Cognome “Importante”, Però Non Sono Parenti! Angaleena Presley – American Middle Class

angaleena presley american middle class

Angaleena Presley – American Middle Class – Slate Creek Records/Thirty Tigers

Il Kentucky, oltre ad essere il territorio con la più alta densità di cervi e tacchini della Confederazione Americana, è conosciuto anche come “The Bluegrass State” (non solo per mere ragioni musicali), ma in ogni caso laggiù sono nati alcuni dei principali musicisti della musica popolare americana, a partire da Bill Monroe, il papà del bluegrass, Loretta Lynn, come vogliamo chiamarla, “la zia del country”, Merle Haggard, Ricky Skaggs, le Judds, Dwight Yoakam, Patty Loveless, solo per citare alcuni di quelli che avrebbero fatto la fortuna di Nashville, e non solo, situata appena a sud, nello stato del Tennessee. Ultima, ma non certo tra le più scarse, anche Angaleena Presley, viene da Beauty, un paesino del Kentucky che ha un nome che è un programma, la 38enne cantante americana, dopo essersi fatta le ossa nelle Pistol Annies, pubblica anche lei il suo debutto da solista, come era stato per le colleghe Ashley Monroe e Miranda Lambert. Come i fedeli lettori sapranno, le Pistol Annies sono una delle migliori e più pimpanti formazioni di “non solo country” attualmente in circolazione, e anche le tre cantanti divise si difendono alla grande, con uno stile che incorpora il meglio di quello che esce da Nashville, innaffiandolo con abbondanti spruzzate del bluegrass citato prima, di blues, folk, rock, e proponendolo in uno stile cantautorale che potrebbe ricordare Rosanne Cash, ma anche Patty Loveless, tra le ospiti dell’album, con Emily Saliers delle Indigo Girls e Sarah Siskind, nel reparto vocale, con Keith Gattis e l’ex Black Crowes, Audley Freed, alle chitarre, Glenn Worff al basso, tra i musicisti più noti impegnati, nell’ampia pattuglia che si dà da fare in questo American Middle Class.

Ma l’asso nella manica di questo disco sono le canzoni, fresche, molto varie, ottimamente arrangiate, cantate con una voce sempre brillante e mai troppo scontata, che peraltro non si scopre oggi, essendo la Presley (nessuna parentela, il babbo faceva il minatore, anche il sottoscritto non ha vinto i mondiali del 1982), forse la migliore delle tre Pistol Annies. Il genere è comunque country, non si può certo negare, ma i piccoli bozzetti che evidenziano le magagne della classe media, sono anche feroci, ironici, ben delineati, senza dimenticare un certo affetto per gli aspetti più “simpatici” della vita, visti con la giusta quota di humor e partecipazione, in certi momenti ricorrendo ad “ardite” metafore come nelle atmosfere quasi bluesy dell’eccellente opener Ain’t No Man, dove l’orgoglio femminile è in primo piano, e le chitarre e le tastiere, egregiamente impiegate dal co-produttore Jordan Powell, profumano di musica sudista. O nella eccellente Drunk, dove le chitarre spiegate e il cantato “pigro” di Angaleena potrebbero ricordare una Lucinda Williams meno impegnata, o una Mary Chapin Carpenter più vivace, quella dei primi tempi, grazie anche alle armonie vocali della Siskind. Chitarre elettriche e organo che sono protagoniste anche della piacevole Blessing And A Curse, brano che tratta dell’eterna insoddisfazione ed irrequietezza degli Americani, vista con affetto “devi lavorare così duramente, per far sembrare tutto facile”, senza comunque dimenticare le onnipresenti armonie vocali che impreziosiscono piacevolmente tutto il tessuto sonoro dell’album https://www.youtube.com/watch?v=MCbAB3YRtbA . Tornando indietro, bellissima All I Ever Wanted, dalle melodie ricchissime che incorporano anche accenti gospel e una minuzia per i particolari sonori veramente ammirevole, i tocchi di slide, mandolino, dobro e di moltissimi strumenti a corda, con la voce di una vicina di casa tossicodipendente, registrata mentre legge le sacre scritture ad aggiungere un pizzico di follia.

