Il Piano Non Sarà Davvero Perfetto, Ma E’ Comunque Interessante. The Lowest Pair – The Perfect Plan

the lowest pair the perfect plan

The Lowest Pair – The Perfect Plan – Delicata/Thirty Tigers CD

Confesso che non avevo mai sentito parlare dei Lowest Pair, duo di banjoisti/chitarristi/cantanti formato da Palmer T. Lee, di Minneapolis, e da Kendl Winter, originaria di Olympia nello stato di Washington. I due hanno iniziato ognuno per conto proprio una carriera come folksinger all’inizio del millennio, conoscendosi per caso nel 2013 ad un festival musicale in Mississippi: avendo constatato di condividere gli stessi gusti e le stesse visioni hanno dunque deciso di formare un duo, e da quel momento hanno pubblicato ben cinque album (inutile dire senza il benché minimo riscontro di vendite, anche se le critiche sono state ovunque positive). The Perfect Plan è quindi il lavoro di due musicisti che hanno già una bella gavetta alle spalle, e che hanno maturato una certa esperienza per quanto riguarda il lavoro in coppia: la loro musica è abbastanza particolare, in quanto parte dall’influenza delle vecchie folk songs appalachiane per ciò riguarda il suono di base, ma poi i due hanno una scrittura moderna ed attuale e quindi riescono a creare un bel contrasto tra le due diverse anime, quella del musicista e quella del songwriter.

In The Perfect Plan il suono è principalmente acustico, con le chitarre ed i banjo dei due leader come protagonisti, ma dietro di loro c’è comunque una band che si occupa di dare più spessore alle canzoni: il disco è prodotto da Mike Mogis dei Bright Eyes (che suona anche steel guitar e mellotron) ed è strumentato da un ristretto gruppo di sessionmen assolutamente sconosciuti ma che non fanno di certo mancare il loro valido supporto. Un delicato arpeggio di due chitarre acustiche introduce How far Would I Go, poi entra la voce della Winter (un timbro particolare, quasi adolescenziale) doppiata nel ritornello da Lee (che invece possiede una voce da cantautore tipico), per una folk ballad pura. Too Late Babe ha più brio, un pezzo a metà tra folk d’altri tempi e bluegrass ma con uno script moderno ed il ritmo scandito, oltre che dalla batteria, da un pimpante banjo; Wild Animals scava ancor più nel profondo per quanto riguarda i suoni tradizionali, ma il brano è assolutamente moderno sia per quanto riguarda la struttura melodica che per quella ritmica (e Palmer nel controcanto mi ricorda Michael Stipe), un contrasto stimolante e creativo tra le due anime del suo, quella antica e quella contemporanea.

Shot Down The Sky è una tenue ed intensa ballata dai toni crepuscolari con una languida steel sullo sfondo e la voce di Kendl che qui ricorda Lucinda Williams con trent’anni di meno: bella l’apertura melodica a due voci nel ritornello https://www.youtube.com/watch?v=JZUfhHjFewk . Castaway è scarna nei suoni e decisamente folk (domina sempre il banjo), Morning Light è più varia nei suoni anche se mantiene l’andatura lenta, con l’elemento suggestivo dato dalle due voci all’unisono e dal costante crescendo strumentale (spunta anche una chitarra elettrica), mentre We Are Bleeding è un coinvolgente bluegrass che contrappone nuovamente un accompagnamento da folk song anni trenta ad una scrittura quasi rock. La tersa e cristallina Enemy Of Ease, autentica e piacevole country song elettroacustica con Palmer alla voce solista, precede le conclusive Take What You Can Get, altra ballata di stampo country dal motivo toccante e bel lavoro di steel, e la title track, che vede l’album chiudersi nello stesso tono soave con cui si era aperto.

Marco Verdi