Signori, Uno Dei “Futuri” Del Blues Elettrico! Jarekus Singleton – Refuse To Lose

jarekus singleton refuse to lose

Jarekus Singleton – Refuse To Lose – Alligator/Ird

Michael Burks (che è stato uno dei suoi mentori) e Joe Louis Walker (che peraltro autorizzo a “toccarsi”, con gesto scaramantico) sono sicuramente i due nomi che per primi si affacciano alla mente ascoltando questo Refuse To Lose, secondo disco di Jarekus Singleton e debutto per la Alligator, il cui boss, Bruce Iglauer, produce l’album. Tra l’altro anche i, diciamo, punti di riferimento di Jarekus, sono (erano) sotto contratto per l’etichetta dell’alligatore. Due, Walker e Burks che anche a livello vocale non scherzavano, personaggi poco riscontrabili pure tra gli artisti neri, in cui canto e destrezza canterina erano più o meno allo stesso livello. Singleton, nativo di Clinton, Mississippi, è uno di quei rari casi di bluesmen giovani, esistono, il soggetto in questione non ha ancora compiuto trent’anni e per chi suona il blues, leggenda vuole, dovrebbe trovarsi ancora nel suo trentennio di apprendistato e gavetta on the road, di solito funziona cosi, poi, verso i 40-50, se hai fortuna, ti fanno incidere il primo disco (ci sono ovviamente delle eccezioni, ma spesso funziona così).

Jarekus-Singleton

Infatti se, come nel presente caso, la tua qualità è sopra la media difficilmente puoi sfuggire ai talent scout di fiuto e Iglauer, basta scorrere la lista dei musicisti che hanno inciso per la sua casa discografica, fiuto ne ha parecchio. Bassista e cantante di gospel sin quasi da bambino, poi tramite la radio ha scoperto l’hip hop e il rap, ma, per una volta, dopo essere passato alla chitarra, lo zio lo porta ad un club di blues, dove il giovane Jarekus ascolta I’ll Play The Blues For You di Albert King ed è amore a prima vista (beh, visto quanto appena detto, facciamo seconda): poi arrivano le scoperte di Buddy Guy, Freddie King,  Stevie Ray Vaughan, Jimi Hendrix https://www.youtube.com/watch?v=Du8twCEOky4 e Michael “Iron Man” Burks, che lo prende sotto la sua ala protettiva.

Jarekus-Singleton11

Senza raccontarvi la sua vicenda completa, tutto il Singleton minuto per minuto, il nostro amico si fa la sua gavetta tipica per locali in giro per l’America, pubblica a livello autogestito il suo primo disco, Heartfelt, nel 2011, viene “scoperto” da Iglauer a Memphis nel 2013, una verifica un paio di settimane dopo a Jackson, Mississippi, ed arriva la firma del contratto per l’artista, che nel frattempo ha vinto vari premi a livello locale, ed è stato indicato dalla rivista Living Blues come uno delle “Great Black Hopes”, se mi passate il termine https://www.youtube.com/watch?v=hEKZPmo-9iA . E così ci troviamo tra le mani un musicista che ama la grande tradizione blues, ma vuole anche innovare, con forti tratti rock, accenni hip-hop e rap, usati con classe e giudizio non temete, funky e pop, un artista eclettico che miscela i vari stili, si scrive le canzoni, suona alla grande la sua chitarra (con i buchi, come il groviera, Clevenger, “che cacchio di marca è?” ) con una grinta, una passione, una tecnica, che sono la somma di tutti i nomi citati https://www.youtube.com/watch?v=FIG0UXSMTxU .