Grocery Store, con la seconda voce di Emily Saliers, è un eccellente mid-tempo dal tiro decisamente più rock, con le chitarre ancora protagoniste del suono, veramente piacevole. La title-track, con il babbo che all’inizio e alla fine racconta qualcosa della sua vita nelle miniere, si avvale delle armonie vocali della Loveless ed è un altro ottimo esempio di country-rock meticciato, una giusta fusione di elettrico ed acustico, eseguita in grande scioltezza https://www.youtube.com/watch?v=PuSMUChHSYY . Dry Country Blues, come da titolo, unisce di nuovo i due generi, con l’andatura tipica ondeggiante della migliore country musica, arricchita da dobro, chitarrone twangy, lap steel, mandolino e banjo, mentre racconta la sua storia di dipendenza da medicine, poi ribadita in Pain Pills (perché anche questa è la storia della middle class), con il campione locale di football, morto al primo verso, che ora della fine della canzone viene raggiunto da metà della città, mentre la canzone nel frattempo rocca e rolla alla grande https://www.youtube.com/watch?v=skPjyRiR1MQ . Non mancano country ballads deliziose e non leziose, come Life On The Party e Better Off Red a rendere ancora più prezioso questo debutto solista tardivo di un vero “piccolo” talento, “bella musica” che rende onore al nome della città dove è cresciuta, aggiungete alla lista!

La ricerca continua, sempre.

Bruno Conti

Sempre Le Stesse Canzoni…Ma Che Belle! – John Fogerty – Wrote A Song For Everyone

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John Fogerty – Wrote A Song For Everyone – Vanguard Records

Recentemente, parlando delle ultime ristampe di Jeff Lynne, ho coniato il termine “barrel bottom scratching” (letteralmente: grattare il fondo del barile), espressione che si potrebbe applicare anche per l’ultima parte della carriera di John Cameron Fogerty. L’ex Creedence infatti negli ultimi dieci anni ha pubblicato solo due dischi di canzoni nuove (Deja Vu (All Over Again), 2004, ottimo, e Revival, 2007, buono ma meno riuscito), un’antologia, due DVD dal vivo ed un disco di covers (lo splendido The Blue Ridge Rangers Rides Again).

Pochi brani nuovi dunque e, nell’antologia e nei due album live, un po’ sempre le stesse vecchie canzoni: in più, ora esce finalmente questo Wrote A Song For Everyone (finalmente perché era già dato in uscita lo scorso ottobre, con una copertina diversa da quella attuale, poi John ha pensato bene di lavorarci ancora un po’ e di aggiungere delle canzoni), un album auto celebrativo nel quale il nostro ripercorre alcune tappe fondamentali della sua carriera insieme ad una lunga lista di ospiti. Ancora le stesse canzoni dunque? Beh…sì, ed in più proposte in duetto con altri cantanti (raramente ho vibrato per un disco di duetti, di solito c’è sempre qualche episodio che abbassa il valore complessivo dell’opera), quindi un alto rischio per John di esporsi a critiche non proprio benevole.

Ebbene, Wrote A Song For Everyone si rivela invece essere un grandissimo disco: pochi al mondo possono vantare un songbook come quello di Fogerty, ed in più la scelta di riarrangiare alcuni brani su misura per l’ospite di turno si rivela vincente, dando nuova linfa a canzoni ormai ben fisse nella storia della musica (ci sono però anche due brani nuovi di zecca). Non dico che queste versioni siano superiori agli originali, ma (quasi) tutte le collaborazioni danno nuova vitalità ai brani, e John si trova particolarmente a suo agio, con in più l’ottimo stato della sua voce, ancora limpida e forte a dispetto dell’età.

La house band è formata da Bob Malone al piano, David Santos al basso, il grandissimo Kenny Aronoff alla batteria, oltre naturalmente a Fogerty alla chitarra.

Apre il disco la vigorosa Fortunate Son, nella quale John si fa accompagnare dai Foo Fighters di Dave Grohl: versione tosta, potente, quasi hard, perfetta per la band dell’ex Nirvana, ma nella quale anche Fogerty ci sguazza che è un piacere (e poi dal punto di vista della voce tra i due non c’è proprio paragone…meglio Grohl!…scherzo…).

La gioiosa Almost Saturday Night (con Keith Urban) è meno rock e più country dell’originale, ma mantiene intatta la sua melodia solare, ed Urban, oltre ad avere la fortuna di trovare tutte le volte che rientra a casa Nicole Kidman ad aspettarlo, ha anche una gran bella voce.

