Nuovo Batterista, Vecchio Rock-Blues! Mount Carmel – Get Pure

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Mount Carmel – Get Pure – Alive Naturalsounds Records

Terzo disco per il terzetto dei fratelli Reed (scusate il bisticcio), Matthew, chitarra e voce, Patrick, basso, con un nuovo batterista, James McCain,  a sostituire l’ottimo Kevin Skutback, che sedeva dietro ai tamburi nelle due precedenti prove http://discoclub.myblog.it/2012/04/15/un-poderoso-terzetto-di-rock-blues-mount-carmel-real-women/ . Ma il risultato parrebbe non cambiare di molto, il “solito” power trio, inserito fino in fondo nel proprio rock-blues dalle venature profondamente 70’s, con le “solite” leggere spennellature di psichedelico abbandono della decade precedente. Undici brani, firmati dai due fratelli nativi dell’Ohio, 35 minuti e spiccioli dove il sound volutamente anacronistico della band sembrerebbe fare a pugni con i dettami delle ultime mode musicali, ma il suono “puro” e naturale del gruppo conquista sia l’ascoltatore di vecchia data quanto i novizi del vecchio rock https://www.youtube.com/watch?v=yUSwcf-xmdM .

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Se ai primi nomi come Bad Company, Free (gli uni la prosecuzione degli altri), Humble Pie, Cream e quant’altri non dicono molto, ai novizi potrebbe non interessare più di tanto (ma forse sì, se volessero investigare le radici di questo suono): si potrebbe anche dire che il sound non è derivativo, ma sarebbe una palla di dimensioni quasi epiche, anche se, qui e là, in altre recensioni passate, mi è parso di leggerlo. Comunque se volete inserirli in un contesto più “moderno” e chiamare il loro genere stoner rock, lo stile non è che poi cambi di molto, sotto i cappellini esibiti sulla copertina “abitano” tre giovanotti che sembrano catapultati in un mondo dove la loro visione sonora fa a pugni con quella che passa sulle radio commerciali o di cui si legge nelle riviste di tendenza, ma il talento non manca e se l’originalità non c’è, ce ne faremo una ragione.

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Così, con molto groove, tanti assoli e, forse, poca melodia, scorrono episodi rocciosi come l’iniziale Gold, riffatissima e cattiva, con la chitarra che inizia a disegnare le sue linee soliste veloci e acide, mentre la sezione ritmica picchia di brutto. Back On It potrebbe provenire da un disco dei citati Bad Company e Humble Pie, anche se Reed non ha la voce né di Paul Rodgers, né di Steve Marriott, ma l’impegno e la grinta non mancano, la chitarra comincia a ingranare e gli amanti del genere hanno di che compiacersi https://www.youtube.com/watch?v=7Zv7hB0qtoY . Anche Whisper, con un bel giro di basso di Patrick Reed, che ancora il brano, ha una certa vivacità che sfocia negli assolo brevi e, anche se già sentiti mille volte, piacevoli di fratel Matthew. No Pot To Piss vira il sound verso un attitudine più marcatamente blues, anche se il rock’n’roll rimane il principale ingrediente del menu, semplice ed immediato, forse anche troppo, ma la chitarra comincia a dilatare la sua presenza e le jam iniziano ad estendersi, anche se dal vivo, come dimostra il primo album, forse sono più nel loro elemento.

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Shallow Me Up, tanto per non fare altre citazioni, potrebbe venire da Led Zeppelin II o da Paranoid, potrebbe, se non li avessero fatti, e meglio, già altri, prima di loro, comunque i tre suonare suonano, i Cream li abbiamo già nominati, vero? Bridge To Nowhere è un breve strumentale, neanche due minuti, dove chitarra, basso e batteria, se le danno di santa ragione prima di cedere la scena a One More Morning, uno dei rari lenti, cadenzati e sempre intrisi di blues (rock) con la chitarra che disegna linee sinuose sul groove sempre energico, anziché no, della sezione ritmica. Will I è quanto di più vicino ad una ballata possiamo aspettarci da un disco di questo tipo, una love song dall’andatura gentile per quanto sempre pronta a sfociare nel rock, con un bel assolo del buon Matthew, niente di memorabile ma stempera l’atmosfera più cupa del disco. Hangin’ On è un altro “bluesaccio” di quelli cattivi, sempre uscito dai solchi di vecchi dischi dei bei tempi che furono, con il basso che si avventura anche in qualche giro armonico. Fear Me Now, a 4’51” il brano più lungo del disco, torna su tematiche heavy più dark e vagamente psych,  rispetto allo spirito maggiormente blues-rock del resto del disco, senza essere una svolta epocale nella storia del rock si lascia ascoltare. Tornano i Cream (ma Clapton, Bruce e Baker erano di un’altra classe) o i Taste (e anche Rory Gallagher era di un’altra categoria) per la conclusiva Yeah You Mama, ancora power trio blues-rock di buona fattura, niente di nuovo sotto il Monte Carmelo!

