Solo Del Sano Vecchio Blues(Rock). The Nighthawks – Tryin’ To Get To You

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The Nighthawks – Tryin’ To Get To You – Eller Soul Records

Ogni tanto Mark Wenner chiama a raccolta i suoi Falchi Della Notte: da qualche tempo, una decina di anni, il risultato di questi incontri viene pubblicato dalla Eller Soul, piccola ma attiva etichetta della Virginia, uno degli stati degli Usa più antichi, a due passi da Washington, D.C. la base della band. L’etichetta di Richmond ha un roster di artisti che gravitano tra il blues e la roots music, i più famosi sono probabilmente i Nighthawks, ma incidono per loro anche Little Charlie, Mike Henderson, Jason Ricci e altri meno noti, poi sulla reperibilità dei CD non ci metterei la mano sul fuoco. Il nuovo album Tryin’ To Get To You, esce più di 45 anni dopo il fulminante debutto con Rock And Roll del 1976, ma allora c’era ancora Jimmy Thackery alla solista: quello del ruolo del chitarrista è sempre stata la croce e delizia per i fans della band, dal 1986 anno dell’abbandono di Thackery sono passati nella line-up anche Jimmy Nalls e Warren Haynes, da qualche anno sembravano avere trovato la quadra con Paul Bell, alla 6 corde nel precedente All You Gotta Do, uno dei migliori della loro discografia da lunga pezza https://discoclub.myblog.it/2017/10/04/questa-volta-non-si-scherza-bentornati-a-bordo-the-nighthawks-all-you-gotta-do/ .

Ma ecco che nel nuovo album a fianco di Wenner e Mark Stutso alla batteria, arrivano un nuovo bassista Paul Pisciotta e un nuovo chitarrista e cantante Dan Hovey. Il disco è sempre di buona fattura, ma mi sembra che forse manchi quel piccolo quid che aveva aggiunto Bell: nel suono convergono comunque blues, tanto, e tracce di rock, R&B, honky-tonk, country, doo-wop, roots music, gospel, rockabilly, e l’esperienza di 30 album circa (questo dovrebbe essere il n°31) alle loro spalle non è vana, ma ogni tanto, a fronte di grinta, divertimento e passione, ci sono dischi più riusciti ed altri un filo meno, poi ognuno ascolta e si fa il proprio giudizio. Il groove è quello classico, come testimonia subito la cover di Come Love di Jimmy Reed, ritmo ciondolante, begli intrecci vocali, l’armonica in primo piano, il vocione vissuto di Wenner, la divertente e swingata I Know Your Wig Is Gone di T-Bone Walker illustra il loro lato più ludico, con la voce e la solista pulita di Hovey in evidenza, Tell Me What I Did Wrong di James Brown, cantata da Stutso, ricorda i Fabulous Thunderbirds più pimpanti, sempre con le armonie vocali a 4 parti della band ben usate e il soffio pulsante dell’armonica di Wenner mai spento.

La title-track, cantata da Wenner, è un vecchio brano simil country che faceva parte del repertorio di Elvis Presley, dove la band si lancia anche in spericolati cori doo-wop, mentre il leader è sempre impegnato alla mouth harp, Baby It’s You è uno dei brani firmati dal chitarrista Hovey, un sinuoso boogie blues ancorato da un giro di basso di Pisciotta e sempre con Wenner in evidenza, mentre I Hate A Nickel è un solido errebì cantato dal batterista Stutso, che l’ha scritta con Norman Nardini. Rain Down Tears è un vecchio brano del repertorio di Hank Ballard, un bel blues scandito cantato da Hovey che rilascia anche un limpido assolo di chitarra, Somethin’s Cookin’ sempre scritta e cantata da Stutso, quello con la voce più “nera” della band, è un pimpante swing-blues corale, prima di lasciare il microfono a Wenner per un vecchio brano R&B dei Manhattans , Searchin’ For My Baby, una piccola delizia soul dove il gruppo mette a frutto ancora una volta le armonie vocali che sono uno dei loro punti di forza.