Lodi vede John cantare da solo, in quanto qui gli ospiti sono i figli Shane e Tyler, che suonano la chitarra ma non cantano: una versione più rock’n’roll dell’originale, che però non riserva grandi sorprese.

Mystic Highway è uno dei due brani nuovi presenti, con John che canta ancora in perfetta solitudine: una canzone tipica, con quell’andamento tra rock e country presente in molti suoi pezzi, una melodia solare e coinvolgente ed un bell’intermezzo sul finale per sole voci.

La title track è uno dei pezzi forti del disco: già l’originale era uno dei miei cinque brani preferiti dei Creedence, e qui la scelta della brava Miranda Lambert è più che azzeccata, il contrasto tra le due voci è perfetto, e poi c’è anche un assolo davvero strepitoso di Tom Morello che fa salire decisamente la temperatura. L’originale dei Creedence era forse più drammatica, ma qui siamo davvero solo un gradino sotto.

Bad Moon Rising ha il suono della Zac Brown Band, e indovinate chi è l’ospite? Esatto: la Zac Brown Band! Grande canzone e grande versione, tra country e southern.

Long As I Can See The Light è un’altra grande ballata di John, qui accompagnato dai My Morning Jacket: Jim James e soci se la cavano benissimo in queste situazioni (il tributo a Levon Helm lo dimostra), e John lascia loro quasi la piena luce dei riflettori, intervenendo solo alla terza strofa.

Kid Rock non è certo un fenomeno, e quasi ce la fa a rovinare la splendida Born On The Bayou: per fortuna c’è John che riesce a limitare i danni (ma invitare un altro, che so, John Hiatt, no?).

Train Of Fools è il secondo brano nuovo: un rock blues annerito, con Fogerty che lavora di slide, una canzone forse non memorabile ma che non sfigura affatto.

La bella Someday Never Comes (il singolo finale dei Creedence) vede John accompagnato dai Dawes, buona versione, molto aderente all’originale, mentre con Who’ll Stop The Rain, che vede la partecipazione di Bob Seger, abbiamo il capolavoro dell’album.

Già il brano è uno dei migliori dei Creedence (forse IL migliore), e poi Seger è uno dei grandissimi: la canzone viene arrangiata alla maniera di Bob (ricorda quasi Against The Wind), ed il barbuto rocker di Detroit giganteggia a tal punto da mettere in ombra anche Fogerty, il che è tutto dire.

(NDM: non mi dispiacerebbe un disco simile anche da parte di Seger, con Bob che rilegge i suoi brani storici accompagnato da una serie di ospiti, e John che gli rende il favore, magari proprio con Against The Wind).

Hot Rod Heart è il brano più recente di quelli riletti nel disco, un rock’n’roll irresistibile con Brad Paisley che duetta sia alla voce che alla chitarra con John, mentre Have You Ever Seen The Rain? è un’altra delle grandi canzoni di Fogerty, che qui coinvolge Alan Jackson e la sua band: versione rilassata, molto più country dell’originale, ma sempre bellissima.

Chiude l’album, e non poteva essere altrimenti, la celeberrima Proud Mary, con Allen Toussaint & Rebirth Brass Band e soprattutto la grande voce di Jennifer Hudson: arrangiamento metà gospel e metà cajun, dal ritmo irresisitibile, con John che si mantiene quasi nelle retrovie per lasciare spazio alla strepitosa ugola della Hudson, una vera forza della natura.

Fine di un grande disco: se vogliamo trovare il pelo nell’uovo, ho notato l’assenza di Bruce Springsteen, che in passato ha duettato più di una volta con Fogerty (Rockin’ All Over The World sarebbe stata una scelta perfetta).

Ma sono quisquilie: Wrote A Song For Everyone è un album imperdibile.

Adesso però voglio un disco di canzoni nuove.

Marco Verdi

Novità Di Maggio Parte II. Annie Keating, Charlie Parr, Kim Richey, Hugh Laurie, Pistol Annies

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Proseguiamo la rubrica relativa alle novità di maggio con i dischi in uscita in 7 maggio di cui non si era ancora parlato, ma prima ancora tre titoli interessanti usciti in date antecedenti.

