Un Albergo “Restaurato” Per Il Cinquantenario. The Doors – Morrison Hotel

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The Doors – Morrison Hotel – Rhino/Warner 2CD/LP Box Set

Proseguono le edizioni deluxe per i cinquantesimi anniversari degli album dei Doors, una serie di cofanetti cominciata nel 2017 con il loro omonimo debut album e che inizialmente si è rivelata deludente per la presenza di poche bonus tracks (Strange Days non ne conteneva alcuna, solo le versioni mono e stereo del disco), ma che però è andata via via migliorando: infatti il box dedicato a The Soft Parade uscito lo scorso anno è stato il più soddisfacente finora in termini di inediti (ben due CD extra, con il secondo di essi quasi totalmente occupato dalla take finalmente completa della mitica Rock Is Dead), cosa abbastanza bizzarra in quanto stiamo parlando dell’album meno amato e più criticato tra quelli pubblicati da Jim Morrison e soci. Ciò avvenne soprattutto a causa di alcuni discussi arrangiamenti al limite del pop che avevano creato più di una frizione tra il produttore Paul Rothchild ed il presidente della Elektra Jac Holzman (insieme al tecnico del suono Bruce Botnick), che non condividevano la veste sonora del disco e per la quale incolpavano lo stesso Rothchild dato che in quel periodo Morrison era più interessato a scrivere poesie che a dedicarsi al gruppo. Per Morrison Hotel (che era il nome di un vero albergo di Los Angeles ed intitolava la seconda facciata del disco, mentre il lato A si chiamava Hard Rock Cafè, altro locale di L.A. che non aveva nulla a che vedere con la nota catena di ristoranti nata a Londra nel 1971) i nostri decisero invece per un ritorno alle atmosfere dirette, tra rock e blues, di inizio carriera, e questo diede loro ragione in quanto l’album ottenne vendite migliori rispetto a The Soft Parade pur in assenza di un singolo trainante.

Tanto per cominciare gran parte della sua fortuna il disco lo ebbe grazie al brano d’apertura, la trascinante ed adrenalinica Roadhouse Blues, che in breve diventerà la canzone più popolare dei Doors insieme a Light My Fire ed in generale un classico della musica rock internazionale, nonostante non fosse neppure uscita su 45 giri (ma solo come lato B). Nel brano partecipano anche John Sebastian all’armonica (con lo pseudonimo G. Puglese) ed il grande chitarrista Lonnie Mack “relegato” però al basso, strumento suonato in tutti gli altri brani da Ray Neapolitan, dato che com’è noto i nostri non avevano un bassista all’interno del gruppo. Il pezzo scelto all’epoca come singolo fu la diretta e rocknrollistica You Make Me Real, che risaliva ai famosi concerti del 1966 al London Fog ma non era mai stata incisa in studio fino a quel momento. Ma non è l’unico ripescaggio dell’album (a dimostrazione di una certa scarsità di materiale), in quanto troviamo anche Waiting For The Sun, registrata dai Doors per il loro terzo album dallo stesso titolo ma poi lasciata fuori, ed addirittura una outtake dal primo disco, Indian Summer: entrambe le canzoni sono ipnotiche e dense di misticismo, e si distaccano abbastanza dal resto dell’album.

Che Morrison Hotel sia infatti uno degli LP più immediati del quartetto lo dimostrano la robusta Peace Frog, con Ray Manzarek che lavora di fino al suo Vox Continental (brano che confluisce nella tenue Blue Sunday, una ballatona con Jim che si atteggia a crooner), la saltellante Ship Of Fools, ancora con Ray protagonista, la pimpante e gradevole Land Ho!, che vede invece la chitarra di Robby Krieger in gran spolvero, il bluesaccio cadenzato da taverna The Spy, la spedita Queen Of The Highway, puro stile Doors, per finire con il vibrante rock-blues Maggie M’Gill, cantato da Morrison con voce arrochita e con la band che segue come un treno guidata in maniera sicura dal drumming di John Densmore. Il cofanetto ripropone nel primo CD il disco originale rimasterizzato (ma non remixato) dallo stesso Botnick, un booklet formato LP di 16 pagine con le note del noto critico David Fricke, il solito inutile LP che serve solo a far salire il prezzo, ed infine un secondo CD con sessions inedite, interessante anche se per l’80% gira intorno a sole due canzoni.