Ma il brano migliore del disco è una gagliarda cover di Don’t Worry Baby dei Los Lobos, cantata nuovamente da Hovey e con i Nighthawks che tornano al blues-rock delle origini, con Wenner e Hovey che ci danno dentro di brutto. Luscious, cantata da Mark è uno di quei divertenti siparietti che piacciono al gruppo (e a chi ascolta), pensate a un Louis Prima a cui piaceva il blues, 12 battute in puro Chicago Style che irrompono nella intensa Chairman Of The Board, in origine un pezzo soul ma qui suonata come se accompagnassero Muddy Waters, prima di congedarsi con The Cheap Stuff, un rigoroso blues acustico, scritto e cantato da Hovey. Quindi alla fine missione compiuta, anche questa volta “ci hanno raggiunto”!

Bruno Conti

Dai Falchi Ai Guerrieri, Ma Sempre Quello L’Argomento E’. Mark Wenner’s Blues Warriors

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Mark Wenner’s Blues Warriors – Mark Wenner’s Blues Warriors – Eller Soul 

All’incirca a metà 2017 era uscito l’ultimo album dei Nighthawks All You Gotta Do, uno dei migliori della loro discografia recente https://discoclub.myblog.it/2017/10/04/questa-volta-non-si-scherza-bentornati-a-bordo-the-nighthawks-all-you-gotta-do/ , ma ora un po’ a sorpresa (e ne parliamo con ritardo, visto che è già uscito da alcuni mesi, ma ormai le produzioni indipendenti americane, con rare eccezioni, si faticano a trovare e sono piuttosto costose, almeno per noi europei) esce un album solista di Mark Wenner, il leader maximo dei “Falchi della Notte”, il quinto che pubblica fuori dalla band,: due ancora negli anni ’80, nell’era del vinile, e due nella prima decade dei 2000. Il moniker scelto è Mark Wenner’s Blues Warriors, e dalla sua formazione storica si porta dietro il fedele batterista Mark Stutso, aggiungendo due chitarristi, Zach Sweeney, un solista emergente con trascorsi nel country, visto che suonava con Wayne Hancock, e Clarence ‘The Bluesman’ Turner, un musicista nero dell’area di Washington, D.C., con un album solista nel suo CV; a completare la formazione il contrabbassista Steve Wolf, un veterano che ha militato anche nella band di Danny Gatton, e un annetto abbondante fa ha rilasciato un album acustico in coppia con Tom Principato, The Long Way Home, di cui abbiamo parlato su queste pagine https://discoclub.myblog.it/2017/11/01/un-disco-anomalo-acustico-per-il-chitarrista-di-washington-d-c-tom-principato-steve-wolf-the-long-way-home/ .

Per l’occasione Mark Wenner e soci hanno deciso di realizzare un album tutto incentrato su pezzi classici del blues, con un paio di deviazioni nel R&R e un solo brano originale di Wenner, dedicato a Jimmy Reed. Niente per cui stracciarsi le vesti, ma un disco solido e ben suonato e cantato, a partire da un ”oscuro” brano di Muddy Waters, Diamonds At Your Feet, che era il lato B di un vecchio 45 del 1956, con Clarence Turner alla voce, che si rivela vocalist e chitarrista di buona attitudine e tocco molto classico, come pure Sweeney, mentre Wenner soffia nella sua cromatica, di seguito troviamo una divertente (Let Me Be Your) Teddy Bear, proprio il famoso brano di Elvis, che viene leggermente rallentato a tempo di blues, per essere vicini alla versione di Big Joe Turner, con il contrabbasso di Wolf che pompa il ritmo di gusto, mentre Mark canta e soffia nella sua armonica, alternandosi alla chitarra. Rock A While è sempre di Turner, un altro shuffle swingante, mentre Checkin’ Up On My Baby è Chicago Blues della più bell’acqua, sempre con il dualismo armonica-chitarra, Sweeeney per l’occasione, per questo brano che facevano benissimo Buddy Guy e Junior Wells; Just To Be With You era un altro brano di Muddy Waters, il classico slow blues cadenzato, con Turner di nuovo al proscenio, mentre il contrabbasso di Wolf marca il tempo con voluttà.