Clevenger-Guitars-Jarekus-Singletonjarekus singleton live

Quando parte il primo brano, I Refuse To Lose, non si può fare a meno di dire, “Cazzo, ma questo suona!”, scusate per il suona, se non ci fossero già stati Hendrix, Stevie Ray Vaughan e tutti gli altri citati prima, avrebbe potuto dire, come Baudo per la televisione, il blues (rock) l’ho inventato io! Facezie a parte, la chitarra viaggia come una cippa lippa, la sua band ci dà dentro alla grande, lui ha nel modo di cantare quel leggero “talking” del rap, ma che voce, ragazzi, ed è solo il primo brano. Purposely ha un incipit che ricorda moltissimo I’m So Glad dei Cream, poi entrano l’organo di James Salone ed il groove funky della ritmica di Sterling e Blackmon, lui canta come un incrocio tra i due citati all’inizio, quindi benissimo e spara dei soli taglienti e tecnicamente ineccepibili, con scale velocissime, svisate improvvise e tutto l’armamentario del grande chitarrista https://www.youtube.com/watch?v=ZBxnhkULszQ . Gonna Let Go sta tra soul e blues, e ci sta benissimo, ritmica e solista alternate e usate alla perfezione, Crime Scene è uno slow blues cadenzato e trascinante con grande controllo della chitarra, che però ogni tanto sfugge e guizza https://www.youtube.com/watch?v=x0ya2v1bSOY , per diventare trascinante in Keep Pushin’, una sorta di All Along The Watchtower part 2, mentre i testi, autobiografici, parlano della sua adolescenza “pericolosa”, da perfetto street singer.

jarekus singleton 1

Ottime anche Suspicion, ben sostenuta dall’organo e Hell, dal testo dove Singleton parla in terza persona, come fosse il fantasma di Stevie Ray Vaughan e narrasse la propria storia, in uno slow blues splendido e lancinante. Hero, vagamente funky e rappata (ma vagamente), potrebbe passare in qualche radio “illuminata”, High Minded,è raffinata e cruda al tempo stesso. Sorry è un altro blues da torcibudella, molto vicino al mood di Burks e Walker, mentre Blame Game, con Brandon Santini all’armonica e Robert “Nighthawk” Tooms al piano, è l’unico blues canonico che potrebbe venire da Clinton, Mississippi, prima di lasciarci con la poderosa Come Wit Me, un altro blues-rock ad alto potenziale chitarristico.

Bruno Conti

Mi Sembra Di Conoscerli! Wayne Sharp and The Sharpshooter Band – Living With The Blues

wayne sharp living with the blues

Wayne Sharp And The SharpShooter Band – Living With Blues – Self released

La faccia ritratta nel disegno di retro copertina del CD e le foto interne di Wayne Sharp con figli, amici e familiari, non mi dicevano assolutamente nulla a livello fisiognomico, il cognome mi risvegliava qualche vago ricordo, ma di Todd Sharp ho perso le tracce, Randy, Elliott e Kevin non sono parenti, Edward ha la E finale, chi rimane? Poi ho iniziato a sentire il CD, il primo brano suona come Wang Dang Doodle anzi è Wang Dang Doodle, un bel blues con organo hammond e  due chitarre soliste e un piacevole vocione che sa trattare come l’argomento http://www.youtube.com/watch?v=AYxAHL-VjXU . Allora si va più in profondità nelle note e vedi che Wayne ringrazia alcuni “brothers in Blues”, tra cui Lamar Williams, con il quale, insieme a Jaimoe, aveva condiviso una band ad inizio anni ’80, che veniva dal giro Allman Brothers, gente già incrociata nei lontani anni ’60 http://www.youtube.com/watch?v=fwPrNThQZ28.

wayne sharp 1980

Ma soprattutto il nome che balza all’occhio è quello di Michael Burks, con cui Sharp ha condiviso quattro album per la Alligator ed  una dozzina di anni on the road, come organista della sua band e tutto si fa più chiaro. Un altro bluesman (bianco questa volta) che fa il suo esordio discografico abbastanza avanti negli anni, ma la classe c’è, nella Sharpshooter Band suonano i figli Sean e Grayson, il bassista Terrence Grayson (un omaggio, il nome del figlio?) era anche lui nella band di Burks, tra gli ospiti troviamo The “Legendary” Jackie Avery, un musicista che ha scritto brani per Arthur Conley, Dells e Johnnie Taylor (oltre ad essere stato sposato con una delle vocalist dei Wet Willie, di cui tra un attimo), che appare alla seconda voce e piano nel pezzo di Willie Dixon succitato.

