, con la slide di Britt in bella evidenza, potrebbe ricordare addirittura alcuni brani del miglior Bob Seger https://www.youtube.com/watch?v=hwZQ86YnRIE . Ancora deep soul misto a cori gospel per la fantastica You Were Never Mine https://www.youtube.com/watch?v=iZyfkOuzwOI , mentre in Best Of me qualche elemento country-blues emerge, ma vi sfido a trovare un brano scarso, fino alla conclusiva When I Was With You, l’unico firmato dalla nostra, un blues dal feeling jazzy, assai raffinato. Al solito, se amate le belle voci femminili, qui ne trovate una di grande qualità.

Bruno Conti

Torna “Da Musicista A Musicista”. Jimmy Ragazzon Vs. Little Feat – Electrif Lycanthrope

little feat electrif

LITTLE FEAT – Electrif Lycanthrope – Ultrasonic Studio, New York, 1974 – Smokin’

Hola Amigos, Què Pasa?

E’ passato davvero troppo tempo dal mio ultimo contributo a questo bellissimo e libero blog, che il meritevole Bruno coltiva con amore e tanta, tanta passione. Per cui mi voglio scusare e fare ammenda, segnalandovi un piccolo gioiellino di una delle band a cui sono maggiormente affezionato,  i Little Feat del compianto Lowell George. Con la loro originale ed inconfondibile mistura di R&R, Blues, Folk, New Orleans Funk e Jazz-Rock Fusion, centellinati con cura nel loro suono, sono di certo tra i gruppi maggiormente sottovalutati di sempre. La voce, la slide e le inimitabili canzoni di Lowell, la chitarra di Paul Barrère, le tastiere senza limiti di Bill Payne ed una delle migliori sezioni ritmiche di tutti i tempi, cioè Richie Hayward alla batteria (R.I.P.)  Kenny Gradney al basso e Sam Clayton alle percussioni, sono stati, almeno fino alla prematura scomparsa di Lowell, quanto di meglio si potesse ascoltare, sempre se il vostro approccio alla musica fosse stato scevro da pregiudizi e/o chiusure mentali di qualsiasi tipo.

Little_Feat_-_Electrif_Lycanthrope-front-600x600 Copertina del vecchio bootleg

Tra i miei ricordi musicali più vividi c’è il momento in cui, a bordo di una Fiat 127 blu con un buon impianto stereo, ascoltavamo a manetta Waiting For Columbus appena uscito, posteggiati ai giardini della mia cittadina e spesso sloggiati dalle Gafe (i vigili urbani, in stretto slang vogherese) per il troppo baccano. Con l’aiuto di qualche blando tonificante, fu davvero una esperienza trascendentale ed indimenticabile, proprio per la massima energia, l’indiscutibile perizia tecnica dei musicisti (non dimentichiamoci la sezione fiati della Tower Of Power) e l’ironia, le storie e le battute contenute nei testi del Dottore del R&R. Il cambio di velocità in Tripe Face Boogie ci strappava letteralmente dai sedili, scagliandoci in mondi fantastici, più di qualsiasi additivo chimico-organico, anche di buona qualità…

little feat electrif ultrasonic

Come non ricordare personaggi come Juanita, la piccola tossica sexy, Monte 3 Carte, il camionista impasticcato di Willin’ (capolavoro!), Billy il Guercio e tutti gli altri tipi helzapoppiani, che si ritrovavano allo Spanish Moon, a Sausalito, in Bourbon Street o alla stazione merci di New Delhi…quanta bella roba e che tiro…(imprecazione/omissis)…

little feat 1

Beh, splendidi ricordi a parte, questo concerto del ’74, registrato piuttosto bene all’Ultrasonic Studio di New York e tramesso dalla WLIR  radio, riguarda il periodo intermedio della formazione suddetta, con brani tratti dai 4 album già realizzati, cioè da Sailing Shoes fino a Feats Don’t Fail Me Now.  Credo che questo sia un documento importante e consigliatissimo, con almeno lo stesso valore dei dischi in studio, e che dimostri (se ce ne fosse bisogno, ma non è questo il caso) la superba forza LIVE di questa band, riportandoci al periodo d’oro della musica rock, alla sua essenza stessa e ad una delle sue migliori espressioni in fatto di collettivo di musicisti.