Annie Keating è una brava cantautrice newyorkese, giunta al quinto album, che ha un unico difetto: la non facile reperibilità dei suoi dischi. Il precedente Water Tower View, del 2011, era quantomeno distribuito in Europa dalla Continental Record Service, ma questo nuovo For Keeps, pubblicato dalla eichetta Andy Childs (?!?), si fatica veramente a trovarlo. Ma ne vale pena: la Keating, con una strana voce piana e tranquilla, mai troppo in agitazione, ma espressiva il giusto e che qualcuno ha paragonato come timbro a Melanie, ha una scrittura in morbido stile rock, che è stata avvicinata (dal Village Voice) a Lucinda Williams, John Prine, Gillian Welch, Joni Mitchell. Ora, non so se sia così brava, ma l’album è molto piacevole, elettriche e pedal steel, ed una sezione ritmica attenta ma non invadente aiutano la veste folk dei brani. Una cover di Cowgirl In The Sand di Neil Young fa la sua bella figura e quindi aggiungiamola alla lista delle voci femminili di cui vale la pena seguire i lavori. Prodotto dal canadese Jason Mercer e con il componente dei Cardinals, Jon Graboff, alla pedal steel,  tra i musicisti impiegati.

Charlie Parr fa del folk country blues, perlopiù acustico ed in solitaria, ma ogni tanto collabora con altri musicisti come i Black Twig Pickers o i Trampled By Turtles. Ha la particolarità di venire da Duluth, Minnesota, dove era nato un altro musicista molto famoso, tale Bob Dylan, e lo stile musicale, se non la voce, si può paragonare al primo Zimmerman. Ha fatto una dozzina di album, questo Barnswallow si inserisce tra i migliori della sua discografia: bella voce, ottima tecnica chitarristica, una passione profonda per la musica tradizionale americana, i risultati si toccano con mano. Musica non facile ma di grande fascino, a grandi linee, lo si potrebbe inserire in quel filone dove operano (o operavano), oltre a quelli citati, musicisti come Jack Rose, Glenn Jones e altri eredi di John Fahey, Rev. Gary Davis, Charley Patton e Woody Guthrie. Uno bravo, insomma!

Anche Kim Richey è in pista da moltissimi anni, sia come cantante che come autrice, country ma non di quello melenso e melassoso di Nashvile (anche se he scritto anche per Trisha Yearwood, che rende il favore cantando in questo album). Il disco si chiama Thorn In My Heart, è l’ottavo della sua discografia, collection del 2004 compresa ed esce per la Yep Rock. Anche in passato la Richey ha pubblicato per etichette “importanti”, partendo dalla Mercury, poi la Lost Highway, la Vanguard e la Thirty Tigers. In questo disco nuovo oltre alla Yearwood, appaiono, tra gli altri, anche Jason Isbell, Pat Sansone dei Wilco, Carl Broemel dei My Morning Jacket e Will Kimbrough. A suo imperitorio merito Kim Richey era la voce femminile in Come Pick Me Up, una delle canzoni più belle nell’esordio solista di Ryan Adams Heartbreaker. Solo che lei faceva questo stile già prima di tutti i musicisti citati per cui è stata fonte di ispirazione: pensate a Mary Chapin Carpenter, Maura O’Connell, Suzy Bogguss, Patty Loveless, quelle country ma di qualità, per intenderci.

 

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Per molti, quasi tutti, Hugh Laurie, oltre ad essere un bravo attore inglese, è il Dottor House! Ma è anche un musicista coi fiocchi, e se, tramite le sue conoscenze, riesce a fare suonare nei dischi che pubblica musicisti di gran classe e pedigree, tanto di guadagnato. Let Them Talk, uscito nel 2011, era un signor disco: prodotto da Joe Henry, con la sua band al seguito e con ospiti come Tom Jones, Irma Thomas, Dr. John e Allen Toussaint che aveva curato anche gli arrangiamenti dei fiati. Per la gioia di grandi e piccini erano uscite anche un paio di edizioni DeLuxe, una con tracce extra e un CD+DVD, qualche mese dopo che conteneva un bellissimo concerto registrato con vari degli ospiti presenti nell’album e altri, oltre a un diario on the road della registrazione.

Questo nuovo Didn’t It Rain esce sempre per la Warner Bros Uk, sempre prodotto da Joe Henry, sempre in due edizioni, una denominata “Bookpack”, doppia, con cinque brani aggiunti:

1. The St. Louis Blues
2. Junkers Blues
3. Kiss Of Fire
4. Vicksburg Blues
5. The Weed Smoker’s Dream
6. Wild Honey
7. Send Me To The ‘Lectric Chair
8. Evenin’
9. Didn’t It Rain
10. Careless Love
11. One For My Baby
12. I Hate A Man Like You
13. Changes

Queste le tracce extra:

1. Day & Night
2. Junco Partner
3. Louisiana Blues
4. Staggerlee
5. Unchain My Heart

L’edizione Deluxe costa un pacco di soldi, e per la serie, strano ma vero, non uscirà in America almeno fino a settembre. E per rimanere nell’ambito dei sempre, è “sempre” molto bello.

