Uno Straordinario Viaggio Musicale Nel Tempo. Tony Trischka – Shall We Hope

tony trischka shall we hope

Tony Trischka – Shall We Hope – Shefa

Annunciato da tempo, ecco finalmente il CD di Shall We Hope un progetto al quale Tony Trischka stava lavorando da più di 12 anni: quello che comunemente si definisce un concept album, incentrato sulle vicende della Civil War americana di due secoli fa, per il quale lo stesso Trischka ha composto, musica e parole, un ciclo di brani che, partendo dalla battaglia di Gettysburg del luglio 1863, e andando avanti e indietro nel tempo, per esempio la foto di un ritrovo di veterani in occasione del 75° Anniversario dell’avvenimento nello studio del presidente Franklin Delano Roosevelt nel 1938, in una sorta di fiction storica di fantasia ricostruisce le traversie di alcuni personaggi che avrebbero potuto partecipare a quelle vicende. Il nostro amico ha poi coinvolto diversi musicisti e attori per interpretare i personaggi di questo acquarello, utilizzando gli stilemi sonori del bluegrass, del country, della old time music, del gospel, in definitiva della musica popolare americana, anche del blues e qualche elemento orchestrale, per questo progetto che ha subito un drammatica accelerazione dopo gli eventi a Capitol Hill, in quel di Washington, dell’inizio di gennaio del 2021, che si sono intrecciati proprio con le tematiche della Guerra Civile.

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Trischka, molto succintamente, è una sorta di leggenda del bluegrass americano, una carriera che discograficamente inizia 50 anni fa quando Tony pubblica il primo disco con i Country Cooking, ma già in precedenza era considerato uno dei banjoisti più influenti delle nuove generazioni con i Down City Ramblers, tra gli eredi dei nomi storici del bluegrass, influenzato dai grandi dello strumento, da Earl Scruggs in giù, ma soprattutto dal Kingston Trio e a sua volta una influenza su Bela Fleck, con compagni di avventura come Richard Greene, David Grisman, Kenny Kosek, Andy Statman e via dicendo. Il nostro amico è stato molto prolifico negli anni ‘70, ‘80 e ‘90, e nella prima decade degli anni 2000, poi ha rallentato l’attività, ma ha comunque realizzato, sempre per la Rounder, sua etichetta storica, un album come Great Big World nel 2014, ricco di ospiti e tra i migliori della decade scorsa, mentre già lavorava a questo nuovo progetto, dove, come detto, ha coinvolto molti “amici”. Il risultato è un disco dove il bluegrass non è forse preminente come uno potrebbe pensare, benché il banjo di Trischka sia abbastanza presente nei brani che attraverso diversi intrecci, raccontano le storie di amore, morte, guerra, dissidi, schiavismo, che portano alla battaglia di Gettysburg, raffigurata nella copertina dell’album.

michael daves

michael daves

Con i protagonisti che si alternano al proscenio nei 18 brani, attraverso le figure dei vari artisti che li impersonano, con una scelta di stili musicali impiegati quantomai eclettica: nel breve preludio Clouds Of War, tra rumori di battaglia, l’attore John Lithgow recita alcuni versi con una orchestra sullo sfondo, il primo brano, This Favored Land, ambientato nel cimitero di Gettysburg nel 1938, con il banjo protagonista, assieme a mandolino e violino, con Phoebe Hunt che è la voce solista nella canzone, saltando altri interludi ricorrenti nella narrazione https://www.youtube.com/watch?v=Jvm70KIqYds , On The Mississippi (Gambler’s Song), una mossa ed intricata bluegrass tune che ci introduce al personaggio di Cyrus, un soldato, la cui storia d’amore con Maura è il trait d’union della vicenda, interpretato dall’ottimo Michael Daves, voce squillante e chitarra, uno dei musicisti più interessanti della nuova scena acustica americana https://www.youtube.com/watch?v=k5DHQlqUdUg , Maura, manco a farlo apposta è interpretata dalla bravissima Maura O’Connell, irlandese, ma da anni trasferita a Nashville, che purtroppo nel 2013 ha annunciato il suo ritiro dalla carriera solista, ma che ogni tanto ci regala la sua splendida voce, come nella superba ed evocativa ballata Carry Me Over The Sea dove il bluegrass si intreccia con la musica celtica https://www.youtube.com/watch?v=lZcC0w5Za4E .

