Il Cantautore “Innamorato”! Darden Smith – Love Calling

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Darden Smith – Love Calling – Compass Records 2013

Pur non avendo mai avuto un successo commerciale enorme, Darden Smith ha trascorso la parte migliore della sua quasi trentennale carriera incidendo ogni due o tre anni un nuovo disco (questo Love Calling è il quattordicesimo), affermandosi come uno dei più coerenti cantautori texani. Nato e cresciuto in una fattoria di Brenham, Texas, Darden ha mostrato subito una buona attitudine per la musica, iniziando a scrivere canzoni fin da giovane, poi quando la famiglia si è spostata ad Houston, ha cominciato ad avere il primo vero impatto con la scena musicale di Austin, che, in quel periodo (alla fine degli anni settanta), era un via vai continuo di musicisti di ogni genere, che spaziavano dal country al rock, dal folk al blues, influenzando il giovane Smith con la musica principalmente degli Allman Brothers e Marshall Tucker Band, avendo come idolo in seguito un certo Bob Dylan. Quando comincia a diventare musicista a tempo pieno, il “nostro” suona nei locali, partecipa a vari concerti, suona con “mostri sacri” come Waylon Jennings e Willie Nelson, si fa le ossa a fare da supporto per gli Asleep At The Wheel (gruppo fra i più longevi e preparati della musica country), conosce Joe Ely e diventa grande amico di Lyle Lovett, diventando in breve tempo un nome della scena musicale texana.

Incide il suo primo album Native Soil (86) per la piccola Red Mix Record di Austin, seguito dal secondo omonimo Darden Smith (88) con musicisti di valore coinvolti tra i quali Sonny Landreth, David Halley, Nanci Griffith e Lyle Lovett. A sorpresa Darden se ne va in trasferta a Londra, e incide un disco a due con Boo Hewerdine (leader dei Bible) Evidence (89), un disco più che piacevole (non entrerà mai nella storia del rock), ma fatto con gusto, e la collaborazione inglese gli permette di acquisire quel “quid” che gli mancava per arrivare ad essere un autore nel puro senso del termine, e pubblicare al ritorno un capolavoro come Trouble No More (90), il suo lavoro più personale, intimo e riuscito (da recuperare assolutamente). Con Little Victories (94) e il seguente Deep Fantastic Blue (96), Smith si avvicina sempre di più ad un certo rock d’autore, e dopo la proposta particolare di Extra Extra (2000), una riedizione in chiave rinnovata di brani (che hanno segnato a suo giudizio la sua carriera artistica), si accasa alla Dualtone Music e sforna una triade di album a partire da Sunflower (2002), poi  Circo (2004) e Field Of Crows (2005), tutte prove convincenti, che confermano la costante vena creativa di un artista che non lascia nulla al caso. Puntualmente a distanza di due anni esce Ojo (2007) per la sua nuova etichetta Darden Music, a cui segue After All This Time (2009) una “compilation “ tratta dai suoi album precedenti, per poi arrivare a Marathon (2010), una sorta di concept album dedicato ad una cittadina del Texas, che si trova sul Rio Grande (un-secreto-ben-conservato-darden-smith-marathon.html).

Love Calling apre un nuovo capitolo nella carriera dell’artista, è il primo per la Compass Records e anche il primo registrato a Nashville, sotto la produzione di Jo Randall Stewart e Gary Paczosa, e scritto a quattro mani con importanti songwriters di Austin, Rodney Foster, Jack Ingram e i meno conosciuti (ma altrettanto bravi) Harley Allen, Gary Nicholson e Jay Clementi, e con la collaborazione di musicisti di “area” del calibro di Michael Rhodes e Byron House al basso, Pat Bergeson alle chitarre, Jon Jarvis alle tastiere, John Gardner alla batteria, Dan Dugmore alla pedal steel e alle armonie vocali Jessi Alexander e la grande Shawn Colvin ospite nella title-track.

Il madrigale parte con Angel Flight (che era apparsa anche nell’album Revival di Rodney Foster), mentre Seven Wonders è sorretta da una riuscita combinazione piano e organo, ed è seguita dalla attraente ballata Mine Till Morning con al controcanto Jessi Alexander. Better Now (scritta con Foster) è un brano vibrante, coinvolgente, dal piacevole ritornello, mentre Favorite Way (scritta con Foster e Gary Nicholson) intro strumentale con chitarra e spazzole della batteria richiama atmosfere più soffuse

Love Calling è un brano dall’aria vagamente pop, con la Colvin alle voci, Distracted mantiene un profilo prettamente acustico, mentre Reason To Live (scritta con Jack Ingram) è ricca di sfumature più complesse, con l’apporto della pedal steel di Dan Dugmore . I Smell Smoke (scritta con Jay Clementi) è un brano cantato con voce sussurrata, seguito da uno dei momenti più mossi Medicine Wheel, grazie all’azione delle chitarre e ad un piacevole refrain, per chiudere con Baltimore una ballata sontuosa, lenta e riflessiva, un po’ crepuscolare, interpretata con una voce dalla tonalità bassa, che affascina.

Le Bonus Tracks sono due brani ripresi dal vivo al SiriusXM Coffee House,  la celeberrima I Say A Little Prayer del duo Bacharach/David e la title track Love Calling in versione acustica, che vanno a chiudere superbamente un’altra prova di qualità.

Darden Smith, mi convinco sempre ad ogni nuovo disco, è il meno texano dei cantautori di questo stato, perché è un artista sublime, un’anima sensibile (in questo lavoro, sinceramente innamorato) e sempre attiva, ogni volta che deve realizzare un disco riesce facilmente a trovare la giusta alchimia, come accade puntualmente in questo Love Calling. Se vi capita tra le mani, non gettatelo via.

Tino Montanari

Questi Vanno Tenuti D’Occhio: Warren Hood Band!

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The Warren Hood Band -The Warren Hood Band – Red Parlor CD

Ecco un gruppo veramente bravo.

In realtà un trio, la Warren Hood Band proviene da Austin, Texas, ed è formata appunto da Warren Hood (violino, chitarra, mandolino e voce solista), Willie Pipkin (chitarra solista) ed Emily Gimble (piano ed organo, veramente brava, e d’altronde è la nipote del leggendario Johnny Gimble, violinista dei Texas Playboys di Bob Wills).

Anche Warren è nella musica da parecchi anni: suona il violino da quando ne ha nove, e, prima di formare un suo gruppo, ha collaborato con fior di artisti, come Emmylou Harris, Lyle Lovett, Little Feat, Elvis Costello e Gillian Welch, pure lui figlio d’arte, il babbo era Champ Hood, collaboratore a lungo di Lyle Lovett (anche nella Large Band) e Toni Price, nonché nella Uncle Walt’s Band  con Walter Haytt, tra i tanti, scomparso prematuramente nel 2001.