Le Pistol Annies sono Miranda Lambert, Angeleena Presley (non è parente) e Ashley Monroe. Neil Young ne ha parlato molto bene nella sua autobiografia, il precedente disco Hell On Heels era molto buono, questo Annie Up è anche meglio: country, rock, blues, honky tonk, un pizzico di bluegrass, tante belle voci soliste e che armonizzano, la faccia onesta della country music di Nashcille (ma Miranda Lambert è schierata in entrambi i campi)! Se le scrivono, se le cantano, ma non se le suonano. Potrebbero sorprendervi (almeno un poco). E come diceva la Marchesini del Trio, sono anche delle “belle faighe”, due su tre.

Per oggi è tutto, continua nei prossimi giorni.

Bruno Conti

Novità Di Novembre Parte I. Florence + The Machine, Christy Moore, Manic Street Preachers, Miranda Lambert, Decemberists, Rolling Stones, John Fahey, Lindsay Buckingham, Eccetera

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Partiamo con le uscite di novembre, considerando la festività del 1° qualcosa potrebbe uscire già oggi 31 ottobre e qualcosa uscirà il 2 novembre. Ricordando che in questi giorni escono le varie edizioni di U2 Achtung Baby, Beach Boys Smile, Jethro Tull Aqualung, il CD di Metallica+Lou Reed già trattate in passato vediamo il resto.

Secondo album per Florence + The Machine, si chiama Ceremonials esce per la Island/Universal e vediamo se confermerà il notevole successo del precedente Lungs e anche le ottime critiche. Non manca la versione Deluxe doppia che per una volta è particolarmente interessante perché alle 12 tracce del disco originale ne aggiunge altre 8: 3 brani nuovi, 2 demo e 3 versioni acustiche.

Non vi so dire che numero sia questo album di Christy Moore ma è sicuramente bello da quello che ho potuto ascoltare in anteprima. Il più grande cantante irlandese (come dite? Van Morrison è irlandese!), Ok, il secondo più grande cantante irlandese conferma la sua vena con questo Folk Tale che esce per la Sony/Bmg britannica (quindi non facilmente reperibile, se non in rete). Prodotto dal suo chitarrista Declan Sinnott contiene 11 nuovi e vecchi brani (in nuove versioni).C’è anche un quartetto d’archi nella title-track di cui forse non si sentiva il bisogno. Naturalmente appena ce l’ho, recensione!

Ormai anche gli artisti “seri” si sono fatti furbi. I Manic Street Preachers una antologia, Forever Delayed, l’avevano già pubblicata nel 2002 e allora perché non fare una bella raccolta dei singoli, magari doppia? E quindi vai con National Teasures un doppio CD per la Columbia con i 37 brani dei singoli più un inedito. Si fa per dire visto che si tratta di una cover di un vecchio brano del 1983 dei The The, This Is The Day (in ogni caso una bella canzone). C’è l’immancabile Deluxe version tripla con un DVD con i video dei brani e una Super Deluxe version con la riproduzione dei 7 pollici originali.

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Come vi dicevo non molto tempo fa parlando delle Pistol Annies, Miranda Lambert è una delle migliori cantanti country in circolazione attualmente, con la giusta dose di rock nella sua musica, questo Four The Record esce per la Sony Nashville. Potrei dirvi che è la moglie di Blake Shelton, altro famoso cantante country, ma ve ne può fregare qualcosa? Forse è più interessante ricordare che c’è la solita versione CD+DVD con un brano in più. E nonostante il titolo non è il quarto ma il quinto album per la Lambert. Fregati!

The King Is Dead dei Decemberists è stato uno dei dischi migliori del 2011 e quindi me lo devo ricordare per le liste di fine anno. Questo Long Live The King è un compendio, un EP, un mini album se preferite, con 6 brani, tutte cover, registrate nello stesso periodo dell’album. Produce sempre Tucker Martine, il sound è più acustico ma non sempre, spicca una cover di Row Jimmy, brano non conosciutissimo dei Grateful Dead e anche gli altri brani non sono famosissimi.