little feat 2

Inoltre in questo concerto, nel classico e grandioso medley costituito da Cold, Cold, Cold/Dixie Chicken/Tripe Face Boogie troviamo, solo abbozzati e non sviluppati appieno come in Columbus, certi arrangiamenti un poco arditi e chiaramente ispirati alla Fusion di quel periodo (Miles, Weather Report ecc.). Questa forma musicale derivante dal jazz, fu molto amata da Bill Payne e soci, cosa che creò contrasti interni con Lowell, molto più legato al Blues e al Roots. Vanno anche citate una eccellente versione di Willin’ dalle perfette armonie vocali (ed un piccolo scherzetto) https://www.youtube.com/watch?v=yze10kM1fyI  l’iniziale Rock & Roll Doctor https://www.youtube.com/watch?v=O3Ev0Hht01o , eseguita con un groove degno della migliore Black Music ed una grande versione di On Your Way Down, del Maestro Allen Toussaint https://www.youtube.com/watch?v=PqGatDm-Nqg .

Altri tempi ed altra classe amici, ed uno dei più grandi artisti del R&R a tutto tondo, che ci avrebbe sicuramente regalato altre perle, se solo avesse rallentato un poco. Di Highlanders come Keith ne nascono pochissimi, ma il valore dell’eredità musicale lasciataci da Lowell George è molto importante ed attualissimo.

Quindi mi sembra giusto ricordarlo, condividendo con voi le parole a lui dedicate dai suoi compagni di viaggio e di musica. Parole che ora valgono anche per Richie Hayward, scomparso nel 2010, dopo una lunga lotta contro un male incurabile. Necessitava di un trapianto ma, malgrado il crowdfunding messo in piedi dalla band, altri famosi musicisti ed amici, i soldi non sono arrivati in tempo: e gli USA sarebbero un paese da cui prendere esempio? e la mutua??  la legge Bacchelli???  no comment, fratelli. Meglio lasciarci con questi versi, sinceri e commoventi:

Hey old friend, it’s been such a long time

Since I saw your smilin’ face pressed against my window pane

Though it’s the middle of the night

And we were racin’ the light of the mornin’

All those new thoughts dawnin’

About the wrong and the right

We spent our money so fine

The girls were standing in line

Every other night

Was always the same Paradise without any shame

We’d stay up all night

Tryin’ to find just the right rhymes

And we were fightin’ the good fight

Hangin’ on to the good times

Jimmy Ragazzon

P.S.

little feat today

Comunque i Feat sono ancora in forma ed attivi: ogni anno tengono una specie di convention per amici, fans e chiunque voglia partecipare e addirittura suonare con loro in Jamaica, e dove sennò.

Il prossimo anno, il Ramble On The Island, sarà sulla spiaggia di Negril, dal 4 all’8 marzo, con tutte le info nel loro sito:  littlefeat.net…se solo avessi due lirette in più…

Meglio “Solo” Che Accompagnato, O Anche Non Un Vero Texano Ma… Mike Zito And The Wheel – Songs From The Road