Esperienze importanti, direi decisive per maturare un background musicale di tutto rispetto, che viene rivelato in questo album di debutto, intitolato semplicemente The Warren Hood Band, che vede, tra i vari musicisti di supporto, il grande Lloyd Maines, e per produrre il quale si è scomodato addirittura Charlie Sexton, uno che negli ultimi anni ha spesso suonato la lead guitar on the road per Bob Dylan (nuovamente dal 2009, in sostituzione di Danny Freeman) oltre che essere un bravissimo musicista di suo.

Non male per un disco di debutto.

E Warren (già con i Waybacks) che scrive nove delle undici canzoni dell’album, dimostra di avere non poco talento: possiamo dire di trovarci di fronte ad un texano atipico, in quanto non fa semplicemente del country-rock diretto ed elettrico come molti suoi colleghi, ma fonde nel suono elementi sudisti, country, folk, pop, soul, cantautorali e bluegrass, riuscendo a non risultare caotico, ma bensì fornendoci una manciata di brani davvero intriganti. I suoi compagni, Pipkin e la Gimble, sono molto bravi ad accompagnarlo (soprattutto lei), e quindi il disco che ne risulta non può che essere uno dei debutti più positivi degli ultimi tempi.

Apre Alright, che è anche il primo singolo e forse la più texana del lotto, un rock’n’roll frizzante, tra roots e country ma con un tocco di pop, ed una bella slide ad occuparsi delle parti soliste.

You’ve Got It Easy continua con il mix tra rock e pop, strumenti al posto giusto, melodia solare ed una bella personalità (ottimo anche il lavoro di Sexton alla consolle, ma questo non lo scopriamo oggi). Pear Blossom Highway, con la Gimble voce solista (il primo di tre brani con lei come lead vocalist), è una ballata d’altri tempi, sfiorata dal country e nobilitata da ottimi assoli di violino (Hood) e steel (Maines); la mossa Where Have You Gone ha un gradevole sapore white soul, come se fosse stata scritta da Dan Penn.

La corale The More I See You è puro country, semplice e vivace, con violino e piano protagonisti ed una melodia decisamente buona; Songbird è praticamente un brano folk, sempre sostenuto da un motivo di prim’ordine, mentre Take Me By The Hand è più rarefatta e forse meno immediata, ma musicalmente molto interessante, sembra quasi che nell’arrangiamento ci abbia messo le mani Van Morrison. Motor City Man, sostenuta dal piano, ha per contro un motivo molto diretto, Last One To Know è quasi una bluegrass tune, suonata in maniera volutamente sghemba.

L’album si chiude con la lenta e soulful This River, quasi una ballata alla Delaney & Bonnie, e con What Everybody Wants, saltellante e gioiosa, sempre con la Gimble sugli scudi.

Warren Hood ed i suoi compagni possiedono un sicuro talento: speriamo non lo disperdano strada facendo.

Bel disco.

Marco Verdi

Un “Oscuro” Storyteller Americano Da Scoprire! Mark Lucas – Uncle Bones

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Mark Lucas – Uncle Bones – Skillet Dog Records

Nativo del Kentucky (da non confondere con l’omonimo australiano), tra Sud e Midwest, confinante con Missouri e Tennessee, uno non penserebbe che la musica di questo signore, dall’età indefinita ma apparentemente sulla quarantina, possa essere influenzata dalla musica degli Appalachi, dalle string bands e da bluegrass e country, oltre ad un pizzico di blues, anche se Nashville è a due passi, ma questo è quello che si ricava dall’ascolto di Uncle Bones, secondo capitolo (dopo Dust) della saga musicale di uno “storyteller” che risponde al nome di Mark Lucas. Non sono tra coloro che vorrebbero tenere stretti per sé nomi nuovi che, di volta in volta, si affacciano sulla scena americana, anzi più si sparge la buona novella meglio è, se ne vale la pena naturalmente, senza tanti diritti di primogenitura o jus primae noctis, tipo questo l’ho scoperto io prima di te! E nel caso di Lucas vale la pena.

Paragonato a Ray Wylie Hubbard o a Malcolm Holcombe per il tipo di voce vissuta, ma forse più vicino a Guy Clark o al primo Lyle Lovett (con cui condivide un suonatore di dobro e pedal steel sopraffino come Tom “Bleu” Mortensen), Mark Lucas sembra uno di quei tipici “raccontatori di storie” che ogni tanto appaiono come dal nulla nel panorama musicale americano. E oltre allo stile musicale, in questo Uncle Bones, sono molto importanti i testi (che purtroppo non sono inclusi nella confezione del CD ma si trovano integralmente sul suo sito brothermarkmusic.com): anzi direi fondamentali. Dall’iniziale Uncle Bones una sorta di storia di Orfeo ed Euridice rivisitata nella campagna americana, con “Dicey” che muore per il morso di un serpente e viene cercata fino agli inferi dal suo “Orphie”, disposto a suonare laggiù con il suo violino per Uncle Bones in cambio del ritorno della sua amata, ma anche lui commette l’errore di guardarsi indietro e lì suonerà il suo fiddle per l’eternità (in questo caso la bravissima Jeneé Fleenor si limita a fare guizzare il suo violino per i 3:36 della canzone, ben coadiuvata dal dobro di Mortensen, che ha suonato anche con Mickey Newbury, un altro che di belle canzoni se ne intendeva), il banjo di Wanda Vick e la chitarra dello stesso Lucas aggiungono spessore “rurale” a questa bella favola.

La delicata e deliziosa Take Me Back, Water, cantata con dolcezza e partecipazione genuina dal bravo Mark, racconta la storia della ragazza che “piangeva perle”, su un tappeto di violino e dobro si dipana questa piccola delizia sonora. Dragon Reel con delle piccole percussioni aggiunte e il solito violino indiavolato della Fleenor (che abitualmente suona con Martina McBride) è un’altra storia peculiare a tempo di giga country-irish, quella di un assassino che “parlava” per enigmi, mentre Every Day I Have The Greens potrebbe essere uno di quei brani acustici ed ironici che ci deliziavano nei primi dischi di Lyle Lovett (ma anche Guy Clark, potrebbe essere un riferimento) e anche la voce è impostata in modo simile. Altro giro, altro racconto, Carrying Fire narra di un padre che porta le braci di un fuoco fino alla “fine del mondo”, questa volta sono il mandolino della Vick e il solito violino della Fleenor, unite al dobro di Mortensen, ad accompagnarci in questo viaggio epico, con il ritmo sottolineato dal contrabbasso di Matt McKenzie. Grits And Redeye Gravy con il basso elettrico di Lucas a segnare il tempo, se esiste questo formato musicale, è una sorta di boogie-bluegrass-country.