Quel doppio DVD dei Rolling Stones All 6 Ed Sullivan Shows, per il momento esce solo per il mercato americano (e costa piuttosto caro), etichetta SOFA Entertainment, durata 312 minuti, ma, come era stato per il suo equivalente relativo ai Beatles, si tratta delle sei trasmissioni complete dello Show di Ed Sullivan dove erano apparsi gli Stones. Brani già apparsi nei vari DVD dedicati allo spettacolo televisivo americano magari non tutti insieme (e recentemente era uscito anche un All 4 Ed Sullivan Shows). Se volete decidere, questa è la lista completa delle trasmissioni, i brani degli Stones, se non ho fatto male i conti sono 17 (però ci sono anche i Muppets e Topo Gigio, quindi Mellencamp non avrebbe poi dovuto prendersela troppo per gli orsi da Pippo Baudo!):

DVD One

 

The Ed Sullivan Show

October 25, 1964

Opening

London Lee – Comedian

Itzhak Perlman – Wieniawski’s “Concerto #2 in D Minor”

Stiller and Meara – Comedy Routine

Peg Leg Bates – Tap Dancer

Laurence Harvey – “Charge of the Light Brigade”

The Rolling Stones – “Around and Around”

The Kim Sisters – “Joshua Fit the Battle of Jericho”

The Berosinis – Acrobats

Phyllis Diller – Comedienne

The Rolling Stones – “Time Is On My Side”

 

The Ed Sullivan Show

May 2, 1965

 

Opening

The Rolling Stones – “The Last Time”

Topo Gigio – Topo falls in love

Morecambe and Wise – Comedy Sketch

Leslie Uggams – “My Melancholy Baby”

Gitta Morelly – Balancing Act

Dusty Springfield – “I Only Want to Be With You”

The Rolling Stones – “Little Red Rooster”

The Rolling Stones – “Everybody Needs Somebody to Love”

Tom Jones – “Watcha Gonna Do When Your Baby Leaves You”

Totie Fields – Comedienne

The Half Brothers – Jugglers

The Rolling Stones – “2120 South Michigan Avenue” under credits

 

The Ed Sullivan Show

February 13, 1966

 

Opening

The Rolling Stones – “(I Can’t Get No) Satisfaction”

Señor Wences – Ventriloquist

Les Olympiades – Adagio Act

Eddie Schaeffer – Comedian

Hal Holbrook – Lincoln’s Second Inaugural Speech

Romanian Folk Ballet – Traditional Music and Dance

The Rolling Stones – “As Tears Go By”

The Rolling Stones – “19th Nervous Breakdown”

Sandy Baron – Comedian

 

DVD Two

 

The Ed Sullivan Show

September 11, 1966

Opening

The Rolling Stones – “Paint It, Black”

The Muppets – Rock `n’ Roll Routine

Franco Corelli and Renata Tebaldi – “Vicino a te” from Andrea Chénier

Louis Armstrong – “Cabaret”

Joan Rivers – Comedienne

Robert Goulet – “Once I Had a Heart”

Red Skelton – Comedian

The Rolling Stones – “Lady Jane”

The Rolling Stones – “Have You Seen Your Mother, Baby, Standing in the Shadow?”

 

The Ed Sullivan Show

January 15, 1967

Opening

Michael Bennett Dancers – Clog Dance

Flip Wilson – Comedian

Petula Clark – “Elusive Butterfly”

Petula Clark – “Color My World”

Monroe – Acrobat

The Muppets – Vaporous Pool Routine

Sisters ’67 – “Kumbaya”

Alan King – Comedian

The Rolling Stones – “Ruby Tuesday”

The Rolling Stones – “Let’s Spend Some Time Together”

 

The Ed Sullivan Show

November 23, 1969

Opening The Rolling Stones – “Gimme Shelter”

Rodney Dangerfield – Comedian

Topo Gigio – Football Routine

Ella Fitzgerald – “You Better Love Me”

Ella Fitzgerald – “Open Your Window”

Hawthorne Tiger & Horses – Animal Act

Lucho Navarro – Comedian

Robert Klein – Comedian

The Rolling Stones – “Love In Vain”

The Rolling Stones – “Honky Tonk Women”

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Escono anche molti altri DVD musicali in questa settimana. A partire dal doppio Songs From The Small Machine Live in L.A. di Lindsay Buckingham registrato questo aprile durante il tour promozionale per l’ultimo album The Seeds We Sow. 6 brani acustici e alcuni con la sua band, anche materiale dei Fleewood Mac che dovrebbero riunirsi nel 2012. Etichetta Eagle Vision/Edel, c’è anche il BluRay.

