Continua Il Momento Positivo Per Mr. McManus. Elvis Costello – Hey Clockface

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Elvis Costello – Hey Clockface – Concord/Universal CD

Look Now, album del 2018 di Elvis Costello, è stato per il sottoscritto il miglior lavoro delle ultime tre decadi per quanto riguarda l’occhialuto musicista inglese, ed esattamente da Mighty Like A Rose (1991) in poi. In effetti i primi 15 anni della carriera del singer-songwriter nato Declan McManus sono stati inappuntabili, con una serie di album da non meno di quattro stelle l’uno, eccetto forse i transitori Trust e Goodbye Cruel World che erano comunque due signori dischi. Dopo il già citato Mighty Like A Rose la qualità delle pubblicazioni di Elvis si è fatta più altalenante, ma non sono mancati in ogni caso lavori ottimi come Brutal Youth e la cosiddetta “trilogia roots” formata da The Delivery Man, Secret Profane & Sugarcane e National Ransom: Hey Clockface è il nuovissimo lavoro di Costello, che arriva a quasi due anni giusti da Look Now (sono usciti entrambi ad ottobre) e conferma il buon momento di forma del nostro.

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Prodotto da Elvis insieme a Sebastian Krys, Hey Clockface forse è un gradino più in basso rispetto al suo predecessore (con il quale condivide però la bruttezza della copertina) ed è sicuramente più ricercato e meno immediato, ma è comunque superiore a lavori un po’ velleitari di Costello (North, Momofuku, Wise Up Ghost) ed anche ad altri piuttosto irrisolti come i due album realizzati in collaborazione con Burt Bacharach ed Allen Toussaint. Il disco è stato registrato in tre diverse location, Parigi, New York e Helsinki, con tre differenti gruppi di musicisti (anzi, i pezzi incisi in Finlandia vedono Elvis suonare tutto da solo), ed anche per questo si tratta di un lavoro abbastanza eterogeneo nei suoni e negli stili, senza però risultare dispersivo. D’altronde Costello in passato ci ha abituato spesso a saltare di palo in frasca, ma mai deludendo veramente, anzi dando prova di poter dire la sua con competenza in tutti i generi musicali, siano essi pop, rock’n’roll, old time music, jazz, country, big band e perfino musica da camera (ricordate The Juliet Letters?).

NO COMMERCIAL SALES EDITORIAL USE ONLY Mandatory Credit: Photo by JuanJo Martin/EPA-EFE/REX/Shutterstock (9724371b) Elvis Costelo English musician Elvis Costello in concert in Madrid, Spain - 22 Jun 2018 English musician Elvis Costelo (C) and The Imposters band perform on stage during a concert held as part of Noches del Botanico (Nights of botanical Garden) festival in Madrid, Spain, late 21 June 2018, (issued 22 June 2018).

Nel caso del CD di cui mi occupo oggi, si rileva una patina jazz più o meno marcata a seconda dei brani, suoni moderni ma nell’accezione positiva del termine, una certa raffinatezza di fondo ed un velo pop che non manca mai nei dischi del nostro. La maggior parte delle canzoni proviene dalle sessions parigine, nelle quali Elvis è accompagnato dall’inseparabile Steve Nieve alle tastiere e dal Quintette Saint Germain, un combo di musicisti francesi di derivazione jazz: si parte con l’affascinante Revolution #49, che sembra quasi un’introduzione ad un film western onirico con implicazioni orientaleggianti, e con lo spoken word di Costello ad aggiungere mistero. They’re Not Laughing At Me Now è una ballata di stampo acustico alla quale via via si aggiungono strumenti di matrice jazz come sax e flicorno, mentre tastiere e sezione ritmica donano profondità al tutto; I Do (Zula’s Song) è invece puro jazz, una ballatona soffusa ed elegante guidata da piano e violoncello, con tromba e sax pronti a riempire i silenzi ed una batteria spazzolata https://www.youtube.com/watch?v=Ny46C33hS0o , mentre Hey Clockface/How Can You Face Me? è un delizioso e cadenzato pezzo che ci porta in piena epoca vaudeville, con uno squisito arrangiamento dixieland guidato da tromba e clarinetto  https://www.youtube.com/watch?v=i_ERPpbvAW8.

