Tante Vite Vissute In 50 Anni Di Carriera! Marianne Faithfull – Give My Love To London

marianne faithfull give my love

Marianne Faitfull – Give My Love To London – Naive/Self Records

Figlia di una baronessa austriaca, discendente dei Von Sacher-Masoch, proprio quelli, la signorina Marianne Faithfull (narrano le cronache) vede cambiare improvvisamente la propria esistenza, quando nel lontano ’64 partecipa ad una festa londinese in compagnia  di John Dunbar (che diventerà in seguito suo marito), dove tra i tanti “imbucati” spiccavano i Rolling Stones e il loro produttore Andrew Loog Oldham, che trova il viso della Faithfull perfetto per lanciare l’ultima composizione di Jagger e Richards As Tears Go By (e anche la voce si rivela adatta) https://www.youtube.com/watch?v=rHUQuD7ZzYg , proiettando quindi la canzone nei Top 10 di quell’anno. Il personaggio Faithfull funziona perfettamente, al punto che i primi due album (stranamente pubblicati nello stesso giorno) Come My Way e l’omonimo Marianne Faithfull (65) entrano simultaneamente in classifica. Nel ’66, all’apice della popolarità, si separa da Dunbar per dedicarsi ai Rolling Stones e ad una burrascosa relazione con Mick Jagger, durata, tra alti e bassi fino a maggio del ’70, e poi gli anni settanta, vissuti tra tentativi di suicidio, dipendenza da eroina, un paio di anni da “homeless” per le strade di Soho, varie malattie che la porteranno a cambiare completamente il tipo di voce.

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La seconda vita di Marianne arriva con il successo di Broken English (79), un disco di platino che riporta l’artista in prima fila, come i successivi Dangerous Acquaintances (81), Child’s Adventure (83), Strange Weather (87) raggiungendo la perfezione con il celebrato live Blazing Away (90) con l’accompagnamento di famosi musicisti tra cui Garth Hudson (The Band), Marc Ribot, Dr.John e Fernando Saunders, con un repertorio che va dal Tom Waits di Strange Weather al John Lennon di Working Class Hero https://www.youtube.com/watch?v=3N_rNz2oAGA , fino ai vecchi amici Rolling Stones con una commovente Sister Morphine che non poteva mancare https://www.youtube.com/watch?v=rdtM2YGaJ4k , anche se fu frutto di una lunga battaglia legale per vedere il proprio nome riconosciuto tra gli autori del brano e As Tears Go By. La terza vita artistica della Faithfull inizia con il primo lavoro con la Virgin RecordsVagabond Ways (99,) affiancata in alcuni brani da Daniel Lanois, con cover di Elton John (For Waiting You) e Leonard Cohen (Tower Of Song), a cui fanno seguito album meno convincenti come Kissin’ Time (02) e Before The Poison (04), per poi tornare su livelli di eccellenza con i recenti Easy Come, Easy Go (08) e Horses And High Heels (11).

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Per questo Give My Love To London (20° album in una carriera quasi cinquantennale) https://www.youtube.com/watch?v=Cjel_2KRF6s , Marianne ha il privilegio di farsi scrivere le musiche da un pool di autori che rispondono al nome di Nick Cave, Roger Waters, Tom McRae, Steve Earle, Anna Calvi, Patrick Leonard (Leonard Cohen), e di poter disporre di una band di supporto composta da musicisti eccellenti come Adrian Utley dei noti Portishead, Warren Ellis e Jim Sclavunos dei Bad Seeds (gruppo storico di Nick Cave), Dimitri Tikovoi , Ed Harcourt (eccellente pianista e cantautore), sotto la produzione di Rob Ellis (noto per i lavori con P.J. Harvey) e dello stesso Tikovoi, insomma “la crema” del rock inglese. Il brano iniziale, la title track Give My Love To London è opera di Steve Earle, e si respira subito un suono country-folk con un arrangiamento brioso, seguita da una Sparrows Will Sing omaggiatale da Roger Waters, con certe sonorità tipiche “velvettiane” cantate da Marianne alla Nico https://www.youtube.com/watch?v=jE9I4lVpE64 , dalle belle aperture ariose di True Lies, un brano del sottovalutato Ed Harcourt, mentre Love More Or Less è una arpeggiata ballata acustica uscita dalla penna di Tom McRae https://www.youtube.com/watch?v=dFRbn5jVPlE .

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Nick Cave compone invece per la Faithfull la sofferta, pianistica Late Victorian Holocaust (con il violino “lamentoso” di Warren Ellis) https://www.youtube.com/watch?v=wirrsgsfNqQ , e l’eterea melodia di Deep Water (brani che Nick stranamente non riesce più a scrivere per sè stesso) https://www.youtube.com/watch?v=0TEVMqX9dNE , passando poi ad una veloce e turbinosa Falling Back della brava emergente Anna Calvi e ai suoni rock di Mother Wolf, musicati da Pat Leonard, il compositore attualmente preferito dal grande Leonard Cohen. Completano un disco meraviglioso alcune cover d’autore, su tutte una The Price Of Love degli Everly Brothers, rifatta con la stessa energia, una strepitosa rilettura pianoforte e voce (alla Marlene Dietrich)  del brano di Cohen Going Home (tratto da Old Ideas) e chiudere con la notevole lettura “spettrale” di un grande autore come Hoagy Carmichael in I Get Along Without You Very Well (eseguita in passato da grandi cantanti come Billie Holiday, Nina Simone, Petula Clark, Frank Sinatra, e in tempi recenti Diana Krall).