Altro pezzo da 90 è King Bee di Slim Harpo, con Wenner che interpreta i doppi sensi del brano, senza dimenticare di soffiare nell’armonica, come peraltro in tutti i pezzi di questo album; non manca l’omaggio a B.B. King con una sontuosa It’s My Own Fault, cantata da Stutso, che l’aveva già intonata con classe e potenza nei Drivers di Jimmy Thackery, e pure il R&R divertito di una frenetica Hello Josephine del grande Fats Domino, con armonica e chitarra a sostituire il piano. Un altro Sonny Boy Williamson con la intensa Trust My Baby, e poi il picking quasi country nello strumentale swing The Hucklebuck ad opera di Zach Sweeney, con assoli di tutta la band; Just Like Jimmy è un altro strumentale, come ricordato all’inizio, l’unico pezzo firmato da Wenner e dedicato a Jimmy Reed, e per chiudere un altro blues di quelli duri e puri come Dust My Broom, Robert Johnson via Elmore James per uno dei capolavori assoluti delle 12 battute, ovviamente con molta più armonica rispetto alle versioni abituali, di nuovo comunque con Robert Turner e Zach Sweeney co-protagonisti insieme a Mark Wenner.

Bruno Conti

Questa Volta Non Si Scherza, Bentornati A Bordo. The Nighthawks – All You Gotta Do

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The Nighthawks – All You Gotta Do – EllerSoul

Imperterriti, più o meno una volta all’anno (anche se lo scorso anno avevano “bigiato”), tornano i Nighthawks, dalla loro base di Richmond, Virginia, tramite la piccola etichetta EllerSoul, continuano a sfornare piacevoli album di blues (con innesti, rock, soul e R&B) e anche se non hanno più il vigore delle loro prove migliori degli anni ’70, quando sotto la doppia guida di Jimmy Thackery e Mark Wenner, erano una delle più eccitanti formazioni di blues-rock del panorama americano, comunque non deludono gli appassionati. Thackery non suona con loro ormai da diverso tempo (facciamo 31 anni) e quei livelli ormai sono forse solo un bel ricordo, ma la band, come si dice negli States, è “still alive and well”, anche se, se mi passate un ardito gioco di parole, quella sorta di esperimento unplugged del 2015, Back Porch Party, non era poi troppo viv(ace), specie considerando che ne avevano già fatto un altro pure nel 2009. Questa volta la spina è riattaccata e il suono è più brillante, gagliardo a tratti: come dimostra subito That’s All You Gotta Do, un poderoso blues-rock dal repertorio di Jerry Reed, con Wenner, pimpante ad armonica e voce, Paul Bell  a tutto riff e Johnny Castle e Mark Stutso, che pompano di gusto su basso e batteria, e tutta la band che mette a frutto, quel lavoro vocale corale che hanno messo a punto negli ultimi anni e dà alle canzoni una patina rock gioiosa e frizzante.

Se c’è da suonare il blues comunque non si tirano mai indietro, come in una piacevole When I Go Away, scritta da Larry Campbell per i Dixie Hummingbirds, quindi anche con un deciso retrogusto gospel, o più “rigorosi” in una brillante e scandita Baby, I Want To Be Loved dal songbook di Willie Dixon, con Mark Wenner che soffia a fondo nella sua armonica. Let’s Burn Down The Cornfield di Randy Newman diventa un minaccioso blues a tutta slide, con Paul Bell che lavora di fino con il bottleneck con risultati eccellenti. Anche quando fanno da sé, come in Another Day, scritta e cantata da Johnny Castle, o in VooDoo Doll, dalla penna di Stutso, un’aura tra rock e R&B bianco alla Blood, Sweat And Tears, si respira nei rispettivi brani, con risultati che sembravano perduti da tempo. Ninety Nine di Sonny Boy Williamson permette a Mark Wenner di dimostrare nuovamente perché è tuttora considerato uno dei migliori armonicisti bianchi.