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The Whirlwind e The Last Confession Of Vivian Whip sono due profondi slow pianistici, con il secondo che per stile e melodia sembra provenire da un musical dell’epoca d’oro di Broadway (anche se l’uso del vibrato nella voce da parte Elvis non mi ha mai fatto impazzire); What Is It That I Need That I Don’t Already Have? è un lento acustico decisamente intenso con la band che lavora per sottrazione, I Can’t Say Her Name un altro godibile brano jazzato in puro stile anteguerra, mentre Byline, che chiude il CD, è l’ennesima ballatona pianistica e presenta una delle linee melodiche migliori del lavoro https://www.youtube.com/watch?v=vVeAk72JHbg . I tre brani di Helsinki, che come dicevo vedono Elvis alle prese con tutti gli strumenti, sono molto particolari, a cominciare da No Flag che è una canzone elettrica decisamente spigolosa con sonorità moderne per non dire rumoristiche: sembra quasi un pezzo del Tom Waits periodo Bone Machine, anche se il refrain è puro Costello. In We Are All Cowards Now il nostro gioca a sperimentare con i suoni, riuscendo comunque a far uscire intatto il motivo di base, di chiaro stampo pop-rock https://www.youtube.com/watch?v=R8r_F_4AjVE , a differenza di Hetty O’Hara Confidential che è una sorta di rockabilly con ritmica funk leggermente ipnotica, in cui il “casino organizzato” del leader ha effetti abbastanza stranianti.

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E veniamo ai due pezzi incisi a New York, che vedono Costello accompagnato da Michael Leonhart, che suona la maggior parte degli strumenti, e da Bill Frisell alla chitarra: Newspaper Pane ha anch’essa sonorità moderne ma tenute ampiamente sotto controllo, con Leonheart che si cimenta con un po’ di tutto (batteria, chitarra baritono e Stratocaster, basso, Farfisa, Vox Continental, tromba e trombone) e Frisell che aggiunge il suo inconfondibile tocco, mentre Radio Is Everyting (che vede Nels Cline dei Wilco come chitarrista aggiunto) è un pezzo d’atmosfera che sembra uscire proprio da un disco di Frisell, con Costello che parla su un tappeto sonoro affascinante tra chitarre lancinanti, loops, note di piano, batteria appena sfiorata ed una tromba rarefatta https://www.youtube.com/watch?v=5FqEtWsRb9o . In definitiva Hey Clockface si può definire un disco riuscito anche se meno spumeggiante del suo predecessore, con la parte parigina e quella newyorkese che si fanno preferire nettamente a quella finlandese.

Marco Verdi

Torna Il “Cesellatore”, Alcune Impressioni! Donald Fagen – Sunken Condos

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Donald Fagen – Sunken Condos – Reprise

Devo dire che quando ho cominciato a vedere i primi segni dell’imminente uscita di un nuovo album di Donald Fagen, mi sono detto che non era possibile, “solo” sei anni dopo l’uscita di Morph The Cat. Non va mica bene, ventiquattro anni per una trilogia, quella di The Nightfly, che abbiamo scoperto con certezza essere tale, solo quando è uscito il cofanetto retrospettivo, e adesso è già pronto questo Sunken Condos. Ma stiamo scherzando! E invece no, non era uno scherzo, il disco è qui, lo sto ascoltando, è pure bello, genere “Donald Fagen”, nel senso che quando schiacci il bottone Play e parte il primo brano Slinky Thing, lo stile è inconfondibile, al massimo poteva essere un nuovo disco degli Steely Dan, ma Fagen fa parte di quella categoria a parte che è un genere a sè stante. Ok, c’è jazz, c’è funk, c’è rock, soul e persino pop ma il risultato finale è Fageniano, per coniare un nuovo sinonimo, solo per l’occasione nella sua personalità più groovy.

Dopo un disco più rilassato e meditativo come Morph, il nostro amico questa volta ha voluto essere più funky, ma sempre a modo suo, con quella precisione e quella levità che potremmo anche definire classe: in quanti dischi trovi, in brani diversi, tre assoli di armonica e tre di vibrafono. E trovare un tipo come Michael Leonhart, che è anche più pignolo di lui nella produzione e negli arrangiamenti, non deve essere stata una cosa facile. Oltre a tutto questo signore deve avere delle origini italiane celate, perché va bene tenere famiglia, ma tre parenti nello stesso disco costituiscono “raccomandazione”: il babbo Jay, contrabbassista jazz, la moglie Jamie alle armonie vocali e pure la sorella Carolyn ai Vocal Ad-Libs, va bene il nepotismo, ma senza esagerare. Se poi lui pure si sdoppia, e sotto lo pseudonimo di Earl Cooke Jr. si occupa anche delle parti di batteria, siamo di fronte ad un piccolo genietto, tastiere, vibrafono, tromba, fisarmonica, flicorno, glockenspiel, percussioni e che caspita! E tutto suona alla perfezione fin nel minimo particolare.

