Siamo Arrivati A Quel Periodo Dell’Anno! Il Meglio Del 2018 In Musica Secondo Disco Club, Parte III

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Ovviamente lui come pensatore non aveva (quasi) uguali, però almeno i baffi sono in comune tra di noi. Scherzi a parte ecco la mia (prima) lista, in qualità di titolare del Blog. Si tratta di quella che poi uscirà anche sul Buscadero del prossimo mese, e quindi abbastanza di dimensioni ridotte, che verrà integrata però un altro Post contenente alcuni titoli che non erano rientrati per motivi di spazio, e che ho definito “Rinunce dolorose!”, anche perché quando devo indicare dei titoli come le mie preferenze per l’anno in corso preferisco farlo all’impronta, salvo poi avere mille ripensamenti, e in linea di massima valgono solo per quel momento preciso, ma ce ne sarebbero molti che appunto dolorosamente rimangono fuori da queste classifiche di fine anno. Quindi ecco la mia lista: commenti non ne trovate, anche perché i link che seguono quasi tutte le scelte sono relativi alle mie recensioni, che volendo potete rileggervi integralmente.

Il Meglio Del 2018 di Bruno Conti

ry cooder the prodigal son

Ry Cooder – Prodigal Son

https://discoclub.myblog.it/2018/05/28/chitarristi-slide-e-non-solo-di-tutto-il-mondo-esultate-e-tornato-il-maestro-ry-cooder-prodigal-son/

beth hart live at the royal albert hall dvd

Beth Hart – Live At The Royal Albert Hall

https://discoclub.myblog.it/2018/11/24/che-voce-e-che-concerto-spettacolare-uno-dei-migliori-del-2018-beth-hart-live-at-the-royal-albert-hall/

mary chapin carpenter sometimes just the sky

Mary Chapin Carpenter – Sometimes Just The Sky

janiva magness love is an army

Janiva Magness – Love Is An Army

https://discoclub.myblog.it/2018/04/11/voci-e-dischi-cosi-non-se-ne-fanno-quasi-piu-janiva-magness-love-is-an-army/

fairport convention what we did on our saturday

Fairport Convention – What We Did On Our Saturday

https://discoclub.myblog.it/2018/07/15/i-migliori-dischi-dellanno-2-fairport-convention-what-we-did-on-our-saturday/

amy helm this too shall light 28-9

Amy Helm – This Too Shall Light

https://discoclub.myblog.it/2018/10/01/unaltra-rampolla-di-gran-classe-sempre-piu-degna-figlia-di-tanto-padre-amy-helm-this-too-shall-light/

richard thompson 13 rivers 14-9

Richard Thompson – 13 Rivers

https://discoclub.myblog.it/2018/09/23/forse-sempre-uguale-ma-anche-unico-richard-thompson-13-rivers/

magpie salute heavy water I

Magpie Salute – High Water 1

https://discoclub.myblog.it/2018/08/13/il-primo-disco-ufficiale-di-studio-ma-anche-il-precedente-non-era-per-niente-male-magpie-salute-heavy-water-i/

paul rodgers free spirit

Paul Rodgers – Free Spirit

https://discoclub.myblog.it/2018/07/13/i-migliori-dischi-dal-vivo-dellanno-1-paul-rodgers-free-spirit/

nathaniel rateliff tearing at the seams

Nathaniel Rateliff & The Night Sweats – Tearing At The Seams

Ristampe Dell’Anno:

beatles white album

Beatles – White Album 50th Anniversary Edition

https://discoclub.myblog.it/2018/11/27/correva-lanno-1968-1-the-beatles-white-album-50th-anniversary-edition-parte-i/

https://discoclub.myblog.it/2018/11/28/correva-lanno-1968-1-the-beatles-white-album-50th-anniversary-edition-parte-ii/

jimi hendrix electric ladyland box front

Jimi Hendrix Experience – Electric Ladyland 50th Anniversary Deluxe Edition

In questo caso anche se poi trovate il link della recensione, un breve commento mi scappa: il disco rientra di dovere tra le ristampe più importanti dell’anno, per il valore dell’album, ma non per i contenuti del cofanetto,”interessanti”, ma si poteva fare molto di meglio

https://discoclub.myblog.it/2018/12/03/correva-lanno-1968-2-jimi-hendrix-experience-electric-ladyland-deluxe-edition-50th-anniversary-box/

bob dylan more blood more tracks

Bob Dylan – More Blood More Tracks Bootleg Series vol.14

Il link della recensione completa lo trovate poi nei Best di Marco Verdi.