Karine Polwart è una brava cantante folk scozzese, se ne parlava anche nel corso della chiacchierata con Donald and Jen MacNeill che mi dicevano che partecipa spesso anche loro piccolo Festival di Colonsay ( e non avevano lo stesso accento se no non avrei capito un tubo). Questo Here’s Where Tomorrow Starts esce per la Proper e sono brani registrati con il suo trio quindi non completamente in solitaria, come potete vedere nel video.

Ennesimo DVD per i Placebo, si chiama We Come In Pieces esce sempre la Eagle Vision anche in versione Deluxe doppia per un totale di 179 minuti. Oltre al concerto alla Brixton Academy registrato nel settembre 2010 nel corso del tour mondiale per Battle For The Sun al quale sono stati aggiunti effetti digitali speciali, il secondo DVD contiene un documentario di un’ora Coming Up For The Air e un breve film Trigger Happy Ends + vari brani bonus registrati in giro per il mondo negli extra del primo DVD.

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Questi due “strani” DVD che escono entrambi per la Blast First Petite sono entrambi interessantissimi: si chiamano rispettivamente 1978 Live TV Concert quello di John Fahey e 1979 Live TV Concert quello di Kevin Coyne (sentite che voce!) e sono stati registrati nel corso di trasmissioni “minori” del famoso Rockpalast. Minori non per la qualità degli interpreti ma per la diffusione di questi filmati.

A parte la reperibilità che non dovrebbe essere massima il prezzo dovrebbe essere molto buono e si tratta, ovviamente, di concerti acustici. John Fahey completamente da solo e Kevin Coyne accompagnato in alcuni brani da Zoot Money al piano. Direi che il termine artista di culto e anche “iconoclasta” si applica perfettamente a tutti e due. Una bella sorpresa dopo il megaboxone di John Fahey. Visto, è veramente bello, non so quando avrò il tempo per sentirlo ed eventualmente recensirlo quindi non faccio inutili promesse, ma…

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Si avvicina il periodo Natalizio e quindi si intensificano le uscite cosiddette stagionali che in America sono già in corso da agosto. Un paio di titoli interessanti.

Dopo 50 anni di onorata carriera Carole King pubblica per la Hear Music/Concord/Universal A Holiday Carole il suo primo disco natalizio. Prodotto dalla figlia Louise Goffin la nostra amica Carole ha scritto anche 3 brani appositamente per l’occasione da affiancare ai classici mentre A Very She And Him Christmas vede la coppia Zooey Deschanel e M. Ward cimentarsi con il repertorio di Carpenters, Beach Boys, Presley e molti altri con il loro classico jingle-jangle sound molto piacevole e sixties, ma anche brani acustici. Etichetta Merge Records.

Direi che per oggi può bastare! A proposito, lo so che con tutti i filmati, le immagini e le lunghezze dei Post spesso le pagine sono pesanti da caricare ma pare che chi legge il Blog preferisca così, al limite potenziate il vostro PC. Il 2 novembre sono due anni dall’inizio di questo Blog e non ho intenzione di smettere visto che le visite hanno superato le 250.000  e le pagine visitate il mezzo milione in questi due anni (lo vedo dalle statistiche). Quindi grazie e si prosegue!

Bruno Conti

Buon Country Rock Dal Texas Via Nashville. Eli Young Band – Life At Best

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 Eli Young Band – Life At Best – Republic Nashville

Vengono da Denton, Texas, sono attivi da una decina di anni e questo è il loro quarto album in studio più un live e sono il lato “accettabile” del country di Nashville. Mi spiego meglio: accettabile per chi segue il rock e non ama il country troppo “lavorato” che esce dalla capitale del Tennessee, per intenderci nelle classiche country americane a fianco di Miranda Lambert e Zac Brown Band, o Eric Church e Brad Paisley, trovate Taylor Swift, Lady Antebellum e ora Luke Bryan che sono i fondamenti di quel country-pop blando che però oppone una “strenua resistenza” (e con successo) all’hip-hop, rap, R’n’B e “tavanate” dance varie che dominano le classifiche Usa. In entrambi i lati dello schieramento ci sono cose buone ma perlopiù ad ascoltarli mi viene da piangere e non per la commozione. Peraltro, per documentarmi, devo ascoltarli e quindi non accetto critiche generiche tipo “perché non l’hai sentito!”, no purtroppo l’ho sentito e non ho fatto il mio compitino “copia e incolla” dei comunicati delle case discografiche, dove ovviamente tutto (per motivi promozionali) risulta bellissimo, stupendo, quand’anche addirittura innovativo, come risulta dall’80% dei Post che circolano in rete sulla musica. Preferisco fare da solo e dare dei pareri magari sbagliati ma personali.

