Tra Rock, Blues E Soul, 100% Made In Texas. Milligan Vaughan Project – MVP

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Milligan Vaughan Project – Milligan Vaughan Project – Mark One CD

Il Texas non è solo terra di outlaws e countrymen dal pelo duro, ma anche di bluesmen e soul singers: un valido esempio è sicuramente Malford Milligan, grande cantante attivo dagli anni novanta, in possesso di un’ugola potentissima ma anche piena di sfaccettature e sfumature, in grado quindi di affrontare con estrema disinvoltura soul, rock e blues. Milligan ha di recente stretto un’alleanza con Tyrone Vaughan, chitarrista dal nobile lignaggio: è infatti il figlio di Jimmie Vaughan, e quindi nipote del grandissimo Stevie Ray Vaughan (e fu proprio lo zio a regalare a Tyrone la sua prima chitarra https://www.youtube.com/watch?v=U6__Fcz_KC8 ), un giovane ma dotato axeman che ha esordito nel 2013 con il discreto Downtime. I due musicisti si sono incontrati qualche tempo fa e hanno capito di avere diverse passioni musicali in comune, ed il frutto della loro collaborazione è contenuto in questo Milligan Vaughan Project, che è anche il nome che si sono dati come band, un riuscito album che passa tranquillamente dal rock al blues al soul, suonato benissimo e cantato ancora meglio. Il gruppo che accompagna i due è di tutto rispetto: come seconda chitarra abbiamo nientemeno che il grande David Grissom, che produce anche parte del disco (il resto è nelle mani di Omar Vallejo) e collabora nella stesura di alcuni brani, mentre alla batteria troviamo il potente Brannen Temple, al basso Jeff Hayes e Chris Maresh, il tutto condito dalle ottime tastiere di Michael Ramos, uno che ha suonato anche con John Mellencamp).

Ma i leader sono loro, Milligan e Vaughan, che si intendono alla perfezione e ci regalano quaranta minuti di piacevolissimo rock-blues made in Texas, con la voce di Malford a dare quella nota soul che fa la differenza, e la chitarra di Tyrone che, se proprio non arriva ai livelli dello zio (che è ineguagliabile per chiunque), di certo è sulla buona strada per ripercorrere almeno le orme del padre; l’unico difetto, se proprio vogliamo, sono due-tre canzoni non all’altezza delle altre, più che altro a causa di un songwriting nella media, mentre nelle cover il gruppo viaggia che è un piacere. Si parte con Soul Satisfaction, un rock-soul potente e granitico, una maniera decisamente tonica di aprire il disco: fra Vaughan e Grissom è un bel suonare, ma anche la sezione ritmica picchia di brutto. La cadenzata Dangerous Eyes, un brano del bluesman texano Edwin Holt, è un rock-blues di quelli “grassi”, con il binomio voce-chitarra che funziona alla grande, e pure di feeling ce n’è a palate (peccato che l’assolo di Tyrone venga sfumato nel finale); Little Bit Of Heaven è un funkettone decisamente caldo ed annerito, con l’organo sugli scudi e tutti gli altri strumenti al posto giusto: Milligan canta come sempre alla grande e Vaughan rilascia un assolo breve ma ficcante.

Driving You è un jump-blues molto coinvolgente e godibile, con i nostri che ci danno dentro in maniera vibrante, e quando arriva il turno di Tyrone la temperatura si alza; Leave My Girl Alone è un classico di Buddy Guy (ma l’ha fatta anche Stevie Ray), ed è quindi materia pericolosa, ma i nostri omaggiano i due mostri sacri con rispetto e senza fargli il verso, anche perché ne uscirebbero sconfitti (l’assolo di chitarra comunque un applauso lo merita, e forse anche una standing ovation). Compared To What è un pezzo di Les Cann inciso anche da Ray Charles e da Roberta Flack, puro errebi, vivace, pimpante e con un gran lavoro di pianoforte, e la chitarra che porta l’elemento blues, Here I Am è una deliziosa soul ballad scritta da Grissom (una sorpresa, il chitarrista texano non è mai stato un grande autore), cantata splendidamente da Milligan e suonata con grande classe dal resto del gruppo, una delle migliori del CD. La parte in studio termina con la solida e possente Devil’s Breath, ben suonata come al solito ma un gradino sotto le precedenti, e con il gospel del reverendo James Cleveland Two Wings, trasformata in una ballata acustica, cantata in maniera straordinaria; come bonus abbiamo due brani dal vivo ad Austin, il rock-blues What Passes For Love (ancora scritta da Grissom), che non è tra le mie preferite anche se non presenta sbavature, e con una vigorosa versione di Palace Of The King, che invece non sfigura neppure vicino all’originale di Freddie King. Quindi un bel dischetto di solido rock-soul-blues elettrico, che con qualche brano originale in meno e qualche cover in più il giudizio sarebbe probabilmente stato anche migliore.