A rendere più vivace e meno preciso e tassonomico il tutto ci pensa proprio Donald Fagen, che, rigenerato dai suoi tour con la Dukes Of September Rhythm Revue (con Michael McDonald e Boz Scaggs, altri praticanti dell’arte del blue-eyed soul) e prima ancora con la New York Rock And Soul Revue, dove c’era la meravigliosa Phoebe Snow, ha riscoperto una certa passione per il ritmo, il groove, anche il gusto per le cover, e nel disco ce n’è una, inconsueta e intrigante, di un brano di Isaac Hayes del periodo Polydor, la quasi disco di Out Of The Ghetto, con i consueti coretti tipici dei dischi di Fagen e qualche “stranezza”, come un assolo di violino in un brano così funky e qualche inflessione vocale (e musicale) alla Stevie Wonder, che ritorna anche in altri brani (ed è inteso come un complimento perchè nella prima metà degli anni ’70 pochi facevano dischi belli e consistenti come quelli di Wonder), come anche l’uso dell’armonica mi sembra mutuato da quei dischi, mentre il vibrafono o la marimba hanno un che di Zappiano (Ruth Underwood dove sei?). Se poi il caro Donald si autocita e fa una sorta di cover di sè stesso, per esempio in una canzone come Miss Marlene, che è una specie di I.G.Y parte seconda, fa parte sempre di quell’essere una categoria a parte, quelli che hanno un sound. Un disco di Van Morrison o di Richard Thompson lo riconosci subito e lo stesso vale per Fagen, non tradiscono mai i loro ammiratori!

Un altro dei protagonisti del disco è la chitarra di Jon Herington, spesso in evidenza con assoli mai banali e impegnato con un wah-wah insinuante in un brano come Good Stuff che se non arriva ai limiti inarrivabili degli Steely Dan di Aja prova ad avvicinarli con le sue atmosfere avvolgenti (ma in quel disco suonava gente come Wayne Shorter, Steve Gadd, Larry Carlton, Joe Sample e mille altri, che con tutto il rispetto per l’attuale fantastico gruppo di Fagen, erano un’altra cosa). Comunque Herington “costringe” un musicista come Larry Campbell a fare il chitarrista ritmico di supporto nel disco, ma nella conclusiva Planet d’Rhonda ,secondo me, la solista è quella dell’ottimo chitarrista jazz Kurt Rosenwikel, che dà un’aria più raffinata e meno funky al brano, anche se meno immediata, forse.

Senza stare a fare una disamina di tutti i nove brani, il disco mi pare bello, come dicevo in apertura, e ho voluto mettere in questo Post alcune delle impressioni che mi ha suscitato un ascolto attento, ripetuto e molto gratificante del disco, che ad ogni nuovo giro ti rivela particolari unici e sonorità veramente cesellate! E non ho citato neppure una volta Walter Becker (non ho resistito).

Bruno Conti

Il 16 Ottobre In Uscita Sunken Condos Il Nuovo Album Di Donald Fagen

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Visto che nel Blog (e non solo) ci sono dei fans di Donald Fagen due parole veloci in attesa dell’uscita di Sunken Condos prevista per la Reprise/Warner il prossimo 16 ottobre. Si tratta del primo album solista di Fagen dopo la conclusione della Nightfly Trilogy con al’album Morph The Cat del 2006 e la pubblicazione l’anno successivo del bellissimo cofanetto relativo alla trilogia con sette dischetti tra CD e DVD, anche se gli audiofili, per quello che si è letto, sono rimasti parzialmente delusi (per la qualità del suono, non certo per il contenuto).

Il nuovo album viene anticipato dal singolo promozionale I’m Not The Same Without You che potete ascoltare qui sotto…

Questi sono i brani, 8 originali e una cover di Out Of The Ghetto di Isaac Hayes.

 

  1. “Slinky Thing”
  2. “I’m Not the Same Without You”
  3. “Memorabilia”
  4. “Weather in My Head”
  5. “The New Breed”
  6. “Out of the Ghetto” (Isaac Hayes)
  7. “Miss Marlene”
  8. “Good Stuff”
  9. “Planet D’Rhonda”

Donald Fagen questa estate ha girato gli Stati Uniti con i Dukes Of September, ossia Michael McDonald e Boz Scaggs, e il tour avrà un’ultima propaggine il 24 ottobre a Honolulu, se vi capita di essere da quelle parti.

Viceversa se volete sapere tutto sull’album, questo è il link per leggere un’intervista con Michael Leonart, il co-produttore dell’album http://dl.dropbox.com/u/78948039/sunken_condos_interview.pdfhttp://

Direi che è tutto.

Bruno Conti

P.S.

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In questi giorni è uscito anche il nuovo disco solista di Jon Herington, Time On My Hands. Si tratta del quinto album da solista del musicista che da parecchi anni occupa il ruolo di chitarrista negli Steely Dan e nelle band di Donald Fagen e Walter Becker.