Hezekiah è il classico valzerone country, sempre uguale ma sempre diverso, se ben suonato, e come al solito violino, dobro e chitarra acustica dominano. Improvvisamente in Big Bad Love le sonorità diventano più elettriche, basso, una batteria sintetica, chitarre elettriche e un suono bluesato che ci porta dalle parti di Hubbard e Holcombe, un’altra faccia della musica di Lucas che introduce anche il suono di quella che potrebbe una chitarra con il wah-wah ma probabilmente è il violino elettrificato della Fleenor, proprio brava la ragazza. Per sottrazione, nella successiva The Price, l’ottimo Mark si presenta in solitaria solo voce e acustica, per un brano che potrebbe essere anche dello Springsteen più intimista, tanto è bella. Pick Up è un altro blues elettrico mid-tempo caratterizzato dalle svisate della pedal steel di Blue Mortensen e con un’altra storia surreale inventata dalla mente geniale di Lucas, una vedova che manda un messaggio al cellulare nella bara del marito infedele! Trouble è un country-blues,ancora con il violino che guida le danze, anche se in tono minore rispetto ad altri episodi del disco. Per dirla in due parole, anzi tre: uno bravo, consigliato!

Bruno Conti    

And So This Is Christmas…I Migliori Del 2012: Le Tante “Alternative” Parte I

Per iniziare, come doveroso, essendo il giorno di Natale, il brano di John Lennon, quello originale, non una delle tante terribili copie e cover che stanno impazzando sulla televisione e nella pubblicità. Poi, come promesso (o minacciato) “The Best Of The Rest”, ovvero tutti (beh non proprio tutti, tanti) i dischi interessanti di questo 2012, secondo il parere di chi scrive ovviamente. Sono in ordine cronologico di uscita (più o meno) da Gennaio a oggi e corredati, di tanto in tanto, dai video di alcune delle più belle canzoni di questo anno che si avvicina alla conclusione. Mancano all’appello le migliori ristampe, cofanetti e dischi dal vivo a cui dedicherò un Post apposito. E probabilmente ci sarà spazio ancora per i risultati di alcune riviste musicali e per altri addetti ai lavori (se avranno voglia). Naturalmente queste “classifiche” sono anche una ulteriore occasione per ricordare e consigliare della buona musica, spero! Partiamo con la prima parte, ebbene sì vi terro compagnia anche a Santo Stefano, a dimostrazione che di dischi belli, nonostante quello che dicono i pessimisti, ne sono usciti veramente molti, e ne ho dovuti “scartare” molti se no la lista si faceva chilometrica (ogni volta che ne saltavo uno, una stilettata, questo no! AaaaH!)…però potete sempre andare a rileggerveli sul Blog, i Post sono tutti lì…

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Ani DiFranco – Which Side Are You On

Il primo disco bello del 2012.

 

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Little Willies – For The Good Times

 

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Craig Finn – Clear Heart Full Eyes

 

A questo punto dell’anno è uscito Old Ideas di Leonard Cohen, ma quello è entrato di diritto nei Top 3!

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Bap Kennedy – The Sailor’s Revenge

 

 

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Howlin’ Rain – The Russian Wilds

 

 

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Michael Kiwanuka – Home Again

 

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The Chieftains – Voice Of Ages

 

 

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Lyle Lovett – Release Me

 

 

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Cowboy Junkies – The Nomad Series Vol. 4 The Wilderness

 

 

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Alabama Shakes – Boys And Girls

 

 

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Sister Sparrow And The Dirty Birds – Pound Of Dirt

 

 

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Counting Crows – Underwater Sunshine

 

 

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Of Monsters And Men – My Head Is An Animal

 

 

 

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Dar Williams – In The Time Of God

 

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Anders Osborne – Black Eye Galaxy

Anche in ricordo di Franco Ratti, la sua ultima apparizione sul Buscadero.

 

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Jeb Loy Nichols – The Jeb Loy Nichols Special

 

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Joe Bonamassa – Driving Towards The Daylight

 

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Tom Jones – Spirit In The Room

 

 

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Spain – The Soul Of Spain

 

 

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Alejandro Escovedo – Big Station

 

 

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Bonnie Raitt – Slipstream

 

 

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Dexys – One Day I’m Going To Soar

 

 

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Chris Robinson Brotherhood – Big Moon Ritual

 

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Brandi Carlile – Bear Creek

 

 

 

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Mary Chapin Carpenter – Ashes And Roses

 

 

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Little Feat – Rooster Rag

 

Alla fine ho messo un video per ogni album elencato, quindi la pagina è un po’ “pesante”, per Natale (o per la Befana) fatevi regalare un PC più potente o armatevi di pazienza intanto che carica tutta la pagina. Visto quanta buona musica, tanti dimenticati eh”! End Of Part One, a domani! Buona lettura e soprattutto, buona visione e ascolto, ma anche un Buon Natale a tutti!

Bruno Conti

Novità Di Febbraio Parte IV. Pink Floyd, Lyle Lovett, David Sylvian, Carolina Chocolate Drops, Meat Loaf, Little Feat, Loreena McKennitt, Amy Ray, Eccetera

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Ultima serie di uscite per il mese di febbraio, in programma domani martedì 28, numerosa anche questa settimana (e ne ho selezionate solo una parte, “tagliando” un po’ di ristampe, poi ci torno con calma), presto che è tardi.