maura o'connell

maura o’connell

La successiva The General, cantata ancora da Daves, racconta la storia della famosa locomotiva impiegata durante la guerra, altro limpido esempio del bluegrass complesso impiegato nell’album https://www.youtube.com/watch?v=SgsHrY80lS0 , I Know Moon-Rise, cantata dalla brava Catherine Russell, è un gospel a cappella con coro, che narra la sepoltura di una schiava morta durante il conflitto e il cui corpo torna in Africa https://www.youtube.com/watch?v=GOYSSisH27I . Leaving This Lonesome Land è cantata con pathos dal grande bluesman Guy Davis, anche all’armonica https://www.youtube.com/watch?v=QcFfW52gddQ , che poi legge la lettera all’amata inviata da John Boston, uno schiavo scampato alla guerra, ma non si è mai saputo se riuscì a ricongiungersi con la moglie, mentre Gotta Get Myself Right Back To You conclude il segmento di brani cantati da Davis. A seguire troviamo Big Round Top March/Drummer Boys un brano fiatistico ed eccentrico scritto da Van Dyke Parks, e dedicato ai tamburini impiegati nel conflitto, con la seconda parte, quella che annuncia l’arrivo della battaglia cantata da Brian O’Donovan, il papà di Aoife, e sembra quasi un pezzo dei Pogues https://www.youtube.com/watch?v=c_20ALj5N2I .

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Torna Daves per Christmas Cheer (This Weary Year), una deliziosa ballata folk, sempre con violino, mandolino e il banjo guizzante di Trischka https://www.youtube.com/watch?v=XYn0zQddryo , e poi si unisce a Maura O’Connell nella bellissima e struggente Dearest Friend And Only Lover che racconta l’incontro dei due amanti, brano orchestrale accompagnato da una sezione archi https://www.youtube.com/watch?v=1zQT_p6PAQc , e ancora la breve Soldier’s Song cantata a cappella dai Violent Femmes, un altro breve interludio narrato da Lithgow relativo a John Boston, e infine i due brani che concludono la vicenda, entrambi cantanti da Michael Davis, la sospesa e sognante Clouds Still Drift Across The Sky, ricca di archi e la mossa Captain, Oh My Captain, ancora dai chiari contorni sonori bluegrass ,con il banjo di Tony in evidenza e anche gli ottimi Dominick Leslie al mandolino e Brittany Haas al violino, eccellenti in tutto il disco https://www.youtube.com/watch?v=bCh0hxQygqk , che termina con il postludio F.D.R, In Gettysburg, 1938, che è il discorso di Roosevelt letto da John Litghow. Veramente un disco mirabile realizzato in modo perfetto.

Bruno Conti

Ancora Irlandesi. Che Serate, Con Amici Vecchi E Nuovi! Paul Brady – The Vicar St. Sessions Vol. 1 (With Mark Knopfler, Van Morrison, Sinead O’Connor, Bonnie Raitt, Mary Black, Maura O’Connell, Moya Brennan, Ecc.)

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Paul Brady – The Vicar St. Sessions Vol. 1 – Proper Records  

Ci sono i misteri di “Fatima”, e anche i misteri delle industrie discografiche. Quattordici anni fa il cantante irlandese Paul Brady (mi ero già occupato di lui in occasione dell’ultimo Dancer In The Fire, una doppia antologia http://discoclub.myblog.it/2012/05/28/uno-degli-ultimi-bardi-irlandesi-p/), ha suonato per 23 serate consecutive al leggendario Vicar Steet Bar % Club di Dublino ( dove lo scorso anno ho avuto la fortuna di assistere ad un concerto di Christy Moore), con la presenza di numerosi ospiti e amici che ogni sera si alternavano sul palco a cantare con Paul brani del loro repertorio. Ora, una prima selezione di queste canzoni registrate in quel “tour de force” musicale prendono forma, e vengono raggruppate, in questo The Vicar St. Sessions Vol.1 (con la promessa di ulteriori volumi a seguire), dove Brady, anche alla chitarra, sale sul palco del magico locale dublinese accompagnato dalla sua meravigliosa band, composta dal polistrumentista Steve Fletcher alle tastiere, percussioni, basso e voce, Jennifer Maidman alle chitarre acustiche e elettriche, Liam Genockey alla batteria e la brava Leslie Dowdall alla percussioni e armonie vocali, per un “set” virtuale composto da tredici brani (di cui 9 sono “covers”) che danno vita ad un concerto coinvolgente.