Marco Verdi

*NDB Mi permetto di aggiungere una piccola postilla per segnalare che Malford Milligan David Grissom hanno fatto parte negli anni ’90 degli Storyville, una band dalle grandi potenzialità (tre album nella loro discografia), non espresse compiutamente, dove militavano anche David Holt e la sezione ritmica dei Double Trouble di Stevie Ray Vaughan, ovvero Tommy Shannon Chris Layton. E aggiungo che Tyrone Vaughan è attualmente uno dei due chitarristi e cantanti dei Royal Southern Brotherhood.

Rock, Blues & Jazz! Eric Johnson And Mike Stern – Eclectic

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Eric Johnson & Mike Stern – Eclectic – Vortexan Music/Concord

Per gli appassionati di chitarristi un disco da sedici stellette, ma anche i non fanatici avranno motivo di apprezzare, non così esageratamente virtuosistico come ci si potrebbe aspettare, o meglio lo è ma, tenendo fede al suo titolo, è talmente “eclettico” che lo può ascoltare sia chi apprezza il jazz quanto il rock, anche la fusion se volete, ma con ampi sprazzi di blues e due pennellate di musica etnica,  persino del pop-jazz melodico https://www.youtube.com/watch?v=cBNoHoh4Evw . L’idea di incidere un disco insieme ai due, Johnson e Stern, è venuta dopo una serie di concerti tenuti nel 2013 al Blue Note di New York nell’agosto di quell’anno https://www.youtube.com/watch?v=Jg0fmzMP0tg . Soprattutto il primo, Eric Johnson, non è nuovo a queste collaborazioni con altri chitarristi, vedi il progetto G3, con Vai e Satriani, ma mentre in quel caso lo stile unificante era una sorta di hard/metal acrobatico, questa volta il punto di partenza sembrano più il jazz, nelle sue varie coniugazioni, e il blues.

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Forse tra i nomi dei musicisti del passato che si possono citare come punto di raffronto, ricorderei gente come Ollie Halsall dei Patto o Allan Holdsworth, virtuosi della solista in grado di unire le improvvisazioni del jazz e il vigore del rock(blues) in uno stile ibrido il cui maestro riconosciuto è comunque sempre stato Jeff Beck. I due hanno utilizzato una sezione ritmica che si avvale di Chris Maresh, nativo di Austin, Texas come Johnson e bassista nella sua band e Anton Fig, da molti anni batterista nell’house band del David Letterman Show nonché con Joe Bonamassa, più qualche significativo ospite. Brani che sono tutti originali, meno una significativa cover che chiude il programma: apre l’album una Roll With It scritta da Mike Stern per il suo album del 2006 Who Let The Cats Out, con la presenza di un altro musicista di Austin, l’eccellente ex cantante degli Storyville Malford Milligan, con il suo cantato ruvido e ricco di soul, e qui trasformata in una sorta di shuffle texano molto funky, finché non partono i fuochi d’artificio dei due chitarristi, Johnson anche in modalità wah-wah e Stern con il pedale della distorsione innestato, una serie di solo fluidi e tecnicamente mirabili introducono quel che seguirà.