Partiamo con i Pink Floyd con l’uscita di The Wall si completa la serie di versioni “Immersion” ed “Experience”. Questo è il contenuto del Box da 6 CD + 1 DVD:

 

DISCS 1&2 – CDs 1&2

 

The Wall digitally remastered by James Guthrie, 2011

 

 

 

DISCS 3&4 – CDs 3&4

 

The Wall album demos (previously unreleased)

 

 

 

DISCS 5&6 – CDs 5&6

 

Is There Anybody Out There: The Wall Live (digitally remastered in 2011 by James Guthrie)

 

               

 

DISC 7 – DVD, AUDIO VISUAL

 

Another Brick In The Wall pt2 promotional video – restored in 2011

 

Behind The Wall documentary

 

Gerald Scarfe Interview

 

Short filmed extract of Earls Court concert featuring animation

44 page 27cm x 27cm booklet designed by Storm Thorgerson

 

Exclusive photo book

 

27cm x 27cm Exclusive Storm Thorgerson Art Print

 

5 x Collectors’ Cards featuring art and comments by Storm Thorgerson

 

Replica of The Wall Tour Ticket

 

Replica of The Wall Backstage Pass

 

Scarf

 

Prints/Cards of Mark Fisher’s stage drawings

 

3 x white marbles with design of bricks

 

9 x Coasters (unique to this box) featuring early Storm Thorgerson design sketches

La versione Experience,  nelle bonus ha i seguenti contenuti:

1. Prelude (Vera Lynn) Roger Original Demo (Programme 1 – Band Demos and Roger Waters Original Demo)
2. Another Brick in The Wall, Part 1 Band Demo (Programme 1 – Band Demos and Roger Waters Original Demo)
3. Thin Ice – Band Demo (Programme 1
4. Goodbye Blue Sky Band Demo (Programme 1 – Band Demos and Roger Waters Original Demo)
5. Teacher, Teacher Band Demo (Programme 1 – Band Demos and Roger Waters Original Demo)
6. Another Brick in The Wall, Part 2 Band Demo (Programme 1 – Band Demos and Roger Waters Original Demo)
7. Empty Spaces Band Demo (Programme 1 – Band Demos and Roger Waters Original Demo)
8. Young Lust Band Demo (Programme 1 – Band Demos and Roger Waters Original Demo)
9. Mother – Band Demo (Programme 1
10. Dont Leave Me Now Band Demo (Programme 1 – Band Demos and Roger Waters Original Demo)
11. Sexual Revolution Band Demo (Programme 1 – Band Demos and Roger Waters Original Demo)
12. Another Brick in The Wall, Part 3 Band Demo (Programme 1 – Band Demos and Roger Waters Original Demo)
13. Goodbye Cruel World – Band Demo (Programme 1
14. In The Flesh? – Band Demo (Programme 2
15. Thin Ice – Band Demo (Programme 2
16. Another Brick in The Wall, Part 1 Band Demo (Programme 2 – Band Demos)
17. The Happiest Days of Our Lives Band Demo (Programme 2 – Band Demos)
18. Another Brick in The Wall, Part 2 Band Demo (Programme 2 – Band Demos)
19. Mother Band Demo (Programme 2 – Band Demos)
20. One Of My Turns Band Demo (Programme 3 – Band Demos)
21. Dont Leave Me Now Band Demo (Programme 3 – Band Demos)
22. Empty Spaces Band Demo (Programme 3 – Band Demos)
23. Backs To The Wall Band Demo (Programme 3 – Band Demos)
24. Another Brick In The Wall, Part 3 Band Demo (Programme 3 – Band Demos)
25. Goodbye Cruel World Band Demo (Programme 3 – Band Demos)
26. The Doctor (Comfortably Numb) Band Demo (Programme 3 – Band Demos)
27. Run Like Hell Band Demo(Programme 3 – Band Demos)
Disc: 4
1. One Of My Turns – Band Demo
2. Don’t Leave Me Now – Band Demo
3. Empty Spaces – Band Demo
4. Backs To The Wall – Band Demo
5. Another Brick In The Wall, Part 3 – Band Demo
6. Goodbye Cruel World – Band Demo
7. The Doctor (Comfortably Numb) – Band Demo
8. Run Like Hell – Band Demo

La parte “deludente” di queste ristampe, come per gli altri cofanetti, è sempre quella Video, per cui se non siete Super-fans, anche in questo caso (visto il prezzo) vi consiglierei di optare per la versione Experience.

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Con questo album, Release Me, Lyle Lovett “completa” il suo contratto con la Curb e dal prossimo album tornerà indipendente. Nel frattempo il nuovo CD esce domani negli States su etichetta Lost Highway, in Europa Warner/Curb e nel Regno Unito su Wrasse dal 5 marzo L’album è un misto di cover e brani originali: c’è il duetto con Kd Lang nella title-track, con la nativa di Austin e partecipante di American Idol Kat Edmonson in Baby, It’s Cold Outside, una versione di Brown Eyed Handsome Man di Chuck Berry che diventa un classico di Lovett. Non manca l’omaggio a Townes Van Zandt con White Freightliner Blues e una bella versione di Isn’t That So di Jesse Winchester. Bella musica, insomma.

I Carolina Chocolate Drops hanno perso per strada un componente del trio originale, ma anche se in copertina appaiono in tre si sono allargati a un quintetto. L’etichetta è sempre la Nonesuch, produce Buddy Miller, garanzia di qualità. Sono 15 brani registrati live in the studio e si intitola Leaving Eden.

Di David Sylvian già nel 2000 era uscito un doppio. Everything and nothing che era una sorta di antologia di rarità stranezze, versioni dal vivo, singoli, ma ora la Virgin pubblica questo A Victim Of Stars 1982-2012 che è la antologia doppia ufficiale, 16 brani con un brano nuovo Where’s Your Gravity inciso per l’occasione.

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La Esoteric, sempre il 28 febbraio, esce con alcune ristampe interessanti, tra cui i due album dei Matching Mole di Robert Wyatt: il primo, omonimo e Little Red Record. Entrambi ampliati a doppi CD con un album di materiale inedito per ogni disco.

Prosegue per la EMI la serie delle ristampe dedicate a Robin Trower: dopo A Tale Untold che copriva il primo periodo della Chrysalis, esce un nuovo triplo Farther On Up the Road – The Chrysalis Years 1977-1983 che raccoglie gli LP pubblicati in quegli anni. Per chi è interessato all’ex chitarrista dei Procol Harum è stato pubblicato anche un bel doppio con le registrazioni della BBC.

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Nuovo album per Meat Loaf Hell In A Handbasket. Pavento la tavanata per questo ritorno alla Sony, con duetti con Chuck D e Lil’ Jon ma anche la sua partner abituale Patti Russo in California Dreamin’, si vedrà.

Questo Troubadours On The Rhine di Loreena McKennitt. che viene pubblicato come al solito dalla Quinlan Road/Universal, contiene la registrazione dal vivo di un concerto tenuto nel mese di marzo del 2011 negli studi radiofonici della SWR1 di Mainz, davanti ad un pubblico invitato di circa 300 persone. E’ un poco un ritorno alle sonorità del passato visto che la McKennitt si è esibita in trio, solo con il chitarrista Brian Hughes alle chitarre e Caroline Lavelle al cello.

Nuovo album solista, autoprodotto per la sua etichetta Daemon Records, per la Indigo Girl Amy Ray, titolo Lung of Love.