wayne sharp band

All’altra chitarra solista, oltre al figlio Grayson, c’è l’ottimo Jon Woodhead (quello degli Ace di Paul Carrack negli anni ’70 e poi sessionman di lusso con Maria Muldaur, Leon Russell e anche con Santana, tra gli altri). E per completare gli ospiti, all’armonica in alcuni brani, c’è Jimmy Hall, proprio dei Wet Willie, a completare questa rimpatriata “sudista”. Il disco, uscito già da qualche mese, non è certo un capolavoro, ma si ascolta con piacere, ha quella patina rock-soul-southern alla Atlanta Rhythm Section che si unisce al blues a base organo Hammond/chitarra prevalente nel disco. Tra le altre cover, una bella ballata, Even Now, firmata David Egan/Buddy Flett di un gruppo minore, i Bluebirds, Close, di cui ignoro la provenienza, il classico Baby What You Want Me To Do, con Jimmy Hall all’armonica, quasi claptoniana.

wayne sharp

Southern Storm un’altra bella ballata che profuma di Sud, scritta dallo stesso Sharp che si cimenta anche al piano. Drivin’ Though The Delta, di nuovo con Hall, è un altro brano ancora molto southern, mentre Runnin’ Out Of Time conferma la predisposizione di Wayne per i brani lenti, confermata da una bella rilettura, molto vicina allo spirito originale, della super classica A Whiter Shade Of Pale, un must per ogni organista che si rispetti, che è sempre un bel sentire, anche se Gary Brooker (con e senza Procol Harum) è un’altra cosa. I Got My Gris Gris On You, senza infamia e senza lode e Put Me Down and Let Me Walk ancora con l’incisiva armonica del sempre bravo Jimmy Hall http://www.youtube.com/watch?v=P1LGHI4sZOk , ci portano all’omaggio conclusivo al grande Michael Burks, uno dei migliori buesmen delle ultime generazioni http://www.youtube.com/watch?v=J1hUzJlzHJQ , scomparso prematuramente per un infarto nel 2012 http://discoclub.myblog.it/2012/09/01/l-ultima-prova-dell-uomo-di-ferro-michael-burks-show-of-stre/ , con una Empty Promises che se non raggiunge l’intensità della versione dell’omone nero, è fatta con il cuore, e si sente. Il suo datore di lavoro era un’altra cosa, ma il disco, ripeto, si lascia ascoltare con piacere.

Bruno Conti

L’Ultima Prova Dell'”Uomo Di Ferro”. Michael Burks – Show Of Strength

michael burks show of strength.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Michael Burks – Show Of Strength – Alligator/Ird

Michael Burks era soprannominato “Iron Man”, pare per la sua resistenza fisica che lo portava a regalare lunghissimi concerti si suoi fan e a chi aveva la fortuna di assistere a un suo spettacolo che spesso rivaleggiava come durata con quelli di Springsteen. Ma la sua reputazione nell’ambito musicale e in particolare nel campo Blues era legata anche ad una manciata di album, di cui gli ultimi quattro (compreso questo) per la Alligator, che lo avevano portato ad essere uno dei nomi in costante evoluzione e miglioramento nell’ultima decade. Come molti avranno letto, Burks è scomparso per un attacco di cuore il 6 maggio di quest’anno all’aeroporto di Atlanta, di ritorno da un tour europeo, ma questo nuovo album, Show Of Strength, era già stato registrato ed era pronto, dopo la sua approvazione, ad essere pubblicato alla fine di agosto. Il musicista di Milwaukee non ha avuto occasione di sentirlo, ma Bruce Iglauer, il boss della Alligator, ha deciso comunque di procedere con il disco come era stato programmato, non pubblicato come un tributo postumo, ma in quanto ultimo lavoro di Michael.