Come consuetudine Paul inizia i suoi concerti con I Want You To Want Me (la trovate in Spirits Colliding (95), eseguita, come al solito, al livello di gente come Richard Thompson e John Martyn, per poi far salire sul palco Mark Knopfler per Baloney Again (pescata da Sailing To Philadelphia) con la suo inconfondibile voce e tocco di chitarra, andando poi a ripescare un vecchio brano come The Soul Commotion da Primitive Dance (87) e una sempre commovente Believe In Me tratta da Oh What A World (00), qui riproposta in stile à la Van Morrison, per poi lasciare il palco al duo Gavin Friday e Maurice Seltzer che trasformano la sua bellissima Nobody Knows in un brano crepuscolare che viaggia dalle parti di Lou Reed o Nick Cave, la splendida voce a “cappella” di Sinead O’Connor in In This Heart, e un Van Morrison accolto calorosamente dal pubblico, che canta in duetto con Paul la sua celeberrima Irish Heartbeat (dall’album con i Chieftains), dove il buon Van mi sembra meno svogliato di alcune altre occasioni https://www.youtube.com/watch?v=kbfjVwKxkB4 , anzi, in gran forma!

Si riparte con la classe cristallina di Bonnie Raitt che omaggia Paul con un duetto in Not The Only One (da un album straordinario come Full Moon (86), dove si trovano altre “perle” come Helpless Heart e Steel Claw (portata al successo da Tina Turner), passando poi a Curtis Stigers che presenta la sua Don’t Goi Far (scritta con la brava Beth Nielsen Chapman), il pop melodico (senza fare troppi danni) di Ronan Keating in The Long Goodbye (sempre da Oh What A World), il toccante racconto di un’altra grande artista irlandese Eleanor McEvoy Last Seen October 9th (in memoria di una ragazza scomparsa), il ritorno della Raitt sempre in coppia con Brady nella bluesy The World Is What You Make (da The Paul Brady Songbook (02), andando poi a chiudere il concerto con una stratosferica versione di Forever Young di Dylan, cantata da Paul con un trio di meravigliose voci femminili irlandesi come Mary Black, Maura O’Connell e Moya Brennan dei Clannad (tanto per fare un paragone noi abbiamo avuto e possiamo proporre il Trio Lescano!). Giù il sipario. Per Il momento!

Pur non avendo mai raggiunto le vette della popolarità di altri artisti, Irlanda esclusa (nonostante 16 album al suo attivo e diverse collaborazioni), le sue canzoni godono di grande prestigio, e sono state cantate da una vasta gamma di artisti nel corso degli ultimi quattro decenni, tra cui ricordo Mark Knopfler, Eric Clapton, Joe Cocker, Carole King, Bonnie Raitt, Tina Turner, Mary Black, Maura O’Connell, Trisha Yearwood e molti altri che hanno incluso sue composizioni nel proprio repertorio. Ci sono grande speranze che queste Vicar Street Sessions ottengano il riconoscimento che meritano (certificato dai 17.000 biglietti venduti ai tempi per tutte le serate della serie), e facciano scoprire finalmente, a chi non lo conosce, uno degli artisti più apprezzati e di successo della Emerald Island, un autore dal talento eccezionale che nelle sue esibizioni dal vivo (sia da solo come con la band al completo), trasmette allo spettatore la sensazione di partecipare ad una serata affascinante!