Pure Three Times A Fool, una bella ballata soul dell’accoppiata Nardini e Stutso, certifica della ritrovata vena dei Nighthawks, poi ribadita nell’eccellente cover di Isn’t That So di Jesse Winchester, un altro ottimo brano che aggiunge anche uno spirito swamp, quasi alla Tony Joe White o alla Creedence, grazie alla chitarra “riverberata” di Paul Bell. E la cover di Snake Drive di R.L. Burnside, con un micidiale call and response tra l’armonica di Wenner e la slide di Bell, è ancora meglio, veramente fantastica. Blues For Brother John, uno strumentale scritto da Mark Wenner, ha forti agganci con Spoonful e altri classici delle 12 battute, ma nel blues è sana usanza “prendere in prestito”, di solito non si offende nessuno. E come ciliegina sulla torta di un album che è il loro migliore da “illo tempore”, per concludere una versione sparatissima di Dirty Waters degli Standells, che sembra uscire da qualche vecchio vinile degli Stones o degli Yardbirds, pure citati a colpi di riff classici nella parte strumentale. Peccato si fatichi a trovare il CD, ma questa volta ne varrebbe la pena: bentornati “Falchi della Notte”!

Bruno Conti

E Dopo Il Piccolo Questa Volta Tocca Al “Grande Walter”! Various Artists – Blues For Big Walter

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Various Artists – Blues For Big Walter – Eller Soul Records

Dopo il tributo al “piccolo Walter” Remembering Little Walter, dedicato dalla Blind Pig nel 2013 a questo fenomenale armonicista http://discoclub.myblog.it/2013/05/18/e-dopo-i-chitarristi-una-pioggia-di-armonicisti-remembering/ , era quasi inevitabile che prima o poi ne giungesse uno anche per il Walter più grande (non nella accezione della Litizzetto), in tutti i sensi, quel Big Walter Horton che, non uno che passa per caso per strada o il vostro umile recensore, ma il “signor” Willie Dixon ha definito “il migliore che abbia ma sentito”. Forse meno celebrato di Little Walter, anche perché la sua discografia come solista è veramente, scarna, mi pare cinque o sei dischi in tutto, di cui nessuno è rimasto negli annali della storia del disco, anche se l’Alligator del 1972 con Carey Bell e lo Stony Plain del 1974 sono degni di nota, la carriera del grande armonicista, nato sul Mississippi e morto a Chicago, è stata soprattutto quella di un grande, anzi grandissimo, gregario, in pista dagli anni ’30, ma arrivato alla consacrazione quando sostituì nel 1952 Junior Wells nella band di Muddy Waters, e poi suonando con chi lo richiedeva (anche con Martin Stone dei Savoy Brown, con i Fleetwood Mac e Johnny Winter), sia in studio che dal vivo, con l’ultima registrazione effettuata nel 1980, un anno prima della morte.

Questo tributo, curato e  prodotto da Ronnie Owens, è strutturato in modo diverso rispetto a quello a Little Walter: in quel disco Mark Hummel aveva radunato un certo numero di armonicisti per partecipare ad una session in cui tutti suonavano insieme, magari alternandosi alla guida, mentre per questo Blues For Big Walter l’approccio è diverso. Diciamo che il nucleo dell’album è stato registrato in una seduta unica il 18 gennaio del 2016 al Montrose Studio di Richmond, Virginia, con varie sezioni ritmiche, chitarristi, pianisti e, ovviamente, armonicisti, che si alternano nei vari brani, ma ci sono anche alcuni pezzi registrati in altre locations, e alcune registrazioni provengono dal passato. Ma veniamo al dettaglio: diciamo che in questo caso non si è voluto calcare la mano sui classici (qualcuno c’è pero), privilegiando anche brani meno conosciuti; per esempio l’iniziale Someday era uno dei brani che Big Walter suonava con Koko Taylor, e per riproporla abbiamo uno dei migliori armonicisti di oggi, Kim Wilson, che si accompagna al giovane chitarrista Big Jon Atkinson, che è anche la voce solista della canzone, un classico Chicago Blues di quelli duri e puri. She Loves Another Woman, viceversa viene dagli archivi di Bob Corritore, si tratta di una registrazione dell’ottobre del 1992 con il grande Jimmy Rogers alla chitarra e alla voce, ancora ruspante e in gran forma, mentre Worried Life (Blues) era uno dei classici che Horton suonava con Johnny Shines, qui ripresa da Mark Wenner dei Nighthawks, altro grande virtuoso dello strumento, ma chi non lo è in questo disco?

