Un “Nuovo” Vecchio Amico Di Robben Ford E John Lee Hooker. Michael Osborn – Hangin’ On

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Michael Osborn – Hangin’ On – Checkerboard Records       

Per la nostra quota mensile di novità blues ecco Michael Osborn, che definire “nuovo” è forse fare torto ad un musicista che ha una storia lunghissima nelle 12 battute, una militanza che inizia verso la metà degli anni ’60, quando parte la sua carriera, insieme a Robben e Patrick Ford, con i quali suona per diversi anni, prima come bassista, poi come chitarrista ritmico (essendoci Robben ovviamente ubi maior minor cessat), arrivando anche a far parte della Charles Ford Blues Band e suonando pure con Charlie Musselwhite, mentre negli anni settanta suona con varie formazioni minori facendo gavetta. Poi nel 1981 tutto questo paga, quando viene invitato a diventare il chitarrista solista della band di John Lee Hooker con cui suona per 13 anni, e ancora nel 1997 è autore di Spellbound per l’album Don’t Look Back. Da allora, oltre ad avere suonato, dal vivo o su disco, con decine, forse centinaia di musicisti, che non citiamo per problemi di spazio, ma ce ne sono di veramente d importanti, ha iniziato una carriera solista, che conta fino ad oggi su otto titoli, di cui 5 pubblicati per la propria etichetta Checkerboard Records, ed è il solito motivo, visto la scarsa reperibilità dei suoi album (anche questo è uscito già da fine maggio 2018), per cui si parla poco di lui, ma è uno che merita di essere conosciuto.

Nonostante la foto che vi accoglie entrando nel suo sito, e che mostra un piacente signore di mezza età, Osborn ha 71 anni, e da qualche anno lavora soprattutto con artisti dell’area di Portland, non una delle mecche del blues, ma Dave Fleschner tastiere, Don Campbell  basso, John Moore (e Dave Melyan ) batteria, Gregg Williams percussioni, e la sezione fiati, presente in una canzone, con Joe McCarthy, Brad Ulrich e Chris Mercer, sono comunque musicisti di pregio, rinforzati da un paio di ospiti, la brava cantante Karen Lovely e l’armonicista e cantante Mitch Kashmar, mentre la sua touring band, The Drivers, è presente in un brano. Il risultato è un solido ed onesto disco di blues elettrico, dieci brani firmati dallo stesso Osborn, con un paio di collaborazioni: la title track Hangin’ On è la classica energica blues ballad, dove si apprezza la pungente solista di Michael, in possesso anche di una voce ricca e pastosa, per avere un riferimento pensare al suo amico Robben Ford, meno raffinato ma altrettanto fluido e con una tecnica notevole al servizio di assoli fluenti e coinvolgenti https://www.youtube.com/watch?v=cqYGJxpfbOI . It’s Your Move è il classico lungo blues lento dalla atmosfera sognante con la chitarra che “soffre” per l’ascoltatore, Fallin’ For You è il tipico shuflfe che rimanda al suono della band dei fratelli Ford, mentre Hey Baby, scritta con Tom Szell, prevede la presenza di Kashmar, che oltre a suonare l’armonica la canta con brio e passione.

When The Blues Come Around, firmata da Osborn con Karen Lovely, che la interpreta, se mi permettete la battuta, con voce “amabile” e di presenza timbrica notevole, è una ballata sixties molto old fashioned ,ma forse anche per questo affascinante; Doctor Please è un errebì funky di buona fattura, ma niente di memorabile, a parte le solite folate della solista, e Say I Do è l’altro brano cantato dalla ottima Lovely, con un timbro vocale che rimanda alla bravissima Mary Coughlan, vissuto e passionale, in questa ballata strappalacrime. When I Listen The Blues è il brano suonato con gli ottimi Drivers, uno dei pezzi più mossi dell’album, anche con la sezione fiati citata in azione, Mint Gin è l’unico pezzo strumentale, uno slow di quelli lancinanti con continui rimandi ai grandi della chitarra blues, e in chiusura troviamo Between A Tear And A Good Time, di nuovo con un pimpante Mitch Kashmar all’armonica, altro esempio dello stile vibrante e ricco di classe di Michael Osborn, forse non un fuoriclasse ma decisamente un buon manico per chi ama le 12 battute.