mike zito songs from the road cd dvd

Mike Zito And The Wheel – Songs From The Road – CD+DVD Ruf Records

Questa volta telecamere e tecnici della Ruf (o chi per loro), sono in trasferta in Texas, al Dosey Doe In The Woodlands, nei sobborghi di Houston. A differenza di altri titoli recensiti della serie, parliamo del DVD (visto che i contenuti sono più interessanti, e diversi, nel supporto video). La confezione si vende sempre insieme, il CD ha undici brani, il DVD tredici: però il DVD ha sei brani non presenti nel disco audio (più un lungo contenuto extra), che a sua volta ha tre canzoni non inserite nel DVD. Non facevano prima a farli uguali, dato che sono uniti? Sì, ma SSQCD (sono strane queste case discografiche, ci devono essere dei pensatori non indifferenti alle spalle di queste mosse)! Quello che conta è che il contenuto è tra i migliori in assoluto di questa serie Songs From The Road. Mike Zito, oltre ad essere uno dei Royal Southern Brotherhood, ha anche una avviata carriera solista, con i suoi The Wheel, e l’ultimo album, Gone To Texas , ma anche i precedenti non sono male, è stato segnalato da chi scrive tra le cose migliori in ambito rock-blues-roots-soul-southern, c’è un po’ di tutto nella sua musica e io ve lo ricordo http://discoclub.myblog.it/2013/06/15/girovagando-per-il-sud-degli-states-mike-zito-gone-to-texas/ .

mike zito 1mike zito 2

Anzi, vi dirò di più, lo preferisco in questa versione rispetto ai RSB. Ma torniamo sul palco, Zito è accolto come uno di casa (anche se in effetti è un texano oriundo di St. Louis, Missouri) sull’accogliente palco del piccolo locale caratteristico Dosey Doe, il pubblico è caldo e affettuoso e Mike li ripaga con una grande prestazione: Don’t Break A Leg, posta in apertura, sembra un incrocio tra James Brown e l’Average White Band, un funky-rock che, grazie anche alla presenza di Jimmy Carpenter al sax, scalda i presenti. Greyhound è subito un grande brano di stampo southern, ma con un riff stonesiano, venature soul e con Mike Zito bollente alla slide. I Never Kwew A Hurricane, scritta con il “socio” Cyril Neville, è un’ottima ballata deep soul che mette in evidenza la bella voce roca del nostro, nonché l’ottimo lavoro del sax di Carpenter, che è il solista del brano, e ottima spalla di Zito in tutto il concerto. Hell On Me è il primo Texas rock-blues, con chitarra, organo (Lewis Stephens, a occhio un veterano di mille battaglie) e sax a spalleggiare Mike, che inizia a pigiare sul pedale del wah-wah con mucho gusto. Notevole anche Pearl River, nuovamente firmata con Neville, uno slow blues di grande intensità, con Zito ispirato sia nella parte vocale come in quella solistica, con un assolo da sentire, per tecnica e feeling.

mike zito 3 mike zito 4

Dirty Blonde è sempre Texas blues, ma innervato anche da una dose di R&R, grazie alla presenza del sax e con Stephens che ci regala un bel intervento quasi barrelhouse al piano, prima di lasciare spazio alla solita chitarra malandrina. One Step At A Time è una bellissima canzone scritta da Anders Osborne, con Zito che passa all’acustica e trasforma questa ballata mid-tempo con accenti quasi segeriani (nel senso di Bob). Ottimo anche Subtraction Blues, un funky-blues-rock alla Little Feat, con Stephens e Zito che fanno i Payne e i Lowell George (o Barrére, fate voi) della situazione, mentre Judgment Day, scritta con Gary Nicholson, è il momento Stevie Ray Vaughan della serata, un ennesimo Texas Blues, ma di quelli veramente “cattivi”, sempre sostenuto dall’ottimo lavoro di raccordo del sax, la solista ci regala un assolo, diviso in due parti, teso e lancinante, rilanciato da un finale che termina in un’orgia di wah-wah. Gone To Texas è la canzone più bella di Mike Zito, praticamente la storia della sua vita verso la redenzione, un southern rock d’autore, cantato a voce spiegata, melodia ben delineata e la parte strumentale che ricorda la Marshall Tucker Band per quella interazione sax/chitarra (eh, Toy Caldwell, bei tempi).