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Per questo Give My Love To London, il termine “capolavoro” non pare fuori luogo, per un lavoro dove Marianne oltre che il suo “status” di icona musicale (esemplificato anche dalla copertina dove appare circondata da una nuvola di fumo emessa dalla “ennesima sigaretta”, come quelle di Yanez) ci mette pathos, lacrime, dolcezza e una voce che rimane sempre particolare ed unica, se non bellissima (però segnata dal tanto vissuto) e che festeggia degnamente il mezzo secolo di carriera, iniziata nel lontano ’64 quando appunto la Faithfull, allora appena diciassettenne, debuttò con quella che pareva una canzoncina come As Tears Go By, proponendosi ancora oggi come una “madame” aristocratica e tenebrosa, dotata di una classe immensa, impossibilitata nel tempo a sfiorire.

NDT: Per gli amanti della signora, la Faithfull nell’ambito del tour europeo farà tappa dalle nostre parti, il 27/10/14 a Milano all’Auditorium e il giorno successivo a Lucca al Teatro del Giglio, con un prezzo del biglietto abbastanza accessibile.

Tino Montanari

Ancora Una “Leggenda”? Terry Davidson And The Gears – Sonic Soul Sessions

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Terry Davidson & The Gears – Sonic Soul Sessions – Bangshift Music

Un’altra delle “leggende” del blues, del rock e della roots music Americana, da Columbus, Ohio,Terry Davidson & The Gears, da una quarantina di anni on the road, hanno diviso i palchi di tutto il circuito internazionale con gente come Chuck Berry, Muddy Waters, Buddy Guy, Johnny Winter, ZZ Top, solo per nominarne alcuni. Ovviamente così recita il loro sito, che riporta anche un giudizio da 5 stellette di American Blues Review. In effetti anch’io, quando ero un ragazzo, una volta, ho visto da lontano Jimi Hendrix e in un’altra occasione ho diviso il palco con Bruce Cockburn (è vero, e non era dopo il concerto, durante, però davo una mano agli organizzatori, per essere sinceri). Tralasciando le facili ironie, come è noto, negli States ci sono centinaia, addirittura migliaia di gruppi e solisti che propongono la loro musica con passione e bravura, e quindi non mi permetterei mai di prenderli per il c…, però un minimo di obiettività è richiesta.

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A ben guardare Terry Davidson ha una cospicua discografia di sette album alle spalle, fa proprio i generi citati ad inizio recensione e li fa anche bene, quindi perché non parlarne? Siamo qui per questo e quindi parliamone https://www.youtube.com/watch?v=dgu-gq-d4E8 . La band è un quartetto, con Davidson che è la chitarra solista, il cantante e suona occasionalmente anche il mandolino, Mike Gilliland, armonica e seconda chitarra e voce, quando serve, Bill Geist e Bob Hanners, basso e batteria, Todd Brown è il tastierista aggiunto, e tra gli “ospiti” anche una ridotta sezione fiati e una piccola pattuglia di background vocalist agguerriti. Il risultato è un onesto disco di rockin’ blues, da una Sweet Deceiver tirata e fiatistica, con l’armonica di Gilliland e la chitarra con wah-wah di Davidson che si dividono gli spazi solistici, le atmosfere più sospese di una raffinata Nasty Girl.

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Chicagoland, come da titolo, ha una parentela con il sound della Wind City, ma anche delle derive soul, grazie ad una voce femminile di supporto e all’uso dei fiati https://www.youtube.com/watch?v=omwdTuanICU . Qualcuno ha ipotizzato qualche grado di parentela con la J.Geils Band, ma quel gruppo aveva ben altra consistenza, con un cantante come Peter Wolf e l’armonica di Magic Dick, la formula è più o meno quella, la grinta c’è, ma Davidson non è un cantante così memorabile, anche se più che adeguato. Ancora più Chicago è lo slow blues classico di Too Late To Change, con il pianino di Brown che aggiunge autenticità e pathos al sound. So Hot ha un attacco alla Stones e anche il resto del pezzo qualche idea ai Glimmer Twins la ruba, però l’esecuzione è deliziosa e la voce assomiglia in modo impressionante a quella di Jagger https://www.youtube.com/watch?v=5SufHjAW3nk . L’intensità del disco comincia a crescere, la stoffa c’è, Hound Dog Blues, sempre con un bel riff che la sostiene, è un altro pezzo più rock che blues e i Gears ci danno dentro di gusto, molto bene sia Gilliland che Davidson, che non si risparmiano neppure nel R&R alla Fabulous Thunderbirds di Tapped Out. Stomping Ground, con Terry Davidson al mandolino vira con ottimi risultati verso un country-roots-rock di buona fattura. Deep In The Blues si affida nuovamente alle dodici battute con Brown che passa all’organo, per un brano non memorabile ancorché nobilitato da un assolo di finezza di Davidson.

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Three Ninety Six, poderosa e frenetica, ricorda band come i Nine Below Zero o i Blasters più tosti. Monkey Hand qualche parentela con il blues rivestito di rock della J.Geils Band parrebbe averla mentre Memphis Bones è uno strumentale boogie molto swingato che permette a tutta la band di mettersi in evidenza. Conclude Without The Blues, la storia della vita di Terry Davidson messa in musica, con citazioni precise, verbali e musicali, di tutte le influenze che hanno costellato la sua vita di artista, piacevole e coinvolgente, come peraltro tutto il disco, che si lascia gustare senza tanti problemi. Non saranno delle leggende ma sono bravi!

Bruno Conti

Un’Occasione Persa. Solo Per Maniaci “Stonimentali”! Rolling Stones – GRRR!

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The Rolling Stones – Grrr!

Polydor 2CD – 3CD – 3CD Deluxe – 5CD + EP Super Deluxe – 5LP

Se uno si dovesse limitare a dare un giudizio sul contenuto di Grrr!, box celebrativo dei 50 anni di carriera dei Rolling Stones, cioè della più grande rock’n’roll band di sempre, dovrebbe chiedere una deroga alle classiche cinque stelle e dargliene almeno sei o sette (per la cronaca, sto prendendo in esame esclusivamente la versione Super Deluxe, cioè quella con 80 canzoni più bonus).

