I 50 Anni Sono Passati Da Qualche Tempo, Ma Loro Continuano A Festeggiare! Kim Simmonds And Savoy Brown – Still Live After 50 Years Volume 2

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Kim Simmonds And Savoy Brown – Still Live After 50 Years Volume 2 – Panache Records             

Continua ininterrotta la serie di album relativi ai Savoy Brown, sia CD nuovi, come il recente, eccellente City Night, come pure dischi di materiale dal vivo, pubblicati dalla etichetta personale di Kim Simmonds, la Panache Records, che spesso però ripropone i dischi anche più volte, come è il caso di questo Still Live After 50 Years Volume 2, che già aveva circolato nel 2017 e ora esce di nuovo con una diversa distribuzione europea e, come da titolo, è la seconda parte di un concerto tenuto da Simmonds e soci al Paradise Theatre di Syracuse, NY il 12 aprile del 2014. Con la formula del power trio, insieme a Kim ci sono i compagni abituali degli ultimi dieci anni, Garnett Grimm alla batteria e Pat DeSalvo al basso. Repertorio che pesca sia da brani originali come da classici del blues: Nothin’ But The Blues è un pezzo originale di Simmons che era proprio sul disco del 2014 Goin’ To the Delta, la voce diciamo che è diventata “adeguata” negli anni ma nulla più, il leader dei Savoy Brown non è mai stato un grande cantante, ma compensa abbondantemente con la sua abilità riconosciuta alla chitarra, in questo pezzo cadenzato nello stile tipico della band fondatrice del British Blues.

 

Monday Morning Blues è un vecchio brano di Lowell Fulson, estratto da Steel del 2007, buona versione come la precedente, ma nulla di memorabile; Kim poi passa all’acustica per una cover di Shot In The Head, un vecchio brano che era su Lion’s Share del 1972, canzone scritta da Young e Vanda, la coppia alle spalle degli Easybeats e poi a lungo con gli AC/DC, versione noiosetta. Meglio I’m Tired di Chris Youlden, da A Step Further, uno dei loro capolavori, la versione parte con il freno a mano tirato, ma poi Simmonds comincia a lasciarsi andare con una lunga improvvisazione della solista, qualità che viene ribadita in Black Night, una canzone tratta da Shake Down, il loro primo album del 1967, per festeggiare in anticipo i 50 anni di carriera, anche questa versione, con l’acustica, non soddisfa del tutto. Viceversa un altro cavallo di battaglia come Street Corner Talking erutta dalle casse a tutto riff nella propria potenza elettrica non intaccata dal passare degli anni , quasi 10 minuti anche con variazioni jazzy nella parte centrale; Ride On Baby pesca sempre dal vecchio repertorio, Jack The Toad del 1973, con Simmonds che passa alla slide per un’altra gagliarda dimostrazione del loro poderoso blues-rock, compresa una dimostrazione della sua abilità all’armonica, prima di congedare il pubblico con un estratto dal lunghissimo medley Savoy Brown Boogie che occupava una intera facciata di A Step Further, qui c’è solo la parte di Whole Lotta Shakin’ Goin’ On, presa comunque a tutta velocità con la sezione ritmica che permette a Simmonds di improvvisare da par suo.

In definitiva un buon album complessivamente, anche se ci sono in giro dei dischi dal vivo migliori dei Savoy Brown, ma accontentiamoci.

Bruno Conti

Ma E’ Già Natale? Il “Manolenta Natalizio” Però Non Convince Del Tutto. Eric Clapton – Happy Xmas

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Eric Clapton – Happy Xmas – Polydor/Universal CD

Parlare di musica natalizia a poco più di metà Ottobre suona un po’ strano, per di più con un clima che si avvicina molto di più alla primavera che all’autunno, ma si sa che gli artisti quando decidono di pubblicare dischi a tema festivo si muovono sempre per tempo. In più, stiamo parlando di uno dei maggiori musicisti al mondo, Eric Clapton, che se da una parte ha deciso di non intraprendere più tournée lunghe e faticose (ma concerti singoli o brevi tour, per esempio in Giappone, quelli sì), dall’altra è ancora molto attivo in studio, dato che il suo ultimo album I Still Do è di appena due anni fa. Happy Xmas è il primo lavoro a carattere natalizio per Eric, ed è un lavoro suonato ovviamente benissimo e prodotto anche meglio (il suono è spettacolare) da Clapton stesso insieme all’ormai inseparabile Simon Climie, ma dal punto di vista artistico secondo me non tutto funziona alla perfezione. Eric sceglie di mescolare classici stagionali a canzoni più contemporanee, e non manca di arrangiarne qualcuna in chiave blues, ma non trova il coraggio di fare un disco tutto di blues (probabilmente per arrivare ad una maggiore fetta di pubblico) e così inserisce anche diverse ballate, ma non sempre tiene a bada il tasso zuccherino, usando anche, talvolta a sproposito una sezione archi.