Bruno Conti      

Un Poderoso Terzetto Di Rock-Blues! Mount Carmel – Real Women

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Mount Carmel – Real Women – Siltbreeze records

Nome biblico, ma vengono da Columbus, Ohio, per questo tosto terzetto che fa del rock-blues energico la propria Bibbia. Hanno già pubblicato un dischetto omonimo nel 2010 che qualcuno cita come fosse un EP, ma con sette brani per quasi quaranta minuti di musica, e due lunghe tracce intorno ai 10 minuti ciascuna, era più lungo di questo Real Women, che di brani ne ha nove, più compatti, poco più di mezz’ora di sano rock-blues, come se fossimo ancora in pieni anni ’70, agli inizi, quando gruppi come ZZTop in America e Humble Pie, avevano rilevato il pallino da formazioni come Cream, Free, Led Zeppelin ma anche Blue Cheer.

Ci sono piccole sfasature temporali nei nomi citati ma serve per inquadrare l’humus nel quale si muovono questi Mount Carmel, classica formazione da power trio con Matthew Reed, alla chitarra solista e ottimo vocalist e la sezione ritmica con Patrick Reed (parente? Direi fratello!) e il giovane batterista Kevin Skutbak, che alla pubblicazione dell’esordio aveva 17 anni, ma è ancora oggi un teenager dalle mani d’acciaio, nel senso che picchia sui tamburi come un forsennato, ma con ottima tecnica.

Dall’iniziale Swaggs dal suono denso e potente che ricorda gli Humble Pie di Steve Marriott ma anche riportata ai giorni nostri i Black Crowes più “cattivi” (che su Pie, Faces, Stones e Zeppelin, ci hanno costruito una carriera, ottima peraltro), si passa poi a Real Women che avrebbe potuto essere indifferentemente su un disco dei Cream o dei primi ZZtop, circa 1973/74. Oh Louisa avreste potuto trovarla su qualche vecchio vinile dei Free di Paul Rodgers e Paul Kossoff, stessa costruzione sonora e stessa grinta vocale e chitarristica, anche la ritmica ricorda i mai troppo lodati Fraser e Kirke.

Ognuno poi ci può vedere (e sentire) quello che vuole, sostituite i nomi con altri e il risultato non cambia, nel precedente disco c’è una lunghissima cover di Hear Me Callin’ dei Ten Years After di Alvin Lee, altro gruppo mai lodato abbastanza nel genere.

Be Somebody è un hard slow blues molto Claptoniano mentre Choose Wisely potrebbe ricordare il power chord garage dei citati Blue Cheer. Hear Me Now, più dark, sta a cavallo tra i Black Sabbath più blues degli inizi e gli Zeppelin e anche Don’t Make Me Evil è su quelle coordinate sonore. Rooftop, ormai ci siamo capiti, non si discosta neppure questa dal copione, peraltro soddisfacente per chi si nutre del genere. La conclusione è affidata a Lullaby che a chi scrive ricorda nuovamente gli ZZTop, ma, ripeto, potete riempire la casella “influenze” con i nomi che preferite (e forse se chiediamo a loro molti di questi nomi neppure li conoscono, ma sono lì che aleggiano nell’aria) e il risultato non cambia: solo del buon vecchio rock-blues con la chitarra che viaggia ben sostenuta da una solida ed inventiva sezione ritmica. Niente di più, ma la qualità è buona e costante, non delude le aspettative, per innovazione e ricerca cercate altrove, ma il rock è anche questo, onesto e piacevole.

Bruno Conti