Veniamo a questo Life At best della Eli Young Band che sto ascoltando in questi giorni insieme al nuovo dei Jayhawks Mockingbird Time che però esce il 13 settembre e quindi aspetto a recensirlo se no le case discografiche mi bacchettano e voi lo “dimenticate” prima ancora che esca. Ci sono delle analogie tra i due dischi: country-rock per entrambi, con abbondanti iniezioni pop per i Texani, più raffinato, quasi orchestrale a momenti, quello della band del Minnesota.

Ma detto questo, lasciamo da parte i Jayhawks per il momento: il nuovo album della Eli Young Band ha finora prodotto un singolo Crazy Girl, molto ruffiano verso il gentil sesso, che ha totalizzato più di mezzo milione di download (ufficiali) nelle classifiche digitali e si prepara a trascinare il CD nelle vette delle classifiche americane. E il brano, se volete saperlo, è estremamente piacevole, ritornello orecchiabile, bella voce, quella di Mike Eli, gradevole impasto di chitarre acustiche ed elettriche fornito da James Young, armonie vocali a tre voci come se i Poco o i Jayhawks non se ne fossero mai andati (appunto). Ma hanno anche dei buoni gusti nella scelta delle cover e la versione di If It Breaks Your Heart di Will Hoge anche se più “caramellosa” dell’originale ha quella andatura vagamente pettyana che può piacere agli amanti del rock e gli assoli di Young hanno la giusta urgenza.

Non tutto il resto brilla per originalità e per qualità, 14 brani per oltre cinquanta minuti forse sono troppo, specie quando le derive pop imposte dall’essere distribuiti da una major si fanno sentire. Ma come giustamente ha detto Eli in una intervista se vuoi farti conoscere in tutta l’America devi scendere a qualche compromesso, paradossalmente per loro sarebbe stato più facile rimanersene in Texas dove erano popolarissimi ed avrebbero guadagnato di più. Quindi “biscotto, biscotto, biscotto” come avrebbe detto Muttley e merito alla ballatona uptempo country Every Other memory ancora con grandi armonie vocali e pedal steel in evidenza. 

Se ai tempi gli America, per semplificare, erano la versione “orecchiabile” di CSN&Y ora questi Eli Young Band sono i figli “bastardi” del’alternative country di Uncle Tupelo, Wilco e Son Volt accoppiato con le “nuove” proposte di Zac Brown o dei conterranei della Randy Rogers Band come evidenziato nella solare On My way. Poi fateci caso, tutti questi gruppi citati. dal vivo sono moolto meglio che in studio, più brillanti, in grado di improvvisare senza problemi.

Per non tirarla troppo per le lunghe, il disco è assai piacevole con i pregi e i difetti che si controbilanciano e quindi alla fine si merita una sufficienza abbondante. Fate finta di essere negli anni ’70 quando accanto ai dischi di Captain Beefheart, Soft Machine, Tim Buckley, Can o Neu,che facevano figo, ho citato a capocchia, c’era anche il “piacere segreto” di ascoltarti di nascosto gli ELO o i Supertramp o i già citati America.

Niente di nuovo d’accordo, ma neppure Mumford and Sons, o i Fleet Foxes o perfino il recentemente citato Jonathan Wilson (mi assumo le mie responsabilità e confermo) fanno niente di nuovo, ma lo fanno un gran bene, è vero, meglio degli Eli Young Band (che mi sono anche simpatici  perché prima di uno dei vari incontri di football americano dovevano cantare l’inno americano e il cantante si è clamorosamente dimenticato le parole, lo trovate su YouTube), ma c’è posto per tutti, per il momento e c’è in giro molto di peggio, quindi se vi piace il country-rock orecchiabile qui trovate “trippa per gatti”!

Bruno Conti