La sua carriera discografica, nonostante i 54 anni, non è stata lunga e ricca di dischi, in quanto Burks, ad inizio anni ’80 e fino quasi alla fine dei ’90, aveva abbandonato la musica per dedicarsi alla famiglia. Poi la passione è tornata più forte di prima e pur senza essere uno dei nomi imprescindibili del blues (rock) dell’ultima decade ne è stato uno dei migliori alfieri. Un omone in possesso di una bella voce, a cavallo tra le finezze di un Robert Cray e la potenza di Joe Louis Walker o di Buddy Guy, il suo stile chitarristico è sempre stato attento anche agli stilemi del rock, Clapton e Free tra i suoi punti di riferimento, oltre agli immancabili Albert King e Hendrix, tanto per citare qualche nome. Nel precedente Iron Man, c’è una versione fantastica di Fire And Water, che riporta il suono dei Free alle radici del Blues. Ma da sempre Burks ha fatto da ponte tra i due stili, la ruvidezza del rock e un blues energico ma mai troppo sguaiato, ricco di tonalità soul. Il timbro della sua chitarra è quello bello “grasso” e corposo dei solisti esuberanti, i neri delle ultime generazioni che hanno inglobato nelle proprie sonorità, oltre al Chicago sound, anche le derive hendrixiane e quelle del trio dei King. 

Nel brano di partenza, la poderosa e claptoniana Count On You, innesta subito un wah-wah avvolgente che ci riporta al miglior “manolenta” o ai suoi recenti epigoni come Tommy Castro e, soprattutto, Tinsley Ellis. Linee di chitarra solista sinuose e ricche di inventiva che si intrecciano con le calde sonorità dell’organo del suo collaboratore storico Wayne Sharp e con una sezione ritmica agile e al contempo potente, con il basso di Terrence Grayson che pompa alla grande e la batteria di Chuck Louden che ancora il suono. Nella successiva Take A Chance On Me, Baby non posso fare a meno di vedere delle similitudini con il miglior Robert Cray, quello a cavallo tra blues e soul, la voce assume delle coloriture alla Solomon Burke e la chitarra, questa strana Kauer usata da Burks, rilascia una serie di assoli di grande spessore. Storm Warning scrittta da Jon Tiven e Jimmy Vivino era la title-track di uno dei dischi migliori di quel Tinsley Ellis citato prima, un funky-rock di grande impatto, mentre l’errebì coinvolgente di Can You Read Between The Lines con il controcanto accattivante dei componenti della band è un altro esempio delle qualità migliori di Burks, con una linea di basso ancora una volta funky e avvolgente. 

Cross Eyed Woman è un brano rock-blues molto anni ’70, tra Hendrix e i Free, con in più una slide guitar feroce di grande efficacia, a riprova dell’eccellente varietà di timbri, sonorità e stili che confluiscono in questo Show Of Strength. Little Juke Joint, con l’aggiunta dell’armonica di Scott Dirks è puro Chicago Blues, elettrico ma allo stesso tempo molto canonico. 24 Hour Blues è il classico slow blues che non può mancare in un disco come questo, con l’organo di Roosevelt Purifoy che si aggiunge alle tastiere di Sharp per un tuffo ulteriore nelle radici della musica nera, e la chitarra di Burks pennella una serie di assoli dedicati agli amanti dello strumento. Valley Of Tears e Since I Been Loving You (non quella degli Zeppelin per quanto sia sempre un bel lentone tirato) confermano quanto detto sinora, come pure I Want To Get You Back, sempre a cavallo tra blues e rock. What Does It Take To Please You è uno shuffle degno del repertorio del miglior BB King, con Michael Burks che estrae dalla sua chitarra anche la perfezione del suono del grande BB, e canta pure alla grande. E la conclusione è fantastica, una cover da manuale del classico di Charlie Rich, Feel Like Going Home, un brano che si adatta alla perfezione alla rilettura in chiave gospel che ne viene fatta, il piano di Sharp introduce il tema, la voce di Burks se ne impossessa con una interpretazione vocale da brividi, poi entra l’organo che ci conduce per mano fino al lirico assolo di chitarra nella parte centrale e poi reiterato nel finale, che ci permette di salutare con questo spirito malinconico ma elegiaco la musica di questo “piccolo grande uomo” che ci ha lasciato qualche mese fa. Bella musica, per amanti della chitarra e del Blues, ma non solo, non un capolavoro ma un disco solido ed onestro, tra i migliori dell’anno nel genere.