Invece, guardando la cosa dal lato negativo, ci sarebbe da incazzarsi alquanto, dato che ci troviamo per le mani l’ennesima antologia delle Pietre Rotolanti, presentata certo in maniera sontuosa, con un megabox elegante (ma di difficile sistemazione logistica), con un lussuoso ed interessante librone all’interno (nel quale mancano però i riferimenti agli album dai quali sono tratti i brani), ma con la miseria di due inediti, cioè le già note, per chi smanetta su internet, Doom And Gloom e One More Shot.

(NDM: comunque nel boxettone super, peraltro costosuccio, c’è anche un mini CD con 5 demo inediti degli anni sessanta ed un EP in vinile con quattro BBC Sessions dello stesso periodo, sempre inedite, una specie di magro contentino per i fans, pur se estremamente interessanti dal punto di vista musicale).

Quindi ne parlo bene o male? Diciamo che, come ho scritto nel titolo del post, ci troviamo di fronte all’occasione persa del secolo: sarebbe bastato prendere gli stessi ottanta brani (o altri, non importa) e pubblicarli esclusivamente in versione inedita, sia alternata di studio che dal vivo (gli archivi ne sono sicuramente pieni), invece dalla solita minestra riscaldata, tra l’altro a poco tempo di distanza dalla ripubblicazione di tutto il catalogo dagli anni settanta in poi.

Per carità, i due inediti, registrati quest’estate a Parigi, sono bellissimi, due rock’n’roll tipici dei loro, con Keith Richards a riffare da par suo e Mick Jagger solito marpione dietro al microfono: due brani di grande qualità (soprattutto Doom And Gloom, nel filone di classici del passato quali Brown Sugar, Street Fighting Man e Start Me Up).

Uno pignolo (ed io lo sono, soprattutto se devo spendere circa cento euro) avrebbe poi qualcosa da dire anche sulla tracklist: va bene la scelta di omaggiare tutti gli album di studio (compresi dischi live o antologici, vedi Flashpoint e Forty Licks, che però avevano al loro interno anche dei brani nuovi incisi per l’occasione, nella fattispecie Highwire e Don’t Stop), va bene che se prendiamo mille fans avremo mille tracklist differenti, ma come si fa ad escludere brani seminali come Sister Morphine, Sweet Virginia, Dead Flowers (forse il mio brano preferito degli Stones) e Memory Motel?

E meno male che hanno messo Salt Of The Earth e Beast Of Burden se no andavo ad aspettarli sotto casa…

In definitiva, non me la sento di consigliarvi l’acquisto di questo manufatto, a meno che non dobbiate farvi fare un regalo costoso per Natale: se invece conoscete qualche giovane leva che vi chiede che cosa sia il rock’n’roll e vi avanzano quei cento euro in tasca (ma per questo vanno bene anche le edizioni “economiche”), regalate Grrr! e farete senz’altro un’opera di bene,

Marco Verdi

*NDB: prima una breve legenda. NDB, sta per Nota del Bruno o del Blogger, che coincide. NDT, starebbe per Nota del Traduttore, mentre nel Blog vale per Nota del Tino. Ora c’è anche la new entry, NDM, questo è facile, Nota del Marco. Chiarito il tutto, la mia breve nota.

Giustamente Marco si chiede perché in questa antologia Super Deluxe (ma anche in quella di Charlie Is My Darling) gli inediti, in studio e dal vivo, sono ridotti al lumicino? Perché, secondo me, i Rolling Stones aderiscono alla famosa teoria mouriniana del “non sono mica pirla” e quindi i concerti inediti (Official Bootlegs) se li vendono per il download sul loro sito http://www.stonesarchivestore.com/ L’ultimo è Leeds 1982 ma è già in arrivo Toronto 2005 http://www.stonesarchive.com/bootleg_years/2005/

Intanto, according to Mr. Ron Wood, gli Stones stanno per entrare in studio per incidere un nuovo album per il vero anniversario del 50° che sarà il 2013 e questi due brani inediti non verranno forse (ri)utilizzati, mah?

E’ tutto. Come vedete nel Blog (a proposito di Mourinho) vige un gioco di squadra, per cui immagini, video e integrazioni sono sempre a cura del vostro blogger preferito (spero). Sempre a lavorare, anche quando non sembra!

Questo Dove Ce Lo Avevano Tenuto Nascosto Per Tutti Questi Anni? Muddy Waters & The Rolling Stones – Live At The Checkerboard Lounge Chicago 1981

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Muddy Waters & The Rolling Stones – Live At The Checkerboard Lounge Chicago 1981 – Eagle Rock DVD+CD o DVD 10-07-2012

Per essere sinceri si era a conoscenza da anni di questo concerto ( e sotto forma di bootleg ha circolato più volte e si è visto “spesso” anche in televisione e su YouTube), tenutosi il 22 novembre del 1981 al Checkerboard Lounge di Chicago, il locale di Buddy Guy, con una capienza di ben 200 posti, dove i grandi bluesmen si esibivano spesso, questo per esempio è uno dei tanti bootleg dedicati all’evento, comprensivo di scaletta:

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Checkerboard Lounge, Chicago
November 22, 1981

DVD 1

Complete Gig (Mono)

High Gen Source (OK Quality):

01 Youre Gonna Miss Me When Im Gone ( John Primer on guitar & vocal )
02 Sweet Little Angel
03 Flip Flop And Fly ( Lovie Lee on piano & vocal )
04 Muddy Waters Intro
05 Baby, You Dont Have To Go
06 Country Boy

Low Gen Source ( Good Quality ) – With The Rolling Stones:

07 Baby Please Dont Go
08 Hoochie Coochie Man
09 Long Distance Call
10 Mannish Boy
11 Got My Mojo Working ( With Junior Wells And Buddy Guy )
12 Next Time You See Me ( With Buddy Guy )
13 Talking About My Woman ( With ??? )
14 Clouds In My Heart ( Jam )
15 Champagne And Reefer
16 Jam 2

DVD 2

01 Complete Gig Conclusion (Mono)

Stereo Source – Stones Edit

02 Mannish Boy
03 Next Time You See Me ( With Buddy Guy )
04 Hoochie Coochie Man
05 Long Distance Call
06 Talking About My Woman
07 Champagne And Reefer

Muddy Waters (Mono)

08 Baby Please Dont Go 1 ( Cut )
09 Baby Please Dont Go 2

Ma questa volta esce a livello ufficiale, casualmente, in occasione del 50° anniversario della nascita degli Stones, che ultimamente si sono anche messi a vendere su www.stonesarchive.com dei Bootleg ufficiali, solo per il download, al momento ne sono usciti tre: Live In Brussels 1973, LA Friday (Live 1975) e Hampton Coliseum (Live 1981).

