Newgrass, Bluegrass o Pop Grass? In Ogni Caso Bravi! The Hillbenders – Can You Hear Me?

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The Hillbenders – Can You Hear Me? – Compass Records

Nel 1971 i New Grass Revival di Sam Bush prendevano il loro nome da un “nuovo” stile che stava acquistando popolarità in quel periodo, anzi fu proprio uno del gruppo, Ebo Walker, a coniugare il termine “newgrass”, un filone musicale a cui si facevano aderire anche bands come i Dillards, J.D. Crowe & The New South, Country Gazette, Seldom Scene e solisti come John Hartford: una sorta di bluegrass progressivo, che mescolava lo stile classico, con influenze rock e blues, pop perfino (penso a certe cose della Nitty Gritty Dirt Band dell’epoca), oltre ad una attitudine più aperta musicalmente, tipica del periodo. Con qualche intrusione di strumenti elettrici, ma appena accennati, un basso qui, una chitarra elettrica là, una sezione ritmica, ma senza esagerare, parleremmo di country-rock, ma non è questo il caso, elementare, Watson! Qualcuno poi, un giorno, mi spiegherà la differenza con il bluegrass vero e proprio, visto che secondo molti il newgrass nasce dalle improvvisazioni strumentali tra banjo, contrabbasso e gli altri strumenti, “inventate” da Earl Scruggs, che era peraltro considerato un rappresentante della vecchia scuola.

Questa ci porta agli Hillbenders, un quintetto classico: banjo, dobro, mandolino, chitarra acustica e contrabbasso, nato a Springfield, Missouri nel 2008 e vincitore l’anno successivo del premio come miglior band bluegrass al famoso Festival Telluride in Colorado. Nel 2010 pubblicano il primo album Down To My Last Dollar, uscito a livello indipendente e recentemente ristampato proprio dalla Compass, che, tra le tante belle canzoni, contiene una deliziosa cover di un brano, forse minore, di Guy Clark, Ain’t No Trouble To Me, oltre a dodici brani scritti dai componenti la formazione. I due cugini, Jim e Gary Rea, rispettivamente a chitarra e contrabbasso, Chad Graves al dobro, Mark Cassidy al banjo e Nolan Lawrence al mandolino, che oltre a cantare più o meno tutti, tre come solisti, con gli altri che contribuiscono alle armonie a tre, quattro e anche cinque voci, veramente notevoli. Non saprei dirvi che genere facciano: newgrass, bluegrass o anche pop grass, però posso dirvi che sono veramente bravi.

L’iniziale Train Whistle o il “singolo” Radio hanno un appeal quasi radiofonico (magari di settore, se vogliamo) ma con gli strumenti che viaggiano alla grande e armonie vocali che ogni tanto esplodono piacevolmente. Ottimi i due strumentali, Clutch, che parte lenta ma diventa immediatamente un brano bluegrass tradizionale con tutti gli strumentisti che impiegano i trucchi del mestiere a velocità supersonica e la più lenta e melodica Gettysburg, dall’andamento maestoso, ma che non può trattenersi  nella parte finale di prendere quel train sonoro veloce e frenetico, tipico di questa musica. Oppure prendete le due covers, Past The Point Of Rescue, conosciuta in America come successo, negli anni ’90, di Hal Ketchum, ma chi scrive la ricorda come uno dei brani migliori presenti in No Frontiers, disco tra i migliori in assoluto di Mary Black, canzone scritta da Mick Hanly, il cantante irlandese che entrò nei Moving Hearts in sostituzione di Christy Moore, in questo album prende la forma di una bluegrass song affascinante, per diventare nella parte centrale una border song da fiesta mexicana, cantata con piglio operatico in spagnolo, a tempo di mexican grass.

L’altra cover Talking In Your Sleep, è un vecchio brano dei Romantics, che dimostra ancora questo approccio newgrass della musica, suono tradizionale, con acustica, banjo, dobro e mandolino che si alternano velocemente alla guida e cantato di stampo rock, ma impreziosito dalle consuete armonie vocali spaziali. La conclusiva Game Over, con il suo call and response tra i vari vocalist della band ha un sapore tra country e blues, grintoso e tirato al punto giusto. Tra i brani migliori anche la potente Concrete Ribbon con il consueto giusto equilibrio tra abilità strumentale degli strumentisti e armonie vocali sofisticate e complesse. Se volete il vostro country, ok, bluegrass, moderno ma allo stesso tempo tradizionale, ma, soprattutto, se volete un prodotto che forse non entrerà negli annali della musica, ma ha sicuramente una qualità nettamente superiore alla media del genere, non cercate troppo lontano, questo Can You Hear Me? potrebbe fare per voi!

Bruno Conti