Quindi il disco si divide tra brani ottimi, altri buoni, ed alcuni piuttosto nella media; poi, proprio nel bel mezzo del lavoro, un episodio incomprensibile, un brano elettronico che ci sta come i cavoli a merenda in un album del nostro, e che rischia di gettare un’ombra su tutta l’operazione. Il CD, la cui copertina è disegnata dallo stesso Eric (e ad occhio e croce è meglio come chitarrista che come disegnatore) vede all’opera un manipolo di vecchi amici del nostro, fra cui Jim Keltner alla batteria, Doyle Bramhall II alla chitarra, Nathan East al basso, Dirk Powell alla fisarmonica, violino e pianoforte e Tim Carmon all’organo Hammond. La partenza è ottima, con il superclassico White Christmas rivoltato come un calzino: intro potente di chitarra, ritmica tosta, ed Eric che riesce a dare un sapore blues ad un pezzo che di blues non ha mai avuto nulla, pur senza snaturare la melodia originale. Away In A Manger diventa un delizioso e raffinato blue-eyed soul, e Clapton canta divinamente, grande classe; For Love On Christmas Day è l’unico brano nuovo, scritto da Eric insieme a Climie, un’elegante ballata lenta, pianistica e con una spolverata di archi, però fin troppo sofisticata e leccata: mi ricorda la fase in cui Clapton ne azzeccava poche (il periodo di dischi come Pilgrim, Reptile e Back Home). Molto meglio Everyday Will Be Like A Holiday, una splendida soul song di William Bell, con Manolenta che canta ancora alla grande e ricomincia a graffiare con la chitarra, mentre Christmas Tears è un vero blues, di Freddie King, ed Eric (che l’aveva già fatta in passato sulla compilation A Very Special Christmas Live) la suona come va fatta, cioè come se si trovasse in un club di Chicago (anche se King era texano), grande chitarra e grande feeling.

Home For The Holidays è una canzone antica, la faceva Perry Como, e Clapton la trasforma in una squisita e limpida rock ballad, tra le migliori del CD, sia per la bella melodia sia per il fatto che è suonata in maniera perfetta. Per contro Jingle Bells, forse la canzone natalizia più famosa di sempre, è una porcheria innominabile: Eric la dedica ad Avicii, il giovane DJ svedese morto suicida lo scorso Aprile, e forse proprio per questo la arrangia in modo assurdo, un pezzo techno-disco-dance elettronico che è un pugno nello stomaco https://www.youtube.com/watch?v=2h0Ksg_vy8A . Va bene ricordare una persona scomparsa in maniera così tragica, ma qui corro seriamente il rischio di vomitare il panettone dell’anno scorso. Meno male che si torna con i piedi per terra grazie ad una ancora deliziosa Christmas In My Hometown (di Charley Pride), a metà tra dixieland e country d’altri tempi, davvero bella, e con It’s Christmas, una rock song pura e semplice, originariamente di Anthony Hamilton, diretta, godibile e con ben poco di natalizio, testo a parte. Sentimental Moments (la cantava Joan Bennett nel film Non Siamo Angeli del 1955, con Humphrey Bogart) è una ballatona cantata con trasporto, chitarra slide sullo sfondo e tasso zuccherino tenuto a bada un po’ faticosamente, mentre Lonesome Christmas (Lowell Fulson) è ovviamente puro blues, ritmato, coinvolgente e “grasso”, suonato con la solita classe sopraffina. Chiudono il CD tre classici assoluti: Silent Night, versione cadenzata eseguita da Eric con un coro femminile al quale partecipano anche la moglie Melia e la figlia Sophie, non indispensabile, una solida Merry Christmas Baby trasformata in uno slow blues sanguigno e chitarristicamente godurioso, seppur con il freno a mano un po’ tirato (e poi gli archi che c’entrano?), e finale con una Have Yourself A Merry Little Christmas cantata con stile da crooner, raffinata ma un tantino stucchevole.

Quindi un omaggio al Natale con diversi alti e qualche basso da parte di Eric Clapton, che però prevediamo venderà di più dei suoi ultimi lavori, maggiormente riusciti. Ma quella Jingle Bells elettronica grida vendetta.

Marco Verdi

Toh, Chi Si Rivede! Larry Garner And The Norman Beaker Band – Good Night In Vienna