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Altra serie di ristampe. La EMi ripubblica due album dei Gentle Giant che mancavano all’appello, Interview e Free Hand, nella formula CD+DVD Audio, così non avremo manco mezzo inedito ma vuoi mettere la soddisfazione di avere la versione 5+1 Dolby Surround?

Torna disponibile tramite la BGO, in versione rimasterizzata, anche l’ultimo album dal vivo di Loggins & Messina, Finale, uscito in origine come doppio vinile nel 1977 e ristampato in CD singolo nel 2007 dalla Wounded Bird, ma già fuori produzione. Non è bello come On Stage, ma solo per un pelo, assolutamente da avere se amate il country-rock-pop di qualità di quegli anni.

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Nuovo album, il secondo, per la band anglo-svedese dei Fanfarlo, esce per la Atlantic, titolo Rooms Filled With Lights, per chi ama l’indie-pop raffinato, prodotto da Ben H Allen già con Deerhunter e Animal Collective.

A sette anni di distanza dal precedente, Toward The Low Sun è il nuovo album del trio dei Dirty Three, la band di Warren Ellis, violinista e collaboratore storico di Nick Cave. Etichetta Bella Union.

Per finire una chicca. Sempre nell’ambito dei semi-ufficiali la Left Field Media pubblica questo Broadcast radiofonico del 19 luglio 1973 a Ebbets Field, Denver, Colorado, dei Little Feat con il titolo di American Cutie. Si tratta di un concerto della band di Lowell George e Bill Payne nel pieno del loro fulgore, con il meglio di due show registrati nello stesso giorno, complessivamente, senza doppioni di brani per un totale di 14 brani. Secondo molti (visto che come bootleg aveva circolato) si tratta forse di uno dei loro concerti migliori di sempre e questi suonavano, ragazzi!

That’s all per le news.

Bruno Conti

Due Serate A Houston, Texas! Eric Taylor – Live At The Red Shack

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Eric Taylor – Live At The Red Shack – Blue Ruby Music 2011

Entrare in possesso di questo CD, è stato come avvicinarsi al Santo Graal!. Ma certamente per quanto mi riguarda, ne è valsa la pena. Stiamo parlando di un disco dal vivo di Eric Taylor, un personaggio con una storia travagliata alle spalle, che mi porta ad accostarlo ad un altro grande cantautore che risponde al nome di David Munyon. Nato in Georgia, al ritorno dal Vietnam si stabilisce a Houston, e qui avviene il suo debutto come artista, e nei locali della città incontra i due musicisti che maggiormente lo influenzeranno, Townes Van Zandt e Guy Clark. Il matrimonio rapidamente svanito con Nanci Griffith, lo porta purtroppo ad essere un grande utilizzatore di droghe. Il primo disco Shameless Love è datato ’81, ma l’esordio a livello nazionale arriverà solo nel ’95 con l’omonimo Eric Taylor per la Watermelon, e il secondo cd Resurrect del ’98 per l’olandese Munich, due opere che lo faranno diventare, insieme con lo splendido Scuffletown del 2001, rapidamente oggetto di culto per gli amanti dei songwriters delle ultime generazioni. Non stupisce allora, che nel tempo le sue canzoni abbiano conosciuto “covers” di voci importanti quali la stessa Griffith, Lovett, Earl Keen, June Tabor, e lo stesso Steve Earle.

Questa nuova produzione per l’emergente Blue Ruby Music, sotto la produzione di Susan Lindfors Taylor, ci dà l’esatta misura della statura artistica dell’autore, con canzoni ricche e intense, servite su un tessuto sonoro elettroacustico, ben sostenute da ospiti importanti come la ex moglie Nanci Griffith, Lyle Lovett, James Gilmer, Denice Franke (una cantautrice che ho amato moltissimo sin dall’esordio del ’98 con You Don’t Know Me,  e l’ottimo Comfort del 2001), il nostro valido chitarrista Marco “Python” Fecchio, e la sempre splendida voce della moglie Susan Lindfors.

Il concerto lungo oltre 70 minuti, è stato registrato in due serate a Houston nello scorso Maggio, e il buon Eric con l’aiuto degli amici citati, ha rivisitato 21 suoi brani (una sorta di retrospettiva sulla carriera), tra i quali spiccano perle come Texas, Texas, una Tractor Song dall’incedere “Cooderiano”, una Visitor from Indiana degna del miglior John Gorka, e canzoni come Memphis Midnight in duetto con Lovett, Blue Piano con la Franke, Mission Door con Nanci, una Deadwood con la chitarra di Fecchio protagonista, dove un controcanto celestiale ci conduce in una sorta di paradiso cantautorale dove tutto sembra uscire alla perfezione.

Cinque anni dopo il suo ultimo album in studio Hollywood Pocketknife (2007), Taylor  con questo lavoro dal vivo (dove Eric e i suoi “friends” sembra che stiano suonando nel vostro salotto di casa), sforna il CD perfetto, con canzoni splendide, atmosfere giuste, gli amici di sempre, quasi che dopo aver subito un intervento chirurgico al cuore (triplo bypass), che gli ha permesso di continuare a scrivere e cantare, sia consapevole di aver avuto una seconda “chance”, quella che purtroppo non ha avuto un altro “grande” come Warren Zevon. Indispensabile e commovente.

Tino Montanari

E’ Solo Country! Little Willies – For The Good Times

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The Little Willies – For The Good Times – EMI Parlophone/Capitol

Di solito si usa dire “non solo country” ma nel caso del nuovo disco dei Little Willies For The Good Times si deve proprio usare il termine con fierezza, come era già stato peraltro per il precedente omonimo album del 2006.

Come nel caso del primo anche l’opera seconda del gruppo ha avuto una lunga gestazione. Il lavoro di “preparazione” è iniziato già tre anni fa (e infatti già da un po’ di anni le suonavano dal vivo), nelle pieghe della carriera solista e delle altre collaborazioni di Norah Jones, ma si tratta di un lavoro di gruppo, la newyorkese di nascita ma cresciuta in Texas con il country nelle orecchie, è una delle pedine del gruppo, importante, come pianista e principale vocalist ma divide la leadership con Richard Julian, l’altro ottimo cantante del gruppo e con l’asso delle chitarre Jim Campilongo di cui ho recensito Orange, l’album del 2010, per il Buscadero. Il quarto componente è Lee Alexander, bassista ed ex fidanzato della Jones con cui è rimasto un ottimo rapporto di lavoro e dietro la batteria siede Dan Rieser. Il primo album aveva avuto un moderato successo di vendita arrivando al 10° posto delle classifiche country ed al 48° di quelle generali, ma buoni riscontri di critica.