Concerto:

van morrison in concert

DVD Van Morrison in Concert

Un Van Morrison nelle mie liste di fine anno ci sta sempre, questa volta ho scelto uno strepitoso video.

https://discoclub.myblog.it/2018/03/30/from-belfast-northern-ireland-il-van-morrison-pasquale-van-morrison-in-concert/

A questo punto mancano solo i migliori di Marco Verdi, che troverete domani, e poi nei giorni natalizi un Post con l’integrazione della mia classifica.

Bruno Conti

Il Primo Disco Ufficiale Di Studio: Ma Anche Il Precedente Non Era Per Niente Male. Magpie Salute – Heavy Water I

magpie salute heavy water I

Magpie Salute – Heavy Water I – Mascot Provogue EU/Eagle Rock USA

Questo a tutti gli effetti sarebbe il secondo disco ufficiale dei Magpie Salute, ma coloro che devono a tutti i costi complicare le cose lo hanno presentato come il primo vero album ufficiale di studio della band (registrato a Nashville nei Dark Horse Studios), perché il primo omonimo era altresì composto prevalentemente da cover, a parte la traccia iniziale, e con un paio di pezzi ripescati dal repertorio dei Black Crowes: e oltre a tutto era quasi totalmente registrato dal vivo in studio. A questa stregua non dovremmo contare, per fare un esempio, molti dei primi dischi di Beatles o Stones, perché rientravano in queste caratteristiche, pochi brani originali e molte cover, oppure tanti dischi classici del rock registrati in parte dal vivo e in parte in studio, bah! Comunque al di là di queste quisquilie quello che conta è se il disco sia bello oppure no? E lo è, come pure il precedente, peraltro. La “Gazza” ha assestato la propria formazione ad un sestetto classico, dopo la scomparsa del tastierista Eddie Harsch, avvenuta durante la registrazione del primo CD. A fianco di Rich Robinson, voce e chitarra, Marc Ford, chitarra e voce, ed il cantante John Hogg, che firmano complessivamente tutte le dodici canzoni, troviamo il nuovo tastierista Matt Slocum, comunque già presente nel primo album, e la sezione ritmica con Sven Pipien al basso, anche lui proveniente dai Crowes, e Joe Magistro alla batteria, più gli ospiti Byron House al contrabbasso e Dan Wistrom alla pedal steel, e quindi niente voci femminili di supporto questa volta.

Si diceva che i pezzi in totale sono dodici, niente brani lunghi per l’occasione, solo due superano i cinque minuti, ma nel complesso il lavoro continuo delle chitarre e delle tastiere è sempre presente, forse meno jam e più sostanza, anche se al sottoscritto il primo disco eponimo era piaciuto parecchio https://discoclub.myblog.it/2017/06/06/quasi-black-crowes-the-magpie-salute-the-magpie-salute/ , ma Heavy Water I (che fa presupporre un secondo capitolo già annunciato per il 2019) è un emblematico album di rock che mette in evidenza tutte le classiche influenze dei Magpie Salute, che erano poi pure quelle dei Black Crowes ( e Chris Robinson ha anche messo in piedi una band, As The Crow Flies, solo per suonare il repertorio del suo vecchio gruppo), quindi rock anni ’70 alla Faces, Stones, Humble Pie, ma anche Led Zeppelin, Free, un po’ di psichedelia, qualche tocco country e molto southern, anche piccoli rimandi ai Beatles, nell’insieme, come direbbero quelli che parlano bene, un disco derivativo, con i piedi ben piantati nel passato, e proprio per questo ci piace parecchio, essendo suonato e cantato con passione e classe dai degni prosecutori di questi suoni classici e senza tempo. Mary The Gipsy, con finto applauso iniziale, è il classico pezzo heavy rock a tutto riff, tipico della famiglia Robinson, firmato infatti dal solo Rich, chitarre che impazzano a destra e a manca e ritmi gagliardi https://www.youtube.com/watch?v=AsZE6WVQl00 , che poi si stemperano nella eccellente High Water, la title track, quasi sei minuti aperti da un delizioso intreccio di chitarre acustiche, per una idilliaca ballata elettroacustica co-firmata da Hogg, che la canta quasi in souplesse, mentre elettrica e slide, come pure le tastiere allargano lo spettro sonoro di un brano che rimanda comunque alle sonorità dei Crowes, molto bello e raffinato anche l’arrangiamento vocale.

