La Più Bella Voce D’Irlanda. Mary Black Twenty-Five Years Twenty Five Songs

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Mary Black – 25 Twenty-five years Twenty-five songs DVD 3ù Records/2CD – 3ù Records

Capita la mattina di svegliarsi e di avere voglia di parlare di qualcosa o qualcuno, perché se no tenere un Blog. Oggi ho sentito un impellente bisogno di parlarvi di Mary Black: per molti, almeno in Italia,una perfetta sconosciuta, in tutto il resto del mondo, per fortuna, una delle più brave e rispettate cantanti in circolazione, in possesso di una voce straordinaria. Quel titolo che campeggia all’inizio del post, giustamente, non utilizza punti interrogativi: La più bella voce d’Irlanda è una mera constatazione della verità!

E’ stata definita la quintessenza delle voci femminili irlandesi, profonda, pura, leggermente eterea, al di là di qualsivoglia moda o tendenza. Dirò di più, per alcuni anni la rivista What Hi-Fi? ha considerato la voce di Mary Black così pura da essere utlizzata come termine di paragone ideale per la qualità sonora degli impianti di Alta Fedeltà, quindi niente dischi prova ma un disco di Mary Black.

Nel corso degli anni mi è capitato varie volte di recensire entusiasticamente sul Buscadero i suoi album; purtroppo nella prima decade degli anni 2000, i noughties come li chiamano gli inglesi, ha molto diradato la sua produzione. L’ultimo album in studio Full Tide risale al 2005 ed era stato preceduto da una confezione CD+DVD Mary Black Live nel 2003, questo molto bello mentre l’ultimo, per quanto buono, non aveva raggiunto le vette della produzione precedente.

Tornando un attimo alla perfezione e bellezza incredibile della voce di Mary Black, non per niente Mastro Van Morrison, uno che di voci se ne intende, l’ha voluta al suo fianco, insieme all’altrettanto brava Maura O’Connell (da anni espatriata in America), per la registrazione del suo disco di musica irlandese con i Chieftains, Celtic Heartbeat che sono sicuro molti di voi conosceranno e apprezzeranno.

Cosa ha scatenato questo desiderio di parlare di questa cantante? Oltre all’astinenza da nuovi prodotti, il fatto che un mio amico, Tino, che ringrazio, mi ha fatto avere questo DVD strepitoso che è una summa della sua carriera, uscito per il mercato irlandese nel lontano 2008 ma mai approdato nelle nostre lande e avendo come gemello separato alla nascita, ma con altri contenuti, anche un doppio CD che è una antologia del meglio della sua carriera con due brani incisi per l’occasione. Il fatto che rende il DVD tanto più interessante è che si tratta di materiale dal vivo, tutto inciso per la televisione, irlandese e inglese, e, per la quasi totalità inedito.

25 brani per 25 anni recita il titolo, ma poi ce ne sono altri 5 nelle bonus tracks e, volendo, è possibile ascoltare una traccia aggiunta, brano per brano, dove la stessa Mary Black commenta contenuti musicali, pettinature, abbigliamenti e quant’altro. Altra stranezza è il fattore temporale: la carriera della nostra amica inizia nel 1976 come cantante dei General Humbert, poi si sviluppa in varie collaborazioni, prosegue con l’ingresso nella formazione dei mitici (in tutti i sensi) De Danann e, dal 1982, con il primo omonimo album da solista. Qui il periodo coperto va dal 1979 al 2005, anche se il video è stato assemblato nel 2008. Ma a noi in fondo che ce ne frega? E’ bello? Ma di più, bellissimo! Quindi veniamo ai contenuti.

Si parte dal 1989, con l’anteprima mondiale televisiva di No Frontiers uno dei brani più belli scritti da Jimmy McCarthy per lei e qui ripreso, in un collage video, prima alla televisione iralndese con il grande Declan Sinnott alla chitarra, con pettinatura alla “Brunetta dei Ricchi e Poveri” e poi alla Royal Albert Hall nel 1991 con una band molto ampia che vede alla seconda voce, l’esordiente Eleanor McEvoy, quella di Only A Woman’s Heart. Tutto bellissimo. RTE Late Late Show 1986 con fratelli e familiari, The Black Family, in una strepitosa versione solo vocale del tradizionale Colcannon.