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Remember, sempre di Stern, già apparsa su These Times del 2004, è una sorta di variazione jazz-rock delle spirali modali di John Coltrane in Expressions, un brano strumentale scritto in memoria di Bob Berg, vecchio pard sassofonista di Mike, è l’occasione per ascoltare quel jazz-rock frenetico di cui Halsall e Holdsworth erano due eccellenti interpreti, scale velocissime e fluide, in un call and response continuo. Benny Man’s Blues è un omaggio fin dal titolo al grande Benny Goodman,  proprio uno swing tipico, stranamente a firma Johnson, appassionato del genere e di Wes Montgomery in particolare https://www.youtube.com/watch?v=R35fD7zTFa0 . Wishing Well, nuovamente di Stern, è una sorta di ballata melodica impreziosita dallo scat dello stesso Mike e di Christopher Cross nella parte centrale, con un’aura che potrebbe ricordare il suono del vecchio Pat Metheny Goup del periodo ECM https://www.youtube.com/watch?v=qAAV75PIaXY . Le sonorità particolari della voce e del n’goni della moglie di Mike, Leni Stern, unite all’electric sitar di Johnson, portano una piccola oasi orientale alla introduzione di Big Foot, uno strumentale firmato da Maresh che poi diventa una libera improvvisazione sui temi del Miles Davis elettrico, con i due chitarristi impegnati a scambiarsi sciabolate sulle intricate variazioni della sezione ritmica.

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Un morbido mid-tempo come Tidal, costruito da Eric sulla falsariga proprio dei brani di Wes Montgomery, fa da preludio ad un ennesimo cambio di genere per You Never Know, una specie di “strano” blues jazzato di Stern con Johnson che innesta nuovamente il suo wah-wah ben sostenuto da uno Stern più soffuso, mentre Dry Ice è il jazz-rock frenetico che ti aspetteresti dai due, con chitarre supersoniche e Anton Fig che tiene botta con la sua batteria indemoniata e citazione finale di Third Stone From The Sun da parte di Stern https://www.youtube.com/watch?v=P1Ba7RfDVWU . Altra oasi di pace nella dolce Sometimes, ballata giocata sui toni e sui volumi e intervento a sorpresa di una piccola sezione fiati per Hullabaloo, brano rock tipico in crescendo di Eric Johnson, con una serie di fucilate chitarristiche dei due. Altra deviazione etnica per l’intro di Wherever You Go dove appare nuovamente Leni Stern, brano che poi diventa nuovamente una sognante e riflessiva ballata. Gran finale con una succinta ma sentita cover del “Blues per eccellenza” di Jimi Hendrix, Red House, una versione dove Mike Stern fa il suo esordio discografico ufficiale come cantante nel primo verso del brano, Guy Forsyth aggiunge la sua armonica e i due cercano di emulare le gesta del più grande chitarrista elettrico del rock, perché questa versione è decisamente buona, come peraltro tutto il disco https://www.youtube.com/watch?v=1TSLTHwzx60 . Forse per “chitarromaniaci”, ma non palloso o troppo tecnocratico!

Bruno Conti

Provaci Ancora Eric, Una Anteprima? Eric Johnson – Up Close Another Look

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Eric Johnson – Up Close Another Look – Mascot/Provogue/Edel 02-04-2013

Eric Johnson è un fantastico chitarrista texano che, nella sua carriera che dura ormai da una trentina di anni (almeno a livello discografico), ha realizzato solo una manciata di album di studio, sei per la precisione, compreso questo Up Close, oltre ad un disco, Seven Worlds, registrato nel 1978 ma pubblicato solo 20 anni dopo, uno dal vivo della serie Live From Austin, Texas nel 2005 (ma registrato nell’88), oltre alla sua partecipazione come un terzo della “società” in una delle varie incarnazioni dei G3, insieme ai Joe Satriani e Stevie Vai. E per lui, come per molti altri, il migliore rimane ancora il primo ufficiale, Tones, uscito nel lontano 1986 per la Reprise, eccellente disco prevalentemente strumentale che ebbe un grosso successo sia di critica che di pubblico in quell’anno, disco che si inseriva in quel filone tra prog, rock, southern e blues dove operavano gruppi come i Dixie Dregs di Steve Morse, tanto per fare un nome, o il materiale meno bluesy di Robben Ford, virtuosi della chitarra elettrica per intenderci, e anticipatore del successo che avrebbero ottenuto i suoi futuri pard Joe Satriani e Steve Vai (già in pista ma noto soprattutto per le collaborazioni con Frank Zappa).

