“Vecchie Glorie” Sempre In Gran Forma, 1! Wishbone Ash – Blue Horizon

wishbone ash blue horizon

Wishbone Ash – Blue Horizon – Solid Rockhouse

Scorrono inesorabili gli anni e due delle formazioni storiche del rock britannico sembrano non risentirne, anzi in questo 2014 rilasciano quelli che sono tra loro migliori lavori da lunga pezza a questa parte e, forse, anche i tra migliori in assoluto di due carriere formidabili. Oggi Wishbone Ash, nei prossimi giorni Kim Simmonds & Savoy Brown. I Wishbone Ash sono in circolazione da circa 45 anni e della vecchia formazione è rimasto solo il chitarrista e fondatore Andy Powell, ma se già con il precedente Eleganth Stealth avevano dato chiari segni di vita (dischi dal vivo a parte) http://discoclub.myblog.it/2012/01/17/vecchie-glorie-9-wishbone-ash-elegant-stealth/ , questo Blue Horizon http://www.youtube.com/watch?v=fecmfywHKUI , 24° album di studio, in vari momenti, e soprattutto nelle parti strumentali, ci riporta a tratti allo splendore di dischi come Pilgrimage o Argus, con l’ultimo arrivato, il chitarrista finlandese Muddy Manninen che si è perfettamente integrato nel gruppo e dà vita con Powell a ripetuti duetti chitarristici che non hanno nulla da invidiare a quelli dei tempi di Ted Turner prima e poi di Laurie Wisefield, senza dimenticare l’ottimo bassista Bob Skeat chiamato a rimpiazzare l’altro fondatore della band Martin Turner e il solido batterista Joe Crabtee, entrambi musicisti ricchi di inventiva, capaci di “inventare” atmosfere ora sognanti, ora più prog, con tracce jazzate. ma sempre nella grande tradizione del miglior rock della terra d’Albione, discorso che vale per tutta la band, veramente in gran forma nell’arco dell’intero disco.

Si capisce l’aria che tira, cioè ottima, sin dall’apertura affidata a una Take It Back, scritta dal figlio di Powell, Ainsley, che fin dal titolo ci 2riporta alle sonorità “fantastiche” e classiche dei Wishbone, due soliste all’unisono, il violino dell’ospite Pat McManus per un sound quintessenzialmente britannico, ingentilito dalle belle armonie a due voci che ricordano il miglior rock progressivo di quegli anni, Jethro Tull, Camel, Yes ma anche il rock-blues a due chitarre che gli Allman inventavano sull’altro lato dell’Atlantico e il folk-rock inglese che era nel suo momento magico, il brano ha una sorta di costruzione circolare con la melodia delle due soliste che ritorna ciclicamente al tema del brano sotto forma di un riff insistito. Deep Blues è più tirata, e Manninen grazie anche al suo patronimico mostra anche il lato energico del gruppo, con i duetti di chitarra che si fanno duelli, il suono più aspro, fa capolino uno slide e Powell lascia andare la mano sul manico del chitarra con una scioltezza che mancava da tempo. Strange How Things Come Back Around costruito attorno a solido giro di basso di Crabtree, ondeggia tra un morbido funky non dissimile da certi Caravan più sognanti e le derive elettroacustiche di Wishbone Four o There’s The Rub dove un certo gusto per il brano “orecchiabile” (le armonie vocali di Lucy Underhill) si stemperava in improvvisi assoli ficcanti da parte delle due twin lead guitars. Ottima Being One dove il lato prog della band prende decisamente il sopravvento, Camel e Yes dietro l’angolo, con gli assoli a rincorrersi su una base quasi jazz-rock ma sempre melodicamente assai raffinata.

Bellissimo Way Down South, un mid-tempo leggiadro che rende omaggio anche alla musica sognante della West Coast americana, ma sempre mediata dal sound di Canterbury, chitarre deliziose che inventano traiettorie sonore a cui solo un duro di cuore non può soccombere, il testo forse non è particolarmente memorabile, ma la lunga coda strumentale è quanto di meglio si possa ascoltare in una formazione con due chitarre soliste, fantastica, sentire per credere, gli anni ’70 sembrano non essere passati invano http://www.youtube.com/watch?v=nYa_FKA0wic ! E in Tally Ho ripetono la magia, con un altro brano semplice, dove il cantato è poco importante ma lo svolgimento sonoro è raffinato e sognante quanto non si ascoltava da anni nei loro dischi (salvo nei momenti più ispirati, che in questo Blue Horizon si incontrano a ripetizione), con quell’alternanza quieto-mosso che poi sarebbe tornata, sotto altre forme soniche, nel grunge degli anni ’90. Mary Jane l’altro brano a guida Manninen ritorna al rock-blues, più scontato e un tantinello scolastico, ma sempre nobilitato dal lavoro delle chitarre, un piccolo calo si può perdonare. American century con un bel intro di stampo jazzy poi si trasforma in un melodic rock dove le voci di Powell e della Underhill cercano di dare sostanza ad un altro brano diciamo minore, anche se le chitarre pure grazie alla produzione precisa di Tom Greenwood sono sempre in primo piano.