Tino Montanari

Una Musica Che Graffia L’Anima! Malcolm Holcombe – The RCA Sessions

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Malcolm Holcombe – The RCA Sessions – Gypsy Eyes Music/Proper Records/Ird – Deluxe Edition CD+DVD

Di Malcolm Holcombe i lettori di questo blog sanno già tutto, avendone chi scrive parlato a suo tempo, per l’uscita dei precedenti lavori Down The River (12) http://discoclub.myblog.it/2012/10/05/lungo-il-fiume-del-country-blues-malcolm-holcombe-down-the-r/  e Pitiful Blues (14) http://discoclub.myblog.it/2014/08/09/le-ballate-pietose-poeta-blues-malcolm-holcombe-pitiful-blues/ , ma torno con piacere a parlarne in occasione dell’uscita di questo nuovissimo The RCA Sessioins, che celebra i 20 anni di carriera di uno dei musicisti più originali della scena folk contemporanea americana. The RCA Sessions è una raccolta di canzoni scritte tra il 1994 e 2014, tratte dai suoi precedenti dieci album e EP (salvo un brano inedito), tutte rifatte in una nuova veste sonora per questa occasione, il tutto con il supporto di una band stellare composta dal fido Jared Tyler a dobro e lap-steel (visto dal sottoscritto a Pavia nel recente concerto al Bar Trapani), Dave Roe al contrabbasso, Ken Coomer (ex Wilco) alla batteria, la brava Tammy Rogers al violino e mandolino, e “special guests” come l’armonicista Jelly Roll Johnson, Siobhan Maher-Kennedy (cantante dei River City People e in seguito corista per Willy DeVille, Steve Earle e altri), e una delle mie cantanti preferite, Maura O’Connell (richiestissima negli ultimi tempi, vedere recensione dell’ultimo lavoro di Tom Russell), il tutto registrato nei mitici RCA Studios di Nashville con la produzione di Ray Kennedy e Brian Brinkerhoff.

Le “sessions” si aprono sul riff acustico di Who Carried You, e proseguono con l’armonica dolce di Jelly Roll Johnson in una suadente Mister In Morgantown, per poi passare al violino di Tammy Rogers di una danzante I Feel Like A Train (era nell’EP Wager),  il blues dei monti Appalachi di Doncha Miss That Water,  le atmosfere rilassate e sofferte di una The Empty Jar, cambiando poi decisamente ritmo con la travolgente Butcher In Town, il punk-blues di To Drink The Rain, e la ballata commovente Early Mornin’, dove la voce di Malcolm sembra uscire dall’anima.

Dopo un sorso opportuno di aranciata (ma temo sia stata altra in passato la sua bibita preferita), si riprende con il folk acustico di I Never Heard You Knockin, per poi trovare l’unico inedito del lavoro una Mouth Harp Man dove si manifesta nuovamente la bravura di Jelly Roll Johnson, per proseguire con il rock-blues tirato di I Call The Shots, seguito dal ritmo mosso My Ol’Radio, con al controcanto la vocina di Siobhan Maher-Kennedy, e una Goin’ Home che viene valorizzata da un coretto importante, mentre Down The River viene riproposta in versione country-agreste; si termina con il violino di Tammy Rogers che accompagna una leggermente “psichedelica” e intrigante Pitiful Blues, e inifne una morbida e avvolgente ballata popolare A Far Cry From Here, cantata in duetto da Malcolm con la voce meravigliosa della cantante irlandese Maura O’ Connell. Il Dvd accluso arricchisce il lavoro con le immagini delle “sessions”, ed è un bel vedere.

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Si può provare a cercare qualsiasi aggettivo per descrivere Malcolm Holcombe e la sua musica, ma  la sua voce baritonale impastata di catrame e i suoi testi, sono solidi come le montagne da cui viene (i monti Appalachi nella Carolina Del Nord) https://www.youtube.com/watch?v=5R_OUKXjm7c , e questo The RCA Sessions  è un’ulteriore conferma della sua bravura, se ce ne fosse bisogno, serve per celebrare nel migliore dei modi vent’anni di carriera, vissuti anche pericolosamente (un periodo a lungo sopraffatto dall’alcolismo), ma portati avanti con la coerenza e la fierezza da un personaggio che deve assolutamente essere scoperto dagli amanti della buona musica, un perfetto beautiful loser. Anche se non è “nuovo”, forse siamo di fronte al suo album più bello in assoluto.