Direi che anche questo For The Good Times potrebbe ripeterne le gesta. E’ il primo disco “importante” dell’anno e potrebbe godere dell’effetto sorpresa nelle vendite. La struttura è più o meno quella del predecessore: sono 12 brani, meno di quaranta minuti di musica, tutte cover meno il brano strumentale di Campilongo Tommy Rockwood ed è ovviamente destinato agli estimatori del country. Lento, veloce, swingato, ballate, romantico o tagliente, sempre di country parliamo, quindi uomo avvisato…

Si apre con le armonizzazioni del duo Jones e Julian nel brano I Worship You scritto da Ralph Stanley poi si passa per il country swing delle parti cantate alternativamente dai due vocalist con Campilongo che si dà da fare alle chitarre e Richard Julian che in questo brano ha una voce che mi ricorda moltissimo quella del Lyle Lovett dei primi anni. Remember Me è un valzerone country scritto da Scott Wiseman e cantato con la sua tipica allure dalla Jones che duetta, il pianoforte in evidenza con la baritone guitar di Campilongo mentre Julian si occupa delle armonie vocali.

Diesel Smoke, Dangerous Curves accelera decisamente i tempi sulle note di una lap steel con Richard Julian che guida il gruppo e la brava Norah che “vampeggia” da par suo, un bravo divertente e ben eseguito dai Little Willies nella loro interezza di gruppo. Lovesick Blues è uno dei cavalli di battaglia di Hank Williams che però non l’aveva scritta, in ogni caso rimane uno degli standard della musica country e una delle canzoni più famose sul “mal d’amore” ed è cantata all’unisono dai due vocalist con rispetto ed amore per l’argomento trattato, una piccola delizia come sempre. Dello strumentale Tommy Rockwood si è detto ed è l’occasione per ascoltare Jim Campilongo, uno dei virtuosi della chitarra “country”, novello James Burton o Albert Lee, anche la Jones si “diverte” al piano.

Fist City di Loretta Lynn stranamente (o no?) è uno dei brani più rockeggianti dell’album, si fa per dire, e la nostra amica Norah la canta proprio bene. Non poteva mancare l’omaggio all’amico e “maestro” Willie Nelson e Richard Julian, con la sua vocalità pigra e sorniona, nuovamente alla Lovett, rende piena giustizia ad un brano come il melanconico Permanently Lonely, una delle chicche del disco, la Jones armonizza da par suo per rendere il favore.

Fowl Heat In the Prowl, dice la Jones in un’intervista, le è stata consigliata dalla mamma (il papà come quasi tutti sanno è Ravi Shankar) ed era nella colonna sonora di In The Heat Of the Night (per noi italiani “La Calda Notte Dell’Ispettore Tibbs); scritta da Quincy Jones non è forse propriamente country ma è un bello slow d’atmosfera cantato a due voci. Un altro dei brani migliori del CD è Wide Open Road una tipica canzone boom chika boom di Johnny Cash cantata da Lyl…, scusate, da Richard Julian (mi scappa, la tonalità e la voce sono molti simili, è inteso come un complimento e poi a fine febbraio esce il nuovo disco di Lyle Lovett, Release Me) mentre la Jones armonizza e Campilongo si diverte alla chitarra.

Una bellissima ballatona, che dà il titolo all’album, è For The Good Times, scritta da Kris Kristoffersson e cantata con grande pathos da Norah Jones che si identifica moltissimo nel brano, altra chicca! If You’ve Got The Money I’ve Got The Time è un frizzante country-swing scritto da Lefty Frizzell e cantato con particolare verve dai due “Willies”, Lee Alexander slappa il basso di gusto e tutto il gruppo si diverte. Conclusione con un altro dei classici della country music, una delle canzoni più belle del repertorio di Dolly Parton e ripresa negli anni da moltissimi artisti, anche i White Stripes ne hanno fatto una cover, questa, cantata con grande intensità dalla Jones è una delle migliori.

Il disco non è male, anzi direi buono, ma è ovviamente country, molto country, inteso nel senso più nobile del genere. Non dite che non vi avevo avvertito. Esce il 10 gennaio negli States ed Europa e il 31 in Italia (boh, misteri?).

Bruno Conti

Uno Dei Più Bei Tributi Di Sempre – This One’s For Him A Tribute To Guy Clark

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This One’s For Him – A Tribute To Guy Clark” – Icehouse Music 2CD

Di solito non includo i tributi nelle mie classifiche di fine anno, in quanto molto spesso, per quanto riuscito sia il disco in questione, c’è sempre qualche versione palesemente inferiore al brano originale, o qualche artista che c’entra come i cavoli a merenda con il cantante o gruppo oggetto del tributo.

Negli anni ne sono usciti tantissimi, anche più di uno dedicato allo stesso artista, alcuni poco riusciti, altri molto belli, altri imperdibili (cito a memoria Deadicated, in omaggio ai Grateful Dead, Not Fade Away dedicato a Buddy Holly – altro che i due usciti quest’anno! – Beat The Retreat con le canzoni di Richard Thompson, oltre al live tratto dal famoso concerto per Bob Dylan svoltosi a New York nel 1992), e non c’è dubbio che questo This One’s For Him, che ha per oggetto le canzoni del grande Guy Clark rientri nella categoria imperdibili.

Se leggete questo Blog saprete certo chi è Clark: texano, uno dei maggiori songwriters d’America (in Texas è considerato al pari di Townes Van Zandt, ed un gradino più su anche di una leggenda vivente come Willie Nelson), è uno che non ha mai sbagliato un colpo. Schivo, riservato, quasi ombroso, è una vera fonte di ispirazione continua per i nostri cantautori preferiti, e non solo texani; in quasi quarant’anni di carriera ha pubblicato solo una quindicina di album, ma tutti di assoluto livello (Old No. 1, il suo esordio del 1975, è uno dei massimi capolavori del cantautorato mondiale, ma tra i suo dischi più validi citerei anche The South Coast Of Texas, Better Days, Boats To Build, Dublin Blues, Workbench Songs e lo stupendo live di pochi mesi fa, Songs & Stories,ma consiglio caldamente anche tutti gli altri che non ho nominato).