Per esempio Steve Guyger non è un nome celeberrimo, ma la sua prestazione in If It Ain’t Me, registrata in Finlandia (!) è da manuale. In un disco come questo non poteva mancare Mark Hummel, un altro dei grandi contemporanei dello strumento, la sua Hard Headed Woman è calda e vibrante come poche, sia la voce che l’armonica sprizzano blues a denominazione di origine controllata, mentre ammetto che Kurt Crandall, registrato in Olanda con musicisti locali, mi era del tutto sconosciuto, ma la sua versione di Great Shakes è ottima, con un suono dell’armonica arioso e potente. Bravo anche Ronnie Owens (in arte Li’l Ronnie Owens) l’ideatore del tributo, alle prese con una lenta e cadenzata We’re Gonna Move To Kansas City e fantastico il contributo di Sugar Ray Norcia & The Bluetones, con Mike Welch alla chitarra, con un Sugar Ray Medley di oltre 18 minuti, dove Norcia (soprattutto), Welch e il pianista Anthony Geraci suonano il blues alla grandissima, tra soli, ritmo e sudore, come le dodici battute classiche richiedono, il tutto registrato in quel di Quincy, Massachusetts, non una delle culle del blues, ma se suonano così chi se ne frega.

Anche Andrew Alli, alle prese con Evening Shuffle, mai sentito ma bravo; di nuovo Mark Hummel impegnato in Easy uno strumentale con Sue Foley, che dal fruscio iniziale sembra provenire da qualche vecchio vinile (ma è una impressione, è inciso benissimo, come tutto il CD) e poi Walking By Myself ancora con Mark Wenner e l’intenso Little Boy Blues, uno dei rari slow blues con Steve Guyger. Ma tutti i brani sono buoni, anche le ulteriori proposte di Owens ed Alli, oltre all’altra chicca di Corritore, questa volta con Robert Lockwood Jr. in Rambling On My Mind. Veramente un bel disco di armonica blues.

Bruno Conti

Live “Senza Spina” Per Pochi Intimi! The Nighthawks – Back Porch Party

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The Nighthawks – Back Porch Party – Eller Soul

Secondo il modesto parere di chi scrive i Nighthawks non fanno più un bel disco dai tempi di American Landscape, o addirittura un gran disco dagli anni ’70, quando in formazione c’era ancora Jimmy Thackery, e visto che negli ultimi anni mi è capitato spesso di recensire album del quartetto blues americano http://discoclub.myblog.it/2014/09/08/longevi-prolifici-pero-ne-hanno-fatti-cosi-tanti-the-nighthawks-444/ , l’ho detto e ripetuto più volte, quindi mi scuso se lo avete già letto, ma questa è la verità. I dischi non sono mai brutti, anzi, la passione non manca, la classe e il mestiere neppure, ma latita quel sacro fuoco che un tempo animava i dischi e le performances dal vivo della storica band di Mark Wenner: anche la trovata, l’escamotage, come volete chiamarla, di registrare un disco unplugged, senza amplificazione elettrica, dal vivo in studio, l’avevano già utilizzata per Last Train To Bluesville, disco registrato nel 2009 per una emittente radiofonica e pubblicato nel 2010 con buoni riscontri di critica http://discoclub.myblog.it/2011/01/16/vecchie-glorie-5-the-nighthawks-last-train-to-bluesville/ .