E in più questa serata è particolare, perché a tutti gli effetti si tratta di un concerto di Muddy Waters, in cui i suoi fedeli discepoli nel Blues (e solo quattro di loro, Mick Jagger, Keith Richards, Ronnie Wood e Ian Stewart) si presentano a rendere omaggio al Maestro (che sarebbe morto alla fine di aprile del 1983 a “soli” 68 anni), il giorno precedente al loro trittico di concerti come Rolling Stones al Rosemont Horizon di Chicago. Nella band di Waters per l’occasione si esibiscono anche Buddy Guy & Junior Wells.

Il tutto è stato rimixato e rimasterizzato da Bob Clearmountain e sarà disponibile in un DVD (+CD) di circa 90 minuti, con il seguente contenuto (i dati mi sembrano più precisi rispetto all’edizione “pirata”):

1. Sweet Little Angel
2. Flip Flop And Fly
3. Muddy Waters Introduction
4. You Don’t Have To Go
5. Country Boy
6. Baby Please Don’t Go
7. Hoochie Coochie Man
8. Long Distance Call
9. Mannish Boy
10. Got My Mojo Working
11. Next Time You See Me
12. One Eyed Woman
13. Baby Please Don’t Go (Instrumental)
14. Blow Wind Blow
15. Champagne & Reefer

E vissero tutti felici e contenti, per quella sera. Attendiamo fiduciosi. Questo è un bel regalo per l’estate che si avvicina!

Bruno Conti

Non C’è Il Due Senza Il Tre! Israel Nash Gripka – Working Class Hero And Other Favorites

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Israel Nash Gripka – Working Class Hero And Other Favorites – CRS Limited Edition

Già due album pubblicati quest’anno da Israel Nash Gripka, ed entrambi molto belli, lo avevano imposto come uno dei personaggi emergenti di questa annata ma evidentemente il fuoco dell’ispirazione non si è ancora spento ed ecco allora questo Working Class Hero And Other Favorites, un Mini Album venduto solo ai concerti e sul sito della Continental Record Services oppure scaricabile in rete come MP3.

Sono solo 7 brani, voce e chitarra acustica, ma è comunque bellissimo, ricco dell’intensità dei “dischi ufficiali” con la voce principale strumento della magia di queste canzoni. Piccoli gioiellini che lo allontanano, stranamente vista la veste acustica, dai paragoni con Neil Young (magari ricco di steroidi) e lo spostano verso uno stile non dissimile dal primo David Gray e da altri cantautori che si ispirano al grande Van Morrison del periodo americano o, si potrebbe dire, Bob Dylan cantato con una voce alla Van Morrison, che mi sembra il maggiore termine di paragone per questo CD.

Le versioni sono tutte eccellenti: a partire da una riscrittura acustica di Basket Case dei Green Day, ho controllato varie volte perché non ci credevo. ma gli autori sono proprio Billie Joe Armstrong, Mike Pritchard, Frank Wright, quindi si tratta proprio di quel brano che si tramuta in una intensa ballata acustica degna del miglior Springsteen di Nebraska oltre che al Van Morrison appena citato. E che dire di una cover bellissima di Chelsea Hotel di Leonard Cohen? Niente, si ascolta e si gode.

Un altro brano che da canzone bella ma normale si trasforma con effetto Cenerentola in una bellissima Principessa è Evening Gown che era uno dei brani migliori di Wandering Spirit l’album solo del 1993 di Mick Jagger, ma qui diventa un brano folk da stream of consciousness, in questo caso “libero cantare”. Ottima anche la versione di Hey Joe che da brano legato indissolubilmente a Jimi Hendrix si riappropria delle proprie radici folk presenti nella versione originale di Billy Roberts.

Ci sono anche due notevoli canzoni di Gripka, non ne avesse già scritte abbastanza, Gin And Pills e Red Dress (già su Barn Doors) che lo confermano come uno dei migliori cantautori delle nuove leve. Ovviamente la ciliegina sulla torta è una grande versione della classica Working Class Hero che rimane uno dei brani più intensi ed impegnati dell’intera opera di John Lennon.

Posso solo aggiungere che Israel Nash Gripka è veramente bravo, perfetto rocker o grande folksinger, quello che trovate è comunque bello, compresa la ristampa europea di pochi mesi fa del suo album del 2009 New York Town. Non potete sbagliare! Questo video di due delle rivelazioni dell’anno insieme lo conferma.