Poi si salta al 1995, Mary Black è sulla terrazza del palazzo presidenziale di Dublino, e accompagnata da un solitario pianoforte, canta Song For Ireland mentre qualche milione di irlandesi (alcune centinaia di migliaia per la Questura) assiste all’evento, in occasione della visita ufficiale di Clinton in Irlanda. La scena sfuma, il brano rimane, siamo nel 1997, in occasione di una reunion con i De Danann. Dalle Transatlantic Sessions del 1994, una emozionante versione di Farewell, Farewell di Richard Simpson con Declan Sinnott (quello dei Moving Hearts) alla chitarra. Il brano più vecchio, del 1979, è una bellissima versione di Heart Like A Wheel scritta dalle sorelle McGarrigle, ma resa celebre da Linda Ronstadt, qui Mary Black è molto giovane ma già in possesso di una voce di una purezza assoluta e di grande carisma (gli occhi sembrano verdi come l’Irlanda). As I Leave Behind Neidin è un duetto emozionante del 1988 con il suo autore preferito, Jimmy McCarthy, un cantautore misconosciuto nella grande tradizione della musica irlandese. Saltiamo al 1995 per Carolina Rua, un brano brioso e trascinante, una delle sue canzoni più conosciute tratta dalla trasmissione Mary Black Special.

Dovete sapere che in Irlanda Mary Black è popolarissima, i suoi dischi vanno regolarmente al primo posto delle classifiche: per fare un paragone, con la sua controparte maschile, Christy Moore si possono considerare l’equivalente irlandese, come popolarità, di Mina e Celentano in Italia. Mo Ghile Mear è un tradizionale in gaelico cantato con l’orchestra. sempre in gaelico il duetto con Seamus Begley Bruach Na Carraige Baine accompagnata, tra gli altri, da Donal Lunny dei Planxty e Moving Hearts.

Mi rendo conto che la lista si fa lunga, non c’è un brano brutto, comunque, selezionando, ricordiamo ancora la sua versione di The Moon and St. Christopher di Mary Chapin Carpenter, di una bellezza sconvolgente, il trio, fantastico, con Dolores Keane e Emmylou Harris in Bringing It All Back Home, una versione stratosferica di By The Time It Gets Dark di Sandy Denny (di cui si può considerare l’erede, almeno a livello vocale). Bellissime anche The Dimming Of The Day di Richard Thompson, Columbus di Noel Brazil, One And Only a New York nel 1997 con una band di musicisti rock, Jerry Marotta, Larry Klein, Michael Landau e Greg Leisz tanto per citare i più noti.

E ancora Ring Them Bells di Bob Dylan in un grande duetto con Joan Baez per la televisione irlandese, un altro duetto con Emmylou Harris sempre nel 1994. Di Dylan è il brano più recente, siamo nel 2005, il brano è Lay Down Your Weary Tune. Un balzo nel passato per il brano conclusivo Anachie Gordon con Christy Moore and Friends, siamo nel 1980. poi come detto ci sono cinque bonus nei contenuti extra. Se riuscite a trovarlo non fatevelo sfuggire, in caso contrario scongiurate qualche amico di passaggio in Irlanda, ne vale assolutamente la pena.

Questa non c’è.

Bruno Conti

Hard-Rock-blues Dal Canada. Philip Sayce – Inner Revolution

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Philip Sayce – Inner Revolution – Provogue/Edel CD/DVD

Philip Sayce è un chitarrista-cantante non ancora 34enne, nato in Galles e che ha poi vissuto per molti anni con la sua famiglia in Canada. Perché proprio lui tra tante uscite discografiche? Francamente non lo so! Oltre a tutto non è che questo disco mi piaccia poi in modo particolare. Sarà forse perchè lo stavo sentendo oggi per recensirlo sul Buscadero? Mi sa di sì!