Per questo Back Porch Party ripetono l’esperimento:anche se a giudicare dagli applausi scarni ci saranno una cinquantina di persone presenti, forse meno, negli studi di registrazione Montrose a Richmond, Virginia dove è stato registrato l’album. Per l’occasione almeno i Nighthawks cambiano completamente il repertorio rispetto al precedente disco unplugged, pur andando sempre a pescare nel repertorio di classici R&R, blues e swing, ma non mi pare che il disco decolli mai verso vette stratosferiche, il divertimento non manca, Wenner è sempre fior di armonicista, anche se la voce a tratti perde un po’ i colpi, ben bilanciata però da quelle di tutti gli altri componenti del gruppo che si alternano con successo alla guida vocale dei brani, spesso anche con armonie vocali d’insieme pimpanti ed accattivanti, Stutso e Castle sono una sezione ritmica agile e tecnicamente in grado di sopperire alla mancanza dei volumi “elettrici”, Paul Bell è chitarrista che riesce a giocare le sue carte anche nella dimensione “senza spina”, ma può bastare?

In ogni caso il CD è piacevole e divertente, nello swingante R&R della iniziale Rock This House, un vecchio brano del repertorio del Jimmy Rodgers bluesman o nella spiazzante rivisitazione di un brano come Walkin’ After Midnight, canzone da sempre legata ad una voce femminile, come ad esempio quella di Patsy Cline, o nei rockabilly Jana Lea, dove affiora il vecchio impeto, e Hey Miss Hey, presa a tutta velocità. C’è anche pathos nella versione intensa di una Down The Hole che si ricorda nel repertorio di Tom Waits, brano in cui Wenner soffia con vigore nell’armonica, ma non attizza più di tanto questa dimensione unplugged in un classico come Tiger in Your Tank, che ha ben altra potenza nell’originale di Muddy Waters o nella recente poderosa ripresa nel live di Joe Bonamassa. E anche Matchbox, quella di Ike Turner e Rooster Blues, non resteranno negli annali delle dodici battute, pur essendo versioni oneste e sentite. Rollin’ Stone, pure nella versione unplugged, non perde lo status del super classico, però ne ho sentite versioni migliori (quelle due o trecento), mentre Down To My Last Million Tears illustra anche il lato country “scoperto” dalla band nell’ultima parte di carriera e Back To The City è un altro swing che fa il paio con l’iniziale Rock This House. Pare che il sei politico non usi più, che ne dite di tre stellette per una stiracchiata sufficienza?

Bruno Conti  

Longevi E Prolifici, Però Non Ne Hanno Fatti Così Tanti! The Nighthawks – 444

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The Nighthawks – 444 – Eller Soul Records

Visto che i 40 anni di carriera li hanno già festeggiati un paio di anni fa, vincendo il primo Blues Music Award della loro carriera (categoria album acustico del 2011!) con Last Train To Bluesville, un album che non mi pareva proprio completamente acustico, diciamo unplugged http://discoclub.myblog.it/2011/01/16/vecchie-glorie-5-the-nighthawks-last-train-to-bluesville/ e neppure il migliore di sempre per i Nighthawks, mentre meglio mi è sembrato il successivo Damn Good Time http://discoclub.myblog.it/2012/06/20/1000-e-non-piu-mille-vecchie-glorie-12-the-nighthawks-damn-g/ . Lo ripeto spesso, ma non essendo Paganini posso farlo, il vecchio gruppo era ben altra cosa: della formazione originale resiste Mark Wenner, grande armonicista e buon cantante, Mark Stutso, che ha condiviso anche 18 anni di carriera con i Drivers di Jimmy Thackery prima di passare alla concorrenza,  è un altro membro “anziano”, diciamo navigato, della band. Ma il problema, se di problema si tratta, è proprio Jimmy Thackery. Diciamocelo francamente, Paul Bell è un bravo chitarrista, molto eclettico, ma non ha la forza e il carisma che aveva (ed ha tuttora) uno come Thackery, una vera forza della natura, come solista, in grado di calarsi in profondità nelle radici del Blues in dischi come Jacks And Kings e Full House, dove c’erano anche Bob Margolin e Pinetop Perkins, o di rilasciare vere fucilate di energia R&R e blues-rock, in album come Rock And Roll, Open All Night, il Live At The Psichedelly, quindi tutto il periodo Adelphi, ma in ogni caso fino alla fuoriuscita del grande Jimmy, a metà anni ’80.