Bruno Conti

Un Vero Peccato, Ma Non E’ Mai Troppo Tardi! 13 Featuring Lester Butler

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13 Featuring Lester Butler – Floating World Records

Quando alcune settimane fa, recensendo il CD di Big Pete un-armonicista-olandese-big-pete-choice-cuts.html, vi citavo fra le fronti primarie di ispirazione per l’armonicista olandese proprio Lester Butler, non immaginavo che a circa un mese di distanza mi sarei ritrovato nuovamente a parlare dello scomparso musicista americano. Come molti di voi sapranno, se non altro per averlo letto nella mia recensione, Lester Butler è morto il 10 maggio 1998 per una overdose di eroina e cocaina, interrompendo quella che era una carriera di “culto” per uno dei Bluesmen più originali della sua generazione. Anche se al momento della scomparsa non era più un giovanissimo avendo quasi 39 anni, Butler era comunque un artista in crescita, molto popolare in Olanda, e piuttosto conosciuto negli ambienti musicali americani anche se era decisamente osteggiato dai puristi del Blues che non gradivano il suo approccio, oggi lo chiameremmo lo-fi, diciamo ruspante ed anticonvenzionale alle classiche 12 battute. index2.html

In una carriera iniziata negli anni ’80, Lester, nativo dalla Virginia, ma di stanza a Los Angeles si era fatto conoscere nel 1992 con il primo disco dei Red Devils, la formazione che pubblicò l’ottimo King King dal nome del locale di L.A. dove agivano abitualmente e che aveva tra i proprio ranghi Bill Bateman e Gene Taylor dei Blasters oltre al chitarrista Paul Size. Il disco fu pubblicato dalla Def American, l’etichetta di Rick Rubin, che ne aveva curato la produzione. In seguito a quel disco il gruppo entrò anche in contatto, prima con Bruce Willis e, tramite Rubin, con Johnny Cash con il quale suonarono alcuni brani poi pubblicati postumi (per entrambi) nel box Unearthed. Nel 1997 dopo lo scioglimento dei Red Devils, Lester Butler pubblicò un nuovo album omonimo per la Hightone come 13.

In precedenza aveva suonato anche nel disco Wandering Spirit di Mick Jagger, sempre prodotto da Rubin, ma pure in questo caso solo un brano è uscito nella antologia di Jagger del 2007. Ma quello che ci interessa è che entrambi i gruppi facevano un tipo di Blues, gagliardo ed incontaminato, simile a quello dei primi gruppi bianchi ad inizio anni ’60, Stones, Animals, Them e Yardbirds, con quel blues elettrificato ed elettrizzante che da lì a poco si sarebbe trasformato anche nel rock-blues dei Cream di Crossroads e Spoonful, con l’aggiunta della energia dei gruppi punk californiani ma con una grande perizia strumentale e competenza musicale e il vigore rinnovato dei gruppi della Fat Possum che dai loro juke-joints proponevano un blues primigenio e sferragliante ricco di rinnovata energia come quella della prima ondata elettrica di Howlin’ Wolf, John Lee Hooker, Little Walter e Co. Accanto a Lester Butler, armonicista dallo stile irrefrenabile e cantante istintivo, c’erano il chitarrista Alex Schultz appena uscito dai Mighty Flyers di Rod Piazza, oltre a Smokey Hormel e Paul Bryant, sempre alla chitarra in alcuni brani, Stephen Hodges e Johnny Morgan che si alternano alla batteria e Tom Leavey e James Moore al basso oltre al tastierista Andy Kaulkin.

Il risultato è esplosivo, capisco perché il giovane Big Pete si è entusiasmato per questo musicista, l’energia scorre tra i brani di questo album, che all’origine aveva una copertina con una serie di mani rosse e una verde che emerge inquietante dal terreno mentre la nuova cover è più tradizionale. In ogni caso sin dall’inizio con l’ottima So Low Down passando per HNC e Sweet Tooth si capisce che siamo di fronte ad una band di talento con un frontman come Butler che si scrive anche i pezzi.

Qualcuno li ha paragonati ai primi Fabulous Thunderbirds per la grinta e la passione che traspare dalle loro canzoni, voce ed armonica (incise in modo separato) spesso volutamente distorte, chitarre e piano sempre in overdrive, ritmi incalzanti che accelerano di continuo come nella cover micidiale di Boogie Disease di Dr.Isaiah Ross che non è seconda ai Boogie del vecchio Hook  o alle riprese di classici come Smokestack Lightning di Howlin’ Wolf e So mean To me di Elmore James, per non parlare di una spettacolare Baby Please Don’t  Go che dà dei punti anche alla versione dei Them, ma è tutto l’insieme che sprizza energia, non c’è quell’autocompiacimento di molti musicisti che fanno blues oggi, quel guardate quanto siamo bravi o ligi alle regole, qui si tendono a frantumare le barriere tra blues e rock più che fonderle, comunque il risultato è eccitante. C’è anche dello humour all’opera, Down In The Alley,suona proprio come se fosse stata registrata in un vicolo vicino. Come Bonus ci sono anche tre tracce registrate dal vivo in Francia nel 1997 che sono ulteriore testimonianza della grande potenza di questo gruppo. Non è mai troppo tardi per scoprirli, questa ristampa è “quasi” imperdibile e caldamente consigliata!

Bruno Conti

Un Armonicista Olandese? Big Pete – Choice Cuts

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Big Pete – Choice Cuts – Delta Groove Productions

Un armonicista olandese? Anzi, un armonicista olandese Blues, e pure di quelli bravi! Non solo, ma anche un ottimo vocalist. Potrebbe sembrare una cosa strana, perché in effetti di solito si collegano gli olandesi al ciclismo o naturalmente al calcio ma non si penserebbe alla musica e al Blues in particolare. E invece i Paesi Bassi hanno una lunga tradizione in questo campo, non solo Shocking Blue e Golden Earring come nomi conosciuti in ambito musicale ma già a fine anni ’60 in pieno “British Blues” Boom in Olanda operavano gruppi come Cuby & The Blizzards e i Livin’ Blues che poi avrebbero avuto una carriera pluridecennale facendo dell’ottima musica.