Let Your Light Shine On Me, solo voce e chitarra acustica, è l’occasione per un simpatico siparietto, con la piccola figlia di Zito che sale sul palco ad “aiutare” il babbo, che poi, per il finale del concerto, passa a una bellissima Gibson Flying V azzurra, quella a freccia per intenderci, infila il bottleneck e anche un blues di quelli duri e puri, Natural Born Lover, torrenziale e travolgente, con la slide che vola scatenata sul manico della chitarra. L’ultimo brano, Texas Flyer, è un altro funky blues molto coinvolgente, con tutto il gruppo in spolvero. Negli extra del DVD, c’è una sezione chiamata Storyteller Videos (sulla falsariga della trasmissione di VH1) dove Zito racconta la genesi di tre suoi brani e li esegue in acustico: Tornando al CD, troviamo ancora una bella cover di Little Red Corvette di Prince, quasi springsteeniana, una “libidinosa” Rainbow Bridge, che ricorda ancora il miglior Seger e C’mon Baby, altra lunga ballatona struggente. Gli americani dicono “Value For Money”, non posso che ribadire, gran bella musica. La recensione è finita, ma me lo sparo un’altra volta e confermo, meglio “solo” (ossia senza RSO), che “male” accompagnato!

Bruno Conti   

Piccoli Tesori Riemergono! Paul Butterfield’s Better Days – Live At Winterland Ballroom

paul butterfiled better days

Paul Butterfield’s Better Days – Live At Winterland Ballroom – Wounded Bird

Paul Butterfield ha fronteggiato due grandi band nel corso della sua esistenza (1945-1987). La Butterfield Blues Band, che ha gli ha dato gloria imperitura, soprattutto con quella formazione dove le evoluzioni di Mike Bloomfield ed Elvin Bishop (ma anche Mark Naftalin e lo stesso Butterfield erano solisti di grandi spessore) sono state tra le più “avventurose” mai concepite nella storia del blues moderno, soprattutto nei primi due album, l’omonimo e il magnifico East West https://www.youtube.com/watch?v=NulCT6ZPXzU , meno nei dischi successivi, senza più Bloomfield, con Bishop e Naftalin che venivano affiancati da una sezione fiati dove spiccava il giovane David Sanborn, ancora bene in The Resurrection Of Pigboy Crabshaw, meno nei due successivi, e con il colpo di coda della esibizione al Woodstock Festival. Meno celebrata è la vicenda dei Better Days, altra grande band, che pubblicò solo due dischi, entrambi per la Bearsville, tra il 1972 e il 1973, prima di sciogliersi.

paul butterfiled better days albums

Però fecero in tempo a registrare questo strepitoso concerto il 23 febbraio del 1973 al Winterland Ballroom di San Francisco. Edito una prima volta in CD nel 1999, solo per il mercato giapponese su etichetta Victor (anche se al sottoscritto pare di ricordare che uscì anche per la Bearsville/Rhino, ma magari mi sbaglio) con note originali firmate da Geoff Muldaur, uno dei due chitarristi, che ricorda Butterfield e il bravissimo pianista/organista di New Orleans Ronnie Barron, entrambi scomparsi, rispettivamente negli anni ’80 e ’90. A completare la formazione c’erano Amos Garrett, l’altro chitarrista, uno dei più grandi stilisti dello strumento in ambito rock e blues, Bill Rich, che era stato il bassista di Taj Mahal e Chris Parker alla batteria, altro vecchio marpione della musica, che ai tempi aveva già suonato con Bonnie Raitt e Don McLean. E tutto questo senza dimenticare la presenza di Paul Butterfield, forse il più grande armonicista bianco del Blues, o comunque uno dei più grandi, spesso paragonato a Big Walter Horton, ma senza mai considerarlo un mero imitatore.