La prima parte infatti è inerente a Queen Of The Highway, con più di dieci takes, alcune solo strumentali, nelle quali i nostri improvvisano alla grande e Jim gigioneggia da par suo (e c’è anche un breve accenno all’inedita I Will Never Be Untrue): il brano originale non durava neanche tre minuti, ma qui i Doors si divertono a rivoltarlo come un calzino (molto belle le takes 12 e 14, quasi un jazz- blues strumentale con Manzarek strepitoso al piano). Più aderenti alla versione conosciuta sono le nove tracce dedicate a Roadhouse Blues, qui proposte come un interessante work in progress: nel mezzo abbiamo due sanguigne e potenti riletture, mai sentite, delle classiche Money (That’s What I Want) di Barett Strong e Rock Me Baby, noto standard blues reso popolare da Muddy Waters e B.B. King. Chiusura con due versioni alternate di Peace Frog, la prima delle quali mixata con Blue Sunday come sul disco originale. Quindi una bella ristampa che getta nuova luce su un disco piacevole e riuscito ma che forse perde il confronto con i capolavori assoluti usciti nello stesso periodo, anche se i Doors si rifaranno nel 1971 con L.A. Woman, canto del cigno di Morrison e loro album migliore dopo l’esordio.

Marco Verdi

Sassofoniste Donne? Ma Questa E’ Una Brava, Canta Anche E Nel Disco Ci Sono Una Valanga Di Ospiti. Nancy Wright – Playdate!

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Nancy Wright – Playdate! – Vizztone Label

Come si desume dalla foto di copertina Nancy Wright non solo è l’ennesima vocalist tra blues, soul e R&B a sbucare dalla scena indipendente americana, ma trattasi di sassofonista, sempre versata in campi attinenti i generi musicali appena citati, con qualche ulteriore deviazione verso swing e jump, funky e persino più di un piccolo tocco di easy jazz, quelli che vengono definiti con felice termine americano “honkers”. Insomma, a grandi linee, le sonorità sono quelle tipiche dei dischi dei Roomful Of Blues, King Curtis (soprattutto) e dal lato Motown Junior Walker, oltre ai classici del primo R&B targati anni ’40 e ’50, nell’epoca pre-Beatles, senza dimenticare tra i colleghi contemporanei uno come Sax Gordon. Il produttore è Christoffer “Kid” Andersen, chitarrista e produttore norvegese, da lunga pezza “naturalizzato” americano e operante nell’area West Coast Blues. Per questo disco Andersen, oltre ad una ottima house band, dove spicca il batterista J. Hansen, anche lui come Kid nella formazione di Rick Estrin And The Night Cats, ha radunato una bella infilata di ospiti un po’ a tutti gli strumenti: chitarristi, pianisti, organisti, ma soprattutto cantanti, visto che la nostra amica, diplomata in fagotto, nel nuovo album lascia ampio spazio appunto agli ospiti.

Il precedente disco della Wright Puttin’ Down Roots era tutto composto di brani firmati da lei, mentre per questo Playdate!, il terzo della sua discografia, e primo per la Vizztone, ha optato per un misto di cover e cinque brani originali. La Wright, anche se ora vive in California, viene da Dayton, Ohio dove è stata scoperta da Lonnie Mack (così recita la sua biografia) e come si può immaginare non è una novellina, era già in pista come musicista negli anni ’80 e ’90, suonando con BB King, Katie Webster, Elvin Bishop, Joe Louis Walker, Little Charlie & The Nightcaps, alcuni dei quali appaiono nel disco. Album che si apre sulle note introduttive del suo sax e poi si incardina sul ruvido soul/R&B, tra James Brown e Maceo Parker, della carnale e funky Why You Wanna Do It, guidata dalla poderosa voce di Wee Willie Walker che si alterna alle scariche del sax della Wright; I Got What It Takes è un classico blues a firma Willie Dixon, dove alla solista appare Tommy Castro, con il quale ha spesso suonato nelle sue crociere Blues, un classico lento dal repertorio di Koko Taylor dove la nostra amica dimostra di essere anche vocalist più che adeguata, oltre che soffiare con vigore nel suo tenore in un ottimo duetto con la solista pungente di Castro. La divertente Yes I Do, firmata da Nancy, vede la presenza del virtuoso del piano Victor Wainwright,  in un brano che si ispira chiaramente al jump blues dei tempi che furono, con una buona performance vocale della titolare, felpata e sexy.