Bruno Conti

Armonica Blues Dalla California! Mitch Kashmar – West Coast Toast

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Mitch Kashmar – West Coast Toast – Delta Groove Music/Ird

I colleghi armonicisti, da Charlie Musselwhite allo scomparso William Clarke (di cui il nostro è una sorta di erede e utilizza anche gli stessi musicisti che suonavano nella band del musicista scomparso negli anni ’90 https://www.youtube.com/watch?v=hX49LPkuQtw ) ne hanno cantato le lodi, la critica lo indica quasi sempre tra i migliori rappresentanti della scuola del West Coast Blues, tanto che alla fine Mitch Kashmar ha dedicato anche il titolo del CD a questo filone del blues. Nato sul finire degli anni ’50 in California, secondo molti grazie alla figura di George “Harmonica” Smith, attualmente vede tra i suoi rappresentanti più validi Al Blake (già nella Hollywood Fats Band), Rod Piazza, con i suoi Mighty Flyers, Kim Wilson, con e senza Fabulous Thunderbirds, oltre al citato Clarke. E naturalmente Kashmar, che ritorna con questo nuovo album di studio West Coast Toast, il primo dopo una pausa di circa dieci anni, interrotta dall’uscita di un Live At Labatt del 2008 e di 100 Miles To Go, uscito nel 2010, ma che raccoglieva registrazioni degli anni ’80 con i Pontiax (e di cui mi pare di ricordare di essermi occupato ai tempi sul Buscadero, ma essendo ormai diversamente giovane, non ne sono sicuro, anche se certamente ho già scritto di Kashmar in passato) https://www.youtube.com/watch?v=_DchUBlCWyM . Tutti questi ultimi album sono usciti per la Delta Groove, l’etichetta di Van Nuys, California, per certi versi depositaria di questo suono della West Coast in ambito blues, un sound che prendendo spunto dalle 12 battute classiche di Chicago, aggiunge elementi swing, jazz, spesso l’uso dei fiati (ma non in questo caso), l’uso dell’armonica diatonica, anche amplificata, in alternanza con la cromatica, come fa il buon Mitch in questo album.

All’inizio vi dicevo che Kashmar utilizza gli stessi musicisti impiegati da William Clarke a metà anni ’80, ovvero Junior Watson alla chitarra, Bill Stuve al basso e il bravissimo pianista/organista Fred Kaplan, l’unica new entry è il batterista Marty Dodson. Tutti musicisti specializzati nell’accompagnare armonicisti: se aggiungiamo il consueto ottimo lavoro del produttore Jeff Scott Fleenor, che applica la classica formula del sound della Delta Groove, quindi riprendere i musicisti nella purezza del suono dei loro strumenti, molto ben definiti, e, ove possibile, registrati in sessions dove i protagonisti suonano insieme in studio, ottenendo la freschezza dell’approccio live applicata ad un ambiente chiuso. E mi sembra ci riesca. Il materiale si divide tra sei originali scritti dallo stesso Kashmar e cinque cover scelte con cura dall’immenso songbkook del blues. Intendiamoci, il disco non è un capolavoro assoluto e quindi difficilmente porterà nuovi proseliti tra le file dei seguaci delle 12 battute, ma gli appassionati del genere troveranno una piacevole aggiunta ai loro ascolti. Si apre con lo swingato e scatenato strumentale (uno dei quattro del disco) East Of 82nd Street, dove domina l’armonica amplificata di Karshmar, ma anche la chitarra di Watson ha modo di farsi apprezzare, oltre alla eccellente sezione ritmica.

Too Many Cooks, un brano di Willie Dixon, ci permette di apprezzare anche la voce di Mitch Karshmar, in possesso di uno stile canterino sicuro ed elegante, oltre al piano di Fred Kaplan, che comincia a cesellare sugli 88 tasti da par suo, mentre la successiva Young Girl era nel repertorio di Rudy Toomes, un musicista che persino Ray Charles citava tra le sue fonti di ispirazione, un bel pezzo tra blues e soul, con tocchi jazz grazie all’organo di Kaplan e alla chitarra accarezzata da Watson, senza dimenticare il cantato felpato del titolare. The Petroleum Blues, sempre a firma Kashmar, affronta tematiche sociopolitiche nel testo, ma lo fa con l’ironia tipica dei bluesmen, ed un ritmo a tempo di boogie veramente contagioso, sempre con i vari solisti, nell’ordine armonica, chitarra e piano, in grande spolvero (brano già apparso nel disco del 2010 https://www.youtube.com/watch?v=9I2OKd1ceTM). Mood Indica, altro strumentale, è il classico lento intenso che non può mancare, mentre Don’t Stay Out All Night, è uno shuffle in stile Chicago Blues, un brano gagliardo di Billy Boy Arnold, seguito da My Lil’ Stumptown Shack, un omaggio di Mitch Kashmar all’Oregon, lo stato dove si è trasferito per vivere, altro blues elettrico intenso. Di nuovo strumentale Makin’ Bacon, dove sembra quasi di ascoltare il New Orleans sound di Fats Domino e poi un omaggio al John Lee Williamson originale, il primo Sonny Boy, con una sanguigna Alcohol Blues, dove si apprezzano sia la voce vissuta come l’armonica cromatica di Mitch, e anche Love Grows Cold di Lowell Fulson, per quanto più mossa e divertita, si immerge a fondo nella tradizione, con la conclusione affidata al lungo strumentale Canoodlin’, dove tutti i solisti si mettono in luce di nuovo, divertendo l’ascoltatore con la loro perizia tecnica.

Bruno Conti