Comunque al di là della genesi di questo post veniamo al nostro amico: bravo è bravo, anche se il blues con la b minuscola nel titolo ha un suo perché. Nel senso che in questo disco ce n’è veramente poco. Viceversa di rock e hard stile FM Americano anni ’80 decisamente molto di più, ma anche tanto Lenny Kravitz style e quindi di rimbalzo l’amore, sano, per Jimi Hendrix prende il sopravvento. Qualcuno lo ha anche paragonato, soprattutto in Inghilterra, a Joe Bonamassa, in modo più che favorevole.

Per il momento, oltre ai suoi due dischi ( di cui uno, solo per il mercato giapponese), il motivo della sua fama risiede nel fatto di essere stato per quattro anni, dal 2004 al 2008, il chitarrista della band di Melissa Etheridge.

Potrà questo nuovo Inner Revolution cambiare la situazione?

Temo di no. Anche se, il disco, per chi ama il suo rock bello hard e tosto è decisamente notevole. Sayce è un guitar hero di quelli fluenti e vigorosi. Non si sa poi per quale strano motivo ha l’abitudine di porre i brani migliori dei suoi CD in coda agli stessi.

Anche stavolta, i migliori brani, per il sottoscritto, sono alla fine e sono quelli, guarda caso, più Hendrixiani: Gimme Some More, breve e nervosa, è una sorta di Fire riveduta e corretta mentre la lunga Little Miss America, molto funky e alla Band Of Gypsys è l’occasione per sentire la chitarra con wah-wah di Philip Sayce in piena libertà, una serie di assoli liberatori e tecnicamente impeccabili che ne illustrano le migliori qualità e la fantasia.

Il resto del disco vira decisamente verso territori AOR, alla Toto o Journey per intenderci e per gli amanti del genere, anche perchè uno dei co-autori dell’album è il noto rocker melodico americano Richard Marx. Quindi gli appassionati del genere stiano in campana perché in questo campo, come si usa dire c’è “Trips for cats – trippa per gatti”, mentre per chi vi scrive, pur con tutto il rispetto, all’inglese direi che “it’s not my cup of tea”. Per chi non lo conosce, un piccolo reminder di Philip Sayce watch?v=iaeJVPxTy2M, perché per suonare, suona!

Questo è il primo brano del nuovo album, Changes.

Non male! Il Cd nella prima tiratura ha un DVD in omaggio con quattro pezzi Live, e direi che sul palco trova la sua vera dimensione.

Bruno Conti

Che Storia! Audra Mae – The Happiest Lamb

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Audra Mae – The Happiest Lamb – Side One Dummy Records – 18-05-2010

Il titolo non fa riferimento ad eventuali problemi di tossicodipendenza di questa giovane donzella, semplicemente mi sembrava simpatico.

Già, la storia: Audra Mae nasce ventincinque anni fa in quel di Oklahoma City, figlia maggiore di una famiglia numerosa e fin da piccola rivela velleità artistiche. D’altronde per la bisnipote (se ho fatto i conti bene, è la figlia della sorella di Frances Ethel Gumm, mentre la sorella Virginia era la mamma di sua nonna, che casino!) di Judy Garland, nome d’arte di Frances, quindi Liza Minnelli sarebbe la prozia.

Ma bando alle genealogie: verso i diciassette anni, avendo imparato da autodidatta a suonare piano e chitarra, comincia a comporre le prime canzoni e inizia il solito percorso dei veri musicisti, quindi concerti, concerti, concerti, nastri, nastri, nastri, tutta la trafila di chi non vuole passare per i cosiddetti talent show o reality che dir si voglia (anche se… ma lo vediamo fra poco). A questo punto va a studiare alla Middle Tennessee State University, ma ci rimane poco visto che invece di studiare le sue priorità erano scrivere canzoni e fare festa (un bel programmino). Molla tutto e, secondo la sua biografia, arriva in California l’8 gennaio 2004, il giorno del compleanno di Elvis con venti dollari in tasca e questi sono i racconti che alzano l’audience. Da lì inizia il classico peregrinare tra le varie etichette discografiche, ma secondo le sue parole, tutti volevano cambiare il suo modo di cantare e fare musica.