Bruno Conti

Novità Di Agosto Parte IV. Taj Mahal, Michael Burks, Kelly Joe Phelps, Six Organs Of Admittance, Plainsong, The Kennedys

taj mahal hidden treasures.jpgmichael burks show of strength.jpgkelly joe phelps brother sinner.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Tre uscite relative al Blues nelle sue diverse componenti.

Il grande Taj Mahal ha vissuto il suo momento migliore e più prolifico a cavallo tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 quando incideva per la Columbia (ma anche il resto della produzione è spesso molto buona). Evidentemente era rimasto del materiale assai interessante negli archivi, come dimostra questo doppio CD The Hidden Treasures Of Taj Mahal 1969-1973 che raccoglie tutto materiale inedito registrato in quel periodo di grande creatività e la Sony Legacy lo pubblica il prossimo 21 agosto. Questo il contenuto:

  1. “Chainey Do”
  2. “Sweet Mama Janisse” (Feb, 1970, Criteria Recording Studios)
  3. “Yan Nah Mama Loo”
  4. “Tomorrow May Not Be Your Day”
  5. “I Pity The Poor Immigrant”
  6. “Jacob’s Ladder”
  7. “Ain t Gwine Whistle Dixie (Any Mo’)”
  8. “Sweet Mama Janisse” (Jan, 1971 Bearsville Recording Studios, Woodstock, NY)
  9. “You Ain t No Streetwalker, Honey But I Do Love The Way You Strut Your Stuff”
  10. “Good Morning Little School Girl”
  11. “Shady Grove”
  12. “Butter”
  1. “Runnin By The Riverside”
  2. “John, Ain’t It Hard”
  3. “Band Introduction”
  4. “Sweet Mama Janisse”
  5. “Big Fat”
  6. “Diving Duck Blues”
  7. “Checkin’ Up On My Baby”
  8. “Oh Susanna”
  9. “Bacon Fat”
  10. “Tomorrow May Not Be Your Day

Il secondo CD è un concerto completo registrato alla Royal Albert Hall di Londra il 18 aprile del 1970 in una serata in cui si esibiva come supporto dei Santana. Detti per inciso, anche Taj Mahal ha compiuto 70 anni il 17 maggio di quest’ anno!

Per uno strano destino, sempre a Maggio, ma il giorno 6, moriva a Atlanta, Georgia Michael Burks. Aveva solo 54 anni ed era considerato, giustamente, uno dei migliori rappresentanti del blues elettrico contemporaneo. Autore di quattro album in precedenza, di cui tre su etichetta Alligator, anche questo Show Of Strength, lo conferma, sia pure in maniera postuma, tra i migliori cantanti e chitarristi di questo genere. Purtroppo, mi scappa di dire, la scritta “iron man” aggiunta al nome sulla copertina del disco, pur trattandosi del suo soprannome, non gli ha portato bene. Visto che sicuramente ne parlerò in modo più esteso prossimamente, per il momento mi limito a consigliarvelom visto il periodo, “caldamente”, ottimo disco. Ufficialmente in uscita il 21 agosto per la Alligator, ma è già in circolazione per i tipi della Ird.