Send Me An Omen è di nuovo virata decisamente british rock, con elementi Free, Faces, Zeppelin, grazie alla voce ricca e potente di Hogg e alle chitarre arrotate di Robinson e Ford, senza perdere comunque il gusto per la melodia. For The Wind, l’altro brano che supera, di poco, i cinque minuti, mescola i Led Zeppelin bucolici del terzo album, con chitarre acustiche e tastiere in evidenza nella parte iniziale, poi si fa decisamente più varia, con ripartenze più dure e psichedeliche alternate a momenti più quieti di stampo folk-rock, molto bello anche il lavoro delle due soliste nella parte centrale; Sister Moon è il primo brano che porta la firma di Marc Ford (sempre con Hogg), con tracce dei Beatles dell’ultimo periodo, ma anche dei cantautori classici anni ’70, un pizzico di Nash e uno di Paul Simon, belle melodie, quindi lidi sonori diversi rispetto al precedente album, mentre Color Blind abbraccia anche tematiche razziali nella storia (autobiografica) di un giovane, metà svedese e metà africano, in una Londra indifferente, ovviamente parliamo di Hogg, che canta questo brano con quel pizzico di malinconia e rassegnazione che potrebbe rimandare, almeno come costruzione sonora, non certo nella voce, agli Stones dei brani meno tendenti al riff’n’roll, Un po’ di sana slide guitar e un piano insinuante ci introducono a Take It All,  un blues-rock abbastanza muscolare e tirato, con elementi southern e la grinta poderosa della voce di Hogg https://www.youtube.com/watch?v=ZNbMxuUlAfg .

Walk On Water, di nuovo scritta da Ford come la precedente, con il tema dell’acqua che ritorna, è un’altra bella ballata mid-tempo dal tempo danzante, con intrecci di chitarre acustiche ed elettriche, e anche le voci che lavorano coralmente, con qualche vago rimando al Tom Petty dei dischi solisti anche grazie al jingle-jangle delle chitarre. Hand In Hand profuma di nuovo di British folk-rock, quello un po’ indolente, a tempo di ragtime, del compianto Ronnie Lane o del primo Albert Lee, del periodo Heads, Hands & Feet, tra chitarre acustiche e piano accarezzati; You Found Me è uno dei tre brani scritti in solitaria de Rich Robinson, una deliziosa country song, con tanto di pedal steel, suonata da Dan Winstrom, e anche Can You See porta la firma del solo Rich, una tersa rock-song di nuovo con elementi sudisti, nell’intreccio incisivo delle chitarre acustiche che poi si aprono per lasciare spazio a delle grintose chitarre elettriche che regalano nerbo ad un altro brano che evidenzia la più ampia ricerca sonora delle “Gazze”, impiegata in questo album. Che si chiude sulle cadenze scandite delle bluesata Open Up, dove il piano insinuante di Slocum spalleggia con grinta le chitarre sempre con leggeri spunti psych, in un’altra traccia dove il sound d’assieme è spesso più importante del lavoro dei singoli. Non un capolavoro, ma un disco decisamente solido e convincente, destinato agli amanti di un rock classico ma variegato.

Bruno Conti

 

La “Fratellanza” Colpisce Ancora! Chris Robinson Brotherhood – Barefoot In The Head

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Chris Robinson Brotherhood – Barefoot In The Head – Silver Arrow Records CD