paulbutterfield25v paul butterfield

Il resto lo fa un repertorio scintillante e quello che otteniamo è un eccellente concerto, che si apre con una Countryide dove Paul sale subito al proscenio con la sua armonica per poi lasciare spazio alla chitarra di Muldaur e alla slide di Garrett, che si intrecciano all’organo di Barron, con un risultato che sfiora i migliori Little Feat dell’epoca, anche grazie alla strepitosa sezione ritmica che ha un drive micidiale, Butterfield rinviene più forte che prima nel finale. Buried Alive In The Blues è un classico di Chicago Blues, scritto da Nick Gravenites, ma qui grazie al pianino di Barron e all’attitudine deep south della band assume connotazioni quasi New Orleans, con i vari musicisti che si scambiano il ruolo di voce solista. Small Town Talk è quella bellissima ballata, scritta da Rick Danko e Bobby Charles, per il disco omonimo di quest’ultimo, qui ripresa in una versione delicata e coinvolgente https://www.youtube.com/watch?v=-YgJvTolJV0 , con le tastiere e l’armonica che si sfiorano senza mai collidere, mentre Garrett prosegue il suo lavoro di fine cesellatore della chitarra (in quegli anni lo si poteva trovare nei dischi di Geoff e Maria Muldaur, Jesse Winchester, Karen Dalton, Todd Rundgren, anche nel primo di Garcia).

bobby charles jerry garcia garcia

New Walkin’ Blues la riconosci subito, uno dei classici di Robert Johnson, qui in una versione elettrica e vibrante, con entrambe le chitarre a sfidarsi in un duello che cerca di riproporre, in parte riuscendoci, quelli della vecchia Butterfield Blues Band o del Taj Mahal, magari con Cooder e Jesse Ed Davis, di pochi anni prima https://www.youtube.com/watch?v=km6JPmQAglI . Spazio per Barron, che propone la sua Broke My Baby’s Heart, una costruzione sonora che deve in pari misura al New Orleans soul quanto al blues classico, con una notevole interpretazione dello stesso Barron, ricca di passione, grinta e feeling, come nella migliore musica della Crescent City https://www.youtube.com/watch?v=PCXUjRqLLWs .Highway 28 di Ron Hicks, potrebbe quasi ricordare le scorribande più vicine al rock della Band, con tutta il gruppo, ed in particolare la sezione ritmica, libera di improvvisare. Gran classe anche in una versione in punta di dita del grande classico di Percy Mayfield, Please Send Me Someone To Love, che è sempre un bel sentire, soprattutto un “magico” Amos Garrett.

Paul-Butterfields-Better-Days-with-Ronnie-Barron geoff muldaur amos garrett

Ma il centrepiece del disco e del concerto è una versione monstre di quasi 15 minuti di He’s Got All The Whiskey, un’altra composizione di Bobby Charles, nella cui versione di studio suonavano proprio i Better Days https://www.youtube.com/watch?v=5B7iSQAXGZo , qui liberi di improvvisare in modo stupendo, ancora vicini alle evoluzioni che in quel periodo si potevano ascoltare solo dai migliori Little Feat o dalla Band, con Barron, Garrett, Muldaur e Butterfield, grandissimo quest’ultimo, che gigioneggiano e giganteggiano, se mi passate il bisticcio, con una classe e una passione irrefrenabili. E non è ancora finita, manca una Nobody’s Fault But Mine, attribuita a Nina Simone, ma qui in una versione blues/gospel, elettrica e di grande intensità, a concludere una serata unica per una grande formazione che il tempo ha dimenticato https://www.youtube.com/watch?v=Fwh4ZQAFe9Q . Semplicemente bella musica!

Bruno Conti

Altro Grande Doppio Album Southern Dal Vivo (Ma Anche Triplo)! Blackberry Smoke – Leave A Scar Live North Carolina

blackberry smoke leave a scar cd dvd

Blackberry Smoke – Leave A Scar Live North Carolina – 2CD o DVD 3 Legged Records – 2 CD+DVD Earache Records