Kelly Joe Phelps è uno dei “maestri” (o meglio virtuosi) della slide acustica suonata in stile anche lap appoggiata in grembo. Questo nuovo Brother Sinner And The Whale, pubblicato dalla etichetta Black Hen, dovrebbe essere il suo nono disco, un paio di EP esclusi. Dopo il disco strumentale del 2009 Western Bell e l’EP del 2010, Magnetic Skyline con la cantante Corinna West, Phelps torna con questo disco acustico, solo voce e chitarra, affascinante e malinconico come sempre, anche se, parere personale, lo preferisco nel formato più elettrico.

six organs of admittance ascent.jpgplainsong fat lady singing.jpgthe kennedys closer than you know.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Ben Chasny oltre ad essere il leader dei Six Organs Of Admittance, per alcuni anni ha fatto parte con Ethan Miller dei Comets On Fire. Poi, dal 2006/8, ognuno ha deciso di dedicarsi a tempo pieno al proprio gruppo: Ethan Miller con gli ottimi Howlin Rain e Ben Chasny a questi Six Organs, gruppo super prolifico che dal 1998 a oggi, in vari formati, ha pubblicato quasi una trentina di dischi. Questo nuovo Ascent, pubblicato dalla Drag City, lo riporta allo stile neopsichedelico degli episodi migliori del gruppo (e con la partecipazione dei Comets On Fire), con la chitarra che spesso si lascia andare a lunghe improvvisazioni selvagge ma anche con episodi più gentili, quasi folk o weastcoastiani. Molto interessante, in quel filone che comprende anche Jonathan Wilson & Co., se amate il genere, ma anche l’acid rock, i “corrieri cosmici tedeschi” dei primi anni ’70 e certi chitarristi acustici “arcani”.

Quest’anno festeggiano i 40 anni di attività, e dopo questo disco si scioglieranno, anche i Plainsong di Iain Matthews e Andy Robers. Tutto iniziava nel 1972 con quel piccolo gioiello del folk-rock che rispondeva al nome di In Search Of Amelia Earheart e si conclude, dopo un tour commemorativo, con questo Fat Lady Singing, registrato dal vivo in Olanda nel 2003 e pubblicato solo oggi dalla Blue Rose. Sono 19 brani registrati dalla formazione che vede accanto al “vecchio cuore Fairport” Matthews, voce e chitarra e Roberts, dulcimer e bouzouki, anche Julian Dawson all’armonica e Mark Griffiths al basso fretless: un piccolo assaggio!

Per finire lo spazio dedicato a queste uscite del 21 agosto, nuovo disco anche per i Kennedys, che non sono quelli che venivano uccisi in Sympathy For The Devil (citazione colta), ma la coppia marito e moglie, Pete & Maura, che con questo Closer Than You Know, autodistribuito su Planned Effervescence, realizzano forse il miglior disco di una lunga carriera che li vede in pista dal lontano 1995. Il disco comprende tutto materiale originale scritto dalla coppia, a parte una cover di un brano poco conosciuto del 2009 degli U2, Wild Honey. Canta Maura che ha una di quelle belle voci a suo agio sia con brani di stampo vagamente celtico, con episodi più pop o anche canzoni roots, con belle armonie vocali e l’ottimo lavoro agli strumenti a corda di Pete Kennedy. Uno stile indefinito tra pop e rock ma proprio per questo degni di essere scoperti se già non li conoscete, non fondamentali ma molto piacevoli.

Anche per oggi è tutto.

Bruno Conti

Ma Allora E’ Un Vizio Quelle Dello Crociere! Tommy Castro Presents The Legendary Rhythm And Blues Revue Live

tommy castro.jpg

 

 

 

 

 

 

 Tommy Castro Presents The Legendary Rhythm And Blues Revue Live! Alligator Records

Ormai la crociera è diventata un veicolo imprescindibile per il bluesman che si rispetti per portare in giro il proprio spettacolo, Joe Louis Walker e Elvin Bishop in tempi recenti l’hanno testimoniato discograficamente. Ma se girate per YouTube vi capiterà di imbattervi in decine di filmati di artisti non solo blues che approfittano di queste occasioni conviviali e rilassate per incontri ravvicinati con altri colleghi, jam improvvisate e quant’altro per la gioia degli spettatori.