In formazione poi è passata anche gente come Jimmy Nalls, Warren Haynes e James Solberg, ma è non più stata la stessa cosa, mentre spesso i dischi di Jimmy Thackery hanno recuperato la vecchia forza e il vigore dei tempi passati. Di tanto in tanto il gruppo centra l’obiettivo di rilasciare un buon album e, in ogni caso, i loro dischi sono sempre onesti manufatti di blues, destinati a soddisfare le aspettative degli appassionati del genere. Anche questo 444 (che non credo ricordi quasi 5 centurie di carriera, ma si riferisca, dal titolo di uno dei brani, ad uno specifico periodo della notte, 444 A.M.) si inserisce in questo filone: Walk That Walk è una cover di un brano di un gruppo minore di doo-wop degli anni ’50, i Du Droppers, con tutti i componenti che si cimentano con profitto in piacevoli armonie vocali che sostengono le evoluzioni all’armonica di Mr. Wenner.

Sempre efficace al canto e al “soffio” nelle classiche 12 battute di Livin’ The Blues, con le armonie che permangono, mentre la title-track è un rocker sulle tracce dei vecchi dischi Sun, con tanto di chitarra twangy di Bell, You’re gone ha sprazzi del vecchio vigore, con i “sapori” country che emergono, piacevoli e ben dosati, in una inconsueta, nel panorama musicale dei Nighthawks, Honky Tonk Queen, che tiene fede al proprio nome, spingendosi quasi in territori cari ai vecchi Commander Cody, con il valore aggiunto dell’armonica (però sono brani sentiti mille volte da altri gurppi, spesso in versioni anche migliori). Divertente il rockabilly boogie alla Elvis di Got A Lot Of Livin’, con Johnny Castle che pompa sul suo basso e Bell che fa il Link Wray o il Carl Perkins della situazione. Piacevolissima Crawfish, che era uno dei brani di Elvis preferiti da Joe Strummer, un nuovo tuffo negli anni ’50. E poi, finalmente, all’ottavo brano, in The Price Of Love, Paul Bell estrae il “collo di bottiglia” e con la sua slide ci permette di riassaporare il suono gagliardo e minaccioso dei primi anni del gruppo, con duetti chitarra-armonica di pregevole fattura.

High Snakes con vaghi sapori tra Texas e Messico, è un discreto slow d’atmosfera e Nothin’ But The Blues è qualcosa che dovrebbero fare più spesso, anche se l’energia, e il brano, stentano a decollare, a dispetto del buon lavoro di Bell e soprattutto di Wenner all’armonica https://www.youtube.com/watch?v=Po3xVKFVw38 . No secrets è un altro blues rocker che ha echi del vecchio splendore, con la slide sugli scudi e Louisiana Blues è proprio quella di Muddy Waters, in una bella versione elettro-acustica, prima di concludere con Roadside Cross, una delicata ballata folk acustica con Akira Otsuka (?!?) che aggiunge il suo mandolino. Bella, ma c’entra poco con il resto del disco, eclettico fin troppo nelle sue scelte sonore, ma in ultima analisi, sempre più che dignitoso.

Bruno Conti   

1000 E Non Più Mille! Vecchie Glorie 12. The Nighthawks – Damn Good Time!

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The Nighthawks – Damn Good Time! – Severn Records

Per molti è il nome di un quadro di Edward Hopper, per altri è il nome di un gruppo di jazz (senza il The) ma per gli appassionati di rock (e blues) The Nighthawks è il nome del gruppo che nel lontano 1972 venne fondato da Mark Wenner e Jimmy Thackery con l’aiuto di Jan Zukowski e Pete Ragusa. Con il ritiro un paio di anni fa di Ragusa, dopo il profetico Last Train To Bluesville, della formazione originale rimane solo il cantante e armonicista Wenner, ma è sufficiente?