Uno dei dischi migliori usciti di recente è sicuramente quello dei Magpie Salute http://discoclub.myblog.it/2017/06/06/quasi-black-crowes-the-magpie-salute-the-magpie-salute/ , l’esordio della nuova band di Rich Robinson, il fratello minore di Chris, chitarrista storico dei Black Crowes, uno dei gruppi che dagli anni ’90 ha raccolto con più vigore il testimone del rock “classico”, quello che passando per il sound “britannico” di Stones, Faces, Humble Pie, ma anche il sound sudista della loro nativa Georgia, le influenze della musica soul e R&B nera, si è poi arricchito con lo stile jam dei Grateful Dead, il country-rock “cosmico”, la musica della West Coast.e l’Americana Sound della Band e dei Little Feat, tanto per citare alcune delle influenze dei fratelli Robinson: ma ce ne sono mille altre, messe in evidenza sia nei dischi e nei concerti dei Crowes, quanto nelle band che sono venute dopo, non ultimi, come si diceva poc’anzi, i Magpie Salute. Come è noto i due fratelli hanno sempre avuto un rapporto che definire conflittuale vuol dire minimizzare le cose, pur senza arrivare ai limiti “fisici” dei fratelli Gallagher, si sono lasciati e ripresi più volte, l’ultima volta sembrerebbe in modo definitivo nel 2013, anche se già dall’anno precedente sia Rich Robinson che Chris Robinson con i suoi Brotherhood, avevano iniziato una carriera parallela, come vogliamo definirla, solista.

Visto che una reunion sembra improbabile, ma visti i precedenti mai dire mai, concentriamoci sui dischi del post Black Crowes: detto che, a mio parere, l’album dei Magpie Salute pare superiore a tutto ciò che è uscito finora dall’ingegno dei due fratelli, anche questo Barefoot In The Head è un disco eccellente, forse il migliore della band sino a questo momento, probabilmente insieme al primo Big Moon Ritual, che però era decisamente più orientato verso uno stile jam ed improvvisativo, comunque sempre presente nelle esibizioni live, come confermato dal recentissimo terzo capitolo della serie Betty’s Blends, uscito solo a maggio. Come è noto nei Brotherhood, oltre a Chris, suona anche Adam MacDougall dei vecchi Crowes, mentre il resto della band originale è confluito con Rich nei Magpie Salute; però nella formazione milita un altro eccellente musicista nella persona di Neal Casal, uno dei chitarristi (e cantautori, quando ha voglia e tempo, tra un impegno e l’altro, anche con gli Hard Working Americans) più validi della scena roots-rock americana. Non è il caso dei CRB, dove Chris Robinson è l’autore di tutti i brani, anche in questo Barefoot In The Mind (sarebbe “scalzo nella mente”, forse a voler indicare  una maggiore libertà nei temi musicali del nuovo album): il sound si è fatto decisamente più “californiano”, anche rilassato e con elementi country per certi versi, ma non mancano episodi dove il rock più grintoso è comunque protagonista.

Prendiamo, per esempio, l’iniziale Behold The Seer (che come tutte le canzoni del CD veleggia tra i quattro e i cinque minuti) che frulla un vivace groove funky-rock della sezione ritmica e del clavinet di MacDougall, con le chitarre choppate di Casal e Robinson, in un brano che richiama dei Little Feat più solari e rilassati, e dove la voce rauca di Chris si accoppia a coretti deliziosi, mentre anche una inconsueta armonica si divide gli spazi solisti con la chitarra di Neal in un clima corale gioioso. She Shares My Blanket è più languida e “campagnola”, molto westcoastiana, tra florilegi pianistici, di banjo e le chitarre quasi accarezzate, in un mood che non sarebbe dispiaciuto ai cultori del country-rock più classico ma anche ai CSNY o ai Grateful Dead più pastorali, comunque la si giri veramente bella e cantata in modo perfetto da un Robinson veramente ispirato che rimanda anche al Rod Stewart dei primi dischi solisti. Hark, The Herald Hermit Speaks (la fantasia per i titoli, di brani e album, non gli fa mai difetto), con un organetto molto sixties che doppia il piano, una chitarra lap steel che da languida man mano si fa più incalzante, come il resto del brano, dai tratti sonori più vibranti, soprattutto nella grintosa parte centrale e finale dove la chitarra si prende i suoi spazi.