Oggi, direi finalmente, viene pubblicato questo sontuoso tributo, curato dal bravo Shawn Camp, in collaborazione con Verlon Thompson (chitarrista, è il leader della touring band di Guy, oltre che suo abituale collaboratore): due CD, trenta canzoni, con una serie incredibile, e credo irripetibile, di musicisti coinvolti, la crema del Texas (e non solo). Joe Ely, Steve Earle, Willie Nelson, Lyle Lovett, Terry Allen, Kris Kristofferson, Rodney Crowell, John Prine e molti altri (li scoprirete man mano che parlerò del disco), il tutto con una house band alle spalle (che rende il lavoro ancora più unitario) guidata da Camp e Thompson, con calibri come Lloyd Maines, Glenn Fukunaga e Glenn Worf in session, gente che suosuonerebbe bene anche con una coperta sulla testa. Non manca nessuno, forse solo Michelle Shocked (per dire una che ha sempre dichiarato il suo amore per Clark), ma non è che negli ultimi anni Michelle abbia fatto molto per far sì che qualcuno si ricordasse di lei… In breve, una goduria: purtroppo il disco non è di reperibilità facilissima (e la versione con la prima copertina credo sia già esaurita, ora circola la seconda versione con sulla cover una foto anni settanta di Guy e della moglie Susannah), ma con un po’ di tenacia lo trovate, e ne vale la pena. 

Apre Rodney Crowell con That Old Time Feeling, che inizia per voce e chitarra, poi entra di soppiatto il resto della band: un’ottima resa di una canzone molto bella, ma Crowell (quotatissimo songwriter a sua volta) non lo scopriamo certo oggi. Lyle Lovett si cimenta con Anyhow, I Love You, una slow country song con il pianoforte in evidenza (l’ottimo Matt Rollings, Lyle è l’unico ad usare membri della sua band, ed il risultato gli dà ragione): Lovett canta con la sua solita voce quasi indolente e riesce a farla sua con la consueta classe. Ho sempre reputato Shawn Colvin una brava artista che raramente è riuscita ad esprimere il suo potenziale, ma con All He Want Is You posso dire che riesce a centrare il bersaglio: atmosfera leggermente western, interpretazione intensa e sentita. Shawn Camp (ma allora Shawn è un nome da donna o da uomo?) si prende i riflettori per una splendida Homeless, una delle canzoni più toccanti di Clark, resa in maniera magistrale: una delle gemme più preziose del doppio dischetto. Reputo Ron Sexsmith abbastanza lontano dal mondo di Guy Clark, ma qui non sfigura affatto con la sua versione di Broken Hearted People (se l’è scelta bella il buon Ron…ma ha mai scritto canzoni brutte Clark?). Rosanne Cash è brava e lo sappiamo, e Better Days è perfetta per le sue corde vocali; Desperados Waiting For A Train non ha bisogno di presentazioni, è a mio parere la canzone più bella mai scritta da Clark, ed una delle più belle in assoluto degli anni settanta: vi dico solo che la fa Willie Nelson e non aggiungo altro. Pelle d’oca, e d’altronde il buon WIllie saprebbe rivitalizzare anche il songbook di Britney Spears.

Rosie Flores ci regala un’interpretazione bluesata e discretamente elettrica di Baby Took A  Limo To Memphis, piena di grinta e texana nel profondo; Kevin Welch è uno dei miei texani preferiti, lo seguo fin dal suo esordio omonimo ancora country-oriented di una ventina di anni fa e non mi ha mai tradito (ed il mio Fattore C mi ha anche portato una volta ad averlo come vicino di posto su di un volo Milano-Atlanta, e ho scoperto una persona semplice, gentile e squisita – impagabile la sua espressione facciale quando ho mostrato di conoscerlo a menadito!): Magdalene è eseguita con il suo solito feeling, e con la sua tipica voce espressiva, che migliora con l’età. Non male Suzy Bogguss con Instant Coffee Blues, grande Ray Wylie Hubbard con la divertente Homegrown Tomatoes, brano che rivela anche una vena umoristica in Clark (come se da noi DeGregori cantasse i pregi del basilico fresco coltivato sul balcone di casa).; Bravino John Townes Van Zandt II (rifà Let Him Roll), ma non è facile essere il figlio di Townes, bravissimo il grande Ramblin’ Jack Elliott, uno che emette carisma solo quando apre bocca, con il western tune The Guitar: classe pura. James McMurtry non cambia stile neanche se gli spari, e quindi anche Cold Dog Soup è trattata alla maniera di un Lou Reed made in Texas, mentre Hayes Carll si dimostra uno dei giovani più interessanti in circolazione,con un’ottima versione di Worry B Gone.

E questo è solo il primo CD: tirate il fiato che comincio con il secondo. Joe Ely è un altro che comprerei anche se facesse un disco intitolato Joe Ely sings the yellow pages shaving himself under the shower: Dublin Blues sembra una canzone sua, passo lento ed epico, solita grande voce e feeling a grappoli. Magnolia Wind è un duetto tra John Prine ed Emmylou Harris (per la serie: due grandi al prezzo di uno), un brano toccante ed intenso, reso ancora più bello dalla voce espressiva (e un po’ invecchiata) di John e da quella sempre cristallina di Emmylou. Il tris d’assi con cui si apre il secondo CD si completa con Steve Earle, che ci regala un’ottima The Last Gunfighter Ballad, scarna e spoglia ma ricca di pathos, con una melodia di fondo quasi dylaniana (se è vero che His Bobness ha influenzato tutti i cantautori venuti dopo di lui, allora vale anche un po’ per Clark). Verlon Thompson sceglie All Through Throwin’ Good Love After Bad (titoli facili mai), e così come Shawn Camp sul primo CD, piazza una delle zampate migliori (giocano in casa…): un delizioso brano country & western, che Verlon rilascia in perfetta linea con lo stile del suo autore.

Pensavo che The Dark fosse più adatta ad un’interpretazione maschile, ma Terri Hendrix mi smentisce e piazza una performance da brividi, del tutto inattesa; la splendida L.A. Freeway è una delle più note di Guy, ed a Radney Foster basta riprenderla con assoluta fedeltà per fare un figurone. Brava Patty Griffin con The Cape, bravissimo come sempre il grande Kris Kristofferson con l’intensa Hemingway’s Whiskey, un’altra song che sembra uscita più dalla penna di Kris che da quella di Clark. Gary Nicholson, Darrell Scott e Tim O’Brien ci regalano una mossa e swingata Texas Cookin’, mentre Jack Ingram si prende una delle più belle, cioè Stuff That Works, e fornisce una prova da manuale, con un’interpretazione decisamente dylaniana (sentire per credere). Randall Knife è una delle canzoni più personali e toccanti di Clark (è dedicata a suo padre), e Vince Gill non sfarfalleggia come gli capita di fare ogni tanto, ma mostra grande rispetto per la versione originale: ottima prova. Ho sempre pensato che il bravo Robert Earl Keen fosse una sorta di “figlio illegittimo” di Guy Clark, e Texas 1947 ne è la riprova: fluida, discorsiva e coinvolgente, si trasforma nella seconda parte in un bluegrass texano, polveroso ed arso dal sole. Perfino Terry Allen esce dal suo prolungato ritiro per farci sentire ancora la sua voce, e dimostra di non aver perso lo smalto: Old Friends è un’autentica perla, con la voce stagionata di Terry che dispensa emozioni a piene mani. A quando un disco nuovo, Terry?; Il doppio album si chiude con The Trishas (una discreta She Ain’t Goin’ Nowhere) e con l’ultima sorpresa, cioè il grande Jerry Jeff Walker che walkereggia con My Favorite Picture Of You, facendola sua al 100%.