Alla luce del recente, ottimo, Early Morning Shakes pensavo che la punta di diamante del nuovo southern rock statunitense fossero i Whiskey Myers http://discoclub.myblog.it/2014/02/18/vero-southern-rock-whiskey-myers-early-morning-shakes/ . E invece devo ricredermi, con questo doppio CD dal vivo i Blackberry Smoke si aggiudicano lo scettro di nuovi re del rock sudista https://www.youtube.com/watch?v=UaGoEPx1yyc . Gli ingredienti ci sono tutti, capelli lunghe, barbe, cappelli (per quanto nel live il batterista Brit Turner esibisca una vistosa bandana), ma soprattutto tante belle canzoni, tredici delle quali (tutte praticamente) provengono dal loro ultimo album di studio del 2012, The Whippoorwill, disco pubblicato anche in Inghilterra dalla Earache con due tracce in più (ed in effetti, a metà agosto, la stessa etichetta ha edito la versione europea di questo Live, con il CD ed il DVD in una unica confezione https://www.youtube.com/watch?v=ZKCKERcqbF0 , il cosiddetto Combo, altrimenti reperibile solo sul loro sito a 40 dollari). Ultimo dettaglio tecnico: per i misteri della tecnologia, il DVD, che come tipo di supporto può contenere più materiale rispetto al CD, riporta solo 18 brani contro i 22 del doppio album, per cui se trovate il combo meglio.

blackberry smoke 1

Tornando ai Blackberry Smoke, un altro lato distintivo della formazione è quello di provenire da Atlanta, Georgia, una delle capitali della buona musica, nel Sud degli USA. Rodato da circa 250 date all’anno il gruppo arriva all’appuntamento con il classico doppio dal vivo nel migliore dei modi: questo Leave A Scar Live In North Carolina non ha nulla da invidiare ai grandi dischi live doppi che, chi più chi meno, hanno fatto la storia del genere, Live At Fillmore East degli Allman Brothers, Where We All Belong della Marshall Tucker Band (va bene, c’era anche materiale di studio https://www.youtube.com/watch?v=a4Fr5US7Iqs !), One More From The Road dei Lynyrd Skynyrd, il doppio degli Outlaws e quello dei Molly Hatchet, aggiungiamo qualche capitolo delle varie Volunteer Jam di Charlie Daniels, per illustrare anche un lato più country rock che appartiene pure ai Blackberry Smoke, in virtù delle collaborazioni passate con Zac Brown, Jamey Johnson e George Jones, controbilanciato dal rock stonesiano alla Black Crowes o Georgia Satellites, che ogni tanto affiora nei loro brani.

blackberry smoke 2

Un altro dei punti di forza del gruppo è Charlie Starr, cantante carismatico, ottimo autore, seconda chitarra solista, in possesso di una voce che ti può accarezzare nelle ballate o nei pezzi country, dove assume, di volta in volta, tonalità alla Steve Earle, Russell Smith o Bob Seger, o travolgerti con la sua grinta e potenza, nei pezzi più duri e tirati. La formazione si completa con il fratello di Brit, Richard Turner al basso, l’eccellente tastierista Brandon Still, uno dei migliori sentiti nel genere dai tempi del southern classico, concludendo con il chitarrista Paul Jackson, solista sia di quantità, ottimo il lavoro ritmico, sia a livello virtuosistico, una via di mezzo tra Rossington e Collins. A conferma che il repertorio del gruppo è solido e ricco di ottimi brani (pur avendo da attingere per il momento solo da tre dischi di studio, più due EP), non ci sono cover, con una eccezione, che poi vediamo: il concerto si apre con una variazione sul tema classico del patto con il diavolo, questa volta è Shakin’ Hand With The Holy Ghost, ed è subito grande rock, Black Crowes meets Lynyrd, la voce potente e antemica di Starr in primo piano, e tutta la band che rocca e rolla, piano e organo, le due chitarre stonesiane https://www.youtube.com/watch?v=4PWv0qyrxic  e sudiste, wah-wah innestato per Jackson, una sola canzone e ci hanno già ammaliato, potenza e classe subito in evidenza, senza soluzione di continuità si passa a Sanctified, altro esempio di rock ad alta componente di ottani. Testify viene dal primo album, Bad Luck Ain’t No Crime, altro brano molto cantabile, riff rocciosi e ritornello che entra subito in circolo, intermezzo di piano e poi le chitarre iniziano a scambiarsi fendenti con Still che saltella anche all’organo.