Blonde Light Of Morning sta in quel territorio che si trova tra Laurel Canyon e il Canada intimista del migliior Neil Young, una andatura pigra e ciondolante, armonie avvolgenti che evocano i Beatles o i migliori CSNY già citati, e un inserto tagliente in modalità slide della chitarra di Casal. Lo dico o non lo dico? Lo dico: l’incipit di chitarre acustiche di Dog Eat Sun mi ha ricordato moltissimo quelli dei primi dischi degli America, che non erano per nulla disprezzabili, anzi, quel country easy listening deluxe e di gran classe che aveva attirato anche l’attenzione di George Martin, uno che di voci se ne intendeva; poi il brano si evolve in modo più complesso e quasi psych, ma mantenendo elementi acustici nel suo dipanarsi, con l’intervento di un vecchio synth analogico nel finale. Un piano blues barrelhouse ci introduce a una Gold Star Woman che mantiene questo spirito da 12 battute quasi classiche, ma è tra le canzoni meno riuscite e coinvolgenti del disco, a parte l’intermezzo strumentale quasi psichedelico nella parte centrale e finale che vira su lidi alla Grateful Dead e dal vivo potrebbe fare faville.

A proposito di GD, High Is Not The Top, ricorda quelli più acustici e country di American Beauty Workingman’s Dead, ma anche Dillards, Nitty Gritty e il lato più tradizionalista del country-rock, con l’armonica di Chris che svolge il ruolo che era del violino in quei dischi, e alla fine in fondo si respira l’aria californiana di Marin Country, dove è stato registrato questo Barefoot In the Head, mentre If You Had A Heart To Break potrebbe ricordare sia i Black Crowes più pastorali dell’ultimo periodo, ma anche (ogni tanto l’intercalare Veltroniano si insinua) il classico sound rootsy-Americana à la Band, della bellissima If You Had A Heart To Break, con i suoi quasi 6 minuti il brano più lungo del CD, ma neppure un secondo è sprecato, chitarre acustiche ed elettriche come piovesse, tastiere ovunque e Chris che la canta con una souplesse invidiabile, senza dimenticare le classiche variazioni di tempo, che ora rallenta ed ora accelera come nei migliori pezzi del songbook di Robinson. Glow si apre acustica sul suono del sarod dell’ospite Alam Khan, che sembra quasi un dobro e poi si apre lentamente in calde volute tra psych e folk o tra oriente ed occidente, serena e quasi austera nella sua inconsueta dolcezza, un altro degli episodi migliori del CD che si chiude con Good To Know uno dei pezzi più freakattoni e jam dell’album, lisergica e sognante, come le tastiere di MacDougall, qui protagoniste e le chitarre di Casal, per rinverdire ancora una volta i suoni  della vecchia California, spesso rievocati in questo album dei CRB.

Bruno Conti

Quasi Black Crowes! The Magpie Salute – The Magpie Salute

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The Magpie Salute – The Magpie Salute – Eagle Rock/Universal 09-06-2017

Da una costola dei “Corvi Neri” ora arrivano le “Gazze”, che peraltro in ornitologia risultano essere della stessa famiglia. E anche musicalmente parlando nei Magpie Salute di “vecchi” Black Crowes ce ne sono ben tre, oltre al tastierista Eddie Harsch, scomparso nel novembre del 2016, ma presente tra i membri fondatori della nuova band ed alle registrazioni dell’album, insieme ai due chitarristi Rich Robinson Marc Ford e al bassista Sven Pipien. In effetti, guardando la foto di copertina, che li riprende di spalle, la formazione del gruppo conta su ben dieci elementi (quasi come la Tedeschi Trucks Band, altro riferimento sonoro, ma senza i fiati): oltre ai nomi citati ci sono anche Matt Slocum alle tastiere, il vocalist di colore John Hogg e il batterista Joe Magistro, tutti provenienti dalla band di Rich Robinson, che aveva registrato l’ottimo Flux lo scorso anno http://discoclub.myblog.it/2016/07/04/era-meglio-se-i-fratelli-rimanevano-insieme-rich-robinson-flux/ . Anzi, da quella band arriva pure la voce femminile di Katrine Ottosen, che insieme a Adrien Reju e Charity White, fornisce il consistente supporto vocale della pattuglia femminile, e per non farsi mancare nulla c’è anche un terzo chitarrista, Nico Beraciartua. Il loro omonimo esordio è stato registrato lo scorso anno dal vivo agli Applehead Studios per la serie delle Woodstock Sessions, mentre il primo brano, un inedito, firmato da Hogg e Robinson, Omission, è stato registrato live in studio, mi pare senza la presenza del pubblico ed il suono è veramente potente, il classico rock alla Crowes, con elementi Led Zeppelin, grazie alla voce di Hogg, e molto southern rock assai robusto robusto, con chitarre e voci ovunque.