larry garner good night in vienna

Larry Garner & The Norman Beaker Band – Good Night In Vienna Self released

I  “Buoni Titoli” (non di Borsa) e i bravi musicisti tornano sempre, così ne rispolvero uno per questo Post. Larry Garner, come tutti i bluesmen che si rispettino, ha iniziato la sua carriera discografica intorno ai primi anni ’90, quando aveva già una quarantina di anni: prima aveva lavorato a tempo pieno in una fabbrica e il blues era solo una passione per il tempo libero. Ma il talento c’era e il nostro amico, nativo di New Orleans, ma cresciuto a Baton Rouge, Louisiana, il blues lo ha sempre praticato con grande zelo, e quindi quando arrivò il momento del debutto, con Double Dues per la JSP, nel 1991, Garner aveva già vinto l’International Blues Challenge nel 1988 e veniva considerato uno dei talenti emergenti delle nuove generazioni, insieme ai più o meno coetanei Robert Cray, Joe Louis Walker, Larry McCray (anche lui, che fine ha fatto? *NDB E’ una domanda retorica, alla Marzullo, si faccia una domanda e si dia la risposta. La so, c’è ancora, ma non fa dischi dal 2007!) ed altri. Tutta gente prima o poi messa sotto contratto dalle majors, che in quegli anni coltivavano questo piccolo revival, ricorrente, della musica del diavolo; anche Larry pubblicò un ottimo album per la Verve, dell’allora gruppo Polygram, You Need To Live A Little, tra i suoi migliori, salvo venire rispedito al mittente quasi subito ed avendo girato, negli anni a seguire, presso alcune delle etichette più interessanti in circolazione, Ruf, Evidence, Dixiefrog.

larry garner you needlarry garner double dues

Nel frattempo si è ammalato seriamente, ed è guarito, come ha raccontato nel suo disco del 2008, Here Today Gone Tomorrow, ha visto il suo album di debutto, citato prima, venire ri-pubblicato per una edizione del 20° Anniversario e si è rassegnato anche lui, come molti, a pubblicare i suoi dischi a livello autogestito, questo nuovo CD, uscito da qualche mese https://www.youtube.com/watch?v=9tl4WPtskMc , è il secondo capitolo dal vivo della sua collaborazione con il “Leggendario” (ma dove, quando? Si legge così nei comunicati stampa, in effetti un buon bluesman inglese, con gruppo al seguito) Norman Beaker, anche lui chitarrista e cantante. Ma il vero talento è questo sessantenne (due glieli abbuono), in possesso di una voce duttile e polverosa, ma soprattutto di una tecnica chitarristica fluente, arricchita da ampie dosi di feeling, in grado di spaziare in tutti i campi del blues, quello classico (nel CD ci sono ben tre cover di McKinley Morganfield a.k.a Muddy Waters), quello più funky, imparato sul campo, a New Orleans, il soul e il R&B del profondo Sud, arricchito, di tanto in tanto, da un ammirevole sound “contemporaneo”, caratteristica in comune con gli altri bluesmen citati in precedenza https://www.youtube.com/watch?v=25-6dN2EkB8 .

larry garner norman beaker

Ci sono elementi dello stile travolgente e turbolento di un Buddy Guy, per esempio nella sanguigna Champagne And Reefer, un super classico slow blues amatissimo dagli Stones, quando alla band di Beaker e a Garner si aggiunge pure l’armonicista Christian Dozzler, per un tuffo nel classico stile di Chicago, dove il nostro amico prima accarezza la sua chitarra, poi canta con una passione incontenibile e infine strapazza la sua solista con un abbandono senza ritegno, per dieci minuti che riassumono oltre cinquanta anni di electric blues . Anche le tastiere di Nick Steed sono un elemento fondamentale in questo sound, sia quando ci si tuffa in Funky It Up (Buster) nelle radici della musica della Lousiana, con tanto di wah-wah innestato e basso slappato d’ordinanza, sia quando si rivisita il blues misto a errebì della classica Honey Hush di Lowell Fulson, con i suoi ritmi irresistibili. Cant’t Be Satisfied, dal riff inconfondibile, è un altro super classico del grande Muddy, fatto in modo sanguigno e passionale, con piano e organo in bella evidenza, prima del gagliardo lavoro della solista di Garner. C’è spazio anche per un bel brano firmato da Norman Beaker, When The Fat Lady Sings, uno slow blues intenso che anche se non raggiunge i vertici di quelli di Garner, certifica comunque una buona classe dell’inglese https://www.youtube.com/watch?v=7E83MHxnzaY .

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Dreaming Again è un bel deep southern soul che profuma nuovamente delle paludi della Lousiana, con la suadente voce di Garner in primo piano, mentre Keep On Singing The Blues è quasi una esortazione/preghiera a non dimenticare le virtù di questa musica, una lunga e potente cavalcata che ingloba anche elementi più rock nella musica del nostro amico. Ancora Norman Beaker per una rilettura ricca di boogie di Driving Wheel, che porta la firma di Roosevelt Sykes, prima di concludere con una travolgente versione di Mannish Boy https://www.youtube.com/watch?v=z_g3cKdQsVw , oltre dodici minuti che hanno deliziato sicuramente i presenti al Reigen di Vienna nell’aprile del 2013, ma che non mancheranno, altrettanto sicuramente, di entusiasmare gli ascoltatori di questo CD che mi sento di consigliare vivamente a chi ama un blues tra i più vivaci e pimpanti in circolazione. Prendete nota: Larry Garner, uno dei migliori “giovani”, ancora in pista!

Bruno Conti