Nel frattempo firma un contratto per la Warner Chappell come autrice e, tramite questo contatto, viene chiamata dagli autori di una serie televisiva americana “Sons of Anarchy” per cantare una cover di Forever Young di Dylan watch?v=VDzJbmZe2rw e con la voce che si ritrova (ne parliamo subito) viene notata da molti. In particolare dai boss di una etichetta indipendente americana, la Side One Dummy (la stessa di Gaslight Anthem, Flogging Molly, Gogol Bordello e altri), che le propongono un contratto. Per farla breve, la nostra amica ha pubblicato nel 2009, due Ep digitali, in particolare uno intitolato Haunt è uscito anche in CD; tramite la casa discografica e la Warner Chappell è stata contattata da un team di autori musicali svedesi, Play Productions per comporre un brano da proporre ad una cantante esordiente. Fin qua niente di strano, se non che la cantante esordiente è tale Susan Boyle (da qui l’aggancio con i talent), il brano Who I Was Born To Be, l’unica composizione originale in un disco di cover viene accettato e inciso e ora, Audra Mae, dopo nove milioni di dischi venduti (e non è finita), potrebbe fare una vita da “ricca” e vivere di rendita. Invece ha deciso di capitalizzare il successo e pubblicare questo The Happiest Lamb il 18 maggio.

Un’ultima curiosità carina raccontata da lei stessa in una intervista. Qualche tempo fa Rufus Wainwright ha fatto un tour e poi inciso un disco dove reinterpreta Judy At Carnegie Hall. La nostra amica Audra, che è una fan di Rufus, è andata ad una manifestazione dove il giovine Wainwright firmava autografi e, porgendogli il suo notebook, gli ha detto “Un giorno farò da spalla ai tuoi concerti”, beccandosi un “really” tra l’ironico il rassegnato. Due particolari, il notebook in questione, oltre a contenere i testi delle sue canzoni era tutto dedicato a Harry Potter di cui la Mae si definisce una scatenata fan 25enne e quindi ha fatto un po’ la figura della cretina e, secondo, non gli detto di essere la pronipote di Judy Garland, di sicuro avrebbe vinto molti punti!

Ma due parole sul disco non le vogliamo dire? Certo che sì. Una Meraviglia! Sono due parole.

Prodotto da Ted Hutt (come già detto per Jesse Malin, il produttore di Gaslight Anthem, Lucero, Flogging Molly e molti altri) il disco ci presenta una deliziosa cantante dalla voce forte e sicura, molto “old Wave” se vogliamo ma meglio direi “senza tempo”, quei talenti naturali che ogni tanto appaiono dal nulla e ci regalano dei bellissimi dischi e poi non sempre si ripetono. Dico questo perché la Audra Mae, tra le altre voci è stata paragonata anche a Mary Margaret O’Hara autrice di quell’unico stupendo disco e poi scomparsa, purtroppo, nel nulla (più o meno).

Qui il sound è volutamente minimale: chitarre acustiche e qualche raro sprazzo elettrico, piano, mandolino, qualche tocco fatato di fisarmonica, una sezione ritmica discreta ma anche swingante, nel senso di leggermente jazzata (ma giusto un tocco). Ma soprattutto tante belle canzoni: dall’iniziale The Happiest Lamb che potrebbe ricordare una Duffy infinitamente più sofisticata ma sempre molto sixties e piacevole passando per la riverberata The Millionaire dove la voce sexy e leggermente rauca della Mae, aiutata da un tappeto di voci di supporto ci regala un piccolo classico di pop music senza tempo. The River è il singolo dell’album, una ritmica vagamente sincopata, una voce pura e vagamente ammiccante e voilà, una Norah Jones meno ingessata nel suo stile. The Snake Bite addirittura ci riporta agli anni ’50, sempre in bilico tra jazz, folk e canzone d’autore e sempre delicatamente fuori moda ma allo stesso tempo attuale. My Lonely Worry è una stupenda ballatona che avrebbe fatto la gioia della K.d. Lang di Ingenue ( e dei suoi ascoltatori); The Fable, con una fisarmonica malandrina, ci porta in quei territori raffinati e rarefatti tanto cari alla O’Hara ma anche alla stessa k.d. Lang, la nostra amica canta con un trasporto fantastico, raggiungendo momenti strepitosi nel ritornello dove la voce si libra verso vette vocali da brivido e goduria estreme, che meraviglia!