Ma è la parte delle “cover” che è il piatto forte del disco, a partire da una Comin’ Home di Delaney & Bonnie che non ha nulla da invidiare all’originale, il classico rock got soul a tutto chitarre, soliste e slide che imperversano, armonie vocali importanti, ritmica solida e le tastiere a “colorare” il sound di Sud, e il pubblico apprezza. A proposito di “casa” What Is Home? era su Before The Frost dei Black Crowes, un altro pezzo tipicamente sudista dove si apprezza il lavoro del piano e dell’organo di Hearsch (o Slocum?), mentre la parte vocale, con molti musicisti impegnati al canto, ha un appeal quasi Westcoastiano, tipo i pezzi più rock di CSNY, con le chitarre più sognanti, ma sempre in tiro ed eccellenti intrecci melodici, d’altronde Ford e Robinson non sono i primi due che passano per strada, e nella lunga parte strumentale lo dimostrano. Wiser Time, da Amorica, in una versione sontuosa, rincara la dose, forse mancano il nome e la voce solista, ma per il resto sono proprio i Black Crowes, e si sente, oltre nove minuti di grande musica a ribadire la classe di questa “nuova” formazione, dove comunque ha sempre molta importanza l’impasto vocale d’assieme, ma l’ugola di Hogg è notevole, però è la parte strumentale che si gode al massimo, con continui assoli e rilanci dei diversi chitarristi, con le tastiere che svolgono un eccellente lavoro di raccordo. Goin’ Down South, una splendida incursione nel jazz, dal repertorio del vibrafonista Bobby Hutcherson, prevede proprio la presenza di questo strumento che apre la lunga parte introduttiva, prima di trasformarsi in una bella jam strumentale, liquida e ricercata, quasi alla Grateful Dead, con le chitarre che conquistano lentamente il proscenio, mentre piano e vibrafono lavorano ancora di fino sullo sfondo, su un eccellente groove della sezione ritmica, mentre il brano sfuma…

E anche War Drums, la cover del pezzo dei War, ha una forte propensione ritmica, con un rotondo giro del basso di Pipien ad introdurre le danze, prima che il tempo latin jazz e precussivo del brano venga sviluppato attraverso gli oltre nove minuti di durata del pezzo, di nuovo con le chitarre in grande spolvero, attraverso una serie di assoli incrociati e triplicati che virano quasi verso il jazz-rock e la fusion e derive santaneggianti. Vista l’aria di Woodstock che si respira nelle sessions non poteva mancare un omaggio alla Band con una ripresa di Ain’t No More Cane, molto rispettosa dell’originale, con gli splendidi intrecci vocali della band di Levon Helm, Rick Danko, Richard Manuel Robbie Robertson (per non parlare di Garth Hudson, ma lui non cantava) rivisti attraverso l’ottica dei Magpie Salute, che in questo brano è molto vicina allo spirito della canzone originale, musica del Sud, registrata nel profondo Nord del continente statunitense, la vera musica “Americana”. E non mancano neppure gli omaggi al lato ispiratore “inglese” dei vecchi Crowes, prima i Pink Floyd, con una bella Fearless, ripresa da Meddle, e di cui viene accentuato lo spirito americano, senza dimenticare il lavoro della slide di Gilmour, qui a cura di Rich Robinson, che canta anche il brano, mentre il lato più “cialtrone” e rock dei “Corvi” è insito nella rivisitazione di Glad And Sorry dei grandi Faces, una sorta di  nostalgica rock ballad che ricordiamo su Ooh La La, nella interpretazione del suo autore, il compianto Ronnie Lane. Come sapete non amo molto il genere, ma la versione di Time Will Tell di Bob Marley & The Wailers, già su The Southern Harmony and Musical Companion dei Black Crowes, in questo Melting Pot di generi musicali ci sta perfettamente e chiude alla grande un ottimo album. Quindi salutiamo la gazza perché Rich Robinson (e la superstizione) ci dicono che non farlo porta male, ma la musica basta e avanza, anche se attendiamo altri capitoli. Esce venerdì 9 giugno anche questo.

Bruno Conti