Un Esperimento Riuscito…Solo A Metà! Dave Edmunds – On Guitar…Rags & Classics

dave edmunds on guitar

Dave Edmunds – On Guitar…Rags & Classics – RPM CD

Ho sempre considerato Dave Edmunds, rocker gallese di Cardiff, uno di quelli che nel corso della carriera non hanno mai sbagliato un disco, sia da solista che con i Love Sculpture ed i Rockpile: ogni suo album varia dal discreto all’ottimo, ed anche negli episodi minori Dave ha sempre saputo tirare fuori qualche zampata (i due lavori di metà anni ottanta, Information e Riff Raff, il suo periodo Jeff Lynne – anche lui ne ha avuto uno – non convincevano più per le sonorità pop elettroniche che per le canzoni). Poi, dopo il buon Plugged In del 1994, ben vent’anni di silenzio, interrotti soltanto da qualche live (A Pile Of Rock merita l’acquisto) ed un CD, Hand Picked, composto interamente da brani strumentali e venduto solo sul suo sito, poco più di un divertissement inciso in solitudine e prodotto con due soldi; una lunga assenza, durante la quale Edmunds ha avuto anche seri problemi di salute (un attacco di cuore che per poco non gli è stato fatale), terminata a sorpresa alla fine del 2013 con la pubblicazione di …Again, un disco nuovo solo in parte, che riproponeva diversi brani tratti da Plugged In, nel frattempo andato fuori catalogo, completandoli con cinque incisioni nuove di zecca, che ci facevano ritrovare un musicista in ottima forma.

Ora, direi di nuovo a sorpresa, abbiamo tra le mani un altro album da parte di Dave, intitolato On Guitar…Rags & Classics, nel quale il nostro riprende l’idea alla base di Hand Picked, cioè incidere un disco di covers di pezzi più o meno noti in versione strumentale per chitarra solista, e renderla stavolta disponibile su scala più larga. Edmunds, oltre che un rocker coi fiocchi, è anche un bravissimo chitarrista, che ha sempre messo il senso del ritmo e della melodia davanti a qualsiasi tipo di virtuosismo fine a sé stesso, ma un disco come Rags & Classics è un grande rischio. Niente da discutere dal punto di vista tecnico, l’album è suonato in maniera perfetta (si occupa ancora di tutto Dave stesso, e non è bravo soltanto alla sei corde), ha un bel suono ed è prodotto con professionalità, ma i problemi sono principalmente due: la scelta delle canzoni, in quanto a fianco di brani adatti allo stile del gallese ci sono alcuni pezzi che con lui c’entrano come i cavoli a merenda, creando a volte un effetto straniante, e l’interpretazione, il più delle volte troppo didascalica, quasi come se il nostro avesse avuto paura di rischiare. Aggiungiamo a tutto ciò l’uso inutile e fastidioso in alcuni pezzi del sintetizzatore (solo un paio per fortuna), ed il fatto che i brani presenti non siano universalmente conosciuti come “guitar songs”, ma canzoni normali nelle quali la chitarra sostituisce la voce: il rischio Fausto Papetti (con la chitarra al posto del sax) o Richard Clayderman (chitarra sì, pianoforte no) è dunque dietro l’angolo.

L’album contiene dieci brani, e curiosamente lascia tutte le stranezze nella prima parte (il vecchio lato A degli LP), riservando il meglio per la seconda, nella quale Dave propone pezzi di artisti che lo hanno influenzato in gioventù, ed anche la versione rivisitata di un pezzo di musica classica (esperimento già effettuato con successo in passato con la Danza delle Spade di Khachaturian). Il CD inizia con la celeberrima A Whiter Shade Of Pale dei Procol Harum, che è sì una grande canzone, ma è famosa soprattutto per il riff di organo ispirato a Bach, che qua viene risuonato pari pari da Edmunds: la chitarra riprende la linea vocale originariamente di Gary Brooker in maniera inappuntabile ma senza provocare grandi sussulti emotivi.

I Believe I Can Fly è proprio la hit errebi-pop di R. Kelly, una scelta poco comprensibile da parte di un rocker come Edmunds: in più, l’arrangiamento è piuttosto sdolcinato e, anche se il suono della chitarra preso da solo è strepitoso, il contesto mi lascia assai perplesso. Ne avrei fatto a meno. God Only Knows (uno dei capolavori dei Beach Boys) ha lo stesso identico (ma proprio uguale!) arrangiamento dell’originale presente su Pet Sounds, creando quindi un pericoloso effetto karaoke, e sostituire la voce di Carl Wilson con la chitarra non mi pare una grande idea; Wuthering Heights è proprio la hit di Kate Bush, bella canzone per carità, ma non capisco cosa c’entri con Edmunds (che qui sembra più Mike Oldfield che sé stesso), mentre Your Song (eseguita molto bene peraltro, con l’acustica) è forse il brano più inflazionato di Elton John, mi sarei aspettato un pezzo più “chitarrabile”, che pure non manca nel songbook del pianista inglese.

L’album migliora di colpo con il traditional Black Mountain Rag (incisa tra gli altri da Doc Watson e Chet Atkins), un coinvolgente bluegrass suonato da Dave in perfetto stile da picker, mentre Classical Gas (di Mason Williams) è anche meglio: sempre eseguita con la chitarra acustica, vede Edmunds tirar fuori il meglio dalla melodia, già bella di suo, e rivestirla con un suono potente e rock, denso e ricco di pathos. Finalmente il Dave Edmunds che conosciamo. Green Onions la ascolterei volentieri anche in una versione per kangling tibetano, e Dave fa la sua porca figura anche se non rischia per niente, lasciando l’organo come strumento solista e limitandosi ad usare la chitarra come faceva Steve Cropper; Cannonball Rag, di Merle Travis, è un altro pickin’ tune, e Dave lo rende alla grande, per poi chiudere con una divertente interpretazione della Sinfonia N. 40 In Sol Minore di Mozart in veste spoglia e quasi folk.

Quindi un disco non del tutto riuscito e anche un po’ confuso, con la seconda parte decisamente meglio della prima, che a mio giudizio è più adatta ad essere usata come sottofondo in una serata romantica: un album che, se non fosse ascritto a Dave Edmunds, sarebbe passato inosservato.

Marco Verdi