Un Geniale Artigiano Della Melodia – Freedy Johnston Rain On The City

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Negli anni ’90 Freedy Johnston aveva sfornato una serie di album di geniale e fulminante cantautorato in salsa power-pop, sulla scia del primo Costello o del suo discepolo americano Marshall Crenshaw: dischi come Can You Fly del 1992 o This Perfect World del 1994 rimangono dei gioiellini da avere (se li trovate!) in una ideale discoteca di quella decade. Ma tutta la produzione di quegli anni ci presenta il lavoro di un cantante genialmente artigianale, un cesellatore di note ma capace di energiche sferzate power-pop.

Il 2010 ce lo riconsegna accasato ad una piccola etichetta (la Bar None, la stessa doveva aveva esordito nel 1989), dopo anni passati con la Elektra che nel 2001 lo ha “mollato” ai primi segni della crisi discografica mondiale. In quattro e quattr’otto, otto anni appunto, il nostro amico è tornato, ammorbidito nel suono ma sempre geniale nei testi e negli arrangiamenti semplici ma accattivanti dei suoi brani.

Questo Rain In The City mi ricorda anche il Pure Pop For Now People di Nick Lowe, per esempio nelle irresistibili armonie di The Other Side Of Love, dalle reminiscenze Beatlesiane, con quel piano elettrico che fa molto Beatles For Sale o nel power pop vigoroso e sapido del potenziale singolo (ma esistono ancora?) Don’t Fall In Love With A Lonely Girl, perfetto!

Questo è il brano che dà il titolo all’album.

Ma anche il semi-folk dell’iniziale Lonely Penny – un ukulele, una chitarra elettrica con vibrato, un harmonium, un basso elettrico- non dispiace, come i ritmi brasileiri di The Kind of Love We’re In. Molto bella anche la malinconica Central Station che racconta di un padre che muore con accorata partecipazione sulla scia del miglior Paul Simon. It’s Gonna Come Back To You ricorda il R&R acustico alla Budddy Holly mentre la conclusiva What You Cannot See, You Cannot Fight ci riporta al Freedy Johnston narratore di storie, un figliol prodigo che ritorna dal padre vedovo per ricordare insieme “mamma”, ma non c’e melodramma solo compartecipazione senza falsi pudori.

C’è spazio anche per il gradevole country-rock di Livin’ Too Close To The Rio Grande (l’album è stato registrato in quel di Nashville) e ancora per il pop perfetto di Venus Her Name che ricorda il Johnston degli anni ’90.

Bruno Conti