*NDB E’ iniziata ufficialmente l’estate, quindi come usa fare tra le persone scrupolose, iniziano anche i ripassi: anche noi del Blog pure quest’anno ci adeguiamo. Scherzi a parte, da oggi, pur mantenendo la “programmazione” abituale di recensioni di dischi nuovi, anticipazioni di future uscite e quant’altro, di tanto in tanto troverete dei Post (miei e degli altri collaboratori di Disco Club) dedicati al recupero di dischi che per vari motivi non sono stati pubblicati sul Blog nei mesi passati.
Superdownhome – Twenty Four Days – Slang Records
Per la serie blues Made in Italy, un’altra “nuova” formazione che si affaccia sulla nostra scena interna. Il nuovo virgolettato è perché in effetti i Superdownhome, da Brescia, sono comunque in pista da un paio di anni, hanno già pubblicato un EP e pure questo Twenty Four Days circola (a fatica, se non trovate il CD fisico c’è comunque il download digitale, ma non è la stessa cosa) da qualche mese, ma in ogni caso non scade! E senza dimenticare che i due componenti del gruppo (ebbene sì, sono un duo, chitarra e strings, come dicono le note, e batteria) sono in giro da qualche annetto, Henry (Enrico) Sauda prima suonava nei Granny Says e negli Scotch, mentre il batterista Beppe Facchetti ha collaborato con Elizabeth Lee’s Cozmic Mojo, con Louisiana Red, Rudy Rotta, e Slick Steve & The Gangsters, sempre in modo indipendente e sotterraneo: quindi cerchiamo di aiutarli vieppiù ad emergere diffondendo, per quello che si può, il loro verbo. Sul sito della etichetta vengono presentati come un duo di rural blues, con uso di chitarra, Cigar Box e Diddley Bow e batteria, solo rullante e cassa, ma il suono che si percepisce ascoltando questo CD non è per niente rurale, anzi è elettrico, vibrante e ricco di grinta. Sono stati fatti paralleli con Seasick Steve e Scott H. Biram per questo approccio DIY e minimale, ma mi sembra che la quota R&R che esce dalle dieci canzoni di questo album non sia affatto marginale: d’altronde un disco che “coverizza” un brano come la leggendaria Kick Out The Jams degli MC5 non usa certo le mezze misure.
La voce di Sauda, sa essere suadente, ma anche rauca, vissuta ed incazzata, come timbro a tratti mi ricorda quella dell’amico Fabrizio Friggione dei Fargo, anche se lo stile è diverso, per quanto entrambi attingano dal blues come fonte di ispirazione, e poi la presenza di Popa Chubby in un paio di brani di questo Twenty Four Days è sintomatica. Insomma siamo di fronte ad un gran bel dischetto, solo 34 minuti di musica, ma tanto impegno e passione: ogni tanto si tenta anche la strada della roots music come nella conclusiva delicata Goodbye Girl, una bella ballatona, dove si ascoltano, credo, anche delle tastiere e chitarre aggiuntive suonate da Marco Franzoni, che è il produttore dell’album, registrato tra ottobre e novembre del 2017 al Bluefemme Stereo Rec di Brescia, e che vanta collaborazioni con altri artisti indipendenti ma anche mainstream come Omar Pedrini. I Superdownhome hanno aperto per Popa Chubby, Andy J Forest, Doyle Bramhall II e Bud Spencer Blues Explosion.
Tornando al disco il mood che prevale è spesso robusto e grintoso, se non anche selvaggio: l’iniziale Twenty Four Days con bottleneck in azione, è subito una stilettata di energia, sulle strade del blues più ispido, ma legato alla tradizione, Stop Breaking Down Blues di Robert Johnson, c’era anche su Exile On Main Street degli Stones e l’hanno suonata pure in molti altri, dai Fleetwood Mac di Peter Green in giù, e fa parte dei brani, “buoni, brutti e cattivi”, per citare Sergio Leone, buoni per la musica, ma brutti e cattivi per l’approccio, ruvido ed elettrico, anche grazie alla presenza di Popa Chubby, con il rock che va a braccetto con le 12 battute, con le chitarre che mulinano di gusto. Over You è più sinuosa e serpentina, mentre Nobody Knows ha ritmi più frenetici e scatenati, con le chitarre sempre in evidenza. Disabuse Boogie si presenta sin dal titolo, un po’ Canned Heat, un po’ Thorogood, un po’ ZZ Top vecchio stile, ottima ed abbondante, Long Time Blues è l’altro brano che prevede la presenza del buon Chubby, e Down In Mississippi è proprio il classico di J.B. Lenoir, misterioso e dalle atmosfere sospese. Bad Nature, di nuovo a colpi di slide e blues completa un menu vario e di buona qualità complessiva.
Bruno Conti