Tino Montanari

Dal New Jersey (Via Italia), “On The Road Again”! Greg Trooper – Incident On Willow Street

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Greg Trooper – Incident On Willow Street – Appaloosa Records/Ird 2013

Devo ammettere che ho sempre avuto un debole per Greg Trooper, un musicista che è in attività dal 1986 (il suo primo album introvabile è stato We Won’t Dance), che ha scritto tra gli altri per Steve Earle, Robert Earl Keen, Vince Gill, Billy Bragg , Rosanne Cash e la grande Maura O’Connell (di cui purtroppo ho perso le tracce), e da allora è stato tutto un crescendo qualitativo per questo folk singer, precursore del suono che viene etichettato come “americana”. Ottimi infatti i suoi successivi lavori, a partire da Everywhere (92), Noises In The Hallway (96) forse il migliore del primo periodo, Popular Demons (98), Straight Down Rain (2001) il debutto per la Sugar Hill con Floating (2003); in mezzo c’è stato anche uno  live acustico Between A House and A Hard Place: Live At Pine Hill Farm  (venduto purtroppo solo via internet). Il sodalizio con la meritoria indie della North Carolina, prosegue con l’ottimo Make It Through This World (2005), un altro live di difficile reperibilità The Backshop Live (2006), The Williamsburg Affair (2009), Upside-Down Town (2010), fino a questo Incident On Willow Street, distribuito (meritoriamente) dalla nuova Appaloosa Records (indimenticabile creatura del compianto Franco Ratti).

Affiancato da musicisti stellari, a partire dal bravissimo polistrumentista Larry Campbell che suona di tutto, chitarre, pedal steel, mandolino, violino, banjo e bouzuki, Jack Saunders al basso, Oli Rockberger alle tastiere, Kenneth Blevins (dalla band di Hiatt) alla batteria e la brava Lucy Wainwright Roche alle armonie vocali, Greg presenta tredici tracce che spaziano tra folk anglosassone, country, rock e un pizzico di soul, per un suono più variegato rispetto agli ultimi album di studio.

Il viaggio inizia con una delicata All The Way To Amsterdam, mentre il mandolino di Campbell (colonna portante di tutto il disco), spadroneggia in Good Luck Heart, a cui fa seguito la ballata intimista Steel Deck Bridge. Sonorità irlandesi fanno capolino in Mary Of  The Scots In Queens, un folk cadenzato dalla  melodia avvolgente, per poi passare al soul di Everything’s A Miracle  e alle ballate acustiche The Land of No Forgiveness (che si avvale della voce angelica della Roche) e Amelia (dove troviamo alla batteria il figlio Jack). One Honest Man è un bel brano rock valorizzato dalla chitarra di Larry, seguito dalla grintosa Living With You, mentre This Shitty Deal è una ballatona country (alla Los Lobos). Il viaggio si avvia alla fine con la danza campestre di The Girl In The Blue e il country evocativo di Diamond Heart, che sa di vecchio west, con la bella voce di Trooper, che ricorda sapori di altri tempi. La bonus track (solo per il mercato italiano) è una torrida versione dal vivo di Ireland (era sull’album Everywhere), con la fisa a dettare il ritmo alla band (la versione Appaloosa è un bel digipack che contiene una taschina dove c’è il libretto con i testi e traduzione italiana, molto meritorio!).

Greg Trooper è uno di quei rari cantautori che solo l’America sa produrre, ha un talento fuori dalla norma, che lo affianca facilmente a solisti della fama di Steve Earle, Joe Ely e John Hiatt, perché sa scrivere canzoni di grande forza, fa della grande musica che gli sgorga dal profondo dell’anima, non vende illusioni, ma parla d’amore e di speranza.

***NDT: Domenica 27 Ottobre 2013 alle 18,00 suona dalle mie parti, alla Pizzeria Trapani in quel di Pavia, per chi fosse interessato l’ingresso è gratuito, io ci sarò sicuramente. Alla prossima!

Tino Montanari