In ogni caso il salto per arrivare a Pieter “Big Pete” Van Der Pluijim è di quelli lunghi e tortuosi: un giovane che già da teenager si appassiona di Blues ed in particolare di quello di Lester Butler è da triplo salto mortale. Un musicista non conosciutissimo, di culto, bianco, che ha operato negli anni ’90 come leader dei Red Devils, autori di un unico album prodotto da Rick Rubin e che erano stati scritturati per suonare nell’album solista di Mick Jagger Wandering Spirit, il suo unico disco valido, ma i loro brani poi non furono utilizzati e uno solo è apparso nell’antologia di Jagger. In quel gruppo c’erano un paio di Blasters, Bateman e Taylor e alcuni dei loro pezzi sono apparsi anche nel cofanetto postumo di Johnny Cash Unhearted dove suonano come backing band. Poi Butler ha suonato in un altro gruppo, i 13, prima di morire per una overdose nel maggio del 1998.

Tutto questo è collegato a Choice Cuts il disco di debutto registrato dal giovane Big Pete per la Delta Groove in quel di North Hollywood, California dove appaiono alcuni dei musicisti coinvolti nei vecchi dischi di Butler insieme a molte altre “stelle” del Blues contemporaneo.

Tanto per chiarire subito, il disco è bello, sono tutte cover scelte con minuzia nel grande repertorio della “musica del diavolo” e gli ospiti si alternano al proscenio nei vari brani aggiungendo spessore all’ottima house band utilizzata da Big Pete e che vede Alex Schultz alla chitarra, autore di un paio di album da solista e che ha suonato con Tad Robinson, Rod Piazza, William Clarke, i già citati 13 e una valanga di altri nomi in ambito Blues, al basso c’è Willie J Campbell e alla batteria Jimi Bott.

E poi tutti gli ospiti: dopo l’iniziale Driftin’ firmata proprio da Lester Butler, sei minuti di torrido blues con l’armonica di Big Pete in grande evidenza e cantato anche con notevole autorità e bella voce si passa a Can’t You SeeWhat You’re Doin’ To Me un classico brano del repertorio di Albert King con la chitarra tirata e lancinante di Schultz che cerca di ricreare lo spirito dell’originale con grande impegno e ottimi risultati, per arrivare al primo ospite Kim Wilson che sfodera la sua armonica per una Act Like You Love Me di grande intensità e con un suono molto pimpante, tipico della produzioni Delta Groove. Just To Be With You di Roth Bernard non la conoscevo ma è uno slow blues di quelli DOC con la chitarra di Kirk Fletcher e il piano di Rob Rio a duettare con Big Pete con ottimi risultati.

Don’t Start Crying di James Moore alias Slim Harpo la faceva anche Van Morrison (ma dove sei?) ai tempi dei Them ed è uno di quei brani veloci e tirati che ti attizzano con la chitarra di Schultz e l’armonica di Pete che si dividono il proscenio. I Got My Eyes On You con il suo mood alla Help Me vede un altro armonicista come ospite, Al Blake mentre Hey Lawdy Mama la faceva anche Clapton ai tempi e Kirk Fletcher estrae dal cilindro (dicasi chitarra) un notevole solo per l’occasione. Ottima anche la tiratissima I Was Fooled di Jody Williams con un ficcante assolo di Shawn Pittman che si conferma uno dei migliori axemen delle ultime generazioni. In tutti i brani Big Pete suona e canta con passione e trasporto come nell’ottima cover dell’Howlin’ Wolf d’annata Rockin’ Daddy dove la chitarra solista è nelle mani di Kid Ramos. Left Me With A Broken Heart è cantata da Johnny Dyer mentre in Just A Fool dal repertorio di Little Walter la solista è quella di Rusty Zinn. In Chromatic Crumbs uno strumentale per virtuosi l’armonica di Big Pete viene sostenuta dalle soliste di Schultz e John Marx. La conclusione è affidata a I’m A Business Man un brano di Willie Dixon che è l’occasione per Pete di duettare con la “melodica” di Paul Oscher.

Decisamente un buon disco di Blues classico per questo giovane olandese e per gli amanti del genere!

Bruno Conti      

Non Solo “Superheavy”, SuperReggae & Bollywood Ma…

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Superheavy – Normal & Deluxe Editions – A&M/Universal 20-09-2011

Ma…Lo ammetto, dopo il primo ascolto di questo CD dei Superheavy nella versione Deluxe (16 brani), la mia prima tentazione sarebbe stata quella di prendere a calci nel culo (si può dire calci?) tutti i componenti della “Superband” e rispedirli nei rispettivi stati e continenti, India, Giamaica, Inghilterra e Stati Uniti (anche quelli di adozione)! Poi mi sono detto, prima di scrivere qualsiasi cosa proviamo un secondo ascolto, magari con le cuffiette dei Walkman, che è probabilmente il supporto con il quale questo album verrà ascoltato con maggiore frequenza e poi di nuovo con l’impianto per scorgere eventuali particolari sfuggiti nei primi giri. E la pazienza ha dato i suoi frutti, il disco, che paventavo “una cagata pazzesca” di dimensioni fantozziane, non dico che mi piaccia moltissimo, ma aldilà dei quattro o cinque brani con cui avrei potuto fare un discreto EP ed archiviarlo a futura memoria insieme a tutta la discografia solista di Mick Jagger, ha “svelato” un suo progetto unitario, democratico, commerciale ma migliore di quello semplicemente “supermodernista” di Goddess In The Doorway, che, come avrebbe detto dell’Ignazio Larussa Fiorello, era veramente brutto.

Il disco veleggia in un ambito sonoro Super reggae e Bollywood, sostenuto dalla sezione ritmica abituale di Damian Marley, i cosidetti Distant Relatives, Courtney Diedrick e Shiah Coore, che assieme alla violinista Ann Marie Calhoun e alle tastiere di A.R. Rahman (il “Morricone indiano”, ma mi faccia il piacere!), viene mitigato dal plotone occidentale capitanato da Jagger e Stewart, che sono i due produttori e dalla voce soul “della madonna” (non alla Madonna o Nicole Scherzinger come nella versione dance del soundtrack del Milionario) di Joss Stone, che come direbbe la Marchesini è anche una “bella faiga”!