blackberry-smoke-e1406823205331

Good One Comin’ On è il primo rockin’ country della serata, qui Starr ricorda moltissimo Russell Smith dei grandissimi Amazing Rhythm Aces, e anche il resto della band non scherza, con la prima slide che fa la sua apparizione. Come Good One apriva l’ottimo Little Piece Of Dixie, così Six Ways To Sunday apriva The Whippoorwill, e qui scatta il boogie, entrano le sonorità alla Lynyrd Skynyrd https://www.youtube.com/watch?v=GFOBID5OXaM , compreso il classico fischio, adatte anche per essere cantate tutti in compagnia, con la birra che scorre a fiumi. Primo intermezzo elettro-acustico con il puro outlaw country della godibilissima Ain’t Got The Blues, deliziosa, come pure Lucky Seven dove le chitarre riprendono a ruggire, ma sempre in un ambito country. Pretty Little Lie è un’altra bella ballatona con uso di slide, che si inserisce in questa porzione più rilassata del concerto che finisce quando parte il riff alla Humble Pie o Black Crowes, fate voi, di Restless, chitarre nuovamente “cattive”, ritmica che inizia a picchiare, la voce sale, si chiama rock, ragazzi miei, e anche Up In Smoke non è male, la band è partita e non li ferma nessuno, riff a destra e a manca, chitarre in overdrive, questi non scherzano. Crimson Moon, il pezzo scritto con Zac Brown, è uno “strano” incrocio tra chitarre alla Zeppelin e lirico southern https://www.youtube.com/watch?v=DW-jKoV_kAI , mentre The Whippoorwill è semplicemente una grande canzone, atmosfere tra i Pink Floyd più bucolici e la West Coast classica, inserite sul tipico sound sudista della band, con grandi risultati anche nella bellissima parte centrale strumentale, con le twin guitars di Starr e Jackson in azione https://www.youtube.com/watch?v=oWCGyBf9bRY . Son Of The Bourbon, viene da uno degli EP ed è country puro e non adulterato  .

blackberry smoke live 2blackberry smoke live

Fine del primo CD, il secondo è anche meglio, forse da 4 stellette: in Everybody’s Knows She’s Mine, grazie anche all’ondeggiante pianino alla Payne di Still, sembra di ascoltare i Little Feat, seguito da una bellissima One Horse Town, che potrebbe essere un brano del miglior Steve Earle cantato da Russell Smith. Ancora dall’EP Honky Tonk Bootlegs una stupenda e malinconica country song come Lesson in A Bottle, e poi Ain’t Much Left Of Me, un grandissimo pezzo rock che non ha nulla da invidiare ai migliori Black Crowes o alle grandi band rock sudiste del passato, un crescendo pazzesco con il gruppo che si scatena in un turbinio di chitarre e tastiere, con la voce di Starr che tiene insieme il tutto https://www.youtube.com/watch?v=_kr9rejHcE4 . Ci si avvicina al gran finale e scatta il rock’n’roll con una rocciosa Leave A Scar, ritmi vorticosi ed energia pura, tra scariche devastanti di chitarre elettriche, poi elevate all’ennesima potenza nella rutilante Sleeping Dogs, un insieme di picchi e vallate di puro rock che sfociano in una parte centrale dove sembra di ascoltare i Grateful Dead inseriti in un contesto southern e poi, dal nulla, arriva l’omaggio ai maestri Allman Brothers, con una lunga citazione di Midnight Rider, prima di rilanciare ancora una volta con un finale a tempo di boogie. E non è  finita, ci sono ancora, (ma non nel DVD) un’altra fusione tra Led Zeppelin e sapori sudisti in Payback’s A Bitch, e Up The Road, una nuova meravigliosa ballata southern che ricorda certe cose epiche della Band, con la chiusura del secondo CD affidata a Shake Your Magnolia, un altro dei loro cavalli di battaglia che mette il suggello su questo album, uno dei migliori Live dell’ultima decade, keep on rockin’!

Bruno Conti