Il chitarrista che, dopo una lunga serie di sostituti si è insediato (da qualche anno) al posto di Thackery è Paul Bell, il cui curriculum riporta che ha suonato in molte influenti band della zona di Washington, DC tra cui, per oltre dieci anni, quella del leggendario Tommy Lepson. Con tutto il rispetto, ma chi cacchio è? Sarà anche bravissimo, ma non aggiunge molto alla “storia” dei Nighthawks, a differenza, come ho detto in altre recensioni di dischi recenti del gruppo, del batterista Mark Stutso che ha suonato per un paio di decadi con i Drivers proprio di Jimmy Thackery. Questa volta mi sembra che il gruppo abbia recuperato parte della propria proverbiale grinta (sempre presente nei concerti dal vivo): sarà l’approdo in una delle etichette storiche indipendenti del blues americano come la Severn che ha messo a disposizione il suo produttore ed ingegnere storico, David Earl, per questo Damn Good Time, sarà la scelta del materiale con un giusto rapporto tra cover, anche inconsuete, e materiale originale, ma il disco mi sembra che funzioni in modo onesto. Tutti si alternano al canto e ad armonizzare e il repertorio scorre tra una cover blues-rock di un Presley minore, come Too Much, con il gruppo trainato dall’armonica di Wenner e sembrano i Blasters in una buona serata (una volta era viceversa) e poi il “treno” rock della tirata Who You’re Workin’ For, un brano che porta la firma dell’ottimo Billy Price, lui sì una piccola leggenda del blue-eyed soul e a lungo cantante nel gruppo di Roy Buchanan e nella propria band, tutt’ora in circolazione, bello l’assolo di Bell.

Damn Good Time è un bel brano di impianto errebì, cantato dal batterista Stutso con i coretti del gruppo che conferiscono una aura soul, niente di straordinario ma molto piacevole. Johnny Castle, il bassista, ci regala una gradevole Bring Your Sister che ci porta nei territori power-pop del primo Nick Lowe. Send For Me era uno dei brani più “mossi” del repertorio di Nat King Cole, si fa per dire, la versione blues-swing cantata da Wenner non aggiunge molto all’originale. Minimum Wage è un altro dei brani originali presenti nel disco, scritta dalla coppia Nardini/Stutso e cantata da quest’ultimo, mi sembra senza mordente. Meglio il boogie di Georgia Slop dal repertorio di Jimmy McCracklin, brillante e vivace. Night Work  è un altro brano preso dal repertorio di Billy Price, con il quale i Nighthawks hanno lavorato, al di là del solido lavoro dell’armonica di Wenner l’originale era decisamente meglio. Anche Let’s Work Together di Wilbert Harrison, ma tutti la ricordano nella versione dei Canned Heat, ha un buon lavoro alla slide di Paul Bell oltre alla solita armonica, marchio di fabbrica del gruppo, però gli originali anche in questo caso erano migliori. Smack Dab In The Middle me la ricordavo in una grande versione di Ry Cooder, qui è fatta come uno swingettino innocuo. Meglio Down To My Last Million Tears ancora dell’accoppiata Nardini/Stutso, però siamo sempre lontani dal furore della vecchia band, il tempo passa per tutti. Uguale il discorso per Heartbreak Shake, sempre della stessa coppia, più orientata verso il R&B tinto di blues, onesta e ben suonata come il resto del CD, ma è sufficiente?

Bruno Conti  

P.S Il nome criptico del Post odierno vuole solo ricordare ai fedeli lettori (e anche a quelli non fedeli) che questo è il millesimo Post inserito nel Blog (in poco più di due anni, quindi una media di più di uno al giorno dal 2 novembre 2009, data di inizio). Nessuna velleità trionfalistica, un semplice dato statistico considerato che l’esatto numero lo ricavo solo io dai dati “privati” e il titolo è scaramantico, visto che ha portato bene per i due millenni che si sono susseguiti da allora!