Nel Blues questa consuetudine allo “scambio” risale molto indietro nel tempo, penso alle serate di John Hammond Sr. con i suoi artisti alla Carnegie Hall ma anche agli spettacoli di Johnny Otis o alla revue di Ike & Tina Turner tanto per citarne qualcuna. Questo CD in effetti mescola le due cose: ci sono brani registrati nella Sea Cruise ma anche altri di questo spettacolo itinerante registrati sulla terraferma. Il tratto che li unisce è Tommy Castro o meglio la sua band che fa da collante per tutto lo show: perché a ben vedere non si tratta di un nuovo disco dello stesso Castro, che appare in tre brani come chitarrista e tre se li canta e se li suona, oh come li suona! Su un totale di undici. Il disco è comunque un superbo esempio di blues contemporaneo come collocazione temporale ma senza tempo per i contenuti.

Un paio di anni fa avevo segnalato con entusiasmo sul Busca l’ultimo CD di Castro Hard believer (il primo per la Alligator) come un perfetto esempio di blues(rock) con fiati ovvero pieno di soul e R&B. Il nostro amico ci ha preso gusto e anche in questo caso la sua band spesso, ma non sempre, si avvale di una piccola sezione fiati (in effetti due, il sax di Keith Crossan e la tromba di Tom Poole). Nei primi due brani succede: Wake Up Call è una apertura fulminante, con la band che pompa i ritmi alla grande e la voce e la chitarra del leader che si destreggiano in modo impressionante tra le pieghe del blues più sanguigno. La versione dal vivo di Gotta Serve Somebody di Bob Dylan che già appariva nell’ultimo disco di studio qui viene elevata all’ennesima potenza, quasi a diventare una risposta alla All Along The Watchtower di Hendrix. Quello che era un gospel emozionante nella versione di Dylan diventa una esplosione di pura potenza chitarristica con la solista di Tommy Castro che estrae stilettate lancinanti dalle sue corde e il ritmo del brano si fa quasi parossistico in questa rilettura che potrebbe divenire di riferimento per gli anni a venire, anche se “i tempi sono cambiati”, in tutti i sensi.

A questo punto sale sul palco Michael Burks che è un “omone” con la voce di Muddy Waters e la chitarra di Albert King e ci delizia con una lunga ed intensissima versione di Voodoo Spell. A seguire un altro dei migliori rappresentanti del Blues “moderno”, quel Joe Louis Walker che ultimamente non sbaglia un disco e la sua versione di It’s a shame presente in questo live lo testimonia, grande chitarra e grande voce. Monica Parker o meglio Sista Monica Parker è una ottima vocalist nera e la sua Never Say Never con la chitarra di Castro in evidenza è gagliarda ma ha qualcosa in meno di chi l’ha preceduta finora. Rick Estrin, voce e armonica con il suo chitarrista Chris “Kid” Andersen, anche loro ottimi musicisti, bella versione di My Next Ex-Wife ma anche qui manca quel quid inesplicabile.

Che è presente nel DNA della famiglia Schnebelen, ovvero i Trampled Under Foot la band di fratelli di Kansas City di cui recentemente vi ho magnificato le gesta, la bellissima voce di Danielle e la chitarra scintillante di Nick lo testimoniano in una notevole versione di Fog. Painkiller è uno dei cavalli di battaglia del repertorio di Tommy Castro e questa ripresa live con fiati è micidiale. Castro, nelle migliori tradizioni delle revue, rimane sul palco anche per la successiva Think che ci introduce alle grandi doti vocali di una delle migliori cantanti bianche di blues attualmente in circolazione Janiva Magness.

Theodis Ealey è un cantante e chitarrista non famosissimo, ma molto bravo, di stampo soul e la sua This Time I Know è raffinata e calda come si conviene. Anche Debbie Davies è una nostra “vecchia” conoscenza e nel suo spazio con All I found dà libero sfogo a tutta la sua tecnica chitarristica per un assolo che è una piccola meraviglia. La conclusione è affidata a un classico di Percy Mayfield (che molti però attribuiscono a John Lee Hooker che l’ha resa imperitura), Serves Me Right To Suffer che è ancora una occasione per gustare la maturità vocale e chitarristica raggiunta da Tommy Castro nei suoi concerti, intenso e misurato al tempo stesso.

Grande disco di Blues dal vivo, per sintetizzare!                  

Bruno Conti