Alla fine ho raggiunto un compromesso con me stesso: non sarà quel capolavoro che molti quotidiani, soprattutto italiani, vi vorranno far credere ma rimane un dignitoso lavoro, commerciale e piacevole da ascoltare, soprattutto se vi piace il reggae, nelle sue forme più moderne e contaminate con rap e hip-hop, con la presenza del “toaster” (che non è la macchinetta per fare i toast, ma tradotto all’impronta per i profani si potrebbe definire un incrocio tra un dj e un rapper, quelli che “cantano parlando”, e allora dillo!) Damien Marley, che a mio parere, ma a me il reggae non piace molto, lo riabadisco, è tra i figli di Bob uno dei meno talentuosi, e non è che gli altri abbiano incendiato il mondo della musica. Anche la Bollywood dance ha una sua forte presenza, ma rock, soul e ballate, mescolate a tutto quanto cercano di emergere dall’impasto democratico del gruppo, con le voci di Jagger e Joss Stone (con il suo cognome quasi predestinata)che spesso si incrociano efficamente in una tradizione che da Lisa Fischer, passando per Tina Turner risale fino a Merry Clayton tra quelle che hanno misurato le loro ugole frenetiche con Mick.

Si parte con una Superheavy corale caratterizzata dal toasting di Marley, dal cantato della Stone, dall’ipnotismo indiano di A.r. Rahman, ma anche dagli intermezzi rock della chitarra di Dave Stewart (che dalla sua residenza giamaicana è stato l’istigatore di questa “operazione) per uno stile dancehall rock-reggae che poi si perpetua in Unbelievable cantata da Mick Jagger che in questo disco ha abbandonato quello stile vocale “finto” giamaicano che aveva adottato per le collaborazioni anni ’70 con Peter Tosh, passi per Joss Stone ma gli intermezzi vocali falsamente etnoindiani li trovo un po’ fasulli. Miracle Worker, la conoscono un po’ tutti, è il singolo che da qualche mese si sente ovunque, un superreggaeone molto piacevole cantato a turno dai vari componenti del gruppo ma con la voce guida di Joss Stone, un esempio di pop music intesa nel senso di “popolare”, con il violino quasi country della Calhon e la chitarrina riffata di Stewart che si integrano alla perfezione con la sezione ritmica reggae e Damian che non rompe troppo le balle. Ma in Energy ci ammolla una lunga introduzione che poi, per fortuna, diventa un bel brano dal taglio rock con Jagger che si cimenta brevemente anche lui nel toasting sostenuto dalla voce a piena gola della Stone e dalla chitarra di Stewart e dall’armonica dello stesso Mick che cercano di ricreare sonorità alla Black & Blue piuttosto che alla Emotional Rescue, per fortuna!

Satyameva Jayathe è il famoso brano cantato in sanscrito con una introduzione vocale corale, poi una parte cantata (presumo da Rahman) fino all’ingresso della Stone che è la vocalist principale e l’immancabile Marley per convergere in una parte strumentale interessante dove le tastiere e il violino si mettono in evidenza prima della parte finale di nuovo corale. Questo è uno di quelli che al primo giro non mi era piaciuto per nulla e poi ho rivalutato. I due brani che seguono sono due delle migliori cose di Mick Jagger degli ultimi 30 anni, la prima One Day One Night, una ballata neo soul in crescendo ancora percorsa da un violino struggente e con delle tastiere di nuovo alla Black & Blue, che ci conferma che per quanti sforzi faccia (e noi apprezziamo) Damian Marley non è un cantante, come è confermato dallo strepitoso intervento vocale nella parte finale di Joss Stone. La seconda, una piccola perla dall’inizio acustico Never Gonna Change, che in alcune interviste Jagger ha paragonato a As Tears Go By, al sottoscritto ha ricordato molto brani come Far Away Eyes e non gli sta distante anche a livello qualitativo. Beautiful People è il secondo potenziale singolo dell’album, un bel duetto tra la Stone che la guida e Jagger che la segue con gran classe, con il terzo incomodo Marley che si intromette ogni tanto, comunque nel complesso un pezzo di pop-reggae commerciale che nella spazzatura radiofonica che si ascolta risalterà sicuramente. Rock me Gently, se si può dire, è un blue-eyed reggae-soul con Marley, Stone e Jagger che si integrano alla perfezione e piacciono pure a me che non amo il reggae, ripeto se non si era capito (ognuno ha i suoi gusti, o no, io ascolto tutti i generi come avrà capito chi legge questo Blog, ma il reggae non lo reggo). Bello l’assolo nella parte centrale della chitarra di Dave Stewart, che ove possibile si ritaglia i suoi spazi.

Introdotto da un “What The Fuck Is Goin’ On” urlato a gran voce dalla Stone, I Can’t Take It No More è il pezzo rock “politico” dell’album scritto e cantato da Jagger e ne potrebbe essere il manifesto anche a livello musicale: “Che caspita sta succedendo, cazzo!” (sempre se si può dire caspita) come definizione del genere dei Superheavy potrebbe andare! Un po’ ruffiano ma pieno di energia. Non male anche la simil-soul ballad I Don’t Mind ancora cantata in coppia con libidine dalla Stone e da Jagger che si intendono a meraviglia senza terzi incomodi se non il violino della Calhoun, o almeno si sperava perché nel finale la presenza di Marley è inesorabile con tanto di citazioni di Just my Imagination e Sweet Dreams nel classico stile toasting. World Keeps Turning è un altro ballatone cantato con gusto dalla Stone con gli altri, Jagger in testa, che la seguono coralmente, e lei ha una gran voce, magari non ancora un repertorio. E a questo punto finisce la versione normale, almeno per l’Italia, dove la versione Deluxe con 16 brani non verrà pubblicata. A proposito vorrei sapere chi è l’inventore di queste doppie versioni: a quelle con CD o DVD aggiunto ci eravamo abituati, ma questo fatto dell’album che esce in una versione, sempre singola prego notare, ma con alcuni pezzi in più, in questo caso 4, ad un prezzo maggiorato francamente non lo capisco. Se uno potesse scegliere chi direbbe “Vorrei quella con meno canzoni, grazie!”, misteri della discografia.