So di essermi dilungato un pochino, ma penso che uno come Guy Clark si meriti qualche parola in più: se vi ho convinto…buona ricerca! Personalmente, parlandone mi è venuta voglia di riascoltarlo…

Marco Verdi

75 Anni Di Buddy Holly. Un Altro Tributo! Listen To Me

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Listen To Me: Buddy Holly – Verve Forecast/Universal 06-09-2011

Nel mese di giugno vi avevo parlato di un tributo a Buddy Holly in occasione del 75° Anniversario dalla nascita del cantante texano 75-anni-di-buddy-holly-rave-on-a-tribute.html, edito dalla Mpl/Concord (l’etichetta di Paul McCartney) e distribuito dalla Universal. Ora, a nemmeno tre mesi, siamo a parlare di questo Listen To Me che esce il 6 settembre per la Verve Forecast (sempre del gruppo Universal)ma non in Italia, per il momento. Per essere onesti l’anniversario cade il 7 settembre, quindi era in anticipo l’altra raccolta.

Comunque è curioso che la stessa casa discografica pubblichi in un breve lasso di tempo due tributi dedicati alla stesso argomento. Ma visto che il primo Rave On era decisamente bello e questo Listen To Me mi sembra additittura migliore, chi siamo noi per lamentarci?

Il CD è prodotto da Peter Asher e il parterre degli artisti è di tutto rispetto, come pure i musicisti utilizzati (nel filmato ho intravisto Waddy Wachtel, Lee Sklar e Ringo Starr, che canta anche)…

Questa è la lista completa dei brani e degli artisti:

Stevie Nicks – Not Fade Away (3:59)
Pat Monahan of Train – Maybe Baby (2:26)
Brian Wilson – Listen To Me (2:41)
Imelda May – I’m Lookin’ For Someone To Love (2:08)
Jackson Browne – True Love Ways (3:03)
Cobra Starship – Peggy Sue (2:51)
The Fray – Take Your Time (3:27)
Ringo Starr – Think It Over (1:48)
Chris Isaak – Crying Waiting Hoping (2:26)
Linda Ronstadt – That’ll Be The Day (2:33)
Jeff Lynne – Words Of Love (2:06)
Lyle Lovett – Well All Right (2:22)
Natalie Merchant – Learning The Game (3:28)
Patrick Stump – Everyday (2:38)
Zooey Deschanel – It’s So Easy (2:55)
Eric Idle – Raining In My Heart (3:01)            

Niente male direi: Stevie Nicks, Brian Wilson, Jackson Browne, Lyle Lovett, Linda Ronstadt, Natalie Merchant!, Jeff Lynne, ma chi cacchio è Patrick Stump? Ok, lo so è quello dei Fall Out Boy ma cosa c’entra con gli altri? (Forse perché il suo album di debutto da solista Soul Punk uscirà per la Island il 18 ottobre? Si chiama marketting, giovani!). Cobra Starship invece conoscevo, sono bravi. Per chi non lo sapesse Eric Idle era quello dei Rutles (parodie dei Beatles divertentissime, grande amico di George Harrison, nonché del giro Monty Python).

Se volete ulteriori informazioni c’è anche un sito apposito creato per l’occasione http://www.listentomebuddyholly.com/.

Bruno Conti

The Best Of 2009 – Appendice n°. 1

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Come promesso torniamo sulle classifiche di gradimento della critica di fine anno. Questa volta arriviamo alle riviste specializzate italiane, partendo dal Buscadero, trattasi di chiaro esempio di “nepotismo, visto che, come sapete, ci scrivo.

Prima cosa, sono veramente costernato, nemmeno un miserrimo voto per gli Animal Collective e ho controllato proprio bene tutte le liste dei collaboratori (chi legge questo blog con regolarità sa perché!), una vera vergogna, una banda di incompetenti.

The Best of The Year Il Meglio Del 2009 dal Buscadero numero di gennaio 2010.

Ha vinto quell’omino uno e trino che vedete effigiato sopra.

1) Tom Petty and The Heartbreakers – The Live Anthology

Per quelle due o tre persone che non l’hanno ancora comprato, questo è quello che vi siete perso!

2a) Bob Dylan – Together through life

2b) Wilco – Wilco (The Album)

Oltre all’album di studio hanno pubblicato anche questo bellissimo DVD.

Non fate caso alle numerazioni dei posti della classifica: SSQDB (Son strani questi del Buscadero)

4a) Ian Hunter – Man Overboard

70 anni e non sentirli!

4b) Leonard Cohen – Live in London

75 anni e non sentirli! Nel video una accoppiata inconsueta con Sonny Rollins.
4c) John Fogerty – The Blue Ridge Rangers Rides Again
Sempre da quel concerto là, con Bruce.
4d) Black Crowes – Before the Frost…
Una delle migliori band rock al mondo attualmente in circolazione.
4e) Lyle Lovett – Natural Forces

Uno dei più grandi cantautori americani, in Italia il 99.99% lo conosce come l’ex marito di Julia Roberts. Per rettificare l’errore potreste andare il 2 febbraio al Conservatorio – Sala Verdi di Milano per vederlo in concerto con John Hiatt.

9a) Low Anthem – Oh My God, Charlie Darwin

9b) Van Morrison – Astral Weeks Live at Hollywood Bowl

Non c’è video perché, come sapete, il vecchio Van non vuole!

Per perditempo, masochisti e “amici” questi sono i miei dieci in ordine sparso come concepiti nel momento della richiesta (a seconda dei giorni cambiano ma questi rimangono registrati sul giornale quindi non vi sfuggo). Tom Petty – Live Anthology qui non si sfugge, Gov’T Mule – By a Thread, Rosanne Cash – The List, Van Morrison – Astral Weeks Live, Rickie Lee Jones – Balm in Gilead, Cory Chisel & The Wandering Sons – Death won’t Send A Letter, Eric Clapton/Steve Winwood – Live From Madison Square Garden, Wilco – Wilco (The Album) – Leonard Cohen – Live In London, Derek Trucks Band – Already Free.

Alla prossima (classifica)!

Bruno Conti