Blues For The Westside è classico Chicago Blues, con la Wright nel ruolo di Eddie Shaw e Joe Louis Walker in quello che fu di Magic Sam, eccellente. Been Waiting That Long è un brano inedito, mai pubblicato ai tempi dal suo mentore Lonnie Mack, un gagliardo funky tra blues e soul, dove si apprezza la voce dell’ottimo Frank Bey. Mentre Trampled, con Jim Pugh della band di Robert Cray all’organo, si avventura in territori cari al repertorio di Junior Walker & The All Stars, quando i brani strumentali, ritmati e pimpanti come questo, spesso entravano nelle classifiche, mentre Satisfied addirittura vira verso il gospel (non lo avevamo citato?), e la Wright qui mostra un po’ di limiti nel reparto vocale, mentre al sax è impeccabile e molto bene anche Andersen alla solista. Warrantly, un’altra composizione della Wright, viceversa è cantata da Terrie Odabi, una che di voce ne ha da vendere, e qui andiamo addirittura verso la Blaxploitation music, super funky. Cherry Wine, tra rumba e blues, è piacevole, ma innocua (anche se il sax viaggia sempre), con There is Something On Your Mind di Big Jay McNeely che è un classico esempio del suono degli honkers classici, molto vintage, con Elvin Bishop che aggiunge la sua sinuosa slide alle operazioni. Back Room Rock è un trascinante Jump & Jive, con il call and response tra sax e la chitarra di Mike Schermer; Good Lovin’ Daddy, un pop&soul molto godibile e Soul Blues, con Chris Cain alla solista, uno strumentale molto jazzy, concludono questo piacevole ed inconsueto album.

Bruno Conti

Adesso Si Ragiona! Tom Jans & Mimi Farina + Take Heart, Continua La “Riscoperta”!

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Tom Jans & Mimi Farina – Take Heart + Tom Jans – Real Gone Music 

*NDB Sembra incredibile ma su YouTube c’è fatta da chiunque meno che da Jans, questa comunque è la prima versione di Dobie Gray, quella di Elvis è nel Post precedente!

Adesso si ragiona! Dopo un lunghissimo periodo di silenzio, decadi addirittura, si torna a parlare di Tom Jans e soprattutto si ripubblicano i suoi dischi in CD: dopo la meritoria antologia Loving Arms, edita dalla australiana Raven, di cui ci siamo occupati un paio di mesi fa, ecco ora per la Real Gone Music questo twofer, con i primi due album in un’unica confezione. Take Heart registrato in coppia con Mimi Farina nel 1971 e l’omonimo Tom Jans del 1974. Ma come, diranno molti, mi sono appena comprato l’antologia e adesso esce questo! Niente paura, la raccolta della Raven contiene 19 brani di cui solo 5 provenivano dai primi due album, quindi i doppioni sono pochissimi e nel contempo Loving Arms è comunque un “must have”, in quanto contiene il meglio dei due album su Columbia (per i quali continuo ad avere una leggera preferenza, più alcuni brani del disco giapponese (ma questo potete andare a rileggervelo nella precedente recensione, dove trovate anche tutti i dati biografici, che non sto a ripetere se non en passant) era-ora-finalmente-in-cd-tom-jans-loving-arms-the-best-of-19.html .

Siamo all’inizio degli anni ’70, Mimi Farina (sorella di Joan Baez) è alla ricerca di un nuovo partner musicale, dopo gli sconquassi avvenuti nella sua vita a seguito della scomparsa di Richard Farina, primo marito e geniale scrittore e cantautore folk, autore di una manciata di album per la Vanguard che ancora oggi vengono ricordati tra i migliori del periodo 1963-1966, scomparso proprio nell’aprile del ’66 quando Mimi aveva 21 anni (per i casi tragici della vita anche Jans quasi ci lasciò la pelle in un incidente di moto pochi mesi prima della morte avvenuta nel 1984, per cause, secondo il parere di amici e conoscenti, legate al fatto). Ma qui siamo ancora lontani da quegli avvenimenti; Joan Baez, tramite il suo chitarrista (erano a Woodstock insieme) e amico Jeffrey Shurtleff, presenta Tom alla sorella Mimi e i due legano subito (qualcuno dice anche sentimentalmente) e partecipano al Big Sur Festival, entrando poi in sala di registrazione per registrare Take Heart. Il contratto con la A&M c’è, il produttore pure, Michael Jackson (ovviamente non “quello”) e anche un ottimo ingegnere del suono nella persona di Henry Lewy, che portano in studio un piccolo gruppo di musicisti di grande valore, adatti al tipo di suono che era in voga in quegli anni, Jim Keltner e Russ Kunkel si alternano alla batteria, Leland Sklar è il bassista, Craig Doerge piano e organo, pare quasi il cast di un disco di Jackson Browne o James Taylor, Sneaky Pete Kleinow alla pedal steel nella unica cover presente, un brano di Buck Owens e Susan Raye, The Great White Horse, completa la formazione. Un fattore da non dimenticare è che Tom Jans e Mimi Farina erano due pickers eccellenti alla chitarra acustica, come dimostrano nel brano strumentale After The Sugar Harvest, dedicato a Duane Allman.