Di Mahiya un pezzo in puro stile Bollywood che uno si immagina con migliaia di indiani che si muovono a tempo con qualche coreografia pacchiana se ne poteva anche fare a meno. Il rock-reggae-dance-bollywood di Warring cantato da Mick Jagger col supporto della Stone è meglio ma non imprescindibile. Meglio il reggae-soul divertente di Common Ground cantato con voce potente dalla brava Joss Stone con l’immancabile Damian Marley che in questo brano mi ricorda molto (e anche in altri per la verità) l’ineffabile Shaggy, mi aspetto sempre, da un momento all’altro un “mister lovva lovva”. Buona anche la parte di Jagger e l’ottimo violino quasy country della Calhoun merito forse delle visite a Nashville del co-produttore Dave Stewart. Non mi piace la conclusione di Hey Captain, che è come come paventavo sarebbe stato l’album, una accozzaglia di dance, reggae, soul e rock con intermezzi “indiani”.

Non salverà il rock, ma forse, per il momento, con le sue vendite, la discografia sì, in definitiva un album commerciale e piacevole molto meno peggio di quello che mi aspettavo, da tre stellette, sei e mezzo, nel suo genere. Non so se lo comprerei ma ammetto che sbagliavo nel mio primo giudizio e quindi i fans degli Stones questa volta saranno forse costretti a sborsare. Comunque dal 20 sarà nei negozi e vi potrete fare la vostra idea.

I supergruppi di una volta erano un’altra cosa ma…

Bruno Conti

Lo So. Avevo Promesso! Miracle Worker & Ain’t No Miracle Worker Take 2. E Altre Storie…

 

Avevo promesso di non parlare più dei SuperHeavy fino alla fine dell’estate, lo so! Ma oggi non ho avuto tempo per scrivere un Post quindi me la cavo con la parte II di Miracle Worker Vs. Ain’t No Miracle Worker (ovvero Ragazzo di Strada dei Corvi, ma questa è la versione più lenta della Chocolate Watch Band, altro grande gruppo garage/psichedelico).

Tipicamente estivo il brano del “supergruppo” ora disponibile in rete come video ufficiale con Mr. J. che rispolvera Mr. D. e Joss Stone molto carina con il grembiulino, in base a questa canzone il disco non lo acquisto manco dipinto ma pare, azzardo un sembrerebbe che, forse, ma forse, l’album sia meglio.

Chiedo venia, domani o dopo recensione Kenny Wayne Shepherd nuovo. Non male ma…

Bruno Conti

P.s

Se avete quei 300 euro che vi crescono, il 4 ottobre per la Rhino esce questo Box degli Smiths The Complete Smiths. Oppure lo mettete nelle vostre richieste per Babbo Natale insieme alla Uber Deluxe Version di Achtung Baby degli U2. Oppure i Box di Hendrix, Nirvana e Sting in uscita a settembre.  Buone Feste! Come dite? E’ Ferragosto! Vado a farmi un ghiacciolo, gusto alla giacca di Jagger.

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Complete is the ultimate The Smiths remasters collection, lovingly reworked by
Johnny Marr and Rhino UK. Presented in a unique trunk-style box, the collection
is packaged for the first time across three formats: CD, LP and Deluxe
CD/LP/7inch. It includes all four of the band’s studio albums: The Smiths
(1984), Meat Is Murder (1985), The Queen Is Dead (1986), Strangeways, Here We
Come (1987); their sole live album Rank (1988); as well as firm fan favourite
compilations Hatful Of Hollow (1984), The World Won’t Listen (1987) and Louder
Than Bombs (1987).

Each album has been taken back to original tape sources and remastered by
master-engineer Frank Arkwright, assisted by Johnny Marr at the Metropolis
Studios in London. Individually numbered, the collector’s editions are strictly
limited to 3000 worldwide. Contents include:

    8 x CD Mini LP Albums
    8 x 12″ LP Albums
    25 x 7″ Singles
    The Complete Picture DVD
    8 x 12″ Art Prints
    Single & Album artwork poster
    Code to download catalogue as high-quality MP3s
    Booklet with new liner notes and foreword by Johnny Marr

“The Smiths have never sounded so good”–Johnny Marr, 2011

Capitolo Terzo: Forse Non Sarà Poi Così Malvagio! SuperHeavy – SuperHeavy

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SuperHeavy – SuperHeavyA&M/Universal 20-09-2011

L’uscita è confermata per il 20 settembre (19 in Inghilterra) e dal video di presentazione che hanno messo sul loro sito, una sorta di “un disco in cinque minuti e mezzo”, non sembra neanche malaccio…

Dire bello è troppo ma si intravedono segnali di vita sul pianeta SuperHeavy, in ogni caso questa è la lista dei brani:

  1. Superheavy
  2. Unbelievable
  3. Miracle Worker
  4. Energy
  5. Satyameva Jayathe
  6. One Day One Night
  7. Never Gonna Change
  8. Beautiful People
  9. Rock Me Gently
  10. I Can’t Take It No More
  11. I Don’t Mind
  12. World Keeps Turning                  
  13.  

Visto il gruppo paventavo la “Super tavanata galattica!” invece forse il buon vecchio Mick Jagger riesce a fare un disco fuori dagli Stones decente, ma vedremo, mai parlare troppo presto (e per essere onesti Wandering Spirit del 1993 non era male, ma Goddess In The Doorway era uno dischi più brutti degli ultimi duecento anni)! Giuro che fino all’uscita non ne parlo più ma è il tipico argomento balneare.

A proposito di estate e Ferragosto, domani lista delle uscite discografiche del 15 agosto, altro che periodo di pausa!

Bruno Conti