Ma è tutto un tripudio di belle canzoni: Lightning in A Bottle, ancora arricchita dalla fisarmonica e da questa voce incredibile, ma anche Sulliivan’s Letter e Smoke sono brani decisamente superiori a quello che si ascolta in giro. Come il folk quasi puro di Bandida con mandolino e atmosfere celtiche e la voce che trova nuove sfumature. La conclusione è affidata a Little Sparrow, solo voce e piano, il brano più “difficile” del disco e altra occasione per ascoltare questa voce in piena libertà.

Segnatevi il nome e ricordate dove lo avete letto una delle prime volte, almeno in Italia. Ormai nella ricerca di “nomi strani” mi mancherebbe un bel disco di musica dei Boscimani del Kalahari ma ho deciso di risparmiarvi.

Bruno Conti

A Volte I “Miracoli Accadono”

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Oggi non ho avuto tempo di scrivere un post “serio” per cui, tornando sul luogo del delitto, mi limito a segnalarvi due piccoli “miracoli”. Tramite i benefattori dell’Ird, ai quali ho rotto i ministri Maroni, ma per una giusta causa, girando per negozi italiani (non faccio pubblicità visto che il mio vecchio negozio non esiste più, rimane solo il logo che campeggia in alto nel blog), dovreste trovare finalmente disponibili i due ultimi album di Otis Gibbs, Joe Hill’s Ashes e Grandpa Walked a Picketline, sono due piccoli capolavori di cantautorato tout court, puro e semplice. Un particolare ulteriore per stuzzicare la vostra fantasia e che mi ero dimenticato di segnalare nel post dedicato a Gibbs, a riprova della qualità dei prodotti: il penultimo album è prodotto da Chris Stamey ex leader dei Db’s e nel disco suonano, tra gli altri, Don Dixon, grande cantautore e co-produttore dei R.e.m., Al Perkins a pedal steel e dobro, ex dei Manassas, Flying Burrito Brothers, Desert Rose Band, collaboratore degli Stones e mille altre band, Will Rigby, anche lui nei Db’s e Tim Easton, ottimo chitarrista e cantautore pure lui. Per La serie scusate se è poco, e i risultati, come già magnificato, si sentono. Mi ripeto, l’ultimo disco, Joe Hill’s Ashes è anche meglio!

L’altro “piccolo miracolo”, tutto italiano, è che il nuovo disco di Mary Gauthier The Foundling, è uscito con una settimana di anticipo (strano ma vero) è quindi lo trovate già nei migliori negozi (una volta la case discografiche dicevano così).

Settimana ricca con due dei dischi più belli dell’anno e la settimana prossima esce la ristampa dell’anno, Exile on Main Street degli Stones.

Bruno Conti

Un Uomo Solo Al Comando Con La Sua Chitarra. Luka Bloom – Dreams In America

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Luka Bloom – Dreams in America – Skip Records – Ird

Con questo sono diciannove album, live e raccolte comprese, l’uomo che per la sua famiglia si chiama Barry Moore, il fratello minore di Christy Moore. Un geniale cantautore irlandese, uno dei “Best Kept Secrets” della musica mondiale. In questo disco (e questo è il motivo del titolo ispirato dal Giro d’Italia in corso) rivisita in versione solitaria il meglio del suo repertorio. Per chi ama la musica di qualità. Sentire, prego!

Bruno Conti

Il Vecchio Leone Ruggisce Ancora – Graham Parker – Imaginary Television

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Graham Parker – Imaginary Television – Bloodshot Records 2010

Vecchio, si fa per dire, visto che è del 1950: comunque, quatto quatto, ogni due o tre anni lascia la sua zampata. Gran bel disco! Esce oggi.

Il video è di trent’anni fa. Oggi Ha la stessa grinta! Domani completiamo la trilogia dei “ruggiti”.

Bruno Conti