Senza farla troppo lunga ma dandogli i giusti meriti, Eric Johnson, ha avvicinato quei livelli qualitativi solo con il successivo Ah Via Musicom del 1990, poi creandosi una nicchia di appassionati, un seguito di culto, che ha continuato a comprare i suoi dischi ma con minore entusiasmo anche negli anni successivi, fino ad arrivare al 2010, l’anno di questo Up Close, uscito ai tempi solo sul mercato americano per la Vortexan/EMI, ma non distribuito in Europa, e che è di gran lunga il suo disco migliore dopo Tones, ma cosa ti va a pensare quel “diavolo” di un Johnson, facciamone una versione aggiornata per il mercato europeo, quell’Another Look, come avranno notato i più attenti: come dice lo stesso Eric Johnson, si è limitato ad aggiungere alcune parti di chitarra ritmica e a remixare il tutto, e la differenza è molto sottile, praticamente non si percepiscono i nuovi interventi, ma il disco suona meglio all’ascolto e se lo dice lui chi siamo noi per negarlo? Quindi prendiamo nota senza peraltro poter fare a meno di notare che questa nuova edizione ha due brani in meno di quella del 2010, strano ma vero, si toglie invece di aggiungere, anche se per onestà si tratta di due brevi intermezzi di poco più di un minuto ciascuno.

Ma quello iniziale, un intramuscolo orientaleggiante di 1:05, Awaken, è rimasto. Fatdaddy è il primo brano strumentale dove, a velocità vorticose, la chitarra solista di Johnson interagisce con una ottima sezione ritmica con vari batteristi che si alternano, Kevin Hall, Barry Smith e Tommy Taylor e il grande Roscoe Beck al basso, con lui da inizio carriera. Brilliant Room è il primo brano cantato, con ospite come vocalist il bravo Malford Milligan, altro texano che era negli Storyville (ve li ricordate?) il gruppo di David Holt e David Grissom con la sezione ritmica dei Double Trouble, un gruppo che ha non tenuto fede alle promesse, ma aveva molte potenzialità, il brano è un veloce rock, anche commerciale, ma con una verve ed un lavoro di suoni e chitarre che molta produzione attuale non ha (dipenderà dal fatto che il co-produttore è tale Richard Mullen ma l’ingegnere è Andy Johns, della premiata famiglia?), un sound fantastico. E sentite come suonano il Blues, in una cover eccellente di Texas (tema che ritorna), il vecchio brano firmato Mike Bloomfield/Buddy Miles che si trovava sul disco degli Electric Flag, per l’occasione a duettare con Johnson troviamo un pimpantissimo Steve Miller alla voce e Jimmie Vaughan alla seconda solista, cazzarola come suonano! Gem è uno di quei brani strumentali stile Prog-rock dove il nostro Eric esplora a fondo la sua tavolozza di colori e suoni per la gioia dei fanatici della chitarra.

Tra i titoli non manca Austin, altro ottimo duetto a tempo di rock con un Johnny Lang in gran vena e la chitarra di Johnson che crea traiettorie quasi impossibili senza scadere nelle esagerazioni di altri suoi colleghi virtuosi. La lunga Soul Surprise è un altro lento con i vocalismi senza parole del titolare e atmosfere sempre molto ricercate. On The Way è un ulteriore strumentale, molto Twangy & Country in questo caso, stile di cui è maestro Albert Lee. Senza citarle tutte, ma non ci sono cadute di gusto, vorrei ricordare il tributo in apertura (una piccola citazione di Little Wing) all’Hendrix più sognante, nella ricercata A Change Has Come To Me e il duetto molto melodico con la slide di Sonny Landreth in Your Book. Una delizia per gli amanti della chitarra elettrica, come tutto il disco peraltro.

Bruno Conti