O come ribadiscono nell’eccellente brano di apertura, Carolina, dedicato, pare, ad una ragazza e non a uno stato, come nel caso della canzone di James Taylor (ma una citazione all’altro brano appare nel testo): le voci si amalgamano alla perfezione, quella di Jans, per quanto interessante, non ha ancora raggiunto la piena maturità, mentre quella di Mimi ricorda molto la sorella, che infatti inciderà il brano In The Quiet Morning (For Janis Joplin), peraltro uno dei migliori presenti in questo esordio. Molto belle anche King And Queens, dove la batteria di Russ Kunkel, dal suono più “tondo”, si rifà moltissimo al suono weastcoastiano dell’epoca e No Need To Be Lonely che ricorda parecchio i brani più romantici di Stills, quando collaborava con la sua “amica Judy dagli occhi blu”, anche il cello di Edgar Lustgarten contribuisce all’atmosfera e le voci prima divise e poi ad armonizzare sono perfette. Piacciono anche Reach Out (For Chris Ross) dove l’unica apparizione dell’organo di Craig Doerge aggiunge una patina più southern allo stile folky d’insieme e le intricate trame elettroacustiche di Madman, quasi orientali in alcuni passaggi.

I due si lasciano a fine 1972, ma quando Jans riappare nel 1974, ha fatto un salto di qualità sesquipedale (ogni tanto mi piace citare il grande Gianni Brera). Il disco omonimo che esce nel 1974, registrato in quel di Nashville, e preceduto dalla prima versione di Loving Arms fatta da Dobie Gray e poi lanciato nella stratosfera da quella di Elvis Presley, incontrato su un treno nella storia raccontata dal padre di Tom, è un piccolo capolavoro nascosto di quel periodo fertile e segna una maturazione notevole di Jans sia come autore che come cantante rispetto ai pur buoni risultati di Take Heart. Lo si capisce sin dall’apertura con Margarita, un brano che non ha nulla da invidiare alle migliori ballate del Tom Waits dell’epoca (che su Bone Machine gli ha anche dedicato un brano), di Jackson Browne, degli Eagles, di Rick Roberts (altro musicista i cui dischi usciti sempre su A&M andrebbero pure rivalutati), per non parlare del primo Jimmy Buffett, quello più country-rock e come sound generale dell’album si potrebbe ricordare anche il Guy Clark dei primi dischi per la Rca, leggermente più “commerciale”. I musicisti sono tutti differenti dall’album precedente, ma sempre sopraffini: Troy Seals e il grande Lonnie Mack si dividono i compiti alla chitarra con Reggie Young, Mike Leach e Kenny Malone, basso e batteria, sono la sezione ritmica e David Briggs, che suonava anche con Elvis in quel periodo, è il tastierista “sommo”.

Per la serie, non è fondamentale citare i musicisti, ma aiuta la comprensione sulla riuscita di un disco. Produce Nestor Willams che era il fratello di Paul (proprio l’autore del Fantasma del Palcoscenico e di Bugsy Malone), Jans scrive tutte le canzoni (con la collaborazione non accreditata sul CD di Will Jennings in alcuni brani, tra i quali l’ottima Old Time Feeling), oltre ad incidere Slippin’ Away di Troy Seals e una bella cover di (Why Don’t You) Meet Me At The Border di Jackie De Shannon con Reggie Young impegnato al sitar. Free and easy, leggermente reggae ma molto californiana anticipa il sound più rock dei futuri album su Columbia. La già citata ballata Old Time Feeling dall’afflato country la incideranno anche Johnny Cash e June Carter mentre in Tender Memory la pedal steel di Weldon Myrick aggiunge pathos al brano. Loving Arms (scritta con Troy Seals) è quel brano meraviglioso che quasi tutti conoscono (uno dei pochissimi di Jans) e la versione contenuta nell’album si appoggia alla grande sulle tastiere, piano e organo, di Briggs. Ma i dieci brani dell’album sono tutti di spessore, Lonnie Mack lavora spesso di fino alla solista e Tom Jans canta veramente bene, sentite la conclusiva Hart’s Island a riprova di questa asserzione. Fate questo nuovo “sacrificio” finanziario e non ve ne pentirete!

Bruno Conti