Ma il finale con i due brani più lunghi, Blue Horizon http://www.youtube.com/watch?v=O1GMQ5MCREY  e All There Is To Say http://www.youtube.com/watch?v=hlNITnzmcyo , ancora una volta si rivolge al suono dei tempi migliori, quelli di Argus, nella prima, per esempio, dove Powell rispolvera per l’occasione il suo magico wah-wah nell’estesa parte centrale strumentale e poi nel continuo alternarsi delle due lead guitars fino alla jam finale e nella seconda, che dopo una lunga intro classicheggiante in crescendo sembra riportarci ai fasti della classica Throw Down A Sword http://www.youtube.com/watch?v=LByiVlc6czA  con le chitarre soliste, e qualche tocco di violino, che nuovamente rinnovano il loro felice interplay, marchio di fabbrica che ha sempre fatto dei Wishbone Ash una delle migliori formazioni di rock classico, mai troppo scontato grazie alla maestria dei solisti. Non memorabile, ma sorprendentemente piacevole. Il genere è quello, prendere o lasciare!

Bruno Conti

Vecchie Glorie 9. Wishbone Ash – Elegant Stealth

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 Il reparto “Vecchie Glorie” è sempre pronto, quando serve riapre!

Wishbone Ash – Elegant Stealth – Golden Core/Zyx Records

Vorrei iniziare questa recensione con uno sfoggio di pensiero Veltroniano (il “ma anche”) applicato alla filosofia di Catalano (quello di Arbore, il re dell’ovvietà). Ovvero: questo album non è male ma anche, allo stesso tempo, non mi sembra che dopo oltre 40 anni di onorata (e travagliatissima) carriera i Wishbone Ash abbiamo molto di nuovo da dire (e ti pare). Allo stesso tempo, per continuare con gli stereotipi, si potrebbe dire che dal vivo sono comunque meglio e ancora validi.

Tra gli inventori delle Twin Lead Guitars in Europa, sulla scia (e più meno in contemporanea) con quanto facevano gli Allman Brothers sull’altra sponda dell’Atlantico, il gruppo di Andy Powell (unico membro originario ancora in formazione), Ted Turner, Martin Turner (nessun grado di parentela) e Steve Upton è stato in grado di regalare nella prima parte degli anni ‘70 agli appassionati del rock di qualità una serie di ottimi album, almeno fino a Wishbone Four e anche il superbo doppio Live Dates, poi hanno fatto, con vari cambi di formazione, ancora buona musica fino alla fine della decade, culminata con la pubblicazione del nuovo Live Dates II. Da allora hanno tirato a campare, sempre validi nei concerti dal vivo e con vario interessante materiale d’archivio ripescato da diverse etichette discografiche a rendere interessanti alcune antologie e raccolte pubblicate nell’ultimo trentennio: il loro rock melodico, raffinato, con elementi folk e acustici, unito ad una notevole varietà stilistica e all’indubbia perizia tecnica dei vari chitarristi che si sono succeduti negli anni, li ha resi una delle migliori formazioni del rock britannico.

Era dal 2007 del discreto Power Of Eternity che non pubblicavano un disco nuovo in studio e questo Elegant Stealth non sembra destinato a cambiare le cose, in bilico come sempre, nell’ultimo periodo, tra quel rock melodico tendente all’A.O.R e lo splendore strumentale delle due chitarre soliste (anche se il finlandese Muddy Manninen non sembra sempre all’altezza di chi lo ha preceduto). Ci sono tentativi di spostarsi verso un rock più grintoso come nello strumentale Mud-Slick dove la presenza dell’organo di Don Airey li spinge verso lidi vicini ai Deep Purple con buoni risultati. O di utilizzare sonorità folk-rock come in Can’t Go It Alone con il violino di Pat McManus pronto alla bisogna per cercare di ricreare atmosfere alla Fairport Convention o alla Jethro Tull, ma la voce non memorabile, direi blanda di Powell (si può essere “blandi” facendo rock? Evidentemente sì anche se dovrebbe essere un ossimoro) rovina l’effetto “progressivo” della parte strumentale con aperture melodiche fin troppo orecchiabili nel cantato, sembra John Wetton, che ha fatto parte della formazione, o meglio vorrebbe sembrare.

Eppure i Wishbone Ash hanno sempre saputo creare quel connubio tra acustico ed elettrico: per esempio ricordo una bellissima ballata come Ballad Of The Beacon su Wishbone Four dove la parte iniziale melodica poi si trasformava in sferzate rock quando Andy Powell e Ted Turner intessevano le loro trame chitarristiche, con Man With No Name ritorna con buoni risultati questo mix tra melodia e rock soprattutto quando il buon Andy rispolvera il pedale wah-wah per l’occasione, già sentito ma non male. Anche l’iniziale Reason To Believe (che ritorna alla fine in una versione quasi techno, per fortuna come traccia nascosta) con il suo ritmo galoppante, le belle armonie vocali e le due chitarre soliste all’unisono ha dei momenti dell’antico splendore del gruppo, per la serie “la classe non è acqua”, non preoccupatevi ho quasi esaurito le ovvietà! Warm Tears, ha grinta e un bel lavoro della batteria e delle chitarre che per molti gruppi in ambito rock sarebbe già prodigioso ma tra il cantato poco brillante (per usare un eufemismo) di Powell e una certa ripetitività si perde per strada. Give It Up e Seaching For Satellites fanno parte anche loro del “vorrei ma non posso”, tra rock e interventi melodici, ma senza molto nerbo, solite chitarra dalla timbrica eccellente ma dopo tre secondi te le sei dimenticate. Probabilmente l’altro brano che si può apprezzare, dopo un inizio funky con iun basso alla Another One Bites The Dust , è la lunga, quasi 8 minuti, Big Issues che si redime con la lunga parte centrale strumentale dove l’alternanza delle due soliste (anche con wah-wah) ricorda i bei tempi che furono.

Sufficienza stentata in virtù del loro glorioso passato (e in giro c’è molto di peggio) ma se ne può anche fare tranquillamente a meno oppure comprare qualcuno